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Consiglio di Stato, Sez. VI, 8/6/2010 n. 3638
Sulla legittimità dell'esclusione di una società semplice da una gara d'appalto.

E' legittimo il provvedimento di esclusione adottato nei confronti di un'impresa concorrente che rivesta la forma giuridica di società semplice, adottato ai sensi dell'art. 10, L. n. 109/94, nonché dell'art. 34, lett. a) del d.lgs. n 163/06 (Codice dei contratti), ciò in quanto le predette disposizioni normative non contrastano con i principi comunitari di libera concorrenza e massima partecipazione, i quali consentono comunque, ai Paesi membri dell'Unione, di valutare l'opportunità di affidare la realizzazione di lavori e servizi a determinate categorie di imprese; d'altro canto, la disposizione di cui all'art. 2249 c.c., che esclude la possibilità, per le società semplici, di svolgere un'attività commerciale, appare ragionevole e non discriminatoria, in virtù del peculiare regime di responsabilità della società semplice verso i terzi, rispetto a quello che connota , viceversa, le altre categorie sociali. Peraltro la regola contenuta nel c.c. è coerente con l'art. 4, par. 1, direttiva 2004/18/CE che lascia agli Stati membri la possibilità di riconoscere o meno a determinati soggetti la relativa capacità giuridica.

Materia: appalti / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

 

DECISIONE

sul ricorso numero di registro generale 8928 del 2006, proposto dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

 

contro

Vivai Piante Azienda Agricola Erica società semplice, rappresentata e difesa dall'avv. Domenico Iaria, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;

 

nei confronti di

SOA Bentley s.p.a.;

 

per la riforma

della sentenza del Tar Veneto, sez. I, n. 1899/2006, resa tra le parti, concernente attestazione di qualificazione per partecipazione a gare d'appalto.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2010 il Cons. Rosanna De Nictolis e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Melillo e l'avvocato Iaria;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. La società odierna appellata, Vivai Piante azienda agricola, avente forma di società semplice, dopo aver acquisito, nel 2004 il ramo di azienda di altra impresa agricola esercente lavori di costruzione, manutenzione, ristrutturazione di opere e lavori necessari per la difesa del territorio, ha chiesto e ottenuto dalla Bentley SOA s.p.a. l’attestazione SOA in relazione alle categorie OG13 e OS24.

1.1. L’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, con il suo comunicato 24 novembre 2004 n. 42, diretto a tutte le SOA, ha statuito che non può essere rilasciato l’attestato di qualificazione alle società semplici, perché l’art. 10, l. n. 109/1994 consente alle sole società commerciali la partecipazione alle gare di appalto di lavori pubblici.

1.2. Per l’effetto, con note del 4 marzo 2004 e del 5 luglio 2005, l’Autorità ha invitato la Bentley SOA a revocare l’attestazione rilasciata alla società odierna appellata.

1.3. La SOA ha revocato l’attestazione con nota dell’8 luglio 2005.

2. Contro il provvedimento di revoca dell’attestazione SOA e contro le presupposte deliberazioni dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici è stato proposto ricorso al Tar, che è stato accolto con la sentenza in epigrafe.

3. Ha appellato l’Autorità di vigilanza.

4. La sentenza di primo grado sostiene che l’art. 10, l. n. 109/1994, e l’art. 34, del sopravvenuto d.lgs. n. 163/2006, nella parte in cui consentono la partecipazione alle gare di appalto alle sole società commerciali con esclusione delle società semplici, si porrebbero in contrasto con le direttive comunitarie in materia, e segnatamente la direttiva 93/37/CEE e la direttiva 2004/18/CE, che contengono una nozione ampia di operatore economico, e che vietano agli Stati membri di esigere una particolare forma giuridica dell’operatore economico per la partecipazione alle gare di appalto.

5. L’appello sostiene che la questione attiene non tanto ai soggetti ammessi alle gare di appalto, quanto alla capacità di tali soggetti regolata non dal diritto comunitario, ma dal diritto nazionale e, in Italia, dal codice civile.

Secondo il codice civile le società semplici non possono svolgere attività commerciale nella nozione lata di cui all’art. 2195 c.c., e pertanto non possono, conseguentemente, partecipare alle gare di appalto di lavori pubblici.

Chi vuole partecipare a gare di appalto deve scegliere la forma societaria della società commerciale.

Non vi sarebbe il contrasto con il diritto comunitario, in quanto da un lato la direttiva 2004/18/CE non è applicabile ratione temporis, e dall’altro lato la direttiva 93/37/CEE utilizza la nozione di imprenditore, e non è tale la società semplice.

6. L’appello è fondato.

6.1. La questione di diritto è se la normativa italiana, che vieta alle società semplici la partecipazione alle gare di appalti pubblici, sia o meno conforme al diritto comunitario.

Il Collegio ritiene che, alla luce della giurisprudenza della C. giust. CE, sia possibile fornire una interpretazione del quadro comunitario non ostativa della previsione normativa italiana che preclude alle società semplici la partecipazione alle gare di appalti pubblici, e che non occorra pertanto rinviare la questione pregiudiziale alla C. giust. CE, la quale ha già avuto modo di chiarire l’esegesi delle norme comunitarie rilevanti nel caso di specie.

6.2. Si impongono una precisazione in diritto e una in fatto.

In diritto, si osserva che sia l’art. 10, l. n. 109/1994, sia l’art. 34, d.lgs. n. 163/2006, consentono la partecipazione alle gare di appalto alle “società commerciali” così escludendo la partecipazione delle “società semplici”. Si tratta di una limitazione che riguarda gli operatori nazionali.

In fatto giova osservare che i provvedimenti impugnati risalgono al 2005, epoca in cui la direttiva 2004/18/CE era in vigore, ma non ne era scaduto il termine di recepimento (31 gennaio 2006).

La direttiva 2004/18/CE non era pertanto direttamente applicabile.

6.3. A sua volta, la direttiva 93/37/CEE, applicabile ratione temporis, non conteneva la nozione di “operatore economico” introdotta con la direttiva 2004/18/CE, e utilizzava il termine “imprenditore” senza tuttavia fornirne una definizione.

6.4. Si può in astratto concordare con parte appellante laddove sostiene che la nozione di imprenditore, secondo la giurisprudenza comunitaria, coincide con quella esistente nell’ordinamento italiano, ossia di soggetto che svolge una attività economica per la produzione o lo scambio di beni o servizi.

Tuttavia, il diritto comunitario prescinde dalla forma giuridica che l’imprenditore deve assumere.

Mentre, dunque, nell’ordinamento italiano si stabilisce che imprenditore può essere una persona fisica singola o una società commerciale, e si esclude che la società semplice possa svolgere attività commerciale (come definita nell’art. 2195 c.c.), nel diritto comunitario nulla si dice sulla forma giuridica del soggetto che partecipa alle gare di appalti pubblici.

Rileva che il soggetto abbia la “sostanza” di imprenditore a prescindere dalla sua veste giuridica.

Le questioni sottoposte dal contenzioso in esame non possono essere risolte, pertanto, sulla scorta della impostazione di parte appellante secondo cui la società semplice non è imprenditore, in quanto, in punto di fatto, la società semplice odierna appellata svolgeva attività imprenditoriale, al di là della veste giuridica rivestita.

6.5. La questione va invece impostata alla luce dell’ulteriore profilo dedotto nell’atto di appello, che è quello della capacità giuridica di un soggetto a svolgere attività imprenditoriale, e che si assume essere regolata non dal diritto comunitario, ma dal diritto nazionale.

6.6. Nell’esegesi della direttiva 93/37/CE si deve osservare che:

a) detta direttiva non dà alcuna definizione della forma giuridica dei soggetti ammessi alle gare di appalto;

b) detta direttiva non dà alcuna definizione della nozione di imprenditore, lasciando intendere, in coerenza con la giurisprudenza comunitaria, che è tale chi offre sul mercato beni o servizi a prescindere dalla sua forma giuridica;

c) il principio della libertà della forma giuridica del soggetto offerente si desume, indirettamente, dall’art. 21, direttiva 93/37/CE, a tenore del quale “i raggruppamenti di imprenditori sono autorizzati a presentare offerte. La trasformazione di tali raggruppamenti in una forma giuridica determinata non può essere richiesta per la presentazione dell'offerta, ma il raggruppamento prescelto può essere obbligato ad assicurare tale trasformazione quando l'appalto gli è stato aggiudicato”; il principio di liberà di forma per i raggruppamenti non può non valere anche per i concorrenti singoli;

d) il principio della libertà della forma giuridica del soggetto offerente si desume, indirettamente, anche dall’art. 24, direttiva 93/37/CE, che nell’indicare le cause di esclusione per difetto di requisiti generali, non menziona il difetto di una forma giuridica determinata;

e) detta direttiva lascia comunque impregiudicata la questione della capacità giuridica a essere imprenditore, che resta regolata dal diritto nazionale.

7. Quanto esposto in relazione alla direttiva 93/37/CE si desume anche dalla successiva 2004/18/CE che, ancorché non applicabile ratione temporis, va presa in considerazione per la sua portata sistematica e per l’ausilio che, sotto tale profilo, fornisce per chiarire la portata della direttiva 93/37/CEE.

7.1. La direttiva 2004/18/CE reca una nozione ampia di operatore economico, utilizzata, tuttavia, al solo scopo di semplificare il testo, atteso che sotto tale nozione si comprendono i soggetti che partecipano a gare di lavori, servizi, forniture.

La nozione di operatore economico comprende, quanto ai lavori, la nozione di “imprenditore”, ed è tale una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone o enti che offra sul mercato la realizzazione di lavori (art. 1, co. 8, direttiva 2004/18/CE).

7.2. La direttiva 2004/17/CE esprime pertanto con chiarezza la libertà di forma del soggetto imprenditore/operatore economico.

Nonostante il maggiore sforzo definitorio, sin qui la direttiva 2004/18/CE nulla aggiunge rispetto alla precedente, dalla quale poteva comunque desumersi che ciò che rileva è la sostanza dell’imprenditore (l’offerta di prestazioni sul mercato), non la veste giuridica.

7.3. L’art. 4, par. 1, direttiva 2004/18/CE, dispone che “i candidati o gli offerenti che in base alla normativa dello Stato membro nel quale sono stabiliti, sono autorizzati a fornire la prestazione di cui trattasi non possono essere respinti soltanto per il fatto che, secondo la normativa dello Stato membro nel quale è aggiudicato l’appalto, essi avrebbero dovuto essere persone fisiche o persone giuridiche”.

Questa previsione contiene due norme:

a) la libertà di forma del soggetto che partecipa alla gara di appalto;

b) la possibilità che gli Stati membri regolino la capacità giuridica del soggetto, autorizzandolo o meno a fornire prestazioni sul mercato.

7.4. Anche sotto tale profilo, sebbene la direttiva 2004/18/CE espliciti norme che formalmente nella direttiva 93/37CEE non sono contenute, essa non innova ma traduce in norme positive corollari che già si desumevano dalla direttiva precedente.

Pertanto, i risultati ermeneutici cui si perverrà nell’interpretazione dell’art. 4, direttiva 2004/18/CE sono estensibili anche all’esegesi della direttiva 93/37CE.

7.5. Sull’esegesi dell’art. 4, direttiva 2004/18/CE è utile riportare le conclusioni raggiunte da C. giust. CE 23 dicembre 2009, C-305/08, resa su una questione pregiudiziale sollevata dalla II sezione del Consiglio di Stato, in ordine alla possibilità di partecipazione alle gare di appalto, in qualità di operatori economici, di enti pubblici non economici, e segnatamente le Università e i consorzi universitari.

In sintesi, la pronuncia citata da un lato afferma che operatore economico non è necessariamente un soggetto che persegue un fine di lucro e che abbia struttura di impresa. Ma dall’altro lato aggiunge che i singoli Stati membri possono, con propria normativa, autorizzare o non autorizzare determinate categorie di soggetti a offrire prestazioni sul mercato, in virtù dell’art. 4, par. 1, direttiva 2004/18/CE.

7.6. In dettaglio, secondo la Corte “le disposizioni della direttiva 2004/18, ed in particolare quelle di cui al suo art. 1, nn. 2, lett. a), e 8, primo e secondo comma, che si riferiscono alla nozione di «operatore economico», devono essere interpretate nel senso che consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli istituti di ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da università e amministrazioni pubbliche, di partecipare ad un appalto pubblico di servizi.”.

La Corte ritiene pertanto che i pubblici appalti sono aperti alla partecipazione di qualsivoglia soggetto che sia idoneo a prescindere dalla sua forma giuridica, dalla natura pubblica o privata, dal carattere duraturo o occasionale della sua attività: “è ammesso a presentare un’offerta o a candidarsi qualsiasi soggetto o ente che, considerati i requisiti indicati in un bando di gara, si reputi idoneo a garantire l’esecuzione di detto appalto, in modo diretto oppure facendo ricorso al subappalto, indipendentemente dal fatto di essere un soggetto di diritto privato o di diritto pubblico e di essere attivo sul mercato in modo sistematico oppure soltanto occasionale, o, ancora, dal fatto di essere sovvenzionato tramite fondi pubblici o meno”.

Osserva la Corte che:

a) ai sensi dell’art. 1, n. 8, direttiva 2004/18/CE, operatore economico può essere anche un ente pubblico, e un ente pubblico può anche non avere fine di lucro;

b) ai sensi del 4° considerando della citata direttiva anche l’organismo di diritto pubblico può partecipare a gare di appalto;

c) ai sensi dell’art. 4 della citata direttiva, i concorrenti alle gare non possono essere esclusi sulla base del loro status di persona fisica o giuridica, o di soggetto pubblico o privato.

7.7. La Corte si è però occupata anche della questione ulteriore, della possibilità per gli Stati membri di subordinare l’esercizio di determinate attività da parte degli operatori economici ad autorizzazione.

La Corte ricorda che ai sensi dell’art. 4, n. 1, direttiva 2004/18, gli Stati membri hanno il potere di autorizzare o meno talune categorie di operatori a fornire certi tipi di prestazioni.

In particolare, gli Stati membri possono autorizzare o non autorizzare tali soggetti ad operare sul mercato in funzione della circostanza che l’attività in questione sia compatibile, o meno, con i loro fini istituzionali e statutari.

7.8. In sintesi, sia dal silenzio della direttiva 93/37/CEE, sia dalla regola espressa dettata dall’art. 4, par. 1, direttiva 2004/18/CE, si desume che un conto è la libertà di forme dei soggetti che partecipano alle gare di appalto, un conto è la loro capacità giuridica, in quanto gli Stati membri possono vietare a determinate categorie di soggetti, in astratto rientranti nella nozione di operatore economico, l’esercizio di attività imprenditoriali.

8. Alla luce di tale quadro, va osservato che il codice civile italiano regola la capacità di essere imprenditore che svolge attività commerciale ai sensi dell’art. 2195 c.c., e la esclude per le società semplici.

Infatti lo svolgimento di una attività commerciale è riservato alle società commerciali, con esclusione della società semplice (art. 2249 c.c.).

Si può allora ritenere che la società semplice non è autorizzata dallo Stato italiano a svolgere attività commerciale, e dunque a offrire sul mercato lavori, beni, servizi.

Tale regime appare ragionevole e non discriminatorio in quanto si giustifica per il peculiare regime della responsabilità della società semplice verso i terzi, rispetto al regime della responsabilità delle altre società, ben più garantista per i terzi.

Infatti, nella società semplice non è prescritto un patrimonio o un capitale minimo della società; e nei confronti dei creditori risponde il patrimonio della società, che può tuttavia essere infimo, e i soli soci che hanno agito in nome e per conto della società. Gli altri soci rispondono solo se non c’è un patto contrario. Basta dunque un patto societario contrario a limitare la responsabilità dei soci diversi da quelli che hanno agito.

Si comprende, allora la scelta legislativa di non autorizzare le società semplici a svolgere attività commerciale, e di riservare tale attività alle sole società commerciali, in funzione della adeguata tutela dei terzi creditori.

Il regime non è discriminatorio perché un soggetto che riveste la forma giuridica di società semplice e che intenda svolgere attività commerciale, può agevolmente, e senza gravosi oneri economici e burocratici, trasformarsi in qualsivoglia altro tipo di società commerciale, scegliendo tra un ampio ventaglio di possibilità.

9. Alla luce di quanto esposto, si deve ritenere che l’art. 10, l. n. 109/1994 (e segnatamente l’art. 34, lett. a), d.lgs. n. 163/2006) laddove non consentono alle società semplici la partecipazione alle gare di appalti pubblici, non contrastano con il diritto comunitario dei pubblici appalti che, pur affermando il principio di libertà di forma del concorrente, tuttavia non impedisce agli Stati membri di regolare la capacità giuridica dei soggetti diversi dalle persone fisiche, e di vietare a determinate categorie di persone giuridiche di offrire lavori, beni o servizi sul mercato.

Invero, la regola contenuta nel c.c. secondo cui la società semplice non può svolgere attività commerciale, è coerente con l’art. 4, par. 1, direttiva 2004/18/CE che lascia agli Stati membri la possibilità di autorizzare o meno determinate categorie di soggetti a offrire prestazioni sul mercato e, in definitiva, di riconoscere o meno a determinati soggetti la relativa capacità giuridica.

10. Per quanto esposto, l’appello va accolto, con conseguente reiezione del ricorso di primo grado e reviviscenza dei provvedimenti amministrativi annullati dalla sentenza di primo grado.

La novità e complessità delle questioni giustifica la compensazione delle spese di lite in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2010 con l'intervento dei Signori:

Giovanni Ruoppolo, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere, Estensore

Domenico Cafini, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Bruno Rosario Polito, Consigliere

 

  

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/06/2010

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