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TAR Piemonte, Sez. I, 8/5/2010 n. 2362
Non è legittimo imporre agli operatori di telecomunicazione, per la posa dei cavi e altre infrastrutture nel sottosuolo, oneri economici ulteriori rispetto alle spese per la ricostruzione della strada, alla Tosap e al Cosap (art. 93 d.lgs. n. 259/03)


Il tassativo disposto dell'art. 93, c. 2 del d.lgs. n. 259/2003 (c.d. Codice delle Comunicazioni) esclude la legittimità dell'imposizione agli operatori di telecomunicazione per gli interventi di manomissione della sede stradale, di oneri finanziari o reali diversi rispetto alla tassa di occupazione di suolo pubblico a al canone per l'occupazione di suolo o aree pubbliche e, in particolare, di indennizzi per il degrado e il deterioramento dei beni demaniali, tanto più ove i sistemi di computo di tali indennizzi siano caratterizzati da fattori probabilistici ed aleatori, configgenti con il tenore tassativo già del primo periodo dell'art. 93, comma 2 del d.lgs. n. 259/2003 ed estranei all'impianto della norma, che è ispirato ad un criterio di determinatezza. Pertanto, sono illegittime le previsioni regolamentari locali (nel caso di specie, l'art. 11 del regolamento del Comune di Torino contenente "norme per l'esecuzione delle manomissioni e dei ripristini dei sedimi stradali della Città da parte dei grandi utenti del sottosuolo") che permettano agli Enti locali di richiedere agli operatori di telecomunicazioni il pagamento sia di oneri economici o reali diversi e aggiuntivi rispetto ai due tributi suindicati, sia di qualsiasi altro tipo di indennità.

L'art. 23 Cost. che stabilisce che "nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge", di cui l'art. 93 del d.lgs. n. 259/2003 costituisce attuazione, si oppone a una siffata richiesta contenuta in norma regolamentare locale priva di copertura legislativa.

Il principio comunitario di non discriminazione, applicato al settore delle telecomunicazioni, impone non solo di assicurare agli operatori di comunicazione degli altri Stati membri lo stesso trattamento assicurato a quelli italiani, ma interdice anche di assoggettare a differenziati regimi di prelievo le attività economiche espletate nei veri Paesi della Comunità e vieta, quindi, che gli operatori di comunicazione italiani siano assoggettati in una Regione a condizioni economiche più gravose rispetto a quelle praticate sia in altre Regioni italiane che in altri Stati membri.

Materia: enti locali / imposte e tributi

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1367 del 2009, proposto da:

Telecom Italia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Antonio Lirosi, Marco Martinelli, Luca Mastromatteo, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Torino, corso Vittorio Emanuele II, 83;

 

contro

Comune di Torino, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppina Gianotti, Maria Lacognata, con domicilio eletto presso la prima in Torino, Comune di Torino - via Corte D'Appello, 16;

 

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

della deliberazione del Consiglio Comunale del 12/10/2009, n. 02511, con cui è stato approvato il regolamento, e relativo allegato, recante norme per l'esecuzione delle manomissioni e dei ripristini sui sedimi stradali della Città da parte dei concessionari del sottosuolo;

dell'art. 11 del Regolamento rubricato"Spese di ricostruzione della sede stradale. Criteri" e dell'allegato al Regolamento recante calcolo delle spese di ricostruzione della sede stradale;

di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ancorché non conosciuto, ivi inclusa la deliberazione della Giunta Comunale del 5/5/2009 con cui è stata proposta al Consiglio Comunale l'approvazione del Regolamento.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Torino;

Esaminate le memorie difensive del Comune di Torino del 13.1.2010 e del 12.3.2010 e la memoria difensiva della Telecom Italia S.p.A. del 11.3.2010;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'Udienza pubblica del giorno 25 marzo 2010 il Referendario Avv. Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con il gravame in epigrafe la Telecom Italia S.p.a. impugna l’art. 11 del Regolamento contenente “norme per l’esecuzione delle manomissioni e dei ripristini dei sedimi stradali della Città da parte dei grandi utenti del sottosuolo” approvato con Deliberazione del Consiglio comunale di Torino del 12.10.2009, n. 2511 assunta nonostante il contrario avviso espresso dalla Telecom Italia S.p.A. in sede ci consultazione preventiva dei grandi utenti del sottosuolo.

Si è costituita la Città di Torino con atto formale e documenti depositati l’11.1.2010 e memoria prodotta il 13.1.2010 unitamente ad altri documenti e ulteriore produzione documentale del 4.3.2010.

Alla Camera di Consiglio del 14.1.2010 la domanda cautelare è stata abbinata al merito.

La società ricorrente depositava in vista dell’Udienza di merito un’ulteriore memoria in data 11.3.2010 e il Comune produceva la sua in data 12.3.2010.

Alla pubblica Udienza del 25.3.2010 i procuratori delle parti conducevano una lunga discussione orale alle cui conclusioni, sulla Relazione del Referendario Avv. Alfonso Graziano, il ricorso è stato trattenuto a sentenza.

2.1. E’ posta dunque all’attenzione della Sezione la disposizione recata dall’art. 11 del regolamento contenente “norme per l’esecuzione delle manomissioni e dei ripristini dei sedimi stradali della Città da parte dei grandi utenti del sottosuolo” approvato con Deliberazione del Consiglio comunale di Torino del 12.10.2009, n. 2511.

La norma contestata, assunta nonostante il contrario avviso espresso dalla Telecom Italia S.p.A. in sede di consultazione preventiva dei grandi utenti del sottosuolo, sostituisce l’art. 10 del previgente regolamento del 13.12.1999 che aveva introdotto una “tariffa” “ a compenso del degrado e del generale disagio apportato alla pavimentazione stradale a seguito delle manomissioni e degli interventi manutentivi” necessari dopo la riconsegna al Comune dei sedimi oggetto dei lavori di ripristino.

In occasione della predetta consultazione preventiva la deducente faceva osservare all’Ente che siffatte previsioni collidevano con il divieto per gli Enti locali, recato dall’art. 93 nuovo codice delle telecomunicazioni di cui al d.lgs. n. 259/2003, di imporre agli operatori di telecomunicazioni il pagamento di qualsiasi altro onere finanziario diverso dalla TOSAP o dal COSAP per l’esecuzione di opere afferenti agli impianti di comunicazione nonché altre indennità in conseguenza di scavi e occupazioni del suolo per l’installazione di infrastrutture dello stesso tipo.

Il Comune modificava solo la rubrica e il tenore lessicale della norma opposta coniando l’art. 11 a termini del quale, a seguire alla rubrica “Spese di ricostruzione della sede stradale. Criteri”, “il concessionario, per la realizzazione di opere di manomissioni stradali, oltre a quanto previsto dalla normativa vigente per l’uso o l’occupazione permanente e temporanea del suolo o del sottosuolo pubblico è tenuto al pagamento a favore del Comune delle spese di manutenzione per la ricostruzione, a regola d’arte, della sede stradale relative al deterioramento generale causato dagli interventi di manomissione, l’aumento degli oneri manutentivi e la diminuzione della vita naturale del sedime stesso”.

Illustra la motivazione di siffatta opzione normativa il Comune in un allegato tecnico, recante anche le modalità di calcolo delle predette spese di ricostruzione, nel quale enuncia l’avviso che gli interventi di manomissione cagionano una riduzione della “vita complessiva della pavimentazione”, così imponendo all’Ente di intervenire anzitempo sulla medesima.

La tabella annessa è ispirata ad una logica imperniata sulla considerazione di fattori di computo tipici di tutte le valutazioni di beni durevoli ma deteriorabili, fondate sul criterio della c.d. stima industriale.

Tale modalità di calcolo è oggetto di impugnazione per quanto occorra, unitamente a quella dell’art. 11 sopra riportato.

2.2. La Telecom Italia affida il gravame a tre motivi, che venogono appresso partitamente illustrati in uno con il loro singolo scrutinio.

Al primo mezzo è commessa la deduzione della violazione degli artt. 26, 88, comma 10 e 93 del D.Lgs. n. 259/2003 e del principio di legalità; eccesso di potere in tutte le figure e in particolare per carenza di potere, difetto di istruttoria e motivazione, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, falsità dei presupposti, irragionevolezza ed illogicità.

Lamenta al riguardo che l’art. 93 al primo comma vieta alle PP.AA. di imporre per l’impianto delle reti, oneri o canni non stabiliti ex lege e al comma 2 fa carico agli operatori gestori di reti di comunicazione elettronica di tenere indenne gli enti proprietari unicamente delle spese necessarie alle opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione nonché di ripristinare a regola d’arte le aree stesse. Rileva la ricorrente che il periodo successivo del comma 2 in analisi ulteriormente precisa che nessun altro onere finanziario o reale può essere imposto per effetto dell’esecuzione delle opere di cui al Codice, salva l’applicazione della Tosap o del Cosap ovvero dell’eventuale contributo una tantum per le spese di costruzione delle gallerie, di cui all’art. 47, co. 4 del D.lgs. n. 507/1993. Analoga disposizione si rinviene nel’art. 88, co. 10 del Codice.

Evidenzia quindi la deducente che sarebbero imposti agli operatori di telecomunicazioni solo l’obbligo di effettuare le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione nonché di ripristinare a regola d’arte le aree stesse.

Dalle norme invocate discende secondo la deducente l’illegittimità di previsioni regolamentari locali, quali quella oppugnata, che permettano agli Enti locali di richiedere agli operatori di TLC il pagamento sia di oneri economici o reali diversi e aggiuntivi rispetto ai due tributi suindicati, sia di qualsiasi altro tipo di indennità, dovendosi anche rammentare la portata innovativa dell’art. 93 del Codice che, nella lettura offertane dalla Consulta esprime un principio fondamentale di armonizzazione e non discriminazione, bandendo regimi di prelievo differenziato che, in difetto, potrebbero formarsi tra le varie Regioni, a detrimento della finalità di favorire la par condicio e l’ingresso di nuovi soggetti nel settore (il richiamo è a Corte Cost., Sent. n. 336/2005). È parimenti invocata una giurisprudenza uniforme della VI Sezione del Consiglio di Stato che milita nel senso sostenuto dalla ricorrente.

In definitiva, quindi, la norma impugnata, legittimando il Comune di Torino a richiedere agli operatori di comunicazioni elettroniche oltre che la risistemazione a regola d’arte delle aree interessate dagli interventi di interramento e posa delle infrastrutture, anche un’indennità a fronte del degrado del sedime stradale cagionato dagli interventi di manomissione delle strade ha surrettiziamente imposto, gabellandolo per spese di ricostruzione della sede stradale, siffatto ulteriore onere, che sostanzierebbe proprio uno di quegli interventi diversi ed ulteriori, aggiuntivi rispetto ai consentiti COSAP e TOSAP, banditi dall’art. 93 del Codice.

3.1. Le doglianze testé riassunte si prestano a positiva considerazione, trovando conforto nel tassativo dettato di cui agli invocati artt. 93 e 88, comma 10 del d.lgs. n. 259/2003 e vanno conseguentemente accolte.

Principia il Collegio con il confrontare la norma regolamentare impugnata con il parametro legislativo di riferimento costituito dagli artt. 93 e 88, co. 10 del d.lgs. n. 259/2003.

Ebbene, l’art. 11 del Regolamento comunale in questione testualmente recita: “il concessionario, per la realizzazione di opere di manomissioni stradali, oltre a quanto previsto dalla normativa vigente per l’uso e l’occupazione temporanea del suolo e del sottosuolo pubblico, è tenuto al pagamento a favore del Comune delle spese di manutenzione per la ricostruzione, a regola d’arte, della sede stradale relative al deterioramento generale causato dagli interventi di manomissione, l’aumento degli oneri manutentivi e la diminuzione della vita naturale del sedime stesso”.

Viceversa, l’art. 93 del Codice delle telecomunicazioni ha un tenore dispositivo nettamente differente, stabilendo che “1. Le pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre, per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge.

2. Gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l'obbligo di tenere indenne l'Ente locale, ovvero l'Ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d'arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall'Ente locale”.

3.2. Osserva in primo luogo il Collegio che la riportata norma ha un’impostazione tassativa ed è chiaramente orientata a limitare, definire e circoscrivere in termini assai precisi il potere degli Enti locali o proprietari delle strade interessate da interventi manomissivi, di imporre oneri economici agli operatori di telecomunicazioni.

Siffatta impostazione emerge, in primis, dall’incipit della norma, che ricalca il disposto dell’art. 23 della Costituzione, sulle prestazioni imposte, il quale definisce una riserva di legge, del cui spessore si discute ancora in dottrina, prevalendo la tesi che trattasi di riserva relativa di legge.

In armonia ed in linea di attuazione legislativa, con il precetto costituzionale, dunque, l’art. 93 in analisi pone il principio, che non può che fungere da canone guida nell’esegesi di tutta la norma, secondo il quale gli Enti non possono imporre oneri o canoni che non siano stabiliti per legge.

3.3. Ciò posto, il legislatore scende subito nel dettaglio, indicando al comma 2 le causali legittimanti la richiesta di oneri agli operatori in due fattori fondanti: 1. spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi; 2. ripristino a regola d'arte delle aree medesime nei tempi stabiliti dall'Ente locale.

Ambedue siffatte causali, peraltro, in disparte la questione della loro sovrapponibilità o meno, sono intelaiate dalla comune matrice indennitaria, dovendo l’intervento economico degli operatori di comunicazione essere ancorato alla necessità di “tenere indenne”l’Ente proprietario delle strade.

Il che esclude, ad avviso della Sezione, che possano essere domandate ai primi, corresponsioni finanziarie non correlate ad una corrispondente spesa, determinata o determinabile quasi “a pié di lista”, coerentemente, del resto, con il meccanismo di funzionamento di qualunque fenomeno indennitario, che postula l’intervento reintegratore del debitore a fronte di una spesa determinata, già sostenuta o da sostenersi. Non tollera la norma, riferimenti a meccanismi o fattori di computo privi del carattere della determinatezza e della tassatività.

3.4.1. Precisa, pertanto, sin da ora il Collegio che l’impianto testuale dell’art. 93, comma 2 del lgs. n. 259/2003 esclude la legittimità di previsioni locali di imposizione agli operatori di comunicazione, di oneri economici scollegati da una quantificazione effettiva dei costi delle opere di sistemazione e di ripristino delle aree, con l’ulteriore precisazione che queste ultime devono essere solo quelle specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione delle infrastrutture di telecomunicazione.

La norma non consente, quindi, di addossare agli operatori, oneri svincolati da una precisa quantificazione del costo degli interventi di sistemazione e ripristino ma quantificabili in via ipotetica e o presuntiva in rapporto a fattori o variabili matematiche non prefissati ex ante.

3.4.2. Tale si atteggia il caso di parte della disposizione di cui al paragrafo “calcolo delle spese di ricostruzione della sede stradale” riportato nell’Allegato al Regolamento impugnato. Ebbene, tralasciando i primi due capoversi, enuncianti la filosofia di fondo che innerva l’art. 11 dell’articolato censurato e sulla quale si dirà nelle conclusioni, il capoverso successivo, a parere del Collegio è legittimo là dove dispone che “le spese di risistemazione sono calcolate in base alla suddivisione in tipologie tecniche delle pavimentazioni che vengono manomesse”.

E’ parimenti legittimo là dove ulteriormente individua le tipologie di pavimentazione con il relativo costo unitario a metro quadro. Tale disposizione è ispirata parametri oggettivi e predefiniti ed è quindi in linea con l’art. 93 del Codice.

3.5. Si profila viceversa illegittimo nella parte in cui enuncia la “formula” allestita per “calcolare il danno arrecato a seguito della manomissione”, là dove adopera parametri quali gli “anni di vita ridotta”, o gli “anni riduzione anni vita”, nonché là dove spiega il principio sotteso alla predetta formula nei termini per cui “la pavimentazione manomessa, a causa degli interventi dei concessionari di sottoservizi, subisce una riduzione della sua vita naturale e pertanto la Città sarà costretta ad intervenire prima del tempo previsto. La percentuale di vita ridotta è data dal rapporto “anni vita ridotta/anni di vita”.

Orbene, siffatti parametri si presentano di incerta delimitazione, non sono prefissabili ex ante poiché non è dato conoscere precisamente quali siano effettivamente gli anni di vita di una strada, né, correlativamente, quanti di questi anni possano essere stati erosi o ridotti dall’intervento di manomissione della sede stradale posto in essere dal singolo operatore di telecomunicazione.

3.6. La delineata incertezza, osserva il Collegio, risalta poi maggiormente se si rifletta che per poter sia pur presuntivamente quantificare il tasso di erosione o riduzione degli anni di vita della strada da imputare ad ogni successivo intervento, occorrerebbe considerare anche il tasso di erosione della vita del manufatto stradale già addebitato al precedente operatore, tenuto conto che:

1. non può certo consentirsi una locupletazione a favore dell’Ente, permettendo ad esso di richiedere al secondo o ai successivi operatori il quantum di ristoro dell’erosione cagionata e già compensata dal precedente; dimodoché l’onere imposto all’operatore successivo e già sofferente degli elementi di aleatorietà e indeterminatezza di cui si dirà ai numeri appresso, dovrà essere epurato degli esborsi sopportati percentualmente dagli altri operatori - o dal medesimo operatore – a fronte degli interventi precedenti;

2. ogni operatore successivo interviene su un bene già “invecchiato” ed eroso da tutti i precedenti operatori, conseguendone anche che: 2.a) al successivo operatore potrà domandarsi un onere inferiore, pure a parità di tasso di erosione, poiché il bene è stato via via svalutato dai precedenti interventi che l’hanno quindi gradatamente invecchiato; 2.b) applicando il meccanismo inverso, ma innervato dalla medesima logica, della c.d utilità marginale in uso nell’economia politica, ogni intervento successivo, operando su un bene già aggredito ed eroso, produce una percentuale di riduzione della vita del bene, e quindi un tasso di erosione, via via maggiore rispetto al precedente, pur a parità di consistenza dell’intervento.

3.7. Non necessitano ulteriori sforzi dianoetici per evidenziare come il modulo indennitario che sottende il calcolo espresso dalla formula di cui al quarto capoverso del Par. Calcolo delle spese di ricostruzione contenuto nell’Allegato al Regolamento – oggetto di impugnazione per quanto occorra – e dettagliato nella successiva tabella che seguita a menzionare tra i suoi fattori gli “anni vita sedime”, gli “anni vita ridotta” e gli “anni di riduzione vita” sia caratterizzato da elementi palesemente probabilistici ed aleatori, configgenti con il tenore tassativo già del primo periodo dell’art. 93, comma 2 del d.lgs. n. 259/2003 ed estranei all’impianto della norma, che è ispirato ad un criterio determinatezza, consentendo di imporre agli operatori solo le “spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d'arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall'Ente locale”. Per le ragioni esposte le suindicate parti del menzionato paragrafo dell’Allegato al regolamento impugnato si profilano dunque illegittime e vanno annullate.

4.1. Proseguendo nell’esegesi della disposizione di fonte primaria di cui è dedotta la violazione, richiama il Collegio il disposto del secondo periodo del comma 2 dell’art. 93 cit., a termini del quale “Nessun altro onere finanziario o reale può essere imposto, in base all'articolo 4 della legge 31 luglio 1997, n. 249, in conseguenza dell'esecuzione delle opere di cui al Codice, fatta salva l'applicazione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446”.

Orbene, la tassatività e la necessaria determinatezza su cui è imperniata la prima parte della norma, sono avvalorate ed accentuate dal tenore letterale della seconda, il quale è espresso in termini negativi e perciò maggiormente restrittivi, escludendo la possibilità di imporre agli operatori oneri diversi da quelli ivi menzionati (Tosap e Cosap o il contributo una tantum per le gallerie).

Consta sul punto una giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato, opportunamente segnalata dalla ricorrente, che è in linea con l’ermeneusi più sopra condotta dal Collegio, che quindi non può che ad essa prestare adesione.

La Sesta Sezione afferma infatti dal 2006 che “L'art. 93 d.lgs. 1 agosto 2003 n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche), al comma 2, sebbene precluda all'amministrazione comunale di subordinare il rilascio delle autorizzazioni per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica al pagamento di importi ulteriori rispetto a quelli ivi espressamente previsti (nella specie « indennità di civico ristoro » ed il « canone metro/tubo) non impedisce tuttavia che l'amministrazione "ex post" chieda al gestore il pagamento dell'importo che abbia effettivamente speso per il ripristino dello stato dei luoghi, che il gestore abbia omesso di realizzare, in base al rilievo di carattere generale posseduto dall'art. 2041 c.c che consente all'amministrazione, una volta constatata la spesa pubblica con cui i luoghi sono stati ripristinati, in assenza di corrispondenti lavori di ripristino a regola d'arte da parte del gestore, di formulare la relativa richiesta e di agire in giudizio, conseguentemente, per la condanna del debitore.”(Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 marzo 2008, n. 1005; Cons. di Stato, Sez. VI, 05 aprile 2006, n. 1775)

Il Giudice d’appello ritiene, dunque, legittima l’imposizione agli operatori di telecomunicazioni dei soli oneri corrispondenti alla spesa effettiva occorrente al ripristino della sede stradale, facultando l’Amministrazione a richiederli ove gli operatori non vi abbiano provveduto

4.2.1. Va conseguentemente disatteso l’argomento difensivo speso dal Comune di Torino per giustificare le “spese di sistemazione” della sede stradale. L’Ente, pur ammettendo che “la refusione della spesa ha la finalità di ripristinare il bene demaniale, destinato all’uso collettivo, con riguardo ai danni o ai maggiori costi conseguenti alle manomissioni” (pag. 5. memoria del 14.1.2010), nell’atto difensivo depositato in vista dell’ Udienza pubblica sostanzialmente scinde e differenzia gli obblighi imponibili agli operatori di comunicazione ai sensi della prima parte dell’art. 93, co. 2 cit., nelle “spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte” che assume essere diverso dall’obbligo di “ripristinare a regola d'arte le aree medesime”.

Il Comune sostiene che la norma impone due obblighi diversi ai privati operatori, ovverosia quello di ripristino a regola d’arte delle aree, che sostanzia un facere, e quello di indennizzare l’Ente delle “spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche”.

In siffatte ultime spese la difesa comunale ritiene siano da ricomprendere “gli altri interventi manutentivi aggiuntivi che la Città è costretta a svolgere in ragione e conseguenza della manomissione; ciò vale sia nel caso in cui la manomissione venga esercitata da altri utenti del sottosuolo sia che questa venga effettuata dagli operatori di comunicazioni elettroniche” (memoria depositata il 12.3.2010, pag. 7).

4.2.2. L’argomento non persuade il Collegio. Va osservato infatti che quantunque la norma appaia individuare due distinti obblighi, le indennità afferenti “al deterioramento generale causato dagli interventi di manomissione, l’aumento degli oneri manutentivi e la diminuzione della vita naturale del sedime stesso”che l’art. 11 del Regolamento impugnato impone, non possono ragionevolmente essere ricondotte all’alveo ben definito dall’inciso della prima parte dell’art. 93, comma 2 cit. nei termini di “spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte” e ciò per tre ordini di sostanziali conducenti ragioni esegetiche.

4.2.3. La prima risiede nella considerazione che le “spese per le opere di sistemazione” di cui è parola nella norma di legge, sono appunto qualificate dall’attributo ad esse giustapposto di “necessarie”, il quale rende di palmare evidenza la necessità: 1.di un nesso di causalità diretta ed immediata tra l’intervento manomissivo (la condotta) e il danno materiale e fisicamente apprezzabile con immediatezza e attualità arrecato al bene (evento); 2. del carattere della necessarietà, che esclude che possano ricondursi a dette spese quegli interventi che non siano strettamente finalizzati a risistemare la sede stradale nelle caratteristiche esteriori che possedeva ante intervento.

4.2.4. La seconda ragione va individuata nella preordinazione delle illustrate “spese necessarie”, all’obiettivo della “sistemazione”, che è concetto permeato da un criterio evocativo di una mera attività di ripristino delle caratteristiche del bene, alterate dall’attività di manomissione posta in essere per realizzare l’intervento di installazione dell’infrastruttura di comunicazione e che non appare inglobare anche l’occorrente monetario idoneo a ricostituire la “durabilità” nel tempo del bene demaniale via via vulnerato dai singoli successivi interventi.

4.2.5. La terza ragione ermeneutica riposa nel rilievo che la stessa strutturazione lessicale della norma di cui all’art. 93 comma 2 complessivo, stante il suo tenore inequivocabile e tassativo che si evince anche dall’impiego di attributi e sostantivi precisi (spese “necessarie”, alla “sistemazione” nei significati poc’anzi enucleati dal Collegio; delle aree pubbliche “specificamente coinvolte”) bandisce fattori indennitari non tassativamente predefinibili ex ante, quali il degrado o “il deterioramento generale causato dagli interventi di manomissione” introdotti dall’art. 11 censurato e collide con sistemi di calcolo connotati da aspetti di intrinseca aleatorietà e indeterminatezza, come posto in luce più sopra a proposito del modello di calcolo di cui all’allegato tecnico al Regolamento e alle relative formule e tabelle.

4.3. Per altro verso, non risulta conferente l’invocazione da parte della difesa comunale, della Direttiva 2002/21/CEE del 7.3.2002, recepita unitamente ad altre dal Codice delle Comunicazioni elettroniche in analisi, nella parte in cui l’articolato comunitario “non pregiudica le disposizioni nazionali vigenti in materia di espropriazione (…) normale uso dei beni pubblici”.

Afferma al riguardo il Comune che “la Direttiva non impone alcuna restrizione o disapplicazione delle norme comuni sul diritto di proprietà né tanto meno restrizioni o limitazioni all’applicazione delle regole già vigenti sull’uso dei beni pubblici” ritenendosi salvi gli artt. 4, L. n. 249/1997 che consentiva ai comuni di imporre obblighi di natura civica per l’installazione di reti di telecomunicazione e 238 D.P.R. 29.3.1973 legittimante l’indennità di civico ristoro (memoria Avvocatura civica del 12.3.2010, pagg. 8-9).

E’ agevole al Collegio opporre la non congruenza ai fini dell’esegesi dell’art. 93 del codice, dell’invocata salvezza, attribuita alla direttiva in questione, delle precitate due norme nazionali, atteso che esse sono state del tutto superate dal disposto dell’art. 93 d.lgs. n. 259/2003, del quale la giurisprudenza ha condivisibilmente sottolineato la portata innovativa del pregresso regime.

5.1. Ritiene il Collegio di non poter trascurare, ai fini della corretta esegesi dell’art. 93 in esame, il dictum della Consulta, che nel dichiarare illegittima una norma della L.Reg. Valle d’Aosta n. 25/2005 ha enucleato il “principio fondamentale di cui all'art. 93 d.lgs. 1 agosto 2003 n. 259, il quale vieta a tutte le pubbliche amministrazioni di imporre «oneri o canoni» che non siano stabiliti dalla legge statale, e con le finalità, perseguite dalla medesima disposizione, da un lato, di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio e, dall'altro, di "tutela della concorrenza", sub specie di garanzia di parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare l'ingresso di nuovi soggetti nel settore”.(Corte Costituzionale, 28 dicembre 2006, n. 450).

5.2. Sul punto la difesa del Comune oppone e ha con insistenza propugnato nel corso della discussione orale di pubblica Udienza, l’irrilevanza del principio di non discriminazione che invece la ricorrente invoca a sostegno della tesi del divieto di imporre agli operatori oneri diversi dal Cosap e dalla Tosap.

La difesa comunale desume da alcune norme della Direttiva 2002/21 CEE l’idea dell’irrilevanza ai fini che occupano del principio di non discriminazione, ritenendolo circoscritto, anche ex art. 12 del Trattato, alla nazionalità e affermando che “il fattore discriminatorio censurato in maniera preponderante è quello della nazionalità, finalizzato a garantire la non discriminazione per nazionalità all’interno del contesto europeo.. .e si sostanzia nella mancanza di ostacoli alla circolazione e all’attività economica degli operatori degli altri Stati membri rispetto a quelli situati nello Stato membro considerato” (memoria comunale cit. pag. 10), per concludere che “la previsione comunale di cui all’impugnato art. 11 del regolamento non può essere considerata come una misura discriminatoria secondo i principi comunitari sopra messi in evidenza, sia perché questa non determina discriminazioni soggettive, sia perché pone gli operatori interni e comunitari nelle stesse condizioni nell’ambito del proprio territorio e quindi in circostanze analoghe”(memoria cit., pag. 11).

5.3.1. L’argomento non persuade il Collegio e non si presta quindi ad esser condiviso.

In primo luogo, appare inconferente in rapporto alla portata del principio di non discriminazione caldeggiata dalla ricorrente e promanante dalla riportata sentenza costituzionale.

Invero, la discriminazione che la Consulta vuole sia bandita è quella infra nazionale, ossia su base regionale, che si produrrebbe ove non esistesse la norma dell’art. 93 del Codice, che esprime un principio vincolante la legislazione di tutte le Regioni, comprese quelle a statuto speciale come la Valle d’Aosta, discriminazione “di casa nostra” che quindi la Corte ha giustamente stigmatizzato.

5.3.2. In secondo luogo, la linea difensiva del Comune non convince poiché trascura di considerare che la Direttiva non vieta solo che ai cittadini comunitari sia riservato un trattamento peggiore che a quelli italiani – per cui secondo la asimmetrica prospettazione comunale ciò non si verificherebbe, essendo tutti gli operatori, comunitari o nazionali, sottoposti allo stesso prelievo indennitario imposto dal regolamento impugnato – ma interdice anche di assoggettare a differenziati regimi di prelievo le attività economiche espletate nei veri Paesi della Comunità e vieta, quindi, che gli operatori di comunicazione italiani, nella specie operanti in Piemonte e nel Comune di Torino, siano assoggettati a condizioni più gravose rispetto a quelle praticate sia da altre Regioni italiane che da altri Stati membri, posto che in questi ultimi non esiste e se esiste è contraria al principio di non discriminazione, una disposizione, come quella all’esame del Collegio, che imponga loro il pagamento di oneri finanziari e reali diversi da quelli stabiliti per legge.

5.4. Ritiene pertanto la Sezione di dover affermare che il principio comunitario di non discriminazione, applicato al settore delle telecomunicazioni, impone non solo di assicurare agli operatori di comunicazione degli altri Stati membri lo stesso trattamento assicurato a quelli italiani, ma interdice anche di assoggettare a differenziati regimi di prelievo le attività economiche espletate nei veri Paesi della Comunità e vieta, quindi, che gli operatori di comunicazione italiani siano assoggettati in una Regione a condizioni economiche più gravose rispetto a quelle praticate sia in altre Regioni italiane che in altri Stati membri.

6.1. Un’ulteriore considerazione conclusiva, di taglio economico, ritiene il Collegio di dover svolgere per completare la diagnosi di illegittimità dell’art. 11, primo comma, ultimo periodo, del Regolamento impugnato, nella parte in cui impone agli operatori di comunicazione di ristorare il comune dei danni da deterioramento generale e da riduzione della vita naturale del sedime stradale.

Orbene, va osservato che il fenomeno delineato e che la censurata disposizione è intesa a riparare, vale a dire il graduale degrado della strada, è insito nell’utilizzazione economica di qualunque bene durevole ed è compensato dalla attitudine dello stesso a generare un corrispettivo economico a fronte del godimento del medesimo concesso a terzi.

Gli operatori di telecomunicazione, a causa dell’utilizzazione che fanno della strada per l’impianto delle loro infrastrutture sono infatti tenuti a versare al comune, perché come più volte sopra ricordato ciò espressamente consente l’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003, il Cosap, che non a caso il legislatore ha giustapposto alla Tosap, evidenziandone l’afferenza non all’area delle tasse ma a quella dei canoni , ossia controprestazioni del godimento di beni patrimoniali.

Il deterioramento della strada è quindi il sacrificio che il Comune deve sopportare in corrispettivo della riscossione del canone ed è già considerato dal legislatore come controprestazione, ripetesi, della corresponsione del canone.

6.2. Il divisato fenomeno deteriorativo è quindi già insito, connaturato e concepito nel sinallagma e non può esserne richiesto il ristoro all’operatore di telecomunicazione che attraverso l’utilizzazione del bene patrimoniale lo cagiona gradualmente, poiché egli per tale utilizzazione ha già pagato un canone che rinviene la sua causa economica nello sfruttamento della strada per l’installazione delle infrastrutture.

E’ come se a un conduttore di un bene patrimoniale, sia privato che pubblico – si pensi ai conduttori di alloggi di edilizia residenziale pubblica - oltre a richiedersi il versamento del corrispettivo del diritto personale di godimento dell’alloggio o del bene, si richiedesse alla fine del rapporto anche il ristoro del minor valore arrecato al bene dal godimento del medesimo protratto per anni.

Il conduttore è tenuto agli interventi di piccola manutenzione e alle spese di riparazioni dei danni che egli stesso causa, ma non anche a riconoscere al proprietario un’ulteriore suppletiva indennità o onere per il degrado determinato all’immobile dal godimento.

6.3. L’art. 1590, 1° co. c.c. obbliga, infatti, il conduttore, che paga al proprietario un “canone” che ha la stessa causa del Cosap pagato dall’operatore di comunicazione all’Ente proprietario della strada, causa intesa come ragione dello spostamento patrimoniale, a restituire al proprietario la cosa a lui locata, nello stato in cui l’ha ricevuta, “salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa”.

Nel caso all’esame, dunque, la fruizione della strada da parte dell’operatore di comunicazione ha avuto come controprestazione a favore del proprietario (in tal caso dell’Ente locale) la corresponsione del canone, che ha già rappresentato un’entrata patrimoniale per il Comune.

7.1. Ritiene quindi la Sezione di dover enunciare il principio per il quale il tassativo disposto dell’art. 93, comma 2 del d.lgs. n. 259/2003 esclude la legittimità dell’imposizione agli operatori di telecomunicazione per gli interventi di manomissione della sede stradale, di oneri finanziari o reali diversi rispetto alla tassa di occupazione di suolo pubblico a al canone per l’occupazione di suolo o aree pubbliche e, in particolare, di indennizzi per il degrado e il deterioramento dei beni demaniali, tanto più ove i sistemi di computo di tali indennizzi siano caratterizzati da fattori probabilistici ed aleatori, configgenti con il tenore tassativo già del primo periodo dell’art. 93, comma 2 del d.lgs. n. 259/2003 ed estranei all’impianto della norma, che è ispirato ad un criterio di determinatezza.

7.2. La conclusione è suffragata anche dall’art. 88, comma 10 del Codice di cui pure la ricorrente lamenta la violazione, il quale dispone che “salve le disposizioni di cui all'articolo 93, nessuna altra indennità è dovuta ai soggetti esercenti pubblici servizi o proprietari, ovvero concessionari di aree pubbliche, in conseguenza di scavi ed occupazioni del suolo, pubblico o privato, effettuate al fine di installare le infrastrutture di comunicazione elettronica”.

La norma non fa che confermare il principio di esclusività del canone e della tassa per l’occupazione di suolo pubblico nel novero degli oneri economici e reali imponibili agli operatori di comunicazione per l’installazione delle relative infrastrutture.

Si profila dunque illegittima la norma di cui all’art. 11, primo comma, ultimo periodo del Regolamento impugnato e delle relative modalità di calcolo di cui all’Allegato tecnico comprensivo della formula sopra indicata e seguente tabella, là dove contempla l’imposizione agli operatori di telecomunicazione di oneri economici per il deterioramento della sede stradale e gli interventi manutentivi ulteriori.

Dall’illustrazione finora condotta del contenuto e dei confini esterni dell’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003 emerge la fondatezza del primo motivo di gravame, che va conseguentemente accolto.

8.1. Con il secondo mezzo la ricorrente lamenta oltre che le medesime figure sintomatiche di eccesso di potere dedotte con il primo motivo, anche la violazione dell’art. 23 della Costituzione, sostanzialmente dolendosi che l’imposto pagamento di somme a titolo di sistemazione delle strade, essendo stato stabilito unilateralmente dal Comune per via di un atto regolamentare, si traduce in una prestazione imposta, illegittima per difetto della copertura legislativa richiesta dal rubricato art. 23 della Carta fondamentale.

La doglianza coglie nel segno e va accolta.

8.2. E’ noto al riguardo che l’art. 23 della Costituzione, che stabilisce che “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” istituisce una riserva di legge, che la dottrina qualifica di tipo relativo, essendo sufficiente che la legge determini la c.d. base legislativa indicante i presupposti, i soggetti passivi e il nucleo della prestazione patrimoniale da porre a carco dei privati, correlativamente potendo demandare alla potestà regolamentare la definizione dei profili di dettaglio e delle modalità di attuazione del prelievo.

La riserva di legge in parola deve, dunque, ritenersi rispettata anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalità dell'amministrazione purché la concreta entità della prestazione imposta sia chiaramente desumibile dagli interventi legislativi che riguardano l'attività dell'amministrazione (Corte Costituzionale,sent. 14 giugno 2007, n. 190). Si segnala incidentalmente, peraltro che in una decisione precedente la Corte aveva statuito essere imprescindibile che la norma di legge abilitante predetermini criteri, limiti e controlli idonei a delimitare l'ambito della discrezionalità dell'amministrazione nella determinazione della misura del prelievo (Corte Costituzionale, 28 dicembre 2001, n. 435)

8.3 Del pari è noto che nell’alveo della garanzia apprestata dalla predetta norma costituzionale la dottrina e la giurisprudenza della Corte pacificamente riconducono non solo le prestazioni patrimoniali di natura tributaria ma anche quelle di diversa natura come i contributi (Corte Cost. n. 190/2007; Corte Costituzionale, 26 febbraio 1998, n. 26) e, in genere, tutte le prestazioni patrimoniali determinate con atto unilaterale autoritativo, alla cui adozione non concorra la volontà del privato (Corte costituzionale, 14 giugno 2007, n. 190; Corte costituzionale, 31 maggio 1996, n. 180), qualificando la giurisprudenza della Corte costituzionale come prestazione imposta anche un canone per un'utilizzazione di beni demaniali che, pur avendo a base un negozio fra la p.a. ed il privato, sia imposto autoritativamente per la fruizione di un bene pubblico (Corte Costituzionale, 10 giugno 1994, n. 236).

8.4. Poste le brevi coordinate interpretative appena tratteggiate, ritiene il Collegio che non possa essere esclusa la natura di prestazione patrimoniale imposta, ai sensi e per gli effetti della copertura e della riserva di legge scolpita all’art. 23 della Costituzione, all’indennizzo per deterioramento generale causato dagli interventi manomissivi della strada posti in essere dagli operatori di comunicazione per l’installazione delle loro infrastrutture.

Invero, anche a voler accedere alla primigenia giurisprudenza della Consulta, che circoscriveva la divisata garanzia dell’art.23 Cost. alle sole fattispecie in cui l’atto impositivo della prestazione avesse natura autoritativa (Corte Cost., sentt. 30,47,122 del 1957; Corte Cost., sentt. n. 65/1962 e 55/1963) e richiamandosi quanto testé ricordato, ovverosia che il Giudice delle leggi annette natura di prestazione patrimoniale imposta ex art. 23 Cost., in genere a tutte le prestazioni patrimoniali determinate con unilaterale atto autoritativo alla cui adozione non concorra la volontà del privato (Corte costituzionale, 14 giugno 2007, n. 190; Corte costituzionale, 31 maggio 1996, n. 180 ), il carattere di prestazione imposta deve essere alla censurata norma regolamentare conferito se non altro in considerazione della fonte che lo contiene, che è un atto generale, ossia un Regolamento locale approvato con deliberazione di Consiglio comunale.

8.5. Ciò posto, l’art. 23 della Costituzione richiede che la censurata disposizione regolamentare sia legittimata da una fonte normativa avente valore di legge, che allo stato non consta.

Costituisce del resto trasposizione e conferma della predetta norma costituzionale, quella di cui al primo comma dell’art. 93 del Codice delle Comunicazioni, a mente del quale « le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre, per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge » e che quindi espressamente attribuisce agli oneri de quibus la qualifica di prestazione imposta.

8.6. Segnala il Collegio che la giurisprudenza amministrativa si è di recente già espressa sul punto, chiarendo che detta norma del Codice delle comunicazioni “non fa altro che prevedere una riserva di legge per la imposizione di nuovi oneri o canoni, tra le quali le leggi in materia edilizia che subordinano le attività soggette a permesso di costruire al contributo”.(T.A.R. Toscana, sez. I, 11 settembre 2008, n. 1950)

Più di recente si è statuito contrastare con la riserva di legge in argomento, recata dall’art. 23 Cost., una previsione regolamentare locale che subordinava il rilascio di autorizzazione per lavori interessanti il sottosuolo al pagamento di un’indennità collegata al degrado permanente subito dalle pavimentazioni e dalle fondazioni stradali a seguito delle manomissioni e dei necessari interventi manutentivi, il tutto per la posa di reti elettriche e, dunque, in una materia nella quale non era propriamente applicabile, come nel caso all’esame della Sezione, il principio di esclusività della Tosap e del Cosap stabilito dall’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003 (T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. II, 8,6,2009, n. 3934).

8.7. Opina conclusivamente, dunque, il Collegio, che la riserva relativa di legge recata dall’art. 23 Cost. e ribadita anche dal legislatore delegato con l’art. 93 comma 1 del d.lgs. n. 259/2003 richiedono per il contestato onere per il “deterioramento generale causato dagli interventi di manomissione, l’aumento degli oneri manutentivi e la diminuzione della vita naturale del sedime” stradale imposto dall’art. 11, comma 1 ultimo periodo del Regolamento approvato con Deliberazione del Consiglio Comunale di Torino n. 02511 del 12.10.2009, una copertura legislativa, in difetto della quale detta norma è illegittima unitamente alle relative modalità di quantificazione esposte nel paragrafo “Calcolo delle spese di ricostruzione della sede stradale”a partire dal quarto capoverso e relativa formula “per calcolare il danno a seguito della manomissione” e compresa la prima tabella esplicativa.

In definitiva, sulla scorta della argomentazioni finora svolte, i primi due motivi di ricorso si profilano fondati e comportano l’accoglimento del ricorso in epigrafe, potendosi assorbire il terzo motivo.

Le spese di lite possono essere compensate in ragione della delicatezza delle questioni di diritto affrontate.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – Prima Sezione – definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo Accoglie e, per l’effetto: Annulla l’art.11, comma 1, ultimo periodo del Regolamento approvato con Deliberazione del Consiglio Comunale di Torino n. 02511 del 12.10.2009; Annulla le relative modalità di quantificazione esposte nel paragrafo “Calcolo delle spese di ricostruzione della sede stradale”a partire dal quarto capoverso e relativa formula “per calcolare il danno a seguito della manomissione” e compresa la prima tabella esplicativa.

Compensa integralmente le spese di lite tra le costituite parti.

Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella Camera di Consiglio del giorno 25 marzo 2010 con l'intervento dei Magistrati:

Franco Bianchi, Presidente

Richard Goso, Primo Referendario

Alfonso Graziano, Referendario, Estensore

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

                       

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/05/2010, n. 2362

 

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