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TAR Lazio, Sez. II quater, 27/10/2010 n. 33046
Il servizio di verifica (cosiddette "ispezioni") sugli impianti termici siti negli stabili esistenti nei territori dei comuni della provincia con popolazione fino a 40.000 abitanti non è un servizio pubblico locale.

Sull'applicabilità del divieto di cui all'art. 13 del d.l. n. 223/06, solo per le società che svolgono servizi strumentali agli enti pubblici da cui sono partecipate.

La vigente normativa in materia di esercizio e manutenzione di impianti termici obbliga i comuni (con più di quarantamila abitanti) e le province (per comuni con meno abitanti) ad "effettuare i controlli necessari e verificare con cadenza almeno biennale l'osservanza delle norme relative al rendimento di combustione "anche avvalendosi di organismi esterni aventi specifica competenza tecnica, con onere a carico degli utenti". Tale attività oggetto dell'affidamento, nel caso di specie, pertanto, non consiste in una prestazione resa "a favore" della collettività locale o di singoli utenti, interessi sociali che l'ente locale s'è assunto per realizzare fini di promozione dello sviluppo economico e civile (cd. funzione di promozione), ma consiste piuttosto in una tipica funzione pubblica (cd. funzione di ordine) - esercitabile dagli enti locali direttamente o mediante organismi esterni dotati di specifiche competenze tecniche, ma mantenendone comunque la titolarità - che consiste nell'esercizio di un'attività di controllo e vigilanza su beni appartenenti a privati - che sono tenuti, in quanto conduttori di impianti potenzialmente pericolosi per l'ambiente, a subirli - al fine di verificare, nel superiore interesse pubblico alla salubrità dell'aria ed alla sicurezza ambientale, che questi rispettino gli standard previsti dalla legge a tutela della salute pubblica ed all'ambiente.
In altri termini, si tratta, evidentemente, di un compito che l'ente locale non ha assunto per libera scelta, ma che costituisce un obbligo imposto dal legislatore nazionale; dal canto loro, i privati, che tali verifiche sono tenuti a subire, si vengono a trovare nella posizione non già di "beneficiari" delle prestazioni erogate dall'ente esponenziale, bensì nello stato di soggezione alle verifiche effettuate dall'autorità investita delle funzioni di controllo o dal soggetto da questa "delegato". Ne consegue che, la natura del "servizio" in questione - rilevante in quanto determinativa della disciplina applicabile - non sia quella di "servizio pubblico locale".

Nel caso di specie, è legittimo l'operato della commissione aggiudicatrice che, ha respinto la richiesta di esclusione della società ai sensi dell'art. 13 del D.L. 4-7-2006 n. 223, convertito con modificazioni in L. 4 agosto 2006, n. 248, in quanto la suddetta società non è soggetto che "svolge servizi strumentali agli enti pubblici da cui è partecipata". Non si ravvisano, infatti, la sussistenza dei caratteri di strumentalità e funzionalità, che devono sussistere per l'applicabilità del divieto di cui all'art.13 del D.L. n.223/2006, in considerazione dell'oggetto sociale della medesima e del prospetto sintetico delle attività svolte - che indica un'attività di natura imprenditoriale, diversificata sia per sua natura sia per clienti destinatari - nonché della partecipazione minoritaria degli enti territoriali interessati e della sostanziale mancanza di influenza sulle decisioni societarie.
Dalla documentazione prodotta, la suddetta società non risulta essere stata costituita come società strumentale, non ha ad oggetto specifico ed esclusivo lo svolgimento di servizi strumentali agli enti pubblici da cui è partecipata, ma si rivolge ad operare sul mercato come imprenditore privato, con indubbia "vocazione commerciale", anche al fine di occupare lavoratori specializzati provenienti da diversi settori produttivi e svolge attività operativa in diversi settori, che vanno da servizi di varia natura, destinati a clienti pubblici e privati, alla formazione del personale, all'attività di controllo ambientale; sotto il profilo dei soggetti destinatari, inoltre, si rivolge non solo ad enti pubblici, ma anche a favore di soggetti privati. Né risulta che l'attività svolta a favore dell'ente locale ne costituisca la parte principale, né prevalente, tanto da consentirle di sfruttare la derivante "rendita di posizione" per acquisire commesse ulteriori a danno degli altri operatori sul mercato.

Materia: servizi pubblici / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7567 del 2010, proposto da:

Soc Italgas Ambiente Srl, Soc Sea Servizi Energia Ambiente Srl, Soc Promoeco Sme Srl, in persona dei rispettivi l.r., rappresentati e difesi dagli avv. Luigi Quinto, Pietro Quinto, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

 

contro

Provincia di Roma, in persona del l.r., rappresentato e difeso dall'avv. Giovanna De Maio, con domicilio eletto presso Giovanna De Maio in Roma, via IV Novembre, 119/A;

 

nei confronti di

Soc Multiservice Spa, in persona del l.r., rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Inglese, Stefano Vinti, Dario Capotorto, con domicilio eletto presso Stefano Vinti in Roma, via Emilia, 88;

 

per l'annullamento

- della D.D.R.U. n. 5207 in data 15.07.2010 della Provincia di Roma;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale;.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Roma e di Soc Multiservice Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2010 il dott. Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Con bando pubblicato sulla GUE n. 37 del 23/02/2010 e sulla GURI Suppl. n. 25 del 03/03/2010, la Provincia di Roma ha indetto una gara per l’affidamento del servizio di verifica (cosiddette “ispezioni”) sugli impianti termici siti negli stabili esistenti nei territori dei Comuni della Provincia di Roma con popolazione fino a 40.000 abitanti, da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e importo a base di gara pari ad €.4.200.000,00 IVA esclusa (doc.1).

Alla gara partecipavano 4 concorrenti, tra cui le società del RTI ricorrente, le quali avevano inutilmente chiesto alla Commissione di estromettere dalla gara la società controinteressata, in quanto incorrente nel divieto di cui all’art.13 del D.L. n.223/2006 ed art. 23 bis del D.L. n.112/2008.

Nella seduta pubblica del 23/6/2010, veniva individuata provvisoriamente aggiudicataria la Multiservice S.p.A. Esperite le dovute verifiche sull’effettivo possesso dei requisiti di cui all’art.48 del D.Lgs. n.163/2006 e le valutazioni di congruità dell’anomalia dell’offerta – giusta invito rivolto alla Multiservice con nota del 23/6/2010 – ai sensi dell’art.87 e 88 del D.Lgs. n.163/2006, ritenendo soddisfacenti le precisazioni fornite con articolata relazione, con D.D. n.5207 del 15/7/2010, la Provincia aggiudicava in via definitiva l’appalto alla Multiservice S.p.A.

Con il ricorso in esame, la società l’Italgas e le altre facenti parte del costituendo RTI, collocato in seconda posizione nella graduatoria, hanno impugnato la determinazione dirigenziale n. 5207/2010 di aggiudicazione definitiva della gara, nonché gli atti predetti, chiedendone l’annullamento nonché il risarcimento, per equivalente, del danno subito per effetto dell’illegittimo operato della PA.

Il gravame si incentra su un doppio ordine di censure, volte a contestare, da un lato la legittimità, in radice, della stessa partecipazione alla gara in contestazione della contro interessata, incorrente nei divieti sanciti dall’art. 23 bis, comma 9, del d.l. 112/2008 e dall’art. 13, comm1, del d.l. 223/06, dall’altro l’anomalia dell’offerta da questa presentata.

L’Amministrazione Provinciale si è costituita in giudizio, con memoria scritta a difesa del proprio operato.

Si è costituita in giudizio anche la contro interessata, producendo articolati scritti difensivi

Nella camera di consiglio del 15/9/2010, con ordinanza n.4084 veniva fissata al 6/10/2010 l’udienza per la discussione del merito del gravame, accogliendo l’istanza di sospensiva nelle more.

Con ricorso incidentale notificato il 16/9/2010, la Multiservice S.p.A. ha chiesto l’annullamento degli atti sopraindicati, deducendo l’illegittimità della mancata esclusione dalla gara del raggruppamento ricorrente, anch’esso incorrente in un divieto di partecipazione alla gara, nonché nel difetto dei requisiti.

In vista dell’udienza per la trattazione del merito del gravame le parti hanno presentato articolati scritti difensivi.

All’udienza del 6.10.2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 23 bis, comma 9, del d.l. 133/2008 conv. in L. 112/2008, deducendo che la Multiservice spa avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara in quanto, essendo affidataria in via diretta di servizi pubblici locali nella Provincia di Genova incorrerebbe nel divieto di partecipazione alla gara per l’affidamento del “servizio pubblico locale” in questione.

La controversia investe sia la qualificazione giuridica dell’oggetto dell’affidamento come “servizio pubblico locale” sia l’attualità della posizione di incompatibilità della Multiservice, che avrebbe convenuto, prima della partecipazione alla gara, la “risoluzione anticipata” del rapporto contrattuale con il Comune e la Provincia di Genova.

L’art. 23 bis del D.L. 25-6-2008 n. 112, convertito con modificazioni in legge 6 agosto 2008, n. 133, al comma 9, stabilsce che “Le società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2, lettera b), nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle società quotate in mercati regolamentati e al socio selezionato ai sensi della lettera b) del comma 2. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti”.

Per quanto concerne la questione della qualificazione giuridica dell’oggetto dell’affidamento come “servizio pubblico locale”, il Collegio ritiene che, anche a prescindere dal mero dato letterale del nomen (come un contratto di appalto di servizi) con cui ad essa si sia riferita la stazione appaltante, la natura del “servizio” in questione – rilevante in quanto determinativa della disciplina applicabile – non sia quella di “servizio pubblico locale”.

La vigente normativa in materia di esercizio e manutenzione di impianti termici obbliga i Comuni (con più di quarantamila abitanti) e le Province (per Comuni con meno abitanti) ad “effettuare i controlli necessari e verificare con cadenza almeno biennale l'osservanza delle norme relative al rendimento di combustione “anche avvalendosi di organismi esterni aventi specifica competenza tecnica, con onere a carico degli utenti”.

L’attività oggetto dell’affidamento in contestazione, pertanto, non consiste in una prestazione resa “a favore” della collettività locale o di singoli utenti interessi sociali che l’ente locale s’è assunto per realizzare fini di promozione dello sviluppo economico e civile (cd. funzione di promozione), ma consiste piuttosto in una tipica funzione pubblica (cd. funzione di ordine) – esercitabile dagli enti locali direttamente o mediante organismi esterni dotati di specifiche competenze tecniche, ma mantenendone comunque la titolarità – che consiste nell’esercizio di un’attività di controllo e vigilanza su beni appartenenti a privati – che sono tenuti, in quanto conduttori di impianti potenzialmente pericolosi per l’ambiente, a subirli – al fine di verificare, nel superiore interesse pubblico alla salubrità dell’aria ed alla sicurezza ambientale, che questi rispettino gli standard previsti dalla legge a tutela della salute pubblica ed all’ambiente.

In altri termini, si tratta, evidentemente, di un compito che l’ente locale non ha assunto per libera scelta, ma che costituisce un obbligo imposto dal legislatore nazionale, consistente nello svolgimento di un’attività di controllo di beni appartenenti a privati non nell’interesse degli stessi proprietari, bensì a tutela del superiore interesse pubblico alla salubrità dell’ambiente nonché al risparmio energetico; dal canto loro, i privati, che tali verifiche sono tenuti a subire, si vengono a trovare nella posizione non già di “beneficiari” delle prestazioni erogate dall’ente esponenziale, bensì nello stato di soggezione alle verifiche effettuate dall’autorità investita delle funzioni di controllo o dal soggetto da questa “delegato”.

In sostanza, pertanto, si tratta, più che di attività finalizzata “a garantire la realizzazione di prevalenti fini sociali e di promovimento dello sviluppo economico e civile delle relative comunità” (che l’ente locale si assume in base ad una scelta politico-amministrativa di soddisfare in modo continuativo obiettive esigenze della collettività Cons. St., Sez. V, 13 dicembre 2006, n. 7369), di un’attività di verifica del rispetto di standard ambientali prescritti per determinati tipi di impianti, di cui rimangono titolari gli enti locali, che sono tenuti ad effettuare in adempimento alla normativa in materia ambientale, anche, indirettamente, affidandone la gestione a soggetti privati.

Ne consegue che il primo motivo di ricorso risulta infondato sotto il profilo della qualificazione giuridica dell’attività in questione.

Peraltro, anche a voler condividere la qualificazione giuridica prospettata dalla ricorrente, comunque non sussisterebbero nella specie le condizioni per l’applicabilità del divieto di cui all’art. 23-bis in parola in quanto, in ogni caso, al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara, non sussisteva più in capo alla Multiservice la situazione di incompatibilità poiché era intervenuta la risoluzione anticipata del contratto con la Provincia di Genova. Quest’ultima, infatti, con delibera del 31 marzo 2010 aveva accettato la rinuncia della società interessata a continuare a svolgere l’attività di verifica sugli impianti termici nella Provincia di Genova, come attestato dal dirigente responsabile nella nota prot. 110009 dell’8-9-2010 (all. 1 alla memoria della contro interessata depositata il 14.9.2010), ove si chiarisce che l’attività di verifica degli impianti termici, a seguito dell’interruzione dei rapporti contrattuali in questione, viene condotta da personale interno.

Risulta perciò corretto l’operato della Commissione che, nella seduta del 7.5.2010, ha ritenuto di non procedere all’esclusione della contro interessata in considerazione della circostanza che “la Multiservice Spa, alla data di scadenza per la presentazione delle offerte per la gara indetta dalla Provincia di Roma ( 12/04/10), non risulta essere titolare della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante procedure competitive; pertanto, essa non incorre nel divieto di cui all’art. 23-bis.”

Al riguardo non può essere seguita la ricorrente ove prospetta l’inoperatività dell’atto di risoluzione, in quanto la Provincia aveva accolto la richiesta di risoluzione anticipata avanzata dalla Multiservice, subordinando la propria accettazione all’avveramento di una condizione risolutiva (consistente nell’effettuazione del versamento di 60.000 euro relativi all’ultima quota 2009 ed alla prima quota 2010 dovuti; nel versamento di 285.945,50 euro relativi alla differenza tra le quote già introitate da Multiservice pari a 3.993.877,00 e la quota riconosciuta a detta società per le attività effettivamente svolte pari a 3.707.931,00 euro; nel caricamento di n. 51000 certificazioni; nonché nella restituzione del software fornito in comodato d’uso) entro il termine di 90 gg dalla sottoscrizione dell’atto di risoluzione (avvenuta in data 21.3.2010), che poi non s’era realizzata.

La ricorrente ritiene che, siccome entro detto termine – che andava a scadere il 29.6.2010 - la condizione non s’era avverata (com’è dimostrato dal fatto che la Multiservice aveva chiesto una proroga del predetto termine), l’“atto di risoluzione anticipata” doveva intendersi privo di effetti e, sostanzialmente, costituirebbe una mera fictio iuris per aggirare il divieto in contestazione, in quanto la controinteressata continuava comunque “de facto” a prestare l’attività in questione (incorrendo quindi nel divieto in contestazione). Peraltro, sempre secondo parte ricorrente, anche a ritenere operante la risoluzione anticipata del contratto, le attività previste nell’atto di risoluzione costituirebbero, comunque, nuovo affidamento in via diretta del servizio in questione, rimettendo in tal modo la contro interessata nella posizione di preclusione prevista dall’art. 23 bis in parola.

La prospettazione della ricorrente non merita condivisione: come evidenziato dalle resistenti le attività previste nella convenzione di risoluzione concernevano unicamente obblighi di restituzione di beni e cose (ed in particolare delle somme precedentemente versate dalla Provincia a titolo di corrispettivo, nonché di un software) e il completamento di alcune prestazioni informatiche di “data entry” che non costituiscono alcuna “gestione di un servizio pubblico” in via di affidamento diretto.

Al riguardo il Collegio ritiene dirimente la circostanza che l’attività di verifica e controllo che costituisce oggetto della prestazione principale dell’affidamento in contestazione comunque fosse già cessata al momento della partecipazione alla gara, avendo l’Ente Locale ripreso a gestirlo in via diretta, e che la mera prestazione, da parte della contro interessata, di alcune attività accessorie e complementari non varrebbe comunque a determinare la situazione di incompatibilità contemplata dalla norma di cui si reclama l’applicazione. Altrimenti ragionando, il divieto in parola finirebbe per assumere carattere di ultrattività, in quanto opererebbe non solo durante la durata del servizio affidato ad un’impresa esterna ma anche oltre la conclusione del rapporto contrattuale, ogni qual volta al termine di questo la società interessata debba svolgere qualche altro adempimento in qualche modo connesso, evenienza questa, che non trova fondamento né nella lettera, né nella ratio della disposizione invocata e che peraltro è da escludersi in considerazione della natura “eccezionale” della norma in esame.

Con il secondo motivo di ricorso, l’ATI ricorrente denuncia l’illegittimità della mancata esclusione della Multiservice S.p.A. ai sensi dell’art. 13 del D.L. 4-7-2006 n. 223, convertito con modificazioni in L. 4 agosto 2006, n. 248, in quanto soggetto che “svolge servizi strumentali agli enti pubblici da cui è partecipata”.

Al riguardo il Collegio rileva che la disposizione invocata dalla ricorrente è stata oggetto di ripetute modificazioni apportate da leggi successive (dall'art. 1, comma 720, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 ; dall'articolo 18, comma 4 septies, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185; dall'articolo 48, comma 1, della legge 23 luglio 2009, n. 99, nonché dall'articolo 4, comma 7 del D.L. 3 giugno 2008, n. 97, e dall'articolo 20, coma 1 bis, del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207) e che nella versione attuale, applicabile ratione temporis, così recita: “Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonchè, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. Le società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti”. Al comma successivo precisa che “Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1”.

La norma pertanto, come chiarito in quest’ultima versione, si applica nel caso in cui le società predette abbiano come oggetto sociale la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività oppure lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di competenza degli enti proprietari (attività, quest’ultima, nella quale ricade anche la verifica ed il controllo del corretto funzionamento degli impianti termici, per le ragioni indicati in sede di esame del primo motivo di ricorso).

Come precisato dai primi commentatori, detta disposizione introduce una disciplina speciale consistente in una serie di limitazioni della loro autonomia negoziale, che da un lato restringono l’ordinaria capacità di agire delle società strumentali, limitandone l’attività operativa sotto il profilo dei soggetti destinatari e, quindi, incidendo pesantemente sull’autonomia negoziale della società – imponendo alle stesse di operare “in esclusiva” con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti e precludendo la possibilità di rendere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati (né con gara, né tantomeno in virtù di un affidamento diretto) e costringendole a cessare le attività non più consentite – dall’altro costringendone pesantemente l’autonomia statutaria (imponendo di avere oggetto sociale esclusivo e vietando la partecipazione ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale). Ciò comporta, in conseguenza, l’incapacità delle società strumentali di partecipare a gare per l’aggiudicazione di contratti con enti pubblici diversi da quelli “proprietari” (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 5 giugno 2007, n. 5192, Sez. I, 3 maggio 2007, n. 3893; Sez. I-ter, 20 febbraio 2007, n. 1486; TAR Lombardia, Sez. I, 31 gennaio 2007, n. 140 e 19 ottobre 2007, n. 7137).

La ratio della norma in parola, ripetutamente richiamata da costante giurisprudenza e dottrina, è ravvisata nell’intento di scongiurare i potenziali effetti distorsivi della concorrenza e la violazione del principio di parità degli operatori connessi all’operare delle società miste che possano godere della posizione privilegiata determinata dalla predetta strumentalità (Consiglio Stato , sez. V, 05 marzo 2010 , n. 1282), evidenziando il “rischio che si creino particolari situazioni di privilegio per alcune imprese, quando queste ultime usufruiscano, sostanzialmente, di un aiuto di Stato, vale a dire di una provvidenza economica pubblica atta a diminuirne o coprirne i costi. Il privilegio economico non necessariamente si concretizza, brutalmente, nel contributo o sussidio diretto o nell'agevolazione fiscale o contributiva, ma anche garantendo una posizione di mercato avvantaggiata rispetto alle altre imprese. Anche in questo senso, il privilegio non necessariamente si realizza in modo semplicistico introducendo limiti e condizioni alla partecipazione delle imprese concorrenti, ma anche, ed in maniera più sofisticata, garantendo all'impresa una partecipazione sicura al mercato cui appartiene, garantendo, in sostanza, l'acquisizione sicura di contratti il cui provento sia in grado di coprire, se non tutte, la maggior parte delle spese generali, in sintesi: un minimo garantito. Non è necessario che ciò determini profitto, purché l'impresa derivi da tali contratti quanto è sufficiente a garantire e mantenere l'apparato aziendale. In una tale situazione, è fin troppo evidente che ogni ulteriore acquisizione contrattuale potrà avvenire offrendo sul mercato condizioni concorrenziali, poiché l'impresa non deve imputare al nuovo contratto anche la parte di costi generali già coperta, ma solo il costo diretto di produzione. Gli ulteriori contratti, sostanzialmente, diventano più che marginali e permettono o la realizzazione di un profitto maggiore rispetto all'ordinaria economia aziendale del settore, ovvero di offrire sul mercato prezzi innaturalmente più bassi, perché non gravati dall'ammortamento delle spese generali. Nell'uno o nell'altro caso, il meccanismo del minimo garantito altera la par condicio delle imprese in maniera ancora più grave perché con riflessi anche sul mercato dei contratti privati. L'impresa beneficiaria di questa sorta di minimo garantito, infatti, è competitiva non solo nelle gare pubbliche, ma anche rispetto ai committenti privati, sicché, in definitiva, un tale sistema diviene in sé assai più pericoloso e distorcente di una semplice elusione del sistema delle gare. Potenzialmente ciò induce ed incoraggia il capitalismo di Stato e conduce alla espulsione delle imprese private marginali (T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 18 giugno 2009 , n. 1161). D’altronde non può neppure escludersi il perseguimento dell'ulteriore e non meno rilevante fine di porre un freno alla proliferazione delle società pubbliche o miste (ascrivibile ad una peculiare caratteristica tutta interna al nostro ordinamento) il cui fenomeno ha certamente contribuito all'inesorabile lievitazione della spesa pubblica (Consiglio di Stato, Sez.II, 25 settembre 2009 n. 322).

L’esigenza di tutelare la concorrenza, anche prevenendo sussidi incrociati tra settori attività “protetta” e settori in cui la società mista opera come un privato imprenditore, è stata con particolare chiarezza evidenziata dalla Corte costituzionale, investita con ricorso in via d’azione da alcune Regioni, che ha chiarito che le disposizioni in esame definiscono "il proprio ambito di applicazione non secondo il titolo giuridico in base al quale le società operano, ma in relazione all'oggetto sociale di queste ultime" e sono fondate "sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d'impresa di entri pubblici. L'una e l'altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza". Il legislatore in tal modo ha inteso "...separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione" al fine di prevenire una commistione che sarebbe distorsiva della concorrenza, evidenziando che "l'obiettivo delle disposizioni impugnate è quello di evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali. Dunque, la disciplina delle società con partecipazione pubblica dettata dalla norma statale è rivolta ad impedire che dette società costituiscano fattori distorsivi della concorrenza" (Corte costituzionale 13 agosto 2008, n. 326).

La ratio del divieto introdotto dalla disposizione in questione ha indotto la giurisprudenza ad individuarne l’ambito applicativo - in base al presupposto necessario ed indefettibile della strumentalità dei beni e servizi prodotti finalizzati a soddisfare l'esigenza dell'ente pubblico partecipante mentre le società del secondo tipo sono state ricondotte a moduli paritetici ove il ruolo degli enti territoriali non si differenzia da quello dell'azionista di una società per azioni. ( …). (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 06 novembre 2009 , n. 10891) - ed a richiamare recenti interventi normativi rispondenti alla medesima finalità (in particolare l'art. 3 comma 27 della legge 24.12.2007, n. 244, legge finanziaria 2008, che stabilisce che "al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società"), sottolineando che questa può essere perseguita mediante il divieto di partecipazione alle gare o di prestare comunque attività a favore di soggetti diversi dagli enti pubblici imposto alle società miste o oppure mediante il divieto degli enti pubblici di costituire tali società, ovvero l'obbligo di questi di dismettere le partecipazioni, che siano indispensabili per il perseguimento delle proprie missioni istituzionali (TAR Catania, n. 1161/2009, richiamando Corte costituzionale, sentenza del 8 maggio 2009 n. 148, nel senso che la disposizione in parola è volta "ad evitare che soggetti dotati di privilegi svolgano attività economica al di fuori dei casi nei quali ciò è imprescindibile per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero per la produzione di servizi di interesse generale .., al fine di eliminare eventuali distorsioni della concorrenza, quindi sono preordinate a scongiurare una commistione che il legislatore statale ha reputato pregiudizievole della concorrenza).

L’interpretazione della normativa in esame è incentrata pertanto sulla ratio, che induce a ravvisare proprio nell'elemento oggettivo della strumentalità, piuttosto che nell’aspetto soggettivo della partecipazione azionaria delle amministrazioni pubbliche alle predette società, la giustificazione del divieto in parola, come confermato dalla previsione del secondo comma dell'articolo 13, secondo cui tali società sono ad oggetto sociale esclusivo, sia in quella del successivo terzo comma dello stesso articolo 13, a mente del quale le predette società devono cessare le attività non consentite entro quarantadue mesi ed a tal fine possono cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società (Consiglio Stato , sez. V, 05 marzo 2010 , n. 1282). Ed appunto “in tale ottica che si giustifica, del resto, la previsione di cui al secondo comma del ricordato articolo 13, che impone a tali società strumentali un oggetto sociale esclusivo, con la precisazione che esso non deve essere inteso come divieto delle società multiutilities, ma come rafforzamento delle regola della esclusività (A.P. 3 marzo 2008, n. 1; C.d.S., sez. V, 7 luglio 2009, n. 4346; Consiglio Stato , sez. V, 05 marzo 2010 , n. 1282). Il divieto sancito dalla norma in questione rafforza la regola dell’esclusività evitando che dopo l’affidamento del servizio pubblico la società possa andare a fare altro. Esso rimarca la differenza tra concorrenza «per» il mercato e concorrenza «nel» mercato disvelando le sue plurime rationes essendi: tutela dell’imprenditoria privata e della leale concorrenza, repressione della greppia partitica e burocratica. Tale norma, attuando l’art. 41 Cost. in relazione ai principi comunitari sulla tutela della concorrenza, sul divieto di aiuti di Stato e sul principio di sussidiarietà, esprime un precetto di ordine pubblico economico che si impone inderogabilmente a tutte le stazioni appaltanti, tenute ad applicarlo quale che sia la fase del procedimento (valutazione dell’ammissibilità delle offerte, aggiudicazione provvisoria o definitiva, approvazione, stipula del contratto) (Consiglio di Stato, Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4080).

La ricostruzione giurisprudenziale sopraesposta, pienamente condivisa dal Collegio, è stata costantemente richiamata per risolvere le principali questioni interpretative ed applicative sollevate, che si incentrano sulla qualificazione della natura eccezionale o meno della disposizione rispetto al principio generale di libertà dell'iniziativa economica ex art. 41 Cost., e di conseguenza di stretta interpretazione, sull’applicazione anche alle società cd. di terzo grado (cioè a società partecipate da società che sono a loro volta costituite, partecipate o affidatarie di amministrazioni regionali e locali, escluso da Cons.Stato , sez. V, n. 1282/2010), nonché sulla possibilità di ricomprendere tra queste le cd. società multi utilities (con riferimento a “società a oggetto misto”, che svolgano attività di gestione di servizi pubblici assieme ad attività di fornitura di beni o prestazioni strumentali vedi T.A.R. Sardegna sez. I, 11 luglio 2008 , n. 1371, nonché T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 11 gennaio 2010 , n. 8, ove si rileva che, ragionando in senso contrario, “occorrerebbe ammettere che il divieto introdotto dal comma 1 dell'art. 13 sarebbe inapplicabile in tutte le ipotesi di società miste che nel loro oggetto sociale abbiano incluso sia servizi strumentali che servizi pubblici locali. In tale prospettiva, la semplice presenza di tale ultima attività renderebbe operante l'eccezione al divieto (di cui all'inciso "con esclusione dei servizi pubblici locali"). Ma questa appare una lettura inaccettabile poiché priva la disposizione in esame di qualsiasi significato normativo" nonché T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 09 dicembre 2009 , n. 2511, ove si precisa che l’oggetto esclusivo va riferito non alle attività svolte dalla Società ma al rapporto con l'Ente territoriale di riferimento, che non consente proiezioni extra ambito, altrimenti si perverrebbe ad un'interpretazione sostanzialmente abrogatrice della disposizione, in quanto sarebbe sufficiente contemplare nello Statuto un oggetto sociale plurimo per scongiurare la sua applicazione, in contrasto con la ratio della norma).

Per quanto riguarda la prima questione va condiviso l’orientamento maggioritario, che riconosce l’evidente natura derogatoria rispetto al principio di libera partecipazione alle gare ed al principio di neutralità della proprietà pubblica/privata delle imprese cui è improntato l’ordinamento comunitario, e quindi non ne consente l'interpretazione analogica e l'applicazione a casi diversi da quelli espressamente previsti (in tal senso, da ultimo, Consiglio Stato , sez. V, 05 marzo 2010 , n. 1282; cfr., contra, T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 09 dicembre 2009 , n. 2511, secondo cui la disposizione costituisce espressione dei principi di concorrenza e di trasparenza nonché quello di libertà di iniziativa economica, che risulterebbero minacciati dall’operare sul mercato di imprese la cui partecipazione pubblica comporta l'elusione del rischio d'impresa ).

Tale giurisprudenza, pertanto, ritiene che nell’ambito del predetto divieto rientrano le sole Società ad oggetto sociale esclusivo, restando al di fuori delle limitazioni imposte dall’art. 13 del DL in parola., le cd. società multiutilities, alla luce delle considerazioni svolte nella richiamata decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 3/3/2008 ("È sufficiente rilevare che l'oggetto sociale esclusivo non va inteso come divieto delle società così dette multiutilities , ma rafforza la regola dell'esclusività evitando che dopo l'affidamento la società possa andare a fare altro").

Al riguardo è stato evidenziato che l’imposizione di un oggetto sociale esclusivo “non può comunque tradursi in un obbligo di monoattività delle società strumentali. Diversamente, si costringerebbero le amministrazioni sub-statali a costituire una società per ciascuna delle attività strumentali. Naturalmente deve trattarsi sempre di attività tutte funzionali all’apparato amministrativo originatore e le società non devono comportarsi come attori del mercato nello svolgimento di una di queste attività”.

“L'enunciato dell'art. 13 rende evidente che la limitazione della legittimazione negoziale delle società strumentali si riferisce a qualsiasi prestazione a favore di soggetti terzi rispetto agli enti costituenti, partecipanti o affidanti, senza che a nulla rilevi la qualificazione di tali attività. La qualificazione differenziale tra attività strumentali e gestione di servizi pubblici deve essere invece riferita non all'oggetto della gara, bensì invece all'oggetto sociale delle imprese partecipanti ad essa. Il divieto di fornire prestazioni a enti terzi, infatti, colpisce le società pubbliche strumentali alle amministrazioni regionali o locali, che esercitano attività amministrativa in forma privatistica, non anche le società destinate a gestire servizi pubblici locali, che esercitano attività d'impresa di enti pubblici: esso è posto al fine di separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione (Consiglio Stato , sez. V, 22 marzo 2010 , n. 1651, richiamando parte della sent. Corte cost. n. 328 del 2008 citata).

In tale ottica è stato precisato che anche se le società strumentali esercitano attività di natura imprenditoriale “ciò che rileva è che siano state costituite per tutelare in via primaria l'interesse e la funzione pubblica dell'amministrazione di riferimento, per la cui soddisfazione è anche possibile che venga sacrificato l'interesse privato imprenditoriale” e che tale qualità non viene meno se alle attività di supporto all'amministrazione si aggiungano attività di creazione di opportunità occupazionali, che non avrebbero l’effetto di rimuovere il carattere di strumentalità ed accessorietà delle prestazioni connesse alle attività istituzionali dell’ente di riferimento (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 05 giugno 2007 , n. 5192) e che “ai fini dell'individuazione della categoria dei soggetti sottoposti al divieto, non può prescindersi dalla attività in concreto svolta dalle società costituite o partecipate da un ente regionale o locale. (T.A.R. Valle d'Aosta Aosta, sez. I, 23 aprile 2009 , n. 35).

Alla stregua di questi principi va verificato se la Società controinteressata presenti quei caratteri di strumentalità e funzionalità oppure se si caratterizzi per l'operare nel mercato in diretta concorrenza con le altre imprese pubbliche o private, con conseguente riconoscimento della medesima facoltà agire riconosciuta, in regime di parità di trattamento, a queste ultime, escludendo la possibilità di estendere la limitazione alla facoltà di partecipare alle gare pubbliche imposta dalla disposizione in esame.

Orbene non è dato ravvisare, nella società controinteressata, la sussistenza del descritto carattere, in considerazione dell'oggetto sociale della medesima e del prospetto sintetico delle attività svolte - che indica un’attività di natura imprenditoriale, diversificata sia per sua natura sia per clienti destinatari - nonché della partecipazione minoritaria degli enti territoriali interessati e della sostanziale mancanza di influenza sulle decisioni societarie.

Dallo Statuto della società risulta, infatti, che la controinteressata ha come oggetto sociale una serie di attività variate, quali : “la prestazione di servizi tecnici integrati per le imprese e per enti pubblici e privati, nei settori amministrativi , tecnologici, informatici e archivistici….(omissis)” ed opera in diverse sedi le diverse attività, come confermato dalla visura camerale e dal dossier Cerved prodotti in giudizio.

Dalla documentazione prodotta, la Multiservice non risulta essere stata costituita come società strumentale, non ha ad oggetto specifico ed esclusivo lo svolgimento di servizi strumentali agli enti pubblici da cui è partecipata, ma si rivolge ad operare sul mercato come imprenditore privato, con indubbia “vocazione commerciale”, anche al fine di occupare lavoratori specializzati provenienti da diversi settori produttivi investiti dalla crisi economica di fine secolo, come si evince dall’ampia portata geografica e materiale delle attività di tale società, che ha sedi a Roma, Latina, Massa ed Aosta, e svolge attività operativa in diversi settori, che vanno da servizi di varia natura, destinati a clienti pubblici e privati - di cui l’attività di verifica di impianti termici costituisce solo una parte dell’attività svolta, a favore di enti locali (2 comuni e 4 province) e del Centro Europeo di ricerca (Ispra di Varese) - alla formazione del personale, all’attività di controllo ambientale; sotto il profilo dei soggetti destinatari, inoltre, si rivolge non solo ad enti pubblici, ma anche a favore di soggetti privati. Né risulta che l’attività svolta a favore dell’ente locale genovese ne costituisca la parte principale, né prevalente, tanto da consentirle di sfruttare la derivante “rendita di posizione” per acquisire commesse ulteriori a danno degli altri operatori sul mercato.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, l’operato della Commissione aggiudicatrice che, facendo corretta applicazione dei principi sopra richiamati, nella seduta pubblica del 7/5/2010 ha respinto la richiesta di esclusione della Multiservice S.p.A., risulta immune dai vizi denunciati.

Con l’ultimo mezzo di gravame, infine, la ricorrente lamenta l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione che, nella procedura di verifica dell’anomalia dell’offerta di cui all’art.87 e 88 del D.Lgs. n.163/2006, ha ingiustificatamente ritenuto congrua l’offerta presentata dalla controinteressata, nonostante la assoluta genericità delle giustificazioni addotte in merito alla “disponibilità della sede e delle attrezzature, dei programmi di gestione del catasto impianti, delle autovetture, della possibilità di ottimizzare le risorse in ragione della presenza in organico di personale qualificato” e la mancata indicazione dell’incidenza sull’offerta complessiva delle specifiche voci di costo considerate.

La censura non merita condivisione.

Va innanzitutto ricordato che, per quanto concerne l’onere di motivazione incombente sulla stazione appaltante, sulla sufficienza ed adeguatezza delle giustificazioni rese in sede di verifica dell’anomalia del’offerta l’orientamento giurisprudenziale si è ormai consolidato nel senso che “il giudizio di congruità dell’offerta non deve essere analiticamente motivato, dal momento che le giustificazioni presentate dall'offerente possono costituire per relationem la motivazione del provvedimento (ex plurimis T.A.R. Lazio Roma, sez.III, sent. 6/2/2008 n.1026; T.A.R. Lombardia - Milano, sez.I sent. 17/4/2007 n.1774; CdS sez.IV sent.11/4/2007 n.1658), essendo piuttosto una simile articolata motivazione richiesta, al contrario, nel caso in cui la PA ritenga l’offerta affetta da anomalia (in tal senso, CdS sez.V sent.23/8/2006 n.4949; T.A.R. Sardegna Cagliari, sez.I sent.12/1/2007 n. 23; T.A.R. Puglia Lecce, sez.II sent.7/11/2007 n.3740).

Orbene, nella fattispecie, la valutazione di congruità operata dalla stazione appaltante in merito all’affidabilità dell’offerta della contro interessata - nei limiti di palese illogicità ed incongruità in cui questa è sindacabile in questa sede - risulta immune dalle censure dedotte, in quanto non s’è limitata ad una presa d’atto delle favorevoli condizioni indicate dall’interessata, ma ha effettuato una adeguata considerazione delle specifiche circostanze in cui versa la Multiservice – che opera da lungo tempo nello specifico settore ed ha già svolto il servizio di verifica di impianti termici per la Provincia di Roma nel biennio 2006-2008, e quivi dispone di una sede già operativa e attrezzata, ove peraltro svolge servizi di diversa tipologia, e può contare su pregressi accordi vantaggiosi con i fornitori di beni e servizi- che consentono l’impiego di risorse già disponibili, abbattendo le spese iniziali e contenendo quelle di conduzione nel successivo svolgimento dell’attività.

Alla luce di tali elementi, la Provincia, nel confrontare l’offerta presentata dalla Multiservice – che per l’espletamento dell’attività di verifica nel biennio 2010-2012 ha presentato un’offerta pari a di € 3.298.680,00 (di cui 98.960,40 per oneri di sicurezza), maggiore rispetto al costo massimo complessivo indicato nella stima complessiva dei costi formulata dagli uffici interni dell’amministrazione, ammontante a circa €.1.533.000,00 per ogni anno di attività, per un totale di circa € 3.066.000,00 per il biennio 2010-2012 (prodotta in allegato n. 8 alla memoria provinciale) – ha tenuto conto che detta stima, nell’impossibilità di determinare preventivamente la cifra di alcune voci (per es. numero di utenti che risultano assenti o negano l’accesso, numero di impianti che risultano inesistenti, numero di raccomandate per solleciti di pagamento, numero di autodichiarazioni da informatizzare pervenute, numero di telefonate pervenute al numero verde, ecc.), era stata formulata in base ad una valutazione prognostica, fondata sui dati statistici ottenuti dalle attività di verifica effettuate nel periodo 2006-2010.

L’Amministrazione provinciale ha perciò ammesso la possibilità di notevole riduzione della spesa teorica complessiva stimata, relativamente ad alcune voci di costo suscettibili di riduzione per effetto di nuove disposizioni del capitolato (quali il previsto aumento da 10 a 45 giorni del preavviso di verifica finalizzato a diminuire i casi di assenza dell’utente attualmente attestato sul 14%), nonché che alcune voci risultano sovrastimate (in considerazione dell’aumento delle verifiche su generatori aggiuntivi rilevati nell’attività di implementazione del catasto che si intende incrementale, attualmente ammontanti 220,5/anno, ipotizzando un numero di generatori aggiuntivi di circa 1000/anno). Ugualmente sovrastimato è stato valutato il costo per l’informatizzazione delle auto-dichiarazioni che è formulato ipotizzando un ingente incremento delle autodichiarazioni attese (65.000/anno) rispetto a quelle rese nel biennio 2008-2010 (40.000/anno), senza tener conto della diminuzione del numero di auto-dichiarazioni per effetto del passaggio delle competenze al Comune per le verifiche degli impianti siti nel Comune di Ladispoli, che nel frattempo ha superato i 40.000 abitanti.

Alla luce degli elementi sopraesposti e della natura prognostica del metodo di stima dei costi nonchè della necessità di riformulazione dovuta a significative variazioni sopravvenute - quali il passaggio di competenze dell’attività di verifica relativamente ad alcuni Comuni della Provincia, calcolati cautelativamente per eccesso, al fine di consentire alla ditta aggiudicatrice di realizzare, con opportune strategie organizzative, ampi margini di risparmio pur mantenendo elevati standard qualitativi, e di coprire, con tale importo, anche buona parte delle spese di gestione e di utile di impresa - e degli elementi indicati come fattori di riduzione di costi generali e specifici forniti dalla contro interessata, le valutazioni di congruità dell’offerta effettuate dalla stazione appaltante risultano immuni dalle censure dedotte.

D’altronde le soprarichiamate considerazioni non hanno costituito oggetto di rilievo da parte della ricorrente, la quale si è limitata a ribadire le doglianze poste a fondamento del gravame introduttivo, limitandosi ad insistente nel denunciare la genericità e la inadeguatezza delle giustificazioni addotte dall’aggiudicataria e la superficialità giudizio di “congruità” assiomaticamente formulato, senza spingersi ad evidenziarne in modo concreto l’inconsistenza, non specificando sotto quali profili debbano ritenersi inattendibili gli elementi in questione e per quali ragioni le voci indicate debbano ritenersi insufficienti a coprire i costi indicati.

Anche quest’ultimo profilo di censura va perciò disatteso.

Ne consegue la reiezione del gravame, in quanto complessivamente infondato, con conseguente rigetto dell’istanza risarcitoria, nonché la dichiarazione di improcedibilità, per carenza di interesse, del ricorso incidentale proposto dalla controinteressata, di cui può pertanto prescindersi l’esame.

Quanto alle spese di giudizio, queste seguono, come di norma la soccombenza, tenendo conto, peraltro, del comportamento processuale della ricorrente, la quale ha omesso di effettuare la comunicazione di cui all’art.243 bis comma 5 del D.Lgs. n.163/2006, e sono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)

il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio-Roma-sezione seconda quater

respinge il ricorso principale;

respinge l’istanza risarcitoria;

dichiara improcedibile il ricorso incidentale.

Condanna la ricorrente principale a rifondere alle resistenti le spese di giudizio, liquidate nella misura complessiva di Euro 5.000,00 più IVA e CPA, di cui 2.500 a favore dell’Amministrazione e 2.500 a favore della controinteressata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Angelo Scafuri, Presidente

Umberto Realfonzo, Consigliere

Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore

  

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

  

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/10/2010

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