HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Consiglio di Stato, Sez. VI, 27/8/2010 n. 5984
Sulla proroga del servizio di distribuzione del gas naturale di cui all'art. 15, c. 7, d.lgs. 164/00 (c.d. decreto Letta).

A differenza della proroga del periodo transitorio degli affidamenti del servizio di distribuzione del gas naturale prevista dalla l. n. 239/2004 (c.d. legge Marzano) per motivi di interesse pubblico, avente carattere eminentemente discrezionale, la proroga di cui all'art. 15, c. 7 del d.lgs. n. 164/2000(c.d. decreto Letta), non è il frutto dell'esercizio di una facoltà dell'ente locale, ma è legata a presupposti tipizzati, che garantiscono un automatica prosecuzione del rapporto, salvo che l'ente locale non motivi in modo specifico sulla effettiva necessità di procedere ad una liberalizzazione immediata. Gli incrementi di cui al predetto art. 15, c. 7, non sono il risultato di una negoziazione fra il comune ed il concessionario, né costituiscono una concessione a titolo grazioso, ma concretano un'aspettativa tutelata del concessionario che non può essere negata se non valutando la sua posizione, il sacrificio ed i danni che deriverebbero dalla mancata concessione del prolungamento del periodo transitorio, nonché la necessità e le effettive ragioni, per l'amministrazione, di procedere ad un'immediata liberalizzazione. In sostanza non può affermarsi nell'applicazione dell'art. 15 c. 7 alcuna cieca prevalenza dell'interesse pubblico sulla posizione dei concessionari. Pertanto, nel caso di specie, è illegittima la delibera consiliare con la quale si statuiva di porre definitivamente termine, con effetto dal 31 dicembre 2005, alla concessione del servizio di distribuzione di gas naturale e di procedere all'indizione di una gara pubblica per l'individuazione del nuovo gestore, per aver omesso di tenere in adeguata considerazione, ai fini del decidere, il carattere automatico degli incrementi temporali di cui al c. 7 dell'art. 15, d.lgs. 164/00, cit. nell'ambito del quadro normativo esistente al momento di adozione della medesima delibera.

Materia: gas / disciplina

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

 

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 7184 del 2005, proposto:

dalla soc. Enel Rete Gas S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Federico Sorrentino, con domicilio eletto presso Federico Sorrentino in Roma, Lungotevere delle Navi, n. 30;

 

contro

Comune di Uboldo, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Lorenzoni e Aldo Travi, con domicilio eletto presso Fabio Lorenzoni in Roma, via del Viminale, n. 43;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, SEZIONE III, n. 2296/2005, resa tra le parti, concernente GESTIONE SERVIZIO DI DISTRIBUZIONE DEL GAS.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2010 il consigliere. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Sorrentino e Lorenzoni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

La soc. Enel Rete Gas s.p.a. riferisce di aver gestito nell’ambito del Comune di Uboldo il servizio di distribuzione di gas naturale, affidato con concessione in data 30 agosto 1965, di seguito rinnovata con atto in data 14 novembre 1997 (l’atto da ultimo richiamato fissava la scadenza dell’affidamento alla data del 31 dicembre 2015).

Risulta agli atti che all’indomani dell’emanazione del d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164 (recante ‘Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della l. 17 maggio 1999, n. 144’) il Comune di Uboldo ebbe ad adottare la delibera di Consiglio comunale 21 luglio 2004, n. 35 con la quale si statuiva di porre definitivamente termine, con effetto dal 31 dicembre 2005, alla concessione del servizio pubblico in parola e di procedere all’indizione di una gara pubblica per l’individuazione del nuovo gestore.

La delibera da ultimo richiamata veniva impugnata dalla soc. Enel Rete Gas innanzi al TAR della Lombardia il quale, con la pronuncia oggetto del presente gravame, respingeva il ricorso.

In particolare, i primi giudici ritenevano:

- che il fulcro del thema decidendum consistesse nell’individuare la corretta interpretazione da fornire alle disposizioni di cui ai commi 5, 7 ed 8 dell’art. 15 del d.lgs. 164, cit., relativo al regime di transizione nell’attività di distribuzione;

- che, al fine di interpretare le disposizioni di cui al richiamato decreto legislativo, sarebbe necessario tenere in adeguata considerazione la complessiva ratio della riforma la quale, conformemente al paradigma comunitario di riferimento, sarebbe volta ad imprimere una spinta più decisa verso la completa liberalizzazione del mercato dell’energia;

- che un’ulteriore conferma del complessivo orientamento di politica legislativa volto all’accelerazione del processo di liberalizzazione nell’ambito del mercato del gas naturale sarebbe rinvenibile dalla previsione di cui al comma 69 dell’art. 1 della l. 23 agosto 2004, n. 239 (recante ‘riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia’), il quale aveva –inter alia – fissato alla data del 31 dicembre 2007 lo spirare del periodo transitorio di cui ai commi 5 e 7 dell’art. 15, d.lgs. 164, cit.;

- che la più corretta interpretazione delle disposizioni transitorie del 2000 (come incise dal successivo intervento legislativo del 2004 e nell’ambito del richiamato orientamento di politica legislativa) sarebbe nel senso di individuare la data del 31 dicembre 2007 come il limite massimo oltre il quale il periodo transitorio non potrebbe essere ulteriormente incrementato o prorogato. Al contrario, il T.A.R. non riteneva condivisibile l’interpretazione proposta dall’odierna appellante, secondo la quale l’intervento normativo del 2004 avrebbe comportato un generalizzato slittamento di due anni di tutti i termini (comprensivi degli eventuali incrementi) già previsti dal decreto di recepimento del 2000.

Conseguentemente, il T.A.R. riteneva infondata la pretesa dell’odierna appellante volta ad interpretare la novella normativa del 2004 come comportante in ogni caso la prosecuzione dell’affidamento quanto meno sino alla data del 31 dicembre 2007;

- ancora, il T.A.R. osservava che la delibera consiliare impugnata (di carattere provvedimentale) non avesse costituito esercizio del diritto di riscatto nei confronti dell’affidamento a suo tempo disposto, quanto piuttosto il diverso – e più limitato – effetto di porsi come atto meramente ricognitivo di un effetto estintivo direttamente e immediatamente derivante dalle pertinenti disposizioni di legge. Per tale ragione, i primi giudici ritenevano non fondato il motivo di doglianza basato sull’omessa comunicazione di avvio del procedimento conclusosi con l’adozione della richiamata delibera consiliare;

- ed ancora, il T.A.R. riteneva che il riconoscimento degli incrementi temporali di scadenza di cui al comma 7 dell’art. 15, cit. non fosse necessitato per l’Ente concedente (derivando come conseguenza necessaria da una mera manifestazione di volontà del concessionario, previa dimostrazione della sussistenza dei relativi presupposti), ma rappresentasse una mera eventualità, da riconoscere in concreto solo previa la valutazione (discrezionale) circa la opportunità e la convenienza del’incremento temporale in parola. Secondo il T.A.R., del resto, la proposta ricostruzione interpretativa del pertinente quadro normativo non risulterebbe affetta da alcun profilo di illegittimità costituzionale;

- inoltre, il T.A.R. dichiarava inammissibili per difetto di interesse gli ulteriori argomenti di censura relativi all’erronea indicazione delle disposizioni normative applicabili all’indizione della nuova gara e dichiarava il difetto di giurisdizione in ordine alla parte della domanda con cui si era contestata l’erroneità del criterio con cui l’Amministrazione aveva proceduto alla determinazione dell’indennizzo da corrispondere in favore del gestore uscente.

La pronuncia in questione veniva impugnata in sede di appello dalla soc. Enel Rete Gas, la quale ne lamentava l’erroneità e ne chiedeva l’integrale riforma articolando plurimi di censura:

Si costituiva in giudizio il Comune di Uboldo, il quale concludeva nel senso della reiezione del gravame.

Con ordinanza n. 4612/05 (resa all’esito della Camera di consiglio del giorno 28 settembre 2005) questo Consiglio accoglieva l’istanza di sospensione cautelare della pronuncia oggetto di gravame, ritenendo che sussistessero i presupposti di legge per l’adozione dell’invocata misura cautelare.

Nell’imminenza dell’udienza di discussione nel merito, il Comune appellato versava in atti un’attestazione a firma del segretario generale, con cui si dava atto che il servizio di distribuzione del gas metano in ambito comunale fosse all’attualità gestito dalla società appellante, in via di esclusiva e senza soluzione di continuità rispetto al pregresso affidamento, pur non essendo medio tempore intervenuto alcun ulteriore atto di rinnovo o di nuovo affidamento.

All’udienza pubblica del giorno 25 maggio 2010 i procuratori delle parti costituite rassegnavano le proprie conclusioni e il ricorso veniva trattenuto in decisione.

 

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla soc. Enel Rete Gas (concessionaria del servizio di distribuzione del gas naturale nell’ambito del Comune di Uboldo) avverso la sentenza del T.A.R. della Lombardia con cui è stato respinto il ricorso avverso la delibera di Consiglio comunale del luglio del 2004 con cui il Comune concedente aveva stabilito la ‘disdetta definitiva’ dell’affidamento in concessione del servizio in parola.

 

2. Con un primo motivo di appello, la soc. Enel Rete Gas lamenta che i primi giudici abbiano malamente interpretato ed applicato le previsioni di cui al comma 69 dell’art. 1 della l. 239 del 2004 in relazione alla scadenza del periodo transitorio ‘di base’ (i.e.: del periodo fissato al netto degli incrementi di cui al comma 7 dell’art. 15, d.lgs. 164 del 2000), inizialmente stabilito dal c.d. ‘decreto Letta’ del 2000 alla data del 31 dicembre 2005.

Sotto tale aspetto, la pronuncia in parola risulterebbe erronea e meritevole di riforma per la parte in cui ha ritenuto che l’effetto della novella normativa del 2004 sarebbe stato – per un verso - quello di lasciare inalterata la ‘data di base’ per la scadenza del periodo transitorio (31 dicembre 2005) e – per altro verso – quello di incidere con una decurtazione secca sulla possibilità di incrementare di un certo periodo di tempo il periodo in parola, determinandone in modo ultimativo la cessazione alla data del 31 dicembre 2007.

Al contrario, laddove i primi giudici avessero correttamente apprezzato l’intervento normativo del 2004 in relazione alla previgente disciplina sulla quale era destinato ad incidere ed alla luce del complessivo orientamento di politica legislativa sotteso all’intervento di riforma di cui alla c.d. ‘legge Marzano’, avrebbero necessariamente dovuto concludere nel senso che la novella del 2004 avesse prodotto l’effetto di traslare di un biennio la richiamata ‘data di base’ per la scadenza del periodo transitorio, così come tutti i possibili incrementi successivi, consentendo di protrarli sino alla data ultima del 31 dicembre 2012.

Con un secondo motivo di appello, la soc. Enel Rete Gas lamenta l’erroneità della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha ritenuto la non automaticità del riconoscimento degli incrementi temporali di cui al comma 7 dell’art. 15, d.lgs. 164 del 2000, ritenendo - al contrario – che l’operatività di tali incrementi postulasse “l’esercizio di un potere dell’Amministrazione concedente e una corrispondente manifestazione di volontà del concessionario”.

Nella tesi dell’appellante, al contrario, il riconoscimento degli incrementi temporali in parola opererebbe in modo automatico al solo decorrere delle condizioni menzionate alle lettere a), b) e c) del richiamato comma 7, non potendosi in alcun modo ritenere che esso postuli una specifica manifestazione di volontà da parte dell’Ente concedente.

Secondo la soc. Enel Rete Gas, del resto, l’interpretazione in parola risulterebbe per un verso l’unica possibile alla luce della complessiva ratio legis sottesa all’intervento di cui al ‘decreto Letta’ del 2000 e- per altro verso – risulterebbe puntualmente confermata (sia pure in modo indiretto) dalle stesse previsioni di cui alla c.d. ‘legge Marzano’ del 2004.

La società appellante prosegue sul punto osservando che, laddove alla previsione di cui all’art. 15, co. 7, d.lgs. 164, cit. non si attribuisse il significato dinanzi indicato, la stessa previsione normativa non si sottrarrebbe alla taccia di illegittimità costituzionale per violazione degli articoli 3, 41 e 97, Cost.

 

3.1. I due motivi dinanzi sinteticamente richiamati, che possono essere esaminati in modo congiunto, sono fondati nei termini che seguono.

Il Collegio osserva in via preliminare che l’oggetto del presente giudizio è rappresentato unicamente dalla contestata legittimità della delibera consiliare con cui il Comune di Uboldo ha operato la ‘disdetta definitiva’ dell’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale e non può essere rappresentato anche dallo stabilire (attraverso una pronuncia di accertamento, estranea all’attuale configurazione del processo amministrativo nelle materie di giurisdizione generale di legittimità) quale sia la data ultima di scadenza del periodo transitorio del richiamato accertamento in seguito agli interventi normativi succedutisi fra il 2000 ed il 2004.

Il Collegio osserva altresì che, una vota limitato il thema decidendum ai soli profili di legittimità della richiamata delibera consiliare, il conseguente scrutinio non possa che avvenire alla luce della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione.

Conseguentemente, esula dai confini del presente giudizio ogni valutazione relativa agli effetti che, sulla durata del richiamato periodo transitorio, è stata sortita dall’intervento normativo di cui al comma 69 dell’art. 1, l. 239 del 2004, atteso che la legge in questione è entrata in vigore il 28 settembre del 2004, mentre il provvedimento impugnato in primo grado reca la data del 21 luglio 2004.

Una volta delimitati in tal modo i confini della presente decisione, il Collegio ritiene che la delibera consiliare in questione fosse effettivamente illegittima quanto meno per non avere fornito una corretta applicazione della previsione di cui al comma 7 dell’art. 15, d.lgs. 164 del 2000.

In particolare, la pronuncia in questione risulta illegittima per aver ritenuto che gli incrementi temporali di cui alla disposizione da ultimo richiamata postulassero in via necessaria il previo esercizio di un vaglio discrezionale da parte dell’Ente concedente, sconoscendo che la più corretta interpretazione della medesima disposizione consentisse l’automatica operatività dei medesimi incrementi, previa la sola dimostrazione dei presupposti di cui alle lettere a), b) e c) del comma 7 dell’art. 15, d.lgs. 164 del 2000.

Al riguardo il Collegio ritiene di richiamare quanto già statuito dal Consiglio di Stato nell’ambito di un’analoga vicenda definita con la sentenza 7 novembre 2005, n. 6187, condividendo in modo puntuale le argomentazioni nell’occasione offerte.

Con la pronuncia in parola, in particolare, questo Consiglio ha osservato quanto segue: “venendo alle ipotesi di proroga previste dall’art. 15 comma 7 del d.lgs. n. 164/2000, ritiene il Collegio che vada accolto [il] motivo d’appello incentrato sulla c.d. automaticità della proroga di cui all’art. 15 comma 7, con le precisazioni che seguono circa la possibilità per i comuni di negare gli incrementi e sulla motivazione all’uopo necessaria.

La norma è chiara nell’esplicitare la volontà del legislatore di subordinare gli incrementi del periodo transitorio (a decorrere dalla scadenza base del 31 dicembre 2005) alla sussistenza di tre condizioni che sono comunque riconducibili a requisiti soggettivi del concessionario.

A differenza della proroga prevista dalla legge n. 239/2004 per motivi di interesse pubblico, avente carattere eminentemente discrezionale, la proroga di cui all’art. 15 comma 7 del d.lgs. n. 164/2004, non è il frutto dell’esercizio di una facoltà dell’ente locale, ma è legata a presupposti tipizzati, che garantiscono un automatica prosecuzione del rapporto,salvo che l’ente locale non motivi in modo specifico sulla effettiva necessità di procedere ad una liberalizzazione immediata.

L’intento del regime di proroga di cui all’art. 15 comma 7 citato è – come ben evidenziato nell’atto di appello - quello di proteggere gli investimenti effettuati dalle gestioni più importanti, assicurando alle stesse un congruo periodo di esercizio, che non ritardi tuttavia eccessivamente la già disposta liberalizzazione del settore.

In ogni caso è evidente che gli incrementi di cui all’art. 15 comma 7 citato non sono il risultato di una negoziazione fra il Comune ed il concessionario,né costituiscono una concessione a titolo grazioso, ma concretano un’aspettativa tutelata del concessionario che non può essere negata se non valutando la sua posizione, il sacrificio ed i danni che deriverebbero dalla mancata concessione del prolungamento del periodo transitorio, nonché la necessità e le effettive ragioni, per l’amministrazione, di procedere ad un’immediata liberalizzazione.

In sostanza non può affermarsi – come evidenziato nell’appello - nell’applicazione dell’art. 15 comma 7 alcuna cieca prevalenza dell’interesse pubblico sulla posizione dei concessionari.

Ridotto in tali limiti il potere dell’amministrazione, esso (da considerarsi del tutto eccezionale) non urta contro alcun parametro costituzionale.

L’amministrazione non ha indicato alcuna ragione per l’anticipata cessazione del rapporto e la mancata applicazione dell’art. 15 comma 7 del d.lgs. n. 164/2000”.

Conclusivamente, la delibera consiliare impugnata in prime cure è meritevole di annullamento quanto meno per la parte in cui ha omesso di tenere in adeguata considerazione, ai fini del decidere, il carattere automatico degli incrementi temporali di cui al comma 7 dell’art. 15, d.lgs. 164, cit. nell’ambito del quadro normativo esistente al momento di adozione della medesima delibera.

 

4. L’annullamento della richiamata deliberazione per le ragioni sin qui esaminate assume rilievo assorbente ai fini del decidere ed esime il Collegio dall’esame puntuale degli ulteriori profili di censura (reiterati in sede di appello con il terzo e il quarto motivo) relativi alla carenza di motivazione dell’atto comunale di ‘disdetta definitiva’ e all’omessa comunicazione di avvio del procedimento.

 

5. Del pari irrilevante ai fini del decidere risulta la questione (risolta in senso negativo dal T.A.R.) relativa alla sussistenza della giurisdizione amministrativa in relazione alla parte della delibera consiliare con cui è stato determinato l’ammontare dell’indennizzo spettante al gestore uscente ai sensi del d.lgs. 164 del 2000.

Sotto tale aspetto il Collegio si limita ad osservare che, una volta annullata la determinazione comunale che costituiva il presupposto stesso per la corresponsione dell’indennizzo (e che in concreto ne determinava il quantum), restino superate in radice le questioni di giurisdizione relative alle contestazioni svolte avverso l’atto determinativo dell’indennizzo.

Per ragioni analoghe, restano assorbite le questioni di legittimità costituzionale (per presunta violazione degli articoli 2,3,41 e 42, Cost.) sollevate in relazione alle previsioni di cui al comma 5 dell’art. 15, d.lgs. 164 del 2000 per ciò che attiene il richiamato profilo della determinazione dell’indennità dovuta in favore del gestore uscente.

 

6. Per le considerazioni che precedono, l’appello in epigrafe deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della pronuncia oggetto di gravame, deve essere disposto l’annullamento della delibera di Consiglio comunale impugnata in prime cure.

Le spese dei due gradi di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della pronuncia oggetto di gravame, dispone l’annullamento della delibera consiliare impugnata in prime cure.

 

Condanna il Comune di Uboldo alla rifusione in favore dell’appellante delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 4.000 (quattromila), oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali, come per legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2010 con l'intervento dei Signori:

Giuseppe Barbagallo, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Roberto Garofoli, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

 

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

 

    Il Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/08/2010

 

 

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici