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Consiglio di Stato, Sez. V, 1/4/2011 n. 2012
L'attività di smaltimento dei fanghi provenienti dalla depurazione delle acque non ha natura di servizio pubblico locale e non resta assoggettata al relativo regime dettato dall'art. 23 bis del d.l. n. 112 del 2008, convertito in l. n. 133 del 2008.

L'attività di smaltimento dei fanghi provenienti dalla depurazione delle acque non ha natura di servizio pubblico locale e non resta assoggettata al relativo regime dettato dall'art. 23 bis del d.l. n. 112 del 2008, convertito in l. n. 133 del 2008, ed alle preclusioni ivi previste. L'art. 184, co.3, lett. g) del d. lgs. n. 152 del 2006, stabilisce espressamente che lo smaltimento dei fanghi risultanti dal complessivo processo di trattamento effettuato nell'impianto di depurazione, resta soggetto alla disciplina propria dei rifiuti speciali, con ciò stesso escludendosi la natura di servizio pubblico locale che è invece attribuita al servizio di smaltimento dei rifiuti urbani.

Materia: ambiente / rifiuti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6033 del 2010, proposto dall’Impresa Sangalli Giancarlo & C. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di mandataria del raggruppamento temporaneo con Zanetti Arturo e C. S.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Boifava e Claudio De Portu, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via G. Mercalli, 13;

 

contro

Metropolitana Milanese S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Ferrari, Guido Greco, Luigi Manzi e Manuela Muscardini, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

 

nei confronti di

AMSA Azienda Milanese Servizi Ambientali S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Caia e Luca Raffaello Perfetti, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Chiomenti in Roma, via XXIV Maggio, 43;

sul ricorso numero di registro generale 7386 del 2010, proposto da AMSA Azienda Milanese Servizi Ambientali S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Caia e Luca Raffaello Perfetti, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Chiomenti in Roma, via XXIV Maggio, 43;

 

contro

dall’Impresa Sangalli Giancarlo & C. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di mandataria del raggruppamento temporaneo con Zanetti Arturo e C. S.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Boifava e Claudio De Portu, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via G. Mercalli, 13;

 

nei confronti di

Metropolitana Milanese S.p.A., non costituita;

 

per la riforma

della sentenza del TAR Lombardia – Milano - Sezione I, n. 1845/2010, resa tra le parti, concernente AFFIDAMENTO SERVIZIO SMALTIMENTO RIFIUTI.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Metropolitana Milanese S.p.A., di AMSA - Azienda Milanese Servizi Ambientali S.p.A. e dell’Impresa Sangalli Giancarlo & C. S.r.l. nella qualità di cui in epigrafe;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2011 il Consigliere Doris Durante e uditi per le parti gli avvocati Boifava, De Portu, Manzi e Perfetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Metropolitana Milanese s.p.a. (d’ora innanzi Metropolitana), con bando pubblicato in data 27 luglio 2009, indiceva una procedura aperta, da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso anche in presenza di una sola offerta valida, avente ad oggetto il <<servizio di prelievo, trasporto, trattamento e/o smaltimento dei rifiuti prodotti dall’impianto di depurazione delle acque reflue di Milano Nosedo>>.

1.1. Il valore dell’appalto era di euro 6.178.188,00 i.v.a. esclusa, di cui euro 1.388,00 per oneri di sicurezza da rapportarsi ad una durata fissata in 730 giorni naturali consecutivi decorrenti dal verbale di consegna.

1.2. All’incanto, svoltosi il 24 settembre 2009, presentavano offerta l’impresa Sangalli Giancarlo & C. s.r.l. (d’ora innanzi Sangalli) in raggruppamento temporaneo con Zanetti Arturo e C. s.r.l. e AMSA s.p.a. (d’ora innanzi Amsa) che risultava aggiudicataria con il ribasso del 15,501%, inferiore a quello del 10,65% offerto dalla Sangalli.

2. La Sangalli - che già in sede di celebrazione della gara aveva chiesto l’esclusione, ai sensi dell’art. 23 bis, co. 9, d.l. n. 112 del 2008, convertito in l. n. 133 del 2008, dell’Amsa perché affidataria diretta, tra l’altro, dei servizi di igiene urbana del Comune di Milano – impugnava l’aggiudicazione davanti al TAR Lombardia, Milano, deducendone l’illegittimità per violazione, sotto diversi profili, del menzionato art. 23 bis, co. 9, dell’art. 113, co. 6, d.lgs. n. 267 del 2000; dei principi informanti le procedure ad evidenza pubblica (libertà di stabilimento, libertà di concorrenza, libera prestazione dei servizi e parità di trattamento), nonché per sviamento dalla causa tipica, travisamento, irrazionalità ed ingiustizia grave e manifesta.

3. L’Amsa resisteva in giudizio e proponeva ricorso incidentale volto a censurare la partecipazione alla procedura concorsuale della ricorrente Sangalli per aver presentato un’offerta difforme dalle prescrizioni della lex di gara (il bando di gara, tra l’altro e per quanto qui interessa, all’art. 8, prevedeva che <<I concorrenti, ai fini dell’ammissione alla gara, dovranno produrre…i) dichiarazione, da parte del titolare o del gestore di impianto di trattamento/smaltimento dei rifiuti, di disponibilità a ritirare complessivamente le quantità massime di rifiuti sopra indicate e previste al punto 3 …nel periodo di vigenza dell’appalto e autorizzazione, in corso di validità, attestante la capacità dell’impianto a ricevere rifiuti>>. Prescrizione, questa, ribadita dall’art. 10 del capitolato d’oneri che stabiliva <<Nel caso in cui gli impianti dei quali si è fornita in sede di gara la dichiarazione da parte del titolare o gestore a ritirare i rifiuti non siano la destinazione finale dei rifiuti stessi, dovrà essere prodotto… dichiarazione di impegno da parte del titolare o gestore dell’impianto di recupero/smaltimento finale; - indicazione del codice di recupero/smaltimento finale (R1 – R10 o D1 – D12); - copia dell’autorizzazione dell’impianto finale…>>.

4. Con sentenza n. 1845 del 16 giugno 2010, il TAR di Milano:

a) accoglieva il ricorso incidentale di Amsa, sul presupposto che l’art. 10 del capitolato speciale d’appalto, riferendosi <<specificamente anche ai codici R1 – R10, D1 – D10, evidenzia inequivocabilmente anche l’essenzialità dell’autorizzazione dell’impianto di smaltimento finale dei rifiuti>>;

b) ritenuto di dover scrutinare anche il merito del ricorso principale in considerazione dell’orientamento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 11 del 2008, accoglieva il primo motivo del ricorso principale, con assorbimento dei restanti motivi, qualificando la partecipazione di Amsa come violativa del co. 9 dell’art. 23 bis cit., con conseguente obbligo dell’amministrazione di ripetere integralmente l’iter procedimentale;

c) compensava le spese di giudizio.

5. Con atto di appello notificato il 29 giugno 2010 (iscritto al n.r.g. 6033/2010), la Sangalli impugnava la su indicata sentenza, della quale chiedeva la riforma nella parte in cui ha accolto il ricorso incidentale di AMSA, deducendo:

a) error in iudicando;

b) travisante interpretazione della lex di gara e del rapporto tra lex specialis ed assetto negoziale dei contrapposti interessi;

c) violazione dei principi di interpretazione in buona fede delle previsioni della lex specialis e del favor partecipationis;

d) assenza di un’espressa e puntuale clausola di esclusione;

e) violazione e falsa applicazione dell’art. 183, d. lgs. n. 152 del 2006 e degli allegati B) e C) al medesimo decreto, in quanto il bando non richiederebbe a pena di esclusione la produzione delle autorizzazioni allo smaltimento finale dei rifiuti, onere che graverebbe, invece sull’aggiudicataria, come previsto dall’art. 10 del c.s.a.

Chiedeva, in conclusione, che in accoglimento dell’appello, fosse riformata la sentenza appellata con reiezione del ricorso incidentale di primo grado proposto da Amsa.

6. La società Metropolitana si è costituita in giudizio proponendo, a sua volta, appello incidentale autonomo per la riforma della medesima sentenza nella parte in cui ha accolto l’originario ricorso di primo grado proposto da Sangalli sebbene fosse stata riconosciuta l’illegittimità della mancata esclusione di quest’ultima dalla procedura.

6.1. Metropolitana ha evidenziato che Amsa aveva partecipato all’affidamento dell’appalto in qualità di precedente gestore del medesimo servizio e che, come rappresentato nel giudizio di primo grado, non sussistevano a danno di Amsa le preclusioni previste dall’art. 23 bis in quanto:

a) oggetto dell’affidamento non sarebbe un servizio pubblico locale bensì un appalto di servizi;

b) comunque Amsa sarebbe ricompresa nelle ipotesi di esenzione previste dal medesimo art. 23 bis, co. 9, secondo periodo (concernente le società quotate nei mercati regolamentati) e terzo periodo (relativo ai precedenti gestori del medesimo servizio);

c) sarebbero inapplicabili ad Amsa le preclusioni stabilite dall’art. 13, d.l. n. 223 del 2006.

6.2. Deduceva, in conseguenza, i seguenti motivi:

a) erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto di scrutinare anche il merito del ricorso principale e violazione dell’art. 112 c.p.c., non sussistendo alcuna domanda o censura volta ad ottenere l’annullamento dell’intera gara;

b) erroneità della sentenza per aver ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 23 bis;

c) erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto esistente per Amsa la deroga al divieto prevista per i soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali di cui al co. 9, terzo periodo dell’art. 23 bis;

d) erroneità della sentenza, nella parte in cui non ha ritenuto esistente per Amsa la deroga al divieto prevista per le società quotate nei mercati regolamentati.

7. Si costituiva in giudizio Amsa che controdeduceva alle censure della Sangalli.

8. Con separato ricorso in appello rubricato al n.r.g. 7386/2010, Amsa impugnava la medesima sentenza n. 1845 chiedendone la riforma nella parte in cui ha statuito che Amsa dovesse essere esclusa dalla gara, deducendo:

a) error in iudicando per violazione e falsa applicazione dell’art. 23 bis, per non aver applicato l’esenzione per le società quotate in borsa;

b) violazione e falsa applicazione del divieto di partecipazione alle gare di cui all’art. 23 bis, non avendo la gara ad oggetto un servizio pubblico locale;

c) violazione dell’art. 23 bis, per non aver applicato l’esenzione prevista per i gestori uscenti;

d) la necessità della disapplicazione dei divieti di cui all’art. 23 bis per contrarietà con i principi comunitari;

e) in subordine, sollevava questione di illegittimità costituzionale dell’art. 23 bis per violazione degli artt. 3, 10 e 41 della Costituzione.

9. Si costituiva in giudizio l’impresa Sangalli concludendo per l’infondatezza del gravame in fatto e diritto.

10. Le parti depositavano memorie difensive e di replica e, alla pubblica udienza del 21 gennaio 2011, le cause venivano assegnate in decisione.

 

DIRITTO

11. Gli appelli in esame, in quanto proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti ai sensi dell’art. 70 c.p.a..

12. Il Collegio ritiene logicamente prioritario l’esame dell’appello principale interposto da Amsa (rubricato al n. 7386/2010) e di quello incidentale di Metropolitana articolato nel giudizio proposto da Sangalli (rubricato al n. 6033/2010).

13. Sia l’appellante Amsa che l’appellante incidentale Metropolitana hanno impugnato il capo della sentenza del TAR Lombardia che, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, ha deciso che Amsa dovesse essere esclusa dalla gara bandita da Metropolitana.

Secondo il giudice di prime cure, il più volte menzionato art. 23 bis, co. 9 (che nel settore dei servizi pubblici locali pone il divieto di partecipazione alle gare alle aziende titolari di affidamenti diretti), sarebbe applicabile alla gara qui in questione in danno di Amsa, affidataria diretta di servizi pubblici locali di igiene ambientale, tra l’altro nel Comune di Milano. Amsa, secondo il TAR Lombardia, non verserebbe nemmeno nella condizione di beneficiare dell’esenzione all’applicazione del divieto prevista in favore delle società quotate nei mercati regolamentati, né di quella accordata in favore del gestore uscente per la partecipazione alla prima gara successiva alla scadenza di un proprio precedente affidamento. Né rileverebbe il fatto che la gara di Metropolitana avesse ad oggetto l’affidamento per il tramite di un contratto di appalto e non di una concessione, in quanto lo smaltimento ed il trasporto dei rifiuti si configurerebbero sempre e comunque come <<servizio pubblico, poiché le prestazioni richieste al privato appaltatore sono rivolte non a vantaggio dell’amministrazione, ma riguardano in modo generalizzato le collettività locali rappresentate dai comuni>>.

14. Le argomentazioni del TAR Lombardia non sono condivisibili.

In particolare è erroneo l’assunto di base sul quale si fonda la sentenza impugnata, ovvero che sia applicabile l’art. 23 bis con tutto il suo carico di divieti e deroghe.

Invero, il servizio oggetto della gara (prelievo, trasporto e trattamento dei reflui di depurazione), non è qualificabile, nel caso di specie, quale servizio pubblico locale e conseguentemente, non resta soggetto alla disciplina dettata dall’art. 23 bis, ma costituisce attività rimessa alle libere dinamiche di mercato.

Tale convincimento trova ragione sia nella normativa dettata in tema di smaltimento di fanghi provenienti dagli impianti di depurazione, sia nella nozione comunemente accolta da dottrina e giurisprudenza di affidamento di servizio pubblico locale in contrapposizione all’appalto di servizi.

14.1. Sotto il primo aspetto, giova evidenziare che la definizione di servizio idrico integrato contenuta nel d. lgs. n. 152 del 2006 non contempla tra le attività di pubblico servizio lo smaltimento dei fanghi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque.

La definizione di servizio idrico integrato contenuta nel d.lgs. n. 152 del 2006 comprende le attività di captazione, adduzione, distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, restando fuori l’attività che si risolve nella gestione (smaltimento) dei rifiuti risultanti da lavorazioni industriali.

Sulla scorta di tale presupposto, l’art. 184, co.3, lett. g) del d. lgs. n. 152 del 2006, stabilisce espressamente che lo smaltimento dei fanghi risultanti dal complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione, resta soggetto alla disciplina propria dei rifiuti speciali, con ciò stesso escludendosi la natura di servizio pubblico locale che è invece attribuita al servizio di smaltimento dei rifiuti urbani.

14.2. Quanto al secondo aspetto, e partendo dalla nozione comunemente accolta da dottrina e giurisprudenza del servizio pubblico locale (in contrapposizione a quella di appalto di servizi), va osservato che essa accorda tale natura a quelle attività che sono destinate a rendere un’utilità immediatamente percepibile ai singoli o all’utenza complessivamente considerata, che ne sopporta i costi direttamente, mediante pagamento di apposita tariffa, all’interno di un rapporto trilaterale, con assunzione del rischio di impresa a carico del gestore (cfr., fra le tante, Corte di giustizia CE, sez. III, 15 ottobre 2009, C-196/08, Acoset; Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2009, n. 13892; Cons. St., sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6049).

Si postula in sostanza quale requisito essenziale della nozione di servizio pubblico locale che il singolo o la collettività abbiano a ricevere un vantaggio diretto e non mediato da un certo servizio, escludendosi, di conseguenza, che ricorre sevizio pubblico a fronte di prestazioni strumentali a far sì che un’amministrazione direttamente o indirettamente, possa poi provvedere ad erogare una determinata attività. In quest’ultimo caso si parla, infatti, di mero appalto di servizi e non di servizio pubblico locale.

Nel caso, l’attività di smaltimento dei fanghi derivanti dalla depurazione delle acque si configura come attività strumentale in favore di Metropolitana affinché questa provveda direttamente all’erogazione del servizio idrico integrato.

E’ dunque indubbio che l’attività di smaltimento dei fanghi provenienti dalla depurazione delle acque non ha natura di servizio pubblico locale e non resta assoggettata al relativo regime dettato dall’art. 23 bis ed alle preclusioni ivi previste.

L’ambito di operatività dell’art. 23 bis riguarda, infatti, l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, nell’intento di garantire, da una parte, la più ampia diffusione dei principi di concorrenza e, dall’altra, un’adeguata tutela degli utenti, sicché non trova applicazione laddove il servizio dedotto in contratto non sia qualificabile come servizio pubblico locale.

In tale contesto, la natura di appalto del contratto oggetto di gara non può che costituire riprova del carattere solo bilaterale del rapporto così regolato e dell’assenza di qualsivoglia beneficio diretto in favore dell’utenza.

Come già detto, l’attività qui in questione di prelievo, trasporto e trattamento dei reflui di depurazione, è qualificabile come attività strumentale a favore dell’appaltante Metropolitana e il rapporto si instaura esclusivamente tra amministrazione appaltante e appaltatore dei servizi senza in alcun modo coinvolgere la collettività, tant’è che la remunerazione è interamente a carico dell’amministrazione e non grava sugli utenti; ugualmente il rischio per la gestione del servizio è assunto dalla stazione appaltante e non si riflette sull’appaltatore che è remunerato a prestazione da parte di Metropolitana.

Conferma degli assunti fin qui esposti si trae anche dal recente regolamento in materia di servizi pubblici locali (d.p.r. 7 settembre 2010, n. 168, inapplicabile ratione temporis), emanato a norma dell’art. 23 bis cit., il quale all’art. 1 circoscrive il proprio ambito di applicazione limitandolo ai servizi pubblici locali, escludendo, a mente del comma 3, lett. e) <<i servizi strumentali all’attività e al funzionamento degli enti affidanti>>.

14.3. Né ha alcun pregio il riferimento operato dalla difesa dell’impresa Sangallo ai principi affermati dalla Corte Costituzionale (con la recente sentenza n. 325 del 17 novembre 2010), o ai principi comunitari.

In disparte l’estraneità della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010 alla presente controversia, atteso che si riferisce alle società in house, è, comunque, irrilevante, nel peculiare caso di specie, quanto in essa affermato circa il contenuto omologo tra <<servizio pubblico locale di rilevanza economica>> e <<servizio di interesse economico generale>> (espressione utilizzata in ambito comunitario) ove limitato all’ambito locale.

Infatti, la definizione comunitaria di <<servizio di interesse economico generale>>, contenuta nel Libro Verde sui servizi di interesse generale presentato dalla Commissione Europea in data 21 maggio 2003, a cui fa riferimento la sentenza citata riguarda <<in particolare alcuni servizi forniti dalle grandi industrie di rete quali i trasporti, i servizi postali, l’energia e la comunicazione>>, tant’è che il Libro Verde, al paragrafo 2.3, punto 4.4) si riferisce alla fornitura di prestazioni considerate necessarie (dirette a realizzare anche “fini sociali”) nei confronti di una indifferenziata generalità di cittadini, a prescindere dalle loro particolari condizioni.

Il medesimo Libro Verde precisa poi che <<il termine si estende a qualsiasi altra attività economica>> che sia in ogni caso <<soggetta ad obblighi di servizio pubblico>>, intendendo per tali quegli obblighi che l’impresa che gestisce il servizio, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non assumerebbe e che riguardano nello specifico <<il servizio universale, la continuità, la qualità del servizio, l’accessibilità delle tariffe, la tutela degli utenti e dei consumatori>>.

In altri termini si ha servizio pubblico generale ove sussistano i caratteri che il servizio sia volto a soddisfare direttamente bisogni della collettività e sia direttamente fruibile da parte dei cittadini; che il rischio per la gestione del servizio sia assunto dal gestore e non sia a carico dell’amministrazione; che la remunerazione avvenga tramite tariffazione e gravi sugli utenti; che il rapporto sia trilaterale tra amministrazione – appaltatore o concessionario e utenti.

Fermo tanto, non può condividersi, da un lato, l’interpretazione data dal giudice di prime cure che fa discendere, comunque, la preclusione a danno di Amsa dalla sola circostanza che essa sia affidataria diretta di servizi pubblici locali, in quanto affidataria del servizio di igiene ambientale nel Comune di Milano; dall’altro, la difesa della Sangalli quando afferma che <<anche e nella misura in cui il servizio dedotto in gravame non fosse qualificabile alla stregua di un servizio pubblico locale bensì come appalto di servizi>>, nulla muterebbe rispetto al divieto per Amsa di svolgere lo stesso e ciò per espressa previsione legislativa (<<né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici…né partecipando a gare>>).

Tale interpretazione estensiva della norma si pone in contrasto con tutto l’impianto normativo dell’art. 23 bis e con la ratio stessa della norma.

Come detto l’art. 23 bis, al primo comma stabilisce che le disposizioni del suddetto articolo <<disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica>>, sicché ne è esclusa l’applicazione agli appalti di servizi ed alle altre attività strumentali all’attività dell’ente.

Ciò trova conferma nella costante giurisprudenza che ha chiarito che solo in presenza di servizi pubblici locali si può applicare la speciale disciplina sancita prima dall’art. 113 e successivamente dall’art. 23 bis che lo ha di fatto sostituito.

15. Fermo, dunque, che il rapporto giuridico in contestazione riveste la forma e la sostanza dell’appalto di servizi, non è applicabile ad Amsa nemmeno la normativa dettata dall’art. 13, d.l. 4 luglio 2006, n. 223 conv. nella l. 4 agosto 2006, n. 248 (c.d. decreto Bersani), secondo il quale le società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di servizi strumentali alle attività da esse svolte, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o affidanti e non possono svolgere prestazioni (lavori, servizi, forniture) a favore di altri soggetti pubblici o privati, né partecipare ad altre società o enti.

Tale disposizione ha carattere eccezionale e deve, quindi, essere interpretata in stretta aderenza al suo dato letterale e senza possibilità alcuna di applicazione oltre i casi in essa previsti (Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 2010, n. 1651; 7 luglio 2009, n. 4346; sez. VI, 16 gennaio 2009, n. 215).

Nel solco della chiara giurisprudenza citata, è evidente che tale norma non può applicarsi ad Amsa in quanto:

a) Amsa non vede nel proprio capitale sociale alcun ente pubblico, essendo totalmente partecipata da A2A, soggetto quotato in borsa in cui sono presenti, anche con percentuali rilevanti, molti soci privati, sicché essa è una realtà imprenditoriale di dimensione nazionale;

b) nello statuto di Amsa non è indicata alcuna attività strumentale da prestarsi in favore di un ente pubblico specifico, né rileva in contrario la circostanza che nell’oggetto sociale essa oltre alla erogazione di servizi pubblici abbia anche attività diverse dal servizio pubblico.

Invero, come precisato nella citata sentenza n. 1651 del 2010, l’enunciato dell’art. 13 cit., rende evidente che la qualificazione differenziale tra attività strumentale e gestione dei servizi pubblici deve essere riferita non all’oggetto della gara, bensì all’oggetto sociale delle imprese partecipanti ad essa.

Il divieto di fornire prestazioni a enti terzi, infatti:

a) colpisce le società pubbliche strumentali alle amministrazioni regionali o locali, che esercitano attività amministrativa in forma privatistica;

b) non si riferisce alle società destinate a gestire servizi pubblici locali che esercitano attività d’impresa di enti pubblici;

c) ha lo scopo di separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto che svolge attività amministrativa in forma privatisitica eserciti allo stesso tempo attività d’impresa, beneficiando dei privilegi dei quali possa godere in quanto pubblica amministrazione.

Amsa, in conclusione, è società statutariamente deputata ad operare nel mercato e non già in favore di alcun ente pubblico specificatamente individuato, conseguentemente non è ad essa applicabile il divieto di partecipazione di cui all’art. 13 cit. che riguarda le sole società costituite o partecipate dalle amministrazioni locali per la produzione di servizi strumentali alla loro attività e, quindi, in funzione e a supporto della stessa.

16. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni è giocoforza accogliere l’appello principale di Amsa e quello incidentale di Metropolitana, con riforma in parte qua della sentenza impugnata e assorbimento di ogni altra questione.

17. La reiezione del ricorso di primo grado dell’impresa Sangalli rende improcedibile, per sopravenuta carenza di interesse, l’appello principale dalla medesima proposto, non potendo trarre alcuna utilità da un’eventuale decisione favorevole di merito circa la sua esclusione dalla gara, rimanendo impregiudicata l’aggiudicazione in favore di Amsa.

18. La condanna alle spese del doppio grado di giudizio segue la soccombenza in favore di ciascuna parte costituita, nell’importo indicato in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, meglio specificati in epigrafe:

a) accoglie l'appello principale di AMSA s.p.a. e l’appello incidentale di Metropoliana Milanese s.p.a. e, per l'effetto, in riforma parziale della sentenza impugnata, respinge il ricorso in primo grado dell’Impresa Sangalli Giancarlo & C. s.r.l.;

b) dichiara improcedibile l’appello principale dell’Impresa Sangalli Giancarlo & C. s.r.l.

c) condanna l’Impresa Sangalli Giancarlo & C. s.r.l. al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio che liquida in complessivi euro 10.000,00 in favore di AMSA s.p.a. e in euro 10.000,00 in favore di Metropolitana Milanese s.p.a., oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Eugenio Mele, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Doris Durante, Consigliere, Estensore

Nicola Gaviano, Consigliere

   

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 01/04/2011

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