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Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, 5/11/2010 n. 982
Sul mantenimento da parte di un Comune della partecipazione in una società mista in perdita.

Sulla ricapitalizzazione del capitale sociale di una società partecipata.

Nell'ambito delle iniziative legislative dirette a contenere il fenomeno della proliferazione di società pubbliche o miste, ritenuto responsabile dell'incremento della spesa pubblica degli enti locali, il d.l. n.78/2010 all'art. 14, c. 32, introduce un divieto assoluto di costituzione o partecipazione societaria per i Comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti. Nel caso di specie, riguardante la possibilità da parte di un Comune, alla luce della vigente normativa, di mantenere la partecipazione in una società mista in perdita, la scelta dell'ente locale non può prescindere dalla valutazione dell'operato dell'organo di gestione della società e dei risultati negativi per tutti i dieci anni successivi alla costituzione, in assenza di attività, tenendo, inoltre, in considerazione per assumere la decisione in merito alla questione, che:
- la stessa impossibilità di realizzare lo scopo sociale previsto dallo statuto è di per sé causa di scioglimento della società;
- l'esame dello scopo sociale riferito nel quesito evidenzia che la società non gestisce un servizio pubblico locale;
- la situazione in cui versa la società non giustifica il mantenimento nella stessa della partecipazione comunale, anche in relazione alle perdite perduranti a vent'anni dalla sua costituzione ;
Siffatte osservazioni si pongono nella direzione di tutelare l'efficacia dell'attività e dei servizi resi attraverso il veicolo societario, nel senso di controllarne sia la strumentalità al soddisfacimento di concreti interessi della comunità locale, sia l'economicità complessiva relativamente all'assetto organizzativo dell'ente partecipante, evitando dispersione di pubbliche risorse e casi eventuali di sviamento di potere.

Il significato del termine "ricapitalizzazione" è diverso da quello attribuibile all'espressione "ripiano delle perdite". Mentre ripianare le perdite indica qualsiasi modalità utile per colmare un disavanzo di gestione, cui può provvedersi con contrazione di mutui, con assunzione di prestiti obbligazionari, con riduzione di costi e così via, il verbo ricapitalizzare identifica l'azione di ricostituire il capitale originariamente deliberato dai soci per la costituzione della società. Ciò si rende necessario allorché, per fatti connessi alla gestione e a seguito del conseguimento di perdite, il patrimonio sociale si attesta al di sotto del capitale minimo normativamente necessario.
Nel caso di specie, trova applicazione l'art.2482-ter cod. civ., che sotto la rubrica "Riduzione del capitale al di sotto del limite legale" recita: "Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo stabilito dal num. 4) dell'art. 2463, gli amministratori devono senza indugio convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo. E' fatta salva la possibilità di deliberare la trasformazione della società", con i conseguenti oneri in capo ai soci.
In proposito, si richiamano le possibili conseguenze in termini di responsabilità già evidenziate dalla giurisprudenza della Corte dei conti in occasione di gestioni in perdita di società partecipate da enti locali che richiedano interventi da parte dei soci pubblici.
Pertanto, prima di assumere la decisione il Consiglio comunale deve valutare accuratamente le ragioni delle costanti perdite societarie e, soprattutto, accertare se esistano le condizioni per ripianare il passivo e renderla realmente operativa.

Materia: società / partecipazione pubblica

REPUBBLICA ITALIANA

 

CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA

LOMBARDIA

 

composta dai Magistrati:

dott. Nicola Mastropasqua                                        Presidente

dott. Antonio Caruso                                    Consigliere

dott. Angelo Ferraro                                      Consigliere

dott. Giancarlo Astegiano                                         Primo Referendario

dott. Gianluca Braghò                                               Referendario

dott. Massimo Valero                                    Referendario (relatore)

dott. Alessandro Napoli                                            Referendario

dott.ssa Laura De Rentiis                                          Referendario

 

nella camera di consiglio del 26 ottobre 2010

 

Visto il Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

Vista la Legge 21 marzo 1953, n. 161;

Vista la Legge 14 gennaio 1994, n. 20;

Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, e s.m.i.;

Visto il Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

Vista la Legge 5 giugno 2003, n. 131;

Vista nota n. 6491 del 23 settembre 2010, con la quale il Sindaco del Comune di Valdidentro (SO) ha chiesto un parere in materia di contabilità pubblica;

Vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3 novembre 2004, con la quale la Sezione ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri previsti dall’articolo 7, comma 8, della Legge n. 131 del 2003;

Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per la camera di consiglio del 26 ottobre 2010, per deliberare sulla richiesta proveniente dal Sindaco del Comune di Valdidentro (SO);

Udito il relatore, dott. Massimo Valero

 

PREMESSA

Con la nota indicata in epigrafe il Sindaco del Comune di Valdidentro (SO), ha formulato alla Sezione una richiesta di parere sulla questione di seguito esposta.

Il Comune ha una partecipazione di minoranza (0,43% del capitale sociale) in una società a r.l. costituita il 13.04.1990. Gli altri soci sono un Comune limitrofo ed una Comunità montana di cui il Comune di Valdidentro è socio (che complessivamente detengono il 47,97% del capitale sociale) nonché due soci privati che detengono il 51,6% del capitale sociale.

Nel quesito è specificato che l’oggetto sociale della S.r.l. è “la realizzazione, la ristrutturazione e la gestione di impianti idroelettrici e/o, più in generale, lo sfruttamento e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili nell’ambito della Comunità montana Alta Valtellina e zone limitrofe (…)” con possibilità di “compiere inoltre tutte le operazioni commerciali, industriali, finanziarie, mobiliari ed immobiliari, che saranno ritenute necessarie od utili per il conseguimento dello scopo sociale, nonché assumere, sia direttamente che indirettamente, interessenze e partecipazioni in altre società, enti od imprese aventi oggetto analogo, affine o comunque connesso al proprio. La società potrà altresì assumere mutui attivi e passivi, anche ipotecari, costituire pegni ed ipoteche, rilasciare fideiussioni e avalli e prestare garanzie reali e personali in genere, anche a favore di terzi, soci o non soci”.

Detta società, per ragioni diverse, è tuttora in stato di inattività e fin dalla sua costituzione presenta bilanci costantemente in perdita. Il bilancio al 31.12.2009 chiude con perdite di importo notevolmente superiore al capitale sociale, che deve pertanto essere azzerato. L’Assemblea deve ancora procedere agli adempimenti di competenza.

Al Comune e agli altri enti locali soci è richiesto di partecipare alle operazioni di ricostituzione del capitale sociale al minimo stabilito dalla legge.

Si chiede, pertanto, se, alla luce della vigente normativa, tale partecipazione sociale possa essere mantenuta dal Comune e, in caso positivo, se il Comune possa partecipare alle operazioni di ricostituzione al minimo del capitale sociale, con contestuale ripiano delle perdite della società.

 

IN VIA PRELIMINARE

 

Il primo punto da esaminare concerne la verifica in ordine alla circostanza se la richiesta rientri nell’ambito delle funzioni attribuite alle Sezioni regionali della Corte dei conti dall’art. 7, comma 8, della Legge 6 giugno 2003, n. 131, norma in forza della quale Regioni, Province e Comuni possono chiedere a dette Sezioni pareri in materia di contabilità pubblica nonché ulteriori forme di collaborazione, ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.

In proposito, questa Sezione ha precisato in più occasioni che la funzione di cui al comma 8, dell’art. 7 della Legge n. 131/2003 si connota come facoltà conferita agli amministratori di Regioni, Comuni e Province di avvalersi di un organo neutrale e professionalmente qualificato per acquisire elementi necessari ad assicurare la legalità della loro attività amministrativa.

I pareri e le altre forme di collaborazione s’inseriscono nei procedimenti amministrativi degli enti territoriali consentendo, nelle tematiche in relazione alle quali la collaborazione viene esercitata, scelte adeguate e ponderate nello svolgimento dei poteri che appartengono agli amministratori pubblici, restando peraltro esclusa qualsiasi forma di cogestione o coamministrazione con l’organo di controllo esterno (per tutte Sez. controllo Lombardia 11 febbraio 2009, n. 36).

Con specifico riferimento all’ambito di legittimazione soggettiva ed oggettiva degli enti in relazione all'attivazione di queste particolari forme di collaborazione, è ormai consolidato l'orientamento che vede, nel caso del Comune, il Sindaco o, nel caso di atti di normazione, il Consiglio comunale quale organo che può  proporre la richiesta.

Inoltre, si è ritenuto che la mancata costituzione del Consiglio delle Autonomie Locali della Lombardia (disciplinato con Legge regionale n. 22 del 23 ottobre 2009 ma non ancora costituito) non rappresenti elemento ostativo all’ammissibilità della richiesta, poiché l’art. 7, comma ottavo, della legge n. 131/2003 usa la locuzione “di norma”, non precludendo, quindi, in linea di principio, la richiesta diretta da parte degli enti.

In relazione al profilo oggettivo, limiti vanno stabiliti solo in negativo. In proposito deve essere posto in luce che la nozione di “contabilità pubblica” deve essere intesa nell’ampia accezione che emerge anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di giurisdizione della Corte dei conti ed investe così tutte le ipotesi di spendita di denaro pubblico, oltre che tutte le materie di bilanci pubblici, di procedimenti di entrata e di spesa, di contrattualistica, che tradizionalmente e pacificamente rientrano nella nozione. D’altro canto la norma in discussione non fissa alcun limite alle richieste di altre forme di collaborazione.

Nel caso di specie, peraltro, una specifica attribuzione di competenza alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti proviene dall’art. 3, comma 28, della Legge n.244/2007 e s.m.i., il quale dispone che l’assunzione di nuove partecipazioni societarie e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall’organo competente dell’Ente locale con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di legge e che tale delibera sia trasmessa alla sezione competente della Corte dei conti.

Alla previsione legislativa di tale nuova forma di controllo intestata alla Magistratura contabile, pertanto, non può non corrispondere la possibilità che l’assunzione delle determinazioni in merito da parte del Comune, seppur rimesse alla discrezionalità dell’Ente stesso, sia assistita, in funzione collaborativa e nell’ambito della generale portata del disposto di cui all’art.7, comma 8 della Legge n.131/2003, da espressione di parere in ordine alla corretta applicazione dei principi e della normativa in tale materia.

In senso ostativo alla resa dei pareri, senza peraltro voler esaurire la casistica, va posta in luce l’inammissibilità di richieste che interferiscano con altre funzioni intestate alla Corte ed in particolare con l’attività giurisdizionale, che si risolvano in scelte gestionali di esclusiva competenza degli amministratori degli enti, che attengano a giudizi in corso, che riguardino attività già svolte, dal momento che i pareri sono propedeutici all’esercizio dei poteri intestati agli amministratori e dirigenti degli enti e non possono essere utilizzati per asseverare o contestare provvedimenti già adottati.

La richiesta di parere in esame risponde ai requisiti indicati sopra e pertanto è da ritenere ammissibile e può essere esaminata nel merito.

 

NEL MERITO

 

Occorre innanzitutto premettere che questa Sezione può esprimersi in questa sede unicamente richiamando i principi che vengono in considerazione nella fattispecie prospettata, ai quali gli organi dell’Ente, al fine di assumere le determinazioni di loro competenza, nell’ambito della loro discrezionalità, possono riferirsi.

In particolare, si ripercorrono, di seguito, i principi più volte enunciati da questa Sezione nella materia di esternalizzazioni e di gestione delle società partecipate, già affrontata con carattere di sistematicità e completezza nelle deliberazioni n. 10/2008 n. 270/2008 e nel parere n. 23 del 3 aprile dello stesso anno. Nelle citate delibere, in particolare, sono delineati i principi e i limiti derivanti dalla scelta organizzativa rimessa ai competenti organi dell’Amministrazione comunale di dare corso alla costituzione di società di capitali o al mantenimento di quote di partecipazione in strutture societarie di diritto civile, alla luce del quadro normativo nazionale e comunitario di riferimento.

La possibilità di ricorrere allo strumento societario è per legge correlato ai fini dell’ente pubblico e deve essere circoscritto al soddisfacimento di effettive esigenze istituzionali dell’ente medesimo, anche allo scopo di evitare che lo schema societario venga utilizzato impropriamente per eludere le normative pubblicistiche in tema di controlli sulla finanza pubblica ed in materia di Patto di stabilità interno nonché di arginare l’abuso di forme privatistiche da parte di talune amministrazioni pubbliche, presenti sovente in settori estranei alla loro missione istituzionale.

L’effetto ultimo dei ripetuti interventi normativi in materia è quello di tutelare gli equilibri della pubblica finanza, contenendo i costi delle società costituite o partecipate da alcuni enti pubblici, tra cui i Comuni (Sez. Reg. Contr. Veneto, parere n.5 del 15 gennaio 2009).

Particolarmente restrittivi sono, poi, i limiti posti dall’art. 3, commi 27 e ss., della legge n. 244/2007 che fa divieto alle amministrazioni pubbliche di costituire società e di assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni anche di minoranza in società, aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi, non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, salvo costituire o assumere partecipazioni in società che producono servizi di interesse generale.

La giurisprudenza amministrativa aveva già sostenuto che l’ente locale, per erogare un pubblico servizio in forma societaria, dovesse procedere ad una accurata analisi costi-benefici, considerando le differenze di qualità e di efficienza del servizio reso da un’azienda pubblica locale o da una concessionaria nonché l’opportunità di costituire o di partecipare a società con i privati, ove fosse necessario l’apporto di determinate capacità tecnico-amministrative e di risorse finanziarie (Cons. Stato n.130 del 1 febbraio 1985); con la necessità di motivare adeguatamente – come ora previsto espressamente dalla legge finanziaria per il 2008 – nella deliberazione di avvio della procedura di costituzione o di partecipazione in società, la scelta adottata in alternativa alle altre possibili modalità di gestione dei servizi pubblici, individuando puntualmente sia le esigenze di pubblico interesse, sia la convenienza economica (Cons. Stato n. 374 del 12 marzo 1990).

Invero, la categoria dei servizi generali contrapposta all’attività di produzione non strettamente necessaria al perseguimento dei fini dell’ente pubblico sembra lasciare ampi margini di discrezionalità alla pubblica amministrazione.

Al riguardo, richiamando la giurisprudenza comunitaria, la Corte dei Conti ha chiarito (Sez. reg. cont. Veneto, parere n. 5 del 15 gennaio 2009; Sez. reg. contr. Lombardia n.548/2009/PAR) che rientrano nella categoria dei servizi di interesse economico generale i servizi offerti dalle grandi industrie di rete (energia, servizi postali, trasporti e telecomunicazioni) nonché la sanità, l’istruzione ed i servizi sociali, nonché qualsiasi altra attività economica soggetta ad obblighi di servizio pubblico. Tali servizi devono rilevare nell’ambito dei livelli istituzionali di competenza dei soggetti partecipanti e partecipati ed avere un impatto immediato sulla collettività locale.

La valutazione in ordine all’attività sviluppabile dalla società partecipata deve essere risultato di un processo complesso, nel quale, seguendo il consolidato orientamento delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, l’ente procede ad una valutazione attenta dei costi e dei benefici dell’affidamento del servizio alla società, valutazione in termini di efficienza, efficacia ed economicità della gestione in un’ottica di lungo periodo, nonché la ricaduta sui cittadini e sulle responsabilità dell’amministrazione medesima (Sez. reg. contr. Lombardia n.187/2009/PAR)

E’ scontato che tutte queste valutazioni, prodromiche rispetto alla decisione che il Consiglio comunale è chiamato ad assumere ai sensi dell’art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000, dovrebbero emergere attraverso una seria e puntuale motivazione (Sez. reg. contr. Veneto parere citato).

Va rilevato come nell’ambito delle iniziative legislative dirette a contenere il fenomeno della proliferazione di società pubbliche o miste, ritenuto responsabile dell’incremento della spesa pubblica degli enti locali, il recentissimo decreto legge n.78/2010 all’art. 14, comma 32, introduce un divieto assoluto di costituzione o partecipazione societaria per i Comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti.

Inoltre, il mantenimento della partecipazione societaria dovrebbe essere sorretto dalla stretta necessità rispetto alle finalità istituzionali dell’Ente, che, nel caso di specie, non emerge dall’oggetto sociale riportato nel quesito. Peraltro, è evidente che la scelta del Comune non può prescindere dalla valutazione dell’operato dell’organo di gestione della società (sul quale non emerge dal quesito in quali termini il Comune, socio di minoranza, abbia poteri di indirizzo e controllo) e dei risultati negativi per tutti i dieci anni successivi alla costituzione, in assenza di attività.

In proposito corre obbligo segnalare alcuni aspetti che il Comune deve tenere in considerazione per assumere le decisioni in merito alla questione in esame ed in particolare che:

- la stessa impossibilità di realizzare lo scopo sociale previsto dallo statuto è di per sé causa di scioglimento della società;

- l’esame dello scopo sociale riferito nel quesito evidenzia che la società non gestisce un servizio pubblico locale;

- la situazione in cui versa la società non giustifica il mantenimento nella stessa della partecipazione comunale, anche in relazione alle perdite perduranti a vent’anni dalla sua costituzione  ;

Queste obiezioni si pongono nella direzione di tutelare l’efficacia dell’attività e dei servizi resi attraverso il veicolo societario, nel senso di controllarne sia la strumentalità al soddisfacimento di concreti interessi della comunità locale, sia l’economicità complessiva relativamente all’assetto organizzativo dell’ente partecipante, evitando dispersione di pubbliche risorse e casi eventuali di sviamento di potere.

Infine, per quanto attiene all’ultima parte del quesito, in disparte ogni valutazione sul mantenimento della partecipazione sociale, rimessa all’esclusiva determinazione del Comune richiedente il parere, è opportuno sottolineare che il significato del termine “ricapitalizzazione” è diverso da quello attribuibile all’espressione “ripiano delle perdite”. Mentre ripianare le perdite indica qualsiasi modalità utile per colmare un disavanzo di gestione, cui può provvedersi con contrazione di mutui, con assunzione di prestiti obbligazionari, con riduzione di costi e così via, il verbo ricapitalizzare identifica l’azione di ricostituire il capitale originariamente deliberato dai soci per la costituzione della società. Ciò si rende necessario allorché, per fatti connessi alla gestione e a seguito del conseguimento di perdite, il patrimonio sociale si attesta al di sotto del capitale minimo normativamente necessario (Sez. contr. Liguria, parere n.2/2005).

Nella situazione descritta nel quesito trova applicazione l’art.2482-ter cod. civ., che sotto la rubrica “Riduzione del capitale al di sotto del limite legale” recita: “Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo stabilito dal numero 4) dell'articolo 2463, gli amministratori devono senza indugio convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo. E' fatta salva la possibilità di deliberare la trasformazione della società”, con i conseguenti oneri in capo ai soci.

In proposito, si richiamano le possibili conseguenze in termini di responsabilità già evidenziate dalla giurisprudenza della Corte dei conti in occasione di gestioni in perdita di società partecipate da enti locali che richiedano interventi da parte dei soci pubblici.

In particolare, tali conseguenze possono derivare allorché l'assoluta carenza di progetti e l'inesistenza di qualsiasi piano gestionale, rendano improvvida la ricapitalizzazione, in contrasto con i più elementari principi di efficacia ed efficienza della spesa.

Pur volendo tenere in disparte valutazioni sull’opportunità, nella fattispecie, di partecipare ad una società mista pubblico-privata in relazione allo scopo che l’ente pubblico intende perseguire, non si può non evidenziare che certamente contraddice i canoni di buona amministrazione la decisione di mantenere tale partecipazione in vita, una volta emersa la sua inidoneità funzionale.

Come sopra accennato, valutazioni errate di simili situazioni sono state già portate al vaglio del Giudice contabile (vd. Sez. Giur. Marche, Sentenza n.492/05 del 12/07/2005) che ha censurato il comportamento di amministratori i quali, consapevoli del fallimento gestorio della Società iniziale e pur prevedendo anche quello della Società ricapitalizzata, addivennero alla decisione di ricapitalizzare per fini affatto diversi da quelli riconducibili alla buona amministrazione (nella specie scrutinata in sentenza, al solo scopo di non perdere un finanziamento comunitario già ricevuto), causando un danno determinato esclusivamente per effetto dell'operazione di ricapitalizzazione della Società.

A tale proposito non può esservi dubbio che prima di assumere la decisione il Consiglio comunale debba valutare accuratamente le ragioni delle costanti perdite societarie e, soprattutto, accertare se esistano le condizioni per ripianare il passivo e renderla realmente operativa.

 

P.Q.M.

nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione.

 

Il Relatore                                                                      Il Presidente

 (dott. Massimo Valero)                                              (dott. Nicola Mastropasqua)

 

Depositata in Segreteria

il 5 novembre 2010

 

Il Direttore della Segreteria

(dott.ssa Daniela Parisini)

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