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Consiglio di Stato, Sez. V, 14/9/2010 n. 6694
Sulla valutazione da parte della stazione appaltante della rilevanza di un precedente penale ai fini dell'accertamento della effettività della incisione sulla moralità professionale dell'imprenditore.

La dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata di un cessato legale rappresentante può aver luogo in svariate forme, purché risulti esistente, univoca e completa.


Ai sensi dell'art. 38, I c., lett. c), del D. Lgs. n. 163 del 2006, la causa di esclusione dalla partecipazione a gare pubbliche dei soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna o emanato un decreto penale opera solo se siano stati irrogati in relazione a reati gravi in danno della Comunità o dello Stato, incidenti sulla moralità professionale. La gravità e incidenza sulla moralità professionale dell'imprenditore dei reati diversi da quelli specificamente indicati dall'art. 45, prg. 2, direttiva 2004/18/Ce e comportanti l'esclusione dalla partecipazione a gare pubbliche, in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, deve essere accertata dalla stazione appaltante con la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato.
La valutazione in concreto della rilevanza dei riscontrati precedenti penali ai fini dell'accertamento della effettività della incisione della moralità professionale dell'imprenditore, in assenza di parametri posti dall'art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006, è affidata quindi alla discrezionalità dell'Amministrazione. Inoltre, la mera sussistenza di una condanna definitiva per reati astrattamente incidenti sulla moralità professionale non vale a integrare la causa di esclusione di cui all'art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006, occorrendo una concreta valutazione della gravità di tali precedenti.

Il concorrente a una gara d'appalto, al fine di dimostrare di avere adottato le misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata di un cessato legale rappresentante, può limitarsi a dichiarare che quest'ultimo si è dimesso dall'incarico e che l'impresa ne ha preso atto, purché risulti da verbale dell'assemblea della società, oppure da altro atto in cui sia chiaramente indicata la volontà di dissociazione, senza necessità che tale volontà, per essere idoneamente dimostrata, debba essere suffragata anche dalla prova dell'instaurazione di una causa civile di responsabilità nei confronti dell'ex legale rappresentante. Detto verbale ed ogni altro atto recante chiara indicazione della volontà di dissociazione fanno infatti piena fede circa la sussistenza di tale volontà della impresa ed è quindi non necessario far ricorso anche alla instaurazione di un giudizio civile per dimostrarla, atteso che la dissociazione, non trattandosi di istituto giuridico codificato, può aver luogo in svariate forme, purché risulti esistente, univoca e completa.

Materia: appalti / requisiti di partecipazione

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

 

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 1209 del 2009, proposto da:

ICOGEN s.r.l., con sede in Vittoria, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di mandataria della costituenda associazione di imprese con la ditta GIARDINA Gioachino, in persona dell’omonimo legale rappresentante, con sede in Canicattì, rappresentati e difesi dall’avv. Riccardo Barberis, unitamente al quale è elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Antonio Pollaiolo;

 

contro

A.R.S.S.U. – AZIENDA REGIONALE per i SERVIZI SCOLASTICI ed UNIVERSITARI della Regione Liguria, in persona del legale rappresentate pro tempore, anche appellante incidentale, rappresentato e difeso dall’avv. Piergiorgio Alberti, unitamente al quale è elettivamente domiciliato in Roma, alla Via G. Carducci, n. 4;

 

nei confronti di

A.T.I. GENNARO COSTRUZIONI s.r.l. e ISIR IMPIANTI s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

A.T.I. MANUSIA RESTAURI MONUMENTALI s.r.l., SICOP s.r.l. e CAPARELLI IMPIANTI s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

 

per la riforma

della sentenza n. 1917/2008 del 30 ottobre 2008 del T.A.R. Liguria, di reiezione del ricorso proposto dalla costituenda associazione di imprese ICOGEN s.r.l e Giardina Gioachino per l’annullamento del provvedimento della A.R.S.S.U. di Genova, di ammissione dell’ATI Manusia Restauri Monumentali s.r.l., SICOP s.r.l. e Caparelli Impianti s.r.l. alla gara per l'appalto dei lavori di "restauro e risanamento conservativo dell'ex convitto e Istituto scolastico San Nicola sito in Genova - Salita della Madonetta - da destinare a residenza per studenti universitari", del provvedimento di aggiudicazione provvisoria e definitiva della gara a favore dell'ATI Gennaro Costruzioni s.r.l. - Isir Impianti s.r.l. e dei verbali di gara (nella parte in cui è stata ammessa detta A.T.I. Manusia - SICOP - Caparelli);

 

nonché per il risarcimento del danno nella misura da quantificare in corso di giudizio e per la condanna dell’Amministrazione committente al rimborso del contributo unificato in favore dell’appellante;

 

inoltre, a seguito di appello incidentale dell’A.R.S.S.U. Azienda Regionale per i Servizi Scolastici ed Universitari della Regione Liguria, per l’annullamento della citata sentenza nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sulle eccezioni di inammissibilità del predetto ricorso di primo grado sollevate da essa A.R.S.S.U. nei propri atti difensivi.

 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

 

Visto l’atto di costituzione in giudizio e di appello incidentale dell’A.R.S.S.U. Azienda Regionale per i Servizi Scolastici ed Universitari della Regione Liguria;

 

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

 

Visti gli atti tutti della causa;

 

Relatore, nella udienza pubblica del 9.3.2010, il Consigliere Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Barberis ed Alberti;

 

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

FATTO

La ICOGEN s.r.l., quale mandataria capogruppo della costituenda A.T.I. con la ditta Giardina Gioachino, ha partecipato alla gara indetta dall’A.R.S.S.U di Genova per l'appalto dei lavori di "restauro e risanamento conservativo dell'ex convitto e Istituto scolastico San Nicola sito in Genova - Salita della Madonetta - da destinare a residenza per studenti universitari".

 

A seguito della acquisizione di copia della documentazione presentata dai concorrenti detta società è venuta a conoscenza della circostanza che tra gli allegati alla dichiarazione unica sostitutiva di certificazioni della impresa SICOP s.r.l., partecipante alla gara in qualità di mandante dell’A.T.I. con Manusia Restauri Monumentali s.r.l. e Caparelli Impianti s.r.l., era contenuta la dichiarazione che nei confronti di un amministratore unico e legale rappresentante in carica dal 5.1.2006 al 6.9.2006 (cessato nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando), era stata emessa sentenza di condanna irrevocabile per violazione delle norme in materia di controllo dell’attività urbana edilizia ex art. 20 della L. n. 47 del 1985 e che erano stati adottati al riguardo i seguenti atti di dissociazione dalla condotta sanzionata: “comunicazione di dissociazione con nota de 24.10.2006 e contenzioso in via di instaurazione per risarcimento e responsabilità”.

 

La ICOGEN s.r.l., ha quindi proposto ricorso giurisdizionale innanzi al T.A.R. della Liguria per l’annullamento del provvedimento di ammissione alla gara di detta A.T.I. SICOP - Manusia - Caparelli, nonché del provvedimento di aggiudicazione dell’appalto all'ATI Gennaro Costruzioni s.r.l. - Isir Impianti s.r.l. e dei verbali di gara in parte qua, deducendo che la graduatoria era stata formata illegittimamente, non essendo stata intrapresa, in relazione a detta condanna penale definitiva dell’ex amministratore unico della prima di dette ATI, una formale azione giudiziale di responsabilità, atta a dimostrare la sussistenza del requisito della dissociazione.

 

Con detta sentenza il citato T.A.R. ha respinto il ricorso nella considerazione che la dedotta ostatività della condanna per reato edilizio subita dal citato ex amministratore unico alla partecipazione alla gara dell’ATI intimato non integrava i presupposti di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006.

 

Con l’atto di appello è stata censurata la sentenza sopra indicata per i seguenti motivi:

 

1.- Vizio di ultrapetizione della sentenza del TAR Liguria. Erroneità della sentenza di primo grado per errore nella ricostruzione dei fatti di gara ed erronea valutazione della fattispecie in fatto ed in diritto.

 

2.- Sono stati poi riportati i motivi di impugnazione formulati nel giudizio di primo grado, cioè: Violazione del bando di gara e disciplinare. Violazione dell’art. 38, lettera c), del D. Lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 75 del D.P.R. n. 554 del 1999. Eccesso di potere per mancanza dei presupposti di fatto del provvedimento amministrativo di ammissione alla gara.

 

3.- E’ stata infine dedotta la infondatezza della eccezione formulata dalla controparti nel corso del giudizio di primo grado, di tardivo deposito del ricorso presso la Segreteria del T.A.R. Liguria, atteso che esso è stato depositato il 14.10.2008, in anticipo rispetto al termine ultimo del 15.10.2008, calcolato a far tempo dalla data di perfezionamento dell'ultima notifica del gravame, eseguita il 30.9.2008.

 

Con controricorso e appello incidentale l’A.R.S.S.U. ha eccepito la inammissibilità, la irricevibilità e la improcedibilità del gravame e comunque ne ha dedotto la infondatezza, in particolare riproponendo le eccezioni di inammissibilità formulate in primo grado, deducendo:

 

1.- Erroneità ed illogicità della sentenza per omessa pronuncia sulla eccezione di inammissibilità per tardivo deposito del ricorso di primo grado.

 

2.- Erroneità ed illogicità della sentenza per omessa pronuncia sulla eccezione di inammissibilità, per avere la parte ricorrente di primo grado impugnato solo l’aggiudicazione provvisoria e quella definitiva, ma non quella efficace.

 

Detta Azienda ha quindi concluso per la declaratoria di inammissibilità, di irricevibilità e di improcedibilità, ovvero per la reiezione dell’appello, nonché ha chiesto, in accoglimento dell’appello incidentale, l’annullamento della citata sentenza nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sulle eccezioni di inammissibilità da essa formulate in primo grado.

 

Con memoria depositata il 27.2.2010 l’A.R.S.S.U. resistente ha ribadito tesi e richieste.

 

Con memoria depositata il 2.3.2010 parte ricorrente ha a sua volta ribadito tesi e richieste, precisando che la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno per equivalente non avrebbe potuto essere inferiore a quanto dovuto per utile di impresa, pari al 10 % dell’importo offerto per l’esecuzione del contratto, e per risarcimento del depauperamento delle capacità tecniche ed economiche necessarie per il mantenimento della qualificazione SOA, pari al 3% dell’importo di gara.

 

Alla pubblica udienza del 9.3.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

 

DIRITTO

1.- Con il ricorso in appello, in epigrafe specificato, la ICOGEN s.r.l., quale mandataria capogruppo della costituenda A.T.I. con la ditta Giardina Gioachino, ha chiesto la riforma della sentenza n. 1917/2008 del 30 ottobre 2008 del T.A.R. Liguria (di reiezione del ricorso proposto dalla società stessa per l’annullamento del provvedimento della A.R.S.S.U., Azienda Regionale per i Servizi Scolastici ed Universitari della Regione Liguria, di ammissione dell’ATI Manusia Restauri Monumentali s.r.l., SICOP s.r.l. e Caparelli Impianti s.r.l. alla gara per l'appalto dei lavori di "restauro e risanamento conservativo dell'ex convitto e Istituto scolastico San Nicola sito in Genova - Salita della Madonetta - da destinare a residenza per studenti universitari", cui l’appellante aveva partecipato, nonché del provvedimento di aggiudicazione provvisoria e definitiva della gara a favore dell'ATI Gennaro Costruzioni s.r.l. - Isir Impianti s.r.l. e dei verbali di gara, nella parte in cui è stata ammessa detta A.T.I. Manusia - SICOP - Caparelli ). Inoltre ha chiesto il risarcimento del danno (nella misura, quantificata in corso di giudizio, non inferiore a quanto dovuto per utile di impresa, pari al 10 % dell’importo offerto per l’esecuzione del contratto, e per risarcimento del depauperamento delle capacità tecniche ed economiche necessarie per il mantenimento della qualificazione SOA, pari al 3% dell’importo di gara) e la condanna dell’Amministrazione committente al rimborso del contributo unificato in favore dell’appellante.

Con controricorso ed appello incidentale detta A.R.S.S.U. ha chiesto che l’appello venga dichiarato inammissibile, irricevibile, improcedibile e comunque infondato, nonché che la citata sentenza sia annullata nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sulle eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate in primo grado.

 

2.- Innanzi tutto il Collegio deve esaminare l’appello principale, perché, nell’ipotesi che lo stesso risulti infondato, dovrà essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l'appello incidentale condizionato svolto dall'appellata A.R.S.S.U. (Consiglio Stato, sez. VI, 27 luglio 2007, n. 4172).

 

3.- Con il primo motivo di gravame è stato prospettato il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata, “sotto il profilo della erronea ricostruzione dei fatti di gara”, ed è stata dedotta la erroneità della sentenza stessa sia per errore nella ricostruzione di detti fatti e nella valutazione della fattispecie in fatto ed in diritto, sia per errata qualificazione del reato edilizio oggetto della fattispecie e sia per violazione dell’art. 20 della L. n. 47 del 1985, i reati previsti nel quale sono stati ritenuti non incidenti sulla moralità professionale ai sensi dell’art. 38, I c., lettera c) del D. Lgs. n. 163 del 2006. Infine è stata censurata detta sentenza laddove ha affermato la irrilevanza della condanna riportata dall’ex legale rappresentate della SICOP s.r.l..

 

3.1.- E’ stato asserito in primo luogo con il motivo in esame che, nel corso della gara de qua, era stata la stessa A.T.I. SICOP - Manusia - Caparelli ad evidenziare che il proprio ex legale rappresentante aveva avuto una condanna per un reato (in materia edilizia), rilevante ai fini del possesso dei requisiti di cui all’art. 38, I c., lettera c), del D. Lgs. n. 163 del 2006, tanto che la SICOP s.r.l. aveva costretto esso legale rappresentante alle dimissioni e aveva inteso dissociarsi.

 

Nel procedimento de quo non residuava quindi alcuno spazio per la valutazione della incidenza o meno di detto reato sul possesso dei requisiti di cui a detto art. 38, I c., lettera c), del D. Lgs. n. 163 del 2006 e la ricorrente non aveva l’onere di dimostrarlo, sicché il TAR sarebbe andato oltre l’oggetto dedotto in giudizio, limitato all’accertamento della legittimità o meno della partecipazione alla gara di un soggetto che non aveva compiuto alcuna dissociazione (esperibile solo mediante la proposizione di una azione giudiziale individuabile in una causa civile di accertamento della responsabilità dell’ex legale rappresentante) dall’operato di questi.

 

La impugnata sentenza non si sarebbe invero espressa sulla circostanza, dedotta in giudizio dalla ricorrente, che l’Amministrazione aveva illegittimamente ritenuto sufficiente una mera dichiarazione di dissociazione ai fini della partecipazione alla gara, senza verifica della proposizione delle necessarie azioni civili di responsabilità all’uopo richieste, ma avrebbe sovvertito la valutazione di rilevanza del reato effettuata dalla Committente, sostenendo che il reato edilizio non rilevava negli appalti pubblici sotto il profilo della moralità professionale.

 

3.1.1.- Secondo il Collegio non sussiste il dedotto vizio di ultrapetizione, ed il T.A.R. Liguria non ha travalicato l’oggetto del giudizio, considerato che nel ricorso introduttivo di esso era stata dedotta la violazione dell’art. 38, I c., lettera c), del D. Lgs. n. 163 del 2006 argomentando che : “… la SICOP, pur in presenza di un reato che incide sulla moralità professionale …… non ha mai instaurato alcuna causa di responsabilità nei confronti dell’ex Amministratore Unico (pur essendo passati 2 anni), condizione questa richiesta ai fini della dimostrazione del requisito della dissociazione. Trattasi di vizio che comporta la esclusione automatica dalla gara”.

 

Ai sensi di detta lettera c), primo capoverso, della norma sopra richiamata, la causa di esclusione dalla partecipazione alle procedure di cui trattasi dei soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna o emanato decreto penale opera solo se siano stati irrogati in relazione a reati gravi in danno della Comunità o dello Stato, incidenti sulla moralità professionale.

 

Dalla interpretazione della citata norma nel suo complesso si evince che dette condizioni debbano sussistere anche con riferimento alla ipotesi prevista dal seguente capoverso di detta lettera c), che estende l’esclusione ed il divieto di cui sopra anche ai soggetti cessati dalla carica nel triennio precedente se l’impresa non dimostri di aver adottato misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata.

 

Il T.A.R. ha, quindi, correttamente basato la propria decisione di reiezione del ricorso de quo sulle seguenti deduzioni: “…considerato che l’unico motivo di gravame, concernente la ostatività alla partecipazione alla gara dell’impresa vincitrice a fronte della condanna per reato edilizio subita dal precedente amministratore unico, non integra i presupposti di cui all’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006. - atteso che tale normativa, nel riprendere la disciplina previgente, prevede l’esclusione per assenza dei requisiti di moralità professionale a fronte di due elementi, in caso di soggetti cessati dalla carica: uno generale, cioè una sentenza di condanna passata in giudicato per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; uno particolare, la dimostrazione da parte dell’impresa di aver adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata; - rilevato che, nel caso di specie, è carente lo stesso primo presupposto generale, in quanto il reato edilizio non viene dedotto, né appare, come incidente sulla moralità professionale;- atteso che a quest’ultimo riguardo del tutto irrilevante appare la deduzione di parte ricorrente la quale si limita ad evidenziare la gravità di un reato edilizio nei confronti dello Stato, in quanto se ciò riguarda ogni sanzione penale, nel caso de quo il reato edilizio non risulta in alcun modo connesso all’attività professionale svolta a suo tempo dal soggetto per l’impresa”.

 

Puntualmente quindi il T.A.R. ha argomentato circa la insussistenza nel caso di specie della condizione generale di esclusione dalla gara consistente nell’attitudine del reato commesso dall’ex legale rappresentante della SICOP s.r.l. ad incidere sulla sua moralità professionale, che, viceversa, in ricorso, come in precedenza evidenziato, era esplicitamente asserito fosse stata intaccata dal tipo di reato commesso, sicché la censura di ultrapetizione in esame non può essere oggetto di positiva valutazione.

Aggiungasi che non ha comunque valenza significante la circostanza che la SICOP stessa avesse segnalato che il proprio legale rappresentante aveva avuto una condanna per un reato ritenuto rilevante ai fini del possesso dei requisiti di cui all’art. 38, I c., lettera c), del D. Lgs. n. 163 del 2006 (tanto che l’impresa aveva costretto esso legale rappresentante alle dimissioni e aveva inteso dissociarsi) perché essa era comunque tenuta ad indicare la circostanza se la riteneva rilevante, non essendo la valutazione della incidenza del reato sulla moralità professionale rimessa definitivamente all’apprezzamento della impresa ma, in sede di controllo, esclusivamente a quello della stazione appaltante.

 

3.2.- E’ dedotto altresì nell’atto di appello che la motivazione della sentenza sarebbe comunque errata (laddove ha affermato che la condanna per reato edilizio subita dall’ex legale rappresentante della SICOP s.r.l. non integrava i presupposti di cui all’art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006, perché il reato non era stato dedotto né appariva incidente sulla moralità professionale) perché invece detto reato necessariamente doveva comportare la esclusione dalla partecipazione alla procedura in questione, in quanto rientrante nella casistica di cui all’ex art. 38, I c., lettera c), del D. Lgs. n. 163 del 2006 e concretante una violazione dello stesso, per il motivo che nei confronti dell’ex legale rappresentante di cui trattasi era stata pronunciata condanna passata in giudicato per reato grave in danno dello Stato o della Comunità, incidente sulla moralità professionale. Il reato edilizio doveva infatti considerarsi grave per una impresa operante nel campo dei lavori pubblici ed incideva sulla professionalità della stessa, tanto da escludere la fiducia nei rapporti contrattuali con le P.A. committenti di opere pubbliche, considerato anche che l’appalto di cui trattasi aveva ad oggetto una attività edilizia consistente in lavori di costruzione di edifici e strutture destinate alla pubblica utilità.

 

3.2.1.- Il Collegio rileva, in relazione ad eccezione di inammissibilità del profilo di doglianza in esame (nell’assunto che sarebbe stata dedotta per la prima volta in appello) sollevata dalla difesa della A.R.S.S.U. con memoria depositata in giudizio il 27.2.2010, che le considerazioni in precedenza svolte circa la sussistenza del motivo nel ricorso di primo grado comportano la ammissibilità delle censure in esame anche in grado di appello.

 

3.2.2.- Nel merito va osservato che la gravità e incidenza sulla moralità professionale dell'imprenditore dei reati diversi da quelli specificamente indicati dall'art. 45, prg. 2, direttiva 2004/18/Ce e comportanti l'esclusione dalla partecipazione a gare pubbliche, in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, deve essere accertata dalla stazione appaltante con la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato (Cons. Stato, sez. V, 23 marzo 2009, n. 173).

 

La valutazione in concreto della rilevanza dei riscontrati precedenti penali ai fini dell’accertamento della effettività della incisione della moralità professionale dell'imprenditore, in assenza di parametri posti dall'art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006, è affidata quindi alla discrezionalità dell'Amministrazione, integrando la valutazione del relativo rapporto un concetto giuridico a contenuto indeterminato, la cui cognizione è autorizzata dalla natura della giurisdizione in questa sede esercitata, che, in quanto esclusiva è priva dei limiti cui è astretta quella in sede generale di legittimità.

 

Aggiungasi che la mera sussistenza di una condanna definitiva per reati astrattamente incidenti sulla moralità professionale non vale a integrare la causa di esclusione di cui all'art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006, occorrendo una concreta valutazione della gravità di tali precedenti.

 

Nel caso che occupa era stata emessa sentenza di condanna irrevocabile nei confronti del pregresso legale rappresentante della SICOP s.r.l. per violazione delle norme in materia di controllo dell’attività urbana edilizia ex art. 20 della L. n. 47 del 1985.

 

Tale norma stabilisce che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica: a) l'ammenda fino a lire 20 milioni per l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dalla presente legge, dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni e integrazioni, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione; b) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da lire 10 milioni a lire 100 milioni nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza della concessione o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione; c) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da lire 30 milioni a lire 100 milioni nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell'articolo 18. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza della concessione”.

 

Il Collegio ritiene che correttamente il reato previsto da detto articolo, commesso dal citato legale rappresentante, sia stato ritenuto dal T.A.R. non incidente sulla moralità professionale dello stesso, atteso che non risulta, né è stato dimostrato in giudizio, che il reato concretamente commesso fosse in qualche modo connesso con l’attività professionale da esso svolta; aggiungasi che comunque non è sufficiente che sia stato commesso un qualunque reato contro lo Stato, dovendo tale reato essere "grave", il che non è stato adeguatamente dimostrato dall’appellante.

 

Invero, il giudizio d'inidoneità morale degli imprenditori poggia sulla presunzione che la condotta penalmente riprovevole di quelle persone fisiche che svolgono o abbiano svolto di recente un ruolo rilevante all'interno dell'impresa abbia inquinato l'organizzazione aziendale, ma la presunzione stessa è relativa e non assoluta, e nel caso di specie è stato affermato dall’appellante che il reato commesso dell’ex legale rappresentante in questione abbia inquinato l’organizzazione aziendale della SICOP s.r.l., ma non stato provato, a nulla valendo l’affermazione che l’appalto de quo aveva ad oggetto una attività edilizia consistente in lavori di costruzione di edifici e strutture destinate alla pubblica utilità, essendo la circostanza assolutamente inidonea a dimostrare che il reato edilizio commesso dall’ex legale rappresentante della SICOP s.r.l. fosse connesso con l’attività professionale da esso a suo tempo svolta.

 

3.3.- Infine è dedotto con il motivo in esame che erroneamente nella sentenza di primo grado è stato affermato che il reato edilizio commesso dall’ex legale rappresentante non risultava connesso all’attività professionale a suo tempo da questi svolta per l’impresa, considerato che, stante la “ratio” dell’art. 38, I c., lettera c), del D. Lgs. n. 163 del 2006 (individuabile nella finalità di evitare che una impresa per la costruzione di opera pubbliche affidi la propria rappresentanza negoziale a soggetti non affidabili sotto il profilo morale per aver riportato condanne penali, allo scopo di evitare fenomeni patologici destinati a pregiudicare il corretto svolgimento dell'attività amministrativa), sussiste preclusione alla partecipazione alla gara anche in ipotesi di condanne relative a reati commessi in epoca anteriore all’assunzione nell’impresa del soggetto che li ha commessi. La sentenza sarebbe affetta anche dal vizio di ultrapetizione, perché, formulando l’affermazione sopra riportata, non si sarebbe espressa esclusivamente sulle censure dedotte nel giudizio di primo grado.

 

3.3.1.- Il Collegio, ribadita la insussistenza del vizio di ultrapetizione per i motivi in precedenza evidenziati, non può apprezzare favorevolmente la tesi dell’appellante perché con la impugnata sentenza non è stato asserito che la sussistenza di una condanna relativa a reati commessi in epoca precedente alla assunzione nella impresa del soggetto che la ha subita non comporta preclusione alla partecipazione alla procedura de qua, ma che il reato edilizio commesso non risultava connesso all’attività professionale svolta a suo tempo dall’Amministratore unico per l’impresa, il che va inteso non nel senso indicato dall’appellante, ma nel senso che il reato esulava dalle attività professionali svolte (Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6740), a prescindere dall’epoca di commissione dello stesso, non essendo stata provata la sua riconducibilità eziologica ad una attività "lato sensu" professionale.

 

4.- Con il secondo motivo di appello sono state riproposte le censure formulate nel giudizio di primo grado, cioè: Violazione del bando di gara e del disciplinare. Violazione dell’art. 38, I c., lettera c), del D. Lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 75 del D.P.R. n. 554 del 1999. Eccesso di potere per mancanza dei presupposti di fatto del provvedimento amministrativo di ammissione alla gara.

 

Illegittimamente sarebbe stata consentita la partecipazione alla gara di un soggetto giuridico che non aveva compiuto alcuna dissociazione dall’operato dell’ex legale rappresentante, esperibile solo mediante la proposizione di una azione giudiziale consistente in una causa civile di responsabilità nei suoi confronti.

 

4.1.- Osserva il Collegio che -pur essendo detto motivo di appello irrilevante ai fini del decidere, per essere stato correttamente dal Giudice di primo grado ritenuto insussistente uno dei requisiti essenziali per poter disporre la esclusione di cui all’art. 38, I c., lettera c), del D. Lgs. n. 163 del 2006 (cioè la incidenza sulla moralità professionale dell’ex amministratore unico di cui trattasi della sentenza emessa nei suoi confronti)- il concorrente a una gara d'appalto di opere pubbliche, al fine di dimostrare di avere adottato le misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata di un cessato legale rappresentante, può limitarsi a dichiarare che quest'ultimo si è dimesso dall'incarico e che l'impresa ne ha preso atto, purché risulti da verbale dell'assemblea della società, oppure da altro atto in cui sia chiaramente indicata la volontà di dissociazione, senza necessità che tale volontà, per essere idoneamente dimostrata, debba essere suffragata anche dalla prova dell’instaurazione di una causa civile di responsabilità nei confronti dell’ex legale rappresentante.

 

Detto verbale ed ogni altro atto recante chiara indicazione della volontà di dissociazione fanno infatti piena fede circa la sussistenza di tale volontà della impresa ed è quindi non necessario far ricorso anche alla instaurazione di un giudizio civile per dimostrarla, atteso che la dissociazione, non trattandosi di istituto giuridico codificato, può aver luogo in svariate forme, purché risulti esistente, univoca e completa (Consiglio Stato, sez. V, 11 settembre 2007, n. 4804).

 

Nel caso che occupa la stessa SICOP s.r.l. ha allegato agli atti di gara, a prova della dissociazione dalla condotta di detto ex legale rappresentante, una nota del 24.10.2006 recante comunicazione di dissociazione e l’asserzione che era in via di instaurazione contenzioso per risarcimento e responsabilità.

 

Ad avviso del Collegio la produzione di detta comunicazione fa piena fede circa la effettività dell’intento della citata società di dissociarsi dalla condotta dell’ex amministratore unico ed è quindi idonea e sufficiente a fornirne la dimostrazione richiesta dall’art. 38, I c., lettera c), del D. Lgs. n. 163 del 2006, con conseguente indifferenza della circostanza che, oltre a tale nota, la società abbia anche meramente dichiarato la intenzione di intentare una causa civile di responsabilità e non dimostrato di averla concretamente già iniziata all’atto della presentazione della domanda di partecipazione alla gara.

 

5.- Con il terzo motivo di appello è stato dedotto che infondata sarebbe la eccezione formulata dalla controparti nel corso del giudizio di primo grado, di tardivo deposito del ricorso presso la Segreteria del T.A.R. della Liguria, atteso che esso è stato depositato il 14.10.2008, in anticipo rispetto al termine del 15.10.2008, risultante dal conteggio effettuato a far tempo dalla data di perfezionamento dell'ultima notifica del gravame, eseguita il 30.9.2008.

 

5.1.- Il Collegio, pur dando atto della fondatezza delle deduzioni sopra riportate, ritiene di poterne prescindere perché irrilevanti ai fini della decisione, considerato che con la appellata sentenza è stata esclusa la necessità di esaminare detta eccezione, attesa la ritenuta infondatezza del ricorso.

 

6.- L’appello principale è quindi da valutare non assistito da valide ragioni e va respinto.

 

7.- Alla infondatezza dei motivi di appello consegue la inaccoglibilità della domanda di risarcimento danni in questa sede formulata, non essendo stato dimostrato il nesso di causalità tra i danni lamentati dal ricorrente e l'attività illegittima della pubblica Amministrazione, considerato che l'illegittimità del provvedimento impugnato è, comunque, condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per accordare il risarcimento del danno, sicché l'infondatezza della domanda di annullamento comporta inevitabilmente il rigetto di quella risarcitoria (Consiglio Stato, sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4702)

 

In applicazione del principio della pregiudiziale amministrativa è infatti ammissibile, ma infondata nel merito, la domanda di risarcimento danni che non sia stata preceduta dall'annullamento dell'atto asseritamente illegittimo, che tale danno avrebbe provocato, atteso che la sua mancata impugnazione consente allo stesso di operare in modo precettivo dettando la regola del caso concreto, autorizzando la produzione dei relativi effetti ed imponendone l'osservanza ai consociati, impedendo così che il danno possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall'Amministrazione in esecuzione dell'atto inoppugnato (Consiglio Stato, sez. IV, 31 marzo 2009, n. 1917).

 

8.- Le considerazioni che precedono circa la infondatezza dell'appello principale comportano la improcedibilità per carenza di interesse dell’appello incidentale condizionato, con il quale l’A.R.S.S.U. ha riproposto le eccezioni di inammissibilità sule quali il TAR non si era pronunciato.

 

9.- L’appello principale deve essere conclusivamente respinto (compresa la domanda di risarcimento danni), deve essere dichiarato improcedibile l’appello incidentale e confermata la prima decisione.

 

10.- La complessità delle questioni trattate, la peculiarità e la novità del caso, visto l’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009 e sussistendo le ragioni di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., è ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello principale. Dichiara improcedibile l’appello incidentale.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2010 con l'intervento dei Signori:

Pier Giorgio Trovato, Presidente

Cesare Lamberti, Consigliere

Marco Lipari, Consigliere

Aldo Scola, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

 

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

Il Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/09/2010

 

 

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