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Consiglio di Stato, Sez. VI, 29/4/2011 n. 2543
Sulla rimessione all'Adunanza Plenaria della questione sull'applicabilità del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, codice dei contratti pubblici, agli appalti indetti da società pubbliche che operano nell'ambito dei settori speciali.

La questione della applicabilità del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, codice dei contratti pubblici, alla procedura selettiva espletata da EniServizi s.p.a., in nome e per conto di Eni s.p.a., per l'affidamento dei servizi di sicurezza e vigilanza privata a mezzo di guardie particolari giurate presenta due possibili ed opposte soluzioni.
La prima soluzione conduce a ritenere applicabile alla fattispecie il Codice dei contratti pubblici. Secondo tale approccio interpretativo, l'impresa pubblica, in quanto ente sottoposto all'influenza dominante di un'amministrazione aggiudicatrice, non può mai dirsi sottratta dalla osservanza delle regole minimali dell'evidenza pubblica di diritto interno, cui soggiacciono d'altra parte financo gli enti ecclesiastici che fruiscano di finanziamenti pubblici (in tema, Cons. Stato, VI, 4 giugno 2004, n. 3478). In tal caso, non vi sarebbero dubbi circa la necessaria attrazione delle controversie nell'alveo cognitorio del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133 Cod. proc. amm..
La seconda soluzione non ritiene applicabile alla fattispecie il Codice dei contratti pubblici per la ragione che si tratta dell'affidamento di un contratto di diritto comune svolto da una impresa pubblica che, quanto all'attività in questione (non-strumentale a quella propria di un settore speciale), è estranea a quelli oggetto del Codice stesso.
Secondo tale soluzione le imprese pubbliche, a differenza delle amministrazioni aggiudicatrici, sono soggetti aggiudicatori solo laddove e nella misura in cui svolgono attività nei settori speciali.
Tenuto conto della situazione di possibile divergenza interpretativa, la suddetta questione deve essere rimessa all'esame all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Materia: appalti / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

 

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 496 del 2010, proposto dalla società EniServizi s.p.a., in persona del presidente e legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Fabio Cintioli, con domicilio eletto presso lo studio legale Bonelli- Erede- Pappalardo in Roma, via Salaria, 259;

 

contro

Ivri - Istituti di Vigilanza Riuniti s.p.a., Security Service s.r.l., in persona dei rispettivi rappresentanti legali, non costituiti in grado di appello;

sul ricorso numero di registro generale 500 del 2010, proposto dalla società Eni s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Fabio Cintioli, con domicilio eletto presso lo studio legale Bonelli Erede Pappalardo in Roma, via Salaria, 259;

 

contro

Ivri - Istituti di Vigilanza Riuniti s.p.a., Security Service s.r.l., in persona dei rispettivi rappresentanti legali, non costituiti in grado di appello;

 

per la riforma, per entrambi i ricorsi, della sentenza breve del T.a.r. Lombardia - Milano: Sezione I n. 04801/2009, resa tra le parti, concernente RICHIESTA D'OFFERTA PER L'ASSEGNAZIONE DI UN CONTRATTO QUADRO AVENTE OGGETTO SERVIZI DI SICUREZZA E VIGILANZA PRIVATA

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 marzo 2011 il Consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e udito per le parti l’avv. Fabio Cintioli;

 

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

1. Con distinti ricorsi, di simile contenuto, le società ENI s.p.a. ed EniServizi s.p.a. hanno impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, I, 15 ottobre 2009, n. 4801, resa in forma semplificata, che ha accolto il ricorso della IVRI - Istituti di Vigilanza Riuniti - s.p.a. per l’annullamento degli atti della procedura selettiva espletata da EniServizi s.p.a. (in nome e per conto di Eni s.p.a.) per l’affidamento dei servizi di sicurezza e vigilanza privata, a mezzo di guardie particolari giurate, presso i complessi immobiliari ENI di San Donato Milanese.

 

2. Hanno preso parte alla selezione tre soltanto delle nove imprese invitate. All’esito del procedimento di valutazione delle offerte la gara è stata aggiudicata, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, a Security service s.r.l.. La IVRI s.p.a. – qui ricorrente in primo grado - è risultata seconda graduata.

3. Nella lettera di invito (rectius, richiesta di offerta), la stazione appaltante aveva precisato che “la normativa di riferimento per la presente gara è costituita dal d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 e successive modificazioni e integrazioni, e in particolare dall’art. 20 del suddetto decreto”.

 

4. La lex specialis non conteneva alcuna indicazione circa la tempistica delle fasi di gara, né specificava le date in cui si sarebbe proceduto all’apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica. Le operazioni di gara, compresa l’apertura dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica, venivano svolte in concreto in sedute riservate; in data 17 luglio 2009 la stazione appaltante comunicava alla seconda graduata IVRI s.p.a. l’intervenuta aggiudicazione ad altri dell’appalto, senza ulteriori precisazioni in ordine all’identità dell’aggiudicatario.

 

5. Il ricorso di primo grado proposto dalla seconda graduata IVRI s.p.a. era affidato ai seguenti motivi: a) violazione del principio di pubblicità delle sedute, essendosi svolte in seduta riservata tutte le operazioni del seggio di gara (comprese quelle dedicate all’apertura dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica); b) violazione dell’art. 79 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 sotto il profilo della incompletezza dell’informazione fornita dalla stazione appaltante alla società IVRI s.p.a. riguardo all’esito della gara, non essendo stato indicato il nominativo del soggetto aggiudicatario ma soltanto, genericamente, l’intervenuta aggiudicazione in favore di altro soggetto partecipante. La ricorrente chiedeva altresì il risarcimento del danno subito.

 

6. Nel costituirsi nel giudizio di primo grado, ENI s.p.a. ha eccepito, preliminarmente, l’inesistenza di un nesso di strumentalità fra i servizi di vigilanza ed il servizio di erogazione del gas, costituente il core business della sua attività di impresa; da ciò discendeva che l’attività oggetto di affidamento non era riconducibile alla disciplina dei settori speciali e, pertanto, non soggetta alla disciplina di evidenza pubblica e che, in definitiva, risultava estranea alla giurisdizione amministrativa. In ogni caso ha contestato, richiamando il tenore letterale dell’art. 20 d.l.gs. n. 163 del 2006, la tesi fondata sulla necessità di assoggettare le operazioni concorsuali alla regola della pubblicità delle sedute di gara.

 

7.La Security service s.r.l., aggiudicataria del servizio, anch’essa costituita nel giudizio di primo grado, ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione della disciplina di gara. Nel merito, ha anch’essa sostenuto la non necessità del ricorso alle forme dell’evidenza pubblica, stante la riconducibilità del servizio appaltato all’ambito applicativo dell’art. 20 citato, il quale, dell’intera disciplina codicistica, richiama espressamente soltanto gli articoli inerenti le specifiche tecniche (art. 68), nonché gli oneri di informazione in favore della Commissione UE sui risultati della procedura di affidamento (art.65) e sugli avvisi degli appalti aggiudicati (art. 225 ). Con memoria successiva ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

 

8. Con la qui appellata sentenza, il Tribunale amministrativo regionale ha accolto il ricorso (escludendo tuttavia la sussistenza di un danno risarcibile, in ragione della rapidità dell’intervento rettificatore giudiziale) sulla base dei seguenti rilievi:

 

- i servizi oggetto di affidamento, comportando prestazioni idonee ad incidere su efficienza e continuità del servizio di erogazione del gas, non possono che considerarsi strumentali all’attività svolta dal soggetto appaltante, con conseguente attrazione della procedura di affidamento nella sfera di applicazione della disciplina normativa relativa ai settori speciali;

 

- la riconducibilità delle attività appaltate ai settori speciali e la non contestata natura di ente aggiudicatore di Eni s.p.a., determina l’assoggettamento della procedura di affidamento da quest’ultima indetta alla disciplina dell’evidenza pubblica;

 

- è pacificamente riconosciuto in giurisprudenza che la riconducibilità del servizio appaltato all’allegato II B del Codice dei contratti pubblici non esonera gli enti aggiudicatori dall’applicazione dei principi generali in materia di affidamenti pubblici desumibili dalla normativa comunitaria e nazionale e, in particolare, per quanto qui rileva, del principio di pubblicità, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.;

 

- il rispetto di questo principio impone la necessaria pubblicità delle sedute di gara dedicate alla apertura dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica, trattandosi di fasi concorsuali in cui non ricorre alcuna esigenza di riservatezza;

 

- la violazione del principio di pubblicità in cui è incorsa parte resistente integra un profilo di illegittimità tale da travolgere l’intera procedura di gara.

 

Ne è conseguito l’accoglimento del ricorso e l’annullamento di tutti gli atti di gara.

 

9. Con gli appelli qui in esame si deduce, in via principale, che:

 

- il servizio di vigilanza in oggetto non è strumentale agli scopi perseguiti dalla stazione appaltante, di tal che a tale servizio non è applicabile, ai sensi dell’art. 217 del Codice dei contratti pubblici, la disciplina codicistica dedicata ai contratti nei settori speciali (Parte III). Per conseguenza, non si applicano al servizio oggetto di gara la disciplina della prima parte del Codice e i principi dalla stessa desumibili (in primis, il controverso principio di pubblicità delle sedute di gara), nonché l’art. 79 (disposizioni espressamente richiamate, per i settori speciali, dall’art. 206);

 

- i servizi di vigilanza appaltati con la gara oggetto di causa (riguardanti la sicurezza dei compendi immobiliari di San Donato Milanese) sono pacificamente estranei agli scopi delle attività perseguite da Eni s.p.a., che consistono nell’estrazione di gas e petrolio, nella vendita e produzione di gas, nella raffinazione del greggio ed in attività correlate;

 

- peraltro, le società che operano nei settori speciali non sono, a rigore, né Eni s.p.a. né EniServizi s.p.a. (che non svolgono le attività previste dagli artt. 208 e 212), ma le società operative del gruppo, cui vanno imputate anche le attività strumentali (in particolare: Enipower s.p.a., attiva nel settore della generazione di energia elettrica; Snam Rete Gas s.p.a., che svolge attività di trasporto e dispacciamento di gas naturale; GNL Italia s.p.a., che gestisce lo stabilimento di rigassificazione di gas naturale liquefatto (GNL) di Panigaglia; Stogit s.p.a., che si occupa della fase dello stoccaggio del gas naturale; Saipem s.p.a., che opera nel settore della costruzione, installazione e manutenzione di impianti di estrazione di petrolio);

 

- argomenti contrari alla tesi dell’estraneità dei servizi appaltati rispetto alle attività della stazione appaltante (e dell’intero gruppo di imprese alla stessa facente capo) non potrebbero d’altra parte trarsi dalla decisione del Consiglio di Stato, VI, 9 ottobre 2009, n. 6201 nella parte in cui la stessa ha ritenuto, ai fini dell’applicabilità della normativa propria dei settori speciali, la natura strumentale del servizio di sicurezza appaltato da Trenitalia s.p.a. (dato che in quel caso il servizio di vigilanza rientra, in via immediata e diretta, nell’alveo oggettuale del servizio di trasporto ferroviario, la sicurezza dei traffici essendo un connotato essenziale dell’attività del vettore ferroviario). Ma altrettanto non può dirsi con riguardo all’appalto in esame, attesa l’estraneità di tale servizio rispetto all’attività principale dell’impresa pubblica appaltante; e ciò vieppiù considerando, aggiungono le appellanti, che nella giurisprudenza anche recente del giudice comunitario (Corte di giustizia del 10 aprile 2008, in causa C- 393/06) sono costanti le affermazioni secondo cui : a) le disposizioni della direttiva n. 2004/17/CE sui settori speciali vanno interpretate ed applicate restrittivamente; b) ai settori speciali non possono essere applicate regole giuridiche proprie dei settori ordinari ;

 

- è vero che la stazione appaltante con il richiamo, nella lettera di invito, al d.lgs. n. 163 del 2006 si è autovincolata al rispetto di tale ultimo paradigma normativo (che però non era tenuta ad applicare): infatti, ha osservato tutti gli accorgimenti finalizzati ad una gestione trasparente della gara (nomina di un comitato tecnico per la valutazione delle offerte, contraddittorio con le imprese partecipanti, adozione del criterio della offerta economicamente più vantaggiosa etc.), ma ciò non significa che la stessa era tenuta all’osservanza del principio della pubblicità nelle sedute di gara ovvero all’onere di informazione di cui all’art. 79 del Codice;

 

- le imprese pubbliche, a differenza delle amministrazioni aggiudicatrici, sono soggetti aggiudicatori solo laddove e nella misura in cui svolgono le attività d’istituto affidate alle loro cure, di tal che, nel caso in esame, Eni s.p.a. ed EniServizi s.p.a. non sono enti aggiudicatori ai sensi della disciplina codicistica (peraltro, tale qualifica soggettiva sarebbe al più predicabile, con la limitazione oggettuale di cui si è detto, in capo alle società strumentali del gruppo);

 

- il concetto di strumentalità non può assimilarsi a quello di semplice utilità per la persona giuridica, altrimenti si finirebbe per attrarre alla disciplina dei settori speciali qualsiasi tipo di gara che sia utile per l’impresa pubblica (cioè in definitiva ogni tipo di gara dalla stessa indetta).

 

10. In via subordinata, le società appellanti hanno dedotto:

 

- a tutto concedere sulla (contestata) possibilità di applicare alla gara in oggetto la prima parte del Codice dei contratti pubblici, in ogni caso dovrebbe essere preso in considerazione soltanto l’art. 20 d.lgs. 163 del 2006, che circoscrive a tre soli articoli del Codice stesso (artt. 68,65 e 225) la disciplina normativa applicabile ai servizi di cui all’all. II B (tra i quali rientra il servizio di sicurezza, oggetto di gara);

 

- ogni altra interpretazione estensiva riguardo alla disciplina applicabile ad un servizio “escluso” sarebbe in violazione del disposto del richiamato art. 20 e dell’art. 32 della direttiva 2004/17/CE;

 

- d’altra parte il principio della pubblicità delle sedute di gara, proprio dei settori ordinari (e poi esteso dalla giurisprudenza nazionale – in particolare, Cons. Stato, VI, 22 aprile 2008, n. 1856 - anche ai settori speciali) non rientra tra i principi di trasparenza enucleati dalla Commissione europea nella importante comunicazione del 1 agosto 2006 (2006/ C79/02) relativa al “diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive appalti pubblici”,

 

- anche l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1) ha affermato che l’aggiudicazione degli appalti aventi ad oggetto i servizi elencati nell’allegato II B è disciplinata esclusivamente dagli art. 68 (specifiche tecniche), 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento) e 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati) e che tali servizi sono in definitiva sottratti, per il resto, alla disciplina del Codice;

 

- con la ricordata decisione Cons. Stato, VI, 22 aprile 2008 n. 1856, il Consiglio di Stato, richiamando una precedente decisione, non ha escluso che la pubblicità delle sedute, pur coessenziale al principio di pubblicità procedimentale, possa tuttavia mancare nelle procedure negoziate, caratterizzate da snellezza ed elasticità di forme, di tal che ciò deve ritenersi vieppiù ammissibile con riguardo alla gara in oggetto, consistita in un confronto competitivo neppure assimilabile alla procedura negoziata strettamente intesa.

 

11. Da tanto le appellanti hanno tratto le ulteriori conseguenze secondo cui:

 

- alla inapplicabilità della disciplina dei settori speciali all’appalto in oggetto consegue la carenza di giurisdizione del giudice amministrativo nella materia, posto che Eni s.p.a. non era tenuta ad indire una gara ad evidenza pubblica (circostanza che invece l’art. 244 del Codice dei contratti pubblici – nella versione vigente all’epoca dei fatti - considera essenziale ai fini della giurisdizione amministrativa);

 

- le imprese pubbliche che operano nell’ambito dei settori speciali sono assoggettate a vincoli di evidenza pubblica solo se indicono appalti inerenti a tali settori, altrimenti l’appalto è di natura privata e le relative controversie vanno portate all’attenzione del giudice ordinario;

 

- la giurisdizione amministrativa sussiste solo ove le stazioni appaltanti sono tenute all’osservanza della normativa comunitaria o nazionale sull’evidenza pubblica e non anche quando vi si assoggettano volontariamente, senza esservi tenute (Cons. Stato, V, 18 novembre 2004, n. 7554; Cass., SS.UU., 20 novembre 2003, n. 17635).

 

12. Da ultimo, in via ancor più subordinata, le appellanti prospettano la necessità di un rinvio interpretativo pregiudiziale alla Corte di giustizia sulle seguenti questioni: a) se l’art. 20 della direttiva 2004/17/Ce (disposizione che ha generato l’art. 217 del Codice dei contratti pubblici) possa essere interpretato nel senso di considerare appalti indetti allo scopo dello svolgimento delle attività previste dagli artt. 3 e 7 anche appalti di vigilanza non direttamente strumentali all’esercizio di tali attività; b) se l’art. 32 della direttiva 2004/17/CE possa essere interpretato nel senso di assoggettare sempre e necessariamente – senza alcun margine di apprezzamento discrezionale per la stazione appaltante - le procedure di gara per l’affidamento dei servizi all’obbligo di apertura in pubblico delle buste appalti indetti da imprese pubbliche esclusi dalla applicazione della stessa direttiva 2004/17/CE.

 

13. Nessuna delle parti intimate si è costituita in questo grado di giudizio.

 

14 La causa è stata trattenuta per la decisione all’udienza pubblica dell’1 marzo 2011.

 

15. Gli appelli vanno riuniti perché rivolti contro la medesima sentenza.

 

Ciò posto, la Sezione, esaminata la questione pregiudiziale circa la giurisdizione e rilevato che potrebbe dar luogo a contrasti giurisprudenziali, ritiene di rimetterla all’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato a norma dell’art. 99 Cod. proc. amm..

La soluzione della questione si incentra sulla natura giuridica di ENI s.p.a. e della sua ENIServizi s.p.a., e sull’applicabilità, o sui termini dell’applicabilità, all’appalto per cui è causa del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163.

La questione pare presentare due possibili ed opposte soluzioni, che vengono qui di seguito esposte.

 

I

 

16. La prima soluzione conduce a ritenere applicabile alla fattispecie il Codice dei contratti pubblici e in tali termini comporta il rigetto dell’eccezione di difetto di giurisdizione ribadita dalle appellanti.

In questa prospettiva, anzitutto, va considerato l’ambito applicativo dell’art. 217 (appalti aggiudicati per fini diversi dall’esercizio di un’attività di cui ai settori del Capo I o per l’esercizio di una di dette attività in un Paese terzo) del Codice, sotto lo specifico profilo dell’individuazione dei parametri cui avere riguardo per individuare “gli appalti che gli enti aggiudicatori aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività di cui agli articoli da 208 a 213”. La questione rileva ai fini dell’applicazione o meno alla fattispecie in esame della Parte III del Codice, afferente i settori esclusi.

Nel caso in oggetto, infatti, in cui viene in gioco il servizio di vigilanza per la messa in sicurezza degli immobili di San Donato Milanese della Eni s.p.a., occorre preliminarmente acclarare se tale servizio può dirsi non estraneo alle attività svolte ordinariamente dalla società appaltante e, per tal guisa, determinare l’attrazione dell’affidamento dell’appalto nella disciplina propria dei settori speciali, in relazione ai quali, per via del richiamo espresso contenuto nell’art. 206, trova applicazione anche la Parte I del Codice (nell’ambito della quale – art. 2, comma 3 – si rinviene il rinvio alle disposizioni sulla legge generale del procedimento amministrativo).

Nella prospettazione delle appellanti non sussistere alcun nesso, neppure di strumentalità mediata (come invece sostenuto nella distinta fattispecie di cui alla decisione del Consiglio di Stato, VI, 9 ottobre 2009, n. 6201, resa sul caso Trenitalia s.p.a.) tra la sicurezza degli uffici milanesi dell’ENI s.p.a. e l’attività propria del medesimo gruppo societario (e cioè l’estrazione e la commercializzazione del petrolio o del gas). Secondo tale assunto, si dovrebbe essere fuori, quindi, dal campo applicativo della Parte III del Codice dei contratti pubblici relativa ai settori speciali, con la conseguenza che la stazione appaltante sarebbe comunque libera di fissare autonomamente le regole di gara, non essendo soggetta all’evidenza pubblica comunitaria o alle regole del procedimento amministrativo, e quindi neppure all’onere dell’apertura delle buste in seduta pubblica. L’ulteriore corollario è che difetterebbe la giurisdizione amministrativa, secondo il condiviso approccio per cui la stessa è predicabile soltanto a fronte di un obbligo applicativo delle regole dell’evidenza pubblica (alla luce di quanto previsto dall’art. 244 del Codice dei contratti pubblici, oggi dall’art. 133 Cod. proc. amm.) e non anche di un assoggettamento volontaristico (e quindi non dovuto) alle stesse da parte della stazione appaltante.

 

17 Va qui osservato che l’adesione, sul punto, alla tesi delle appellanti circa la non strumentalità del servizio appaltato rispetto all’attività svolta da Eni s.p.a. nei settori speciali non esaurisce però le problematiche in ordine all’osservanza del principio di pubblicità procedimentale e del suo corollario – la cui ritenuta violazione ha determinato l’annullamento giurisdizionale della gara - inerente l’apertura in seduta pubblica dei plichi. In altri termini, appare dubbio che, una volta ritenuta inapplicabile la disciplina dei settori esclusi, l’appalto affidato da ENI s.p.a. (rectius, da EniServizi s.p.a. per conto della prima) abbia natura di appalto privato, con quanto ne consegue in termini di non obbligatoria applicazione degli oneri di evidenza pubblica e di difetto della giurisdizione amministrativa.

Va in particolare approfondito l’assunto delle appellanti, secondo cui un’impresa pubblica che svolge la sua normale attività in un settore speciale, non è soggetta alla disciplina sui contratti pubblici tutte le volte in cui affida un appalto in un settore diverso, in ordine al quale è pacificamente non soggetta alla disciplina della Parte III del Codice (settori speciali).

Va dunque considerato che, a seguire un tale approccio, la disciplina dei contratti esclusi in tutto in parte dall’applicazione del Codice (di cui alla Parte I, Titolo II) non avrebbe dignità autonoma, ma rappresenterebbe una sub-categoria ricavabile al solo interno delle due macroaree dei settori ordinari e dei settori speciali. In altri termini, sarebbe comunque necessaria, ai fini dell’applicazione della disciplina dei contratti esclusi, l’aggregazione dei soggetti aggiudicatori tra quelli contemplati nell’art. 32 (per i settori ordinari), o nell’art. 207 (per i settori speciali). Quindi solo questi soggetti, se devono aggiudicare appalti rientranti nei tipi delineati negli artt. 16 e segg. (Parte I, Titolo II: contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione del codice) del Codice, dovrebbero essere astretti ai principi relativi ai contratti esclusi, di cui tratta l’art. 27. In tal senso, quest’ultima disposizione sarebbe inapplicabile alla fattispecie, in quanto - pur trattandosi di appalto parzialmente escluso dalla disciplina del Codice, ai sensi dell’art. 20 (appalti di servizi elencati nell’all. II B) - nondimeno difetterebbe l’elemento soggettivo delineato dall’art. 207 (enti aggiudicatori degli appalti nei settori speciali), non agendo Eni s.p.a. nello specifico quale impresa pubblica che esercita una delle attività di cui agli artt. da 208 a 213 del Codice.

Questa tesi non è scevra da dubbi interpretativi. Anzitutto vi osta la stessa sedes materiae, in cui gli appalti esclusi in tutto in parte dalla disciplina del Codice sono contemplati, dato che sarebbe strano, sul piano sistematico, che una sottocategoria contrattuale enucleabile all’interno di categorie disciplinate in altre Parti (Parte II e Parte III) sia stata autonomamente disciplinata dal Titolo II della stessa Parte I del Codice, all’interno della quale peraltro (Titolo I) si rinviene (art. 32) un riferimento alle amministrazioni aggiudicatrici e altri soggetti aggiudicatori scevra da collegamenti con il tipo di attività che l’ente in concreto svolge.

Inoltre, sul piano logico-funzionale, non pare coerente la scelta di assoggettare l’impresa pubblica al rispetto di regole proconcorrenziali (sia pure nella forma attenuata prevista per i settori speciali) quando agisce come stazione appaltante in ambiti in cui è giustificata la deroga soltanto parziale all’osservanza di quelle regole, e non assoggettarla al rispetto delle regole proconcorrenziali laddove operi come stazione appaltante in settori maggiormente contendibili, senza che ricorra alcuna specifica ragione derogatoria.

In tale prospettiva, si può osservare - in antitesi a quanto sostenuto dalle appellanti - che se l’impresa appaltante è “pubblica” nel senso della definizione dell’art. 3, comma 28, del Codice, tale sua veste soggettiva permane, quale che sia la natura dell’appalto che di volta in volta la stessa va ad affidare. Si tratta infatti pur sempre di un ente aggiudicatore (ai sensi del medesimo art. 3, comma 29) sottoposto soggettivamente alla disciplina codicistica (ai sensi dell’art.1), e si deve soltanto distinguere quale parte del Codice sia di volta in volta applicabile, in ragione della particolarità oggettuale della fattispecie concreta.

 

19. Sulla base di questo approccio al tema, nel caso specifico la disciplina applicabile è senz’altro individuabile nell’art. 20 (appalti di servizi elencati nell’all. II B) del Codice, trattandosi di un servizio rientrante tra quelli di cui all’all. II B, come d’altra parte ha precisato fin nella richiesta di offerta la stessa stazione appaltante (per quanto detto, tuttavia, la circostanza dell’autovincolo potrebbe essere irrilevante, soprattutto ai fini dell’individuazione della giurisdizione amministrativa).

 

20. Anche le appellanti, nella declinazione gradata delle loro tesi, ritengono che, al più, sarebbe applicabile alla fattispecie l’art. 20 del Codice, ma ciò a loro dire significherebbe che dovrebbero trovare applicazione soltanto le disposizioni in esso espressamente richiamate.

Tuttavia, una volta ammessa in linea generale l’applicabilità del Codice dei contratti pubblici alle odierne società appellanti in quanto imprese pubbliche, tout court intese (e quindi anche quando le stesse non operano, come nella specie, nei settori che giustificano l’applicazione della disciplina speciale della Parte III) sarebbe difficile non includere nella disciplina applicabile anche l’art. 27 del Codice, sui principi relativi ai contratti esclusi. Infatti, poiché l’appalto in oggetto è solo in parte escluso dalla applicazione del Codice (dato che è applicabile l’art. 20 e le disposizioni nello stesso richiamate), lo stesso dovrebbe giocoforza ricadere nel campo applicativo dell’art. 27.

Tale ultima disposizione richiama, oltre ai principi generali di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza (nell’ambito del quale già potrebbe ritenersi contenuto il sub-principio della pubblicità delle sedute di gara), anche l’art. 2 commi 2, 3 e 4 del Codice. A sua volta, l’art. 2, comma 3, fa riferimento, per quanto non espressamente previsto, alle disposizioni della legge 7 agosto 1990, n. 241.

21. Al proposito, non pare condivisibile la tesi delle appellanti secondo cui la perimetrazione della disciplina applicabile ai servizi di cui all’all. II B alle sole disposizioni del Codice espressamente richiamate nell’art. 20 sarebbe rinvenibile anche nella decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 3 marzo 2008, n. 1. In quella decisione, che ha riguardato i limiti e le condizioni per l’applicazione dell’istituto dell’in house providing nonché dell’affidamento diretto delle commesse pubbliche alle cosiddette società miste, si è al contrario precisato che i contratti pubblici sottoposti alla disciplina dell’art. 20 del Codice non si sottraggono per ciò solo, in virtù del richiamo contenuto nel successivo art. 27, all’applicazione dei principi generali di diritto che nella materia discendono dalla normativa comunitaria e nazionale. In tal senso, quella decisione non pare in contrasto con l’affermazione dell’applicabilità, anche agli appalti esclusi dalla disciplina dei settori ordinari o speciali, del principio di pubblicità e trasparenza insito nella regola del carattere ordinariamente pubblico delle sedute del seggio di gara. Nemmeno convince l’argomento fondato su altro precedente di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, VI, 22 aprile 2008, n. 1856) secondo cui nelle procedure negoziate (e quindi a fortiori nelle selezioni deformalizzate, quale quella in esame) non sarebbe necessaria l’osservanza del principio di pubblicità delle sedute di gara. Si deve infatti ricordare che questa decisione, il cui tratto saliente – ai fini che qui interessano - consiste nell’aver ritenuto estensibile la regola della pubblicità delle sedute di gara anche ai settori speciali, ha in qualche misura giustificato la parziale deroga al principio ammessa da altra precedente decisione del Consiglio di Stato del 2002; ma è evidente che tale ultima decisione riguardava fattispecie maturata in un distinto contesto normativo, in cui in particolare mancava, nella materia dei contratti pubblici, un espresso richiamo alle regole di pubblicità procedimentale, quale quello più volte citato contenuto nel Codice dei contratti pubblici.

 

22. Dal quadro normativo e giurisprudenziale richiamato non emergono indicazioni univoche circa l’assoggettabilità alle regole minimali dell’evidenza pubblica (contenute per relationem nell’art. 27 del Codice) degli appalti aggiudicati da enti aggiudicatori ordinariamente operanti nei settori speciali, ma non tenuti all’osservanza della relativa disciplina in relazione all’oggetto specifico dell’appalto da aggiudicare.

A tali incertezze di ordine sistematico vanno aggiunte quelle inerenti la questione specifica dedotta nel presente giudizio, se si considera che:

a) nel Codicedei contratti pubblici non è codificato il principio dell’ordinaria pubblicità delle sedute del seggio di gara;

b) il principio si può ricavare indirettamente dall’art. 64 del Codice (nella parte in cui detta le informazioni minimali del bando di gara sulle persone da ammettere alle sedute, peraltro nelle sole procedure aperte) nonché dall’art. 120 d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, recante il regolamento di esecuzione del Codice, nella parte in cui, nel disciplinare il criterio selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, prevede la seduta riservata per le operazioni attinenti la valutazione delle offerte tecniche e la seduta pubblica per la lettura dei punteggi attribuiti alle singole offerte tecniche ed all’apertura delle buste contenenti le offerte economiche: dal che potrebbe ricavarsi la regola e l’eccezione;

c) il principio di pubblicità delle sedute di gara nella materia dei contratti pubblici, ricompreso nel principio di pubblicità e di trasparenza procedimentale contenuto nell’art. 1 della legge n. 241 del 1990 ed espressamente richiamato dal citato art. 2 d.lgs. n. 163 del 2006, è stato come detto ritenuto coessenziale alla disciplina degli appalti nei settori ordinari e speciali già in base alla giurisprudenza amministrativa formatasi nel sistema normativo anteriore al Codice (in particolare la ricordata Cons. Stato, VI, 22 aprile 2008, n.1856, intervenuta su fattispecie antecedente l’entrata in vigore del Codice);

d) la comunicazione interpretativa della Commissione CE del 2006 citata dalle appellanti, applicabile agli appalti esclusi dal perimetro normativo delle direttive, seppur non contempla specificamente l’obbligo delle sedute pubbliche di gara sembra nondimeno assecondare (o comunque non in contrasto con) una scelta di questo tipo da parte del legislatore nazionale, laddove precisa che “l’obbligo di trasparenza consiste nel garantire, in favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l'apertura del mercato alla concorrenza, nonché il controllo sull'imparzialità delle procedure di aggiudicazione. In pratica, la garanzia di una procedura equa e imparziale costituisce il corollario necessario dell'obbligo di garantire una pubblicità trasparente”.

 

23. In tale prospettiva interpretativa, l’apertura dei plichi in seduta pubblica in quanto immediatamente discendente dal principio di trasparenza e pubblicità procedimentale per come conformato dal diritto interno non può neppure essere considerato un aggravamento ingiustificato a carico di soggetti che operano in mercati concorrenziali e che si confrontano quotidianamente con altri soggetti, nazionali e stranieri, che a quelle regole il più delle volte non sono sottoposti. L’adempimento di quell’incombente è conforme all’adozione di un modello procedimentale per tutti i soggetti che aggiudicano appalti “pubblici”, improntato ad osservare garanzie minime di pubblicità e di trasparenza. L’assolvimento di quell’onere non può per altro verso ritenersi eccessivamente gravoso o di intralcio al buon andamento delle operazioni di gara le quali, eccetto che per il previo invito a presenziare all’adempimento dell’apertura dei plichi ed alla verifica del loro contenuto, potrebbe svolgersi con le medesime tempistiche necessarie allo svolgimento delle sedute riservate.

 

24. In definitiva, secondo tale approccio interpretativo, l’impresa pubblica, in quanto ente sottoposto all’influenza dominante di un’amministrazione aggiudicatrice, non può mai dirsi sottratta dalla osservanza delle regole minimali dell’evidenza pubblica di diritto interno, cui soggiacciono d’altra parte financo gli enti ecclesiastici che fruiscano di finanziamenti pubblici (in tema, Cons. Stato, VI, 4 giugno 2004, n. 3478). In tal caso, non vi sarebbero dubbi circa la necessaria attrazione delle controversie nell’alveo cognitorio del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133 Cod. proc. amm..

 

25. Da ultimo, la causa pone (con la delicatezza che la questione assume dinanzi al giudice di ultima istanza) il problema del rinvio pregiudiziale in Corte di giustizia delle due distinte questioni interpretative prospettate in ultima analisi dalle società appellanti.

Quanto alla prima, articolata intorno all’art. 20 della direttiva 2004/17/CE e tesa a delineare la nozione di appalto strumentale nella prospettiva dell’art. 217 del Codice, è evidente che la stessa risulta priva di rilevanza ove, accedendo alla tesi delle appellanti, si dovesse pervenire alla conclusione del carattere non strumentale, rispetto agli scopi delle attività ordinarie di Eni s.p.a., dell’appalto aggiudicato nella fattispecie in esame. In caso contrario, potrebbe non essere inutile rimettere in pratica alla Corte di giustizia, con la questione pregiudiziale, l’individuazione degli elementi sulla cui base tracciare i confini degli appalti estranei alla sfera di applicazione dei settori esclusi.

Quanto alla seconda questione, afferente l’applicabilità dei principi di pubblicità e trasparenza anche negli appalti di servizi di cui all’art. 32 della ricordata direttiva 2004/17/CE, appare dubbio che il diritto comunitario possa ritenersi ostativo, per quanto detto, all’implementazione all’interno degli Stati membri di regole tese a favorire una maggiore trasparenza negli affidamenti degli appalti “pubblici”, soprattutto a mezzo di regole indistintamente applicabili a tutti gli operatori economici (a prescindere dalla nazionalità) e che in concreto non recano eccessivo intralcio alla speditezza procedimentale, ovvero che non si rivelano sproporzionate rispetto agli scopi perseguiti (condizioni, per quanto detto, che nella specie non ricorrono). La questione, in questi termini, non sembra avere rilevanza comunitaria, nella misura in cui non è ravvisabile un contrasto tra il principio di diritto applicato e la normativa comunitaria in materia di appalti.

Si è già detto, infatti, che anche a ritenere la estraneità della gara oggetto della presente controversia dal perimetro di applicazione delle direttive 2004/17/CE e n. 2004/18/CE (opzione che postula l’aggregazione dell’appalto al novero dei contratti aggiudicati per scopi diversi da quelli inerenti l’attività propria dell’ente appaltante, ai sensi dell’art. 217 del Codice) nondimeno potrebbe non essere condivisibile una conclusione in termini di irrilevanza comunitaria del contratto di che trattasi.

La Comunicazione della Commissione europea 1° agosto 2006, n. 2006/C 79/02 (che concerne le “le amministrazioni aggiudicatrici” che indica alla nota n. 4 come quelle delle due direttive, tra cui vanno ravvisate anche le “imprese pubbliche”) ha esortato gli Stati membri ad adottare procedure trasparenti ed effettivamente concorrenziali anche quando le stazioni appaltanti “pubbliche” aggiudicano appalti cui si riferisce, quando sono esclusi in tutto o in parte dalla sfera di applicazione delle direttive. Ora, è vero che tra i principi cui la Commissione ha fatto riferimento (in particolare: 1) una descrizione non discriminatoria dell’oggetto dell’appalto; 2) l’uguaglianza di accesso per gli operatori economici di tutti gli Stati membri; 3) il reciproco riconoscimento dei diplomi, dei certificati e degli altri attestati di qualifiche formali; 4) termini adeguati, 5) un approccio trasparente ed oggettivo) non è espressamente contemplato quello afferente la pubblicità delle sedute di gara, ma il richiamo a tale principio si potrebbe ritenere implicito nel riferimento alle regole di trasparenza, atteso che l’apertura in seduta pubblica delle buste contenenti i documenti di gara degli offerenti costituisce garanzia funzionale ad assicurare un procedimento di gara trasparente e non discriminatorio. Giova richiamare che nella stessa comunicazione la Commissione, dopo aver ricordato che procedure trasparenti prevengono corruzione e favoritismi, ha richiamato l’attenzione sul fatto che anche negli appalti esclusi dall’applicazione delle direttive sia assicurato il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione e che un approccio trasparente suppone che tutte le regole saranno applicate allo stesso modo a tutti gli operatori.

Ove poi si dovesse ritenere che il richiamo alle regole di pubblicità procedimentale (nelle quali è giocoforza inserire la pubblicità delle sedute di gara) contenuto nel d.lgs. n. 163 del 1006 (art. 2) non abbia copertura comunitaria e sia frutto di autonome valutazioni discrezionali del legislatore nazionale, la soluzione riguardo alla compatibilità comunitaria della scelta non muterebbe, dato che una regola nazionale che comporta un avanzamento della trasparenza nel settore delle commesse <pubbliche> potrebbe essere in contrasto con il diritto comunitario solo ove si rivelasse eccessiva o sproporzionata rispetto agli scopi perseguiti e, in definitiva, di intralcio al regolare e celere corso delle procedure d’appalto; ma, per le ragioni già dette, si tratta di connotazioni che difficilmente potrebbero declinarsi a proposito dell’opzione della seduta pubblica quale ordinario modus procedendi delle stazioni appaltanti in materia di appalti pubblici.

 

26. Deriva da questa ricostruzione che risulta erroneo l’assunto di base delle appellanti, perché qui opera la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dell’originario art. 244, comma 1, del Codice (oggi: art. 133, comma 1, lett. e), n. 1 Cod. proc. amm.). Ne consegue che l’appello va esaminato nel merito riguardi ai restanti motivi di gravame (il che conseguirà all’eventuale pronuncia in questo senso dell’Adunanza plenaria).

 

II

 

27. La seconda soluzione non ritiene applicabile alla fattispecie il Codice dei contratti pubblici per la ragione che si tratta dell’affidamento di un contratto di diritto comune svolto da una impresa pubblica che, quanto all’attività in questione (non-strumentale a quella propria di un settore speciale), è estranea a quelli oggetto del Codice stesso. Questo implica l’accoglimento degli appelli e l’annullamento della sentenza impugnata a causa del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, posto che ricorre la giurisdizione del giudice ordinario.

 

28. Preliminarmente, va osservato che gli appelli appaiono fondati per ciò che riguarda l’invocata esclusione del nesso di strumentalità. L’attività di vigilanza per cui è causa (e in vista della quale la gara è stata indetta) infatti non può, per la sua natura, essere considerata come attività strumentale rispetto all’attività istituzionale di ENI s.p.a. e della sua ENIServizi s.p.a. (società del medesimo gruppo e da considerare, per quel che qui interessa e com’è pacifico, unitariamente), che si svolge in un settore speciale (fornitura di energia o di combustibili destinati alla produzione di energia).

Infatti – diversamente dalla distinta fattispecie di cui a Cons. Stato, VI, 9 ottobre 2009, n. 6201, sul caso Trenitalia s.p.a. e la vigilanza nel settore ferroviario – qui difetta la finalizzazione del servizio di vigilanza degli uffici della sede ENI di San Donato Milanese agli scopi propri (core business) dell’attività speciale del gruppo, di estrazione e commercializzazione del petrolio o del gas: la garanzia della sicurezza degli uffici non è certo esclusiva del settore, né si pone ad esso in termini di mezzo a fine, né può essere considerata come inclusa nella gestione di un servizio (diversamente, l’appalto sarebbe stato da ricondurre nella disciplina dei settori speciali: cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 23 luglio 2004, n. 9 sul servizio di pulizia delle stazioni ferroviarie a Grandi Stazioni s.p.a.).

 

29. A questo punto, e in questa prospettiva, va rilevato prima di tutto che la questione, che pure ha una soluzione di stretto diritto positivo, va affrontata senza pretermettere attenzione alla coerenza e alla razionalità del sistema; e che coinvolge sia la costituzione economica materiale, sia, più analiticamente, la delimitazione del campo di applicazione del Codice dei contratti pubblici, che è un decreto legislativo delegato di adattamento a due nominate direttive comunitarie. Va così rilevato che non è dato – superando in via interpretativa i limiti dell’art. 76 Cost. - rinvenire nel Codice una disciplina ispirata a ragioni diverse, o finalità ulteriori, rispetto a quelle che presiedono a quelle direttive ispirate ai principi di garanzia della concorrenza; così come non può essere pretermesso il riferimento alle basi costituzionali.

 

30. Va anzitutto preso a riferimento il limite di applicabilità del Codice dei contratti pubblici con chiarezza ricavabile, dal punto di vista soggettivo, dall’art. 207 in contrapposizione all’art. 32, in virtù del quale le imprese pubbliche che operano nei settori speciali (gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica) sono di base soggette alla regola dell’evidenza pubblica quando operino in quei medesimi settori (Parte III del Codice), ma non lo sono quando operano nei settori ordinari (Parte II). Per quanto attiene all’attività nei settori ordinari – e sempre che non siano qualificabili come organismi di diritto pubblico: il che nella specie non è - ne sono estranee. Non sono, cioè, raggiunte dalla, o attratte nella disciplina eteronoma della formazione della volontà contrattuale propria del Codice.

 

Questo limite di operatività del Codice tiene fuori dal suo campo di applicazione i contratti stipulati da figure che per la Parte II del Codice stesso non rilevano, in quanto sono imprese pubbliche e come tali non sono comprese tra le amministrazioni aggiudicatrici e altri soggetti aggiudicatori dell’art. 32. La circostanza meramente soggettiva che – per la definizione dell’art. 3, commi 28 e 29 – ne abbiano i tratti, quale l’influenza dominante nell'assemblea ordinaria, è di suo inifluente a stabilire il regime dell’attività. Le disposizioni circa le definizioni sono per loro natura solo strumentali e integrative, e non già sostitutive, o enunciative dei precetti circa l’attività: esse non operano se non come elementi chiarificatori di altre disposizioni, le quali solo – rispetto ad esse – enunciano le proposizioni normative. Ad assoggettare alla disciplina del Codice non basta dunque il mero dato formale e soggettivo dell’essere impresa pubblica, ma occorre anche e soprattutto quello materiale e oggettivo dello svolgere un’attività che, per la propria qualità e consistenza, e in quanto congiunta quella medesima qualità soggettiva, definisce il campo di applicazione del Codice stesso. Il che è qui chiaramente escluso dall’art. 32.

 

31. È il caso qui di osservare, per ciò che riguarda i c.d. settori speciali della Parte III del Codice (artt. 206 e ss.) e la più lata perimetrazione soggettiva dell’art. 207 rispetto all’art. 32, che, quando si tratta di appalti nei settori speciali, essenzialmente si tratta di oggettivi servizi pubblici, dove si opera con mezzi privati per conto di pubbliche amministrazioni. Si tratta cioè di attività connotate da un’intrinseca dimensione pubblicistica, in relazione alla quale domina l’esigenza di garantire normativamente – contro i rischi derivanti dalla condizione monopolistica – le regole della stessa evidenza pubblica (trasparenza, concorrenzialità, par condicio dei potenziali contraenti). Ma – si deve anche sottolineare, per guardare alla ratio sostanziale che presiede a questa eteronomia - domina in vista della tutela della concorrenza, che è il valore che sta alla base dell’imposizione, di derivazione comunitaria, dell’evidenza pubblica; il valore cioè non è l’evidenza pubblica in sé, collegata al mero fatto che si tratta di attività riconducibile alla mano pubblica. Quei canoni procedimentali, per quella matrice europea – che è quella che muove l’esistenza stessa del Codice e comunque ne definisce le finalità - non rilevano come fini, ma come strumenti di garanzia della concorrenza.

Questo, del resto, è messo dichiaratamente in luce dalla matrice comunitaria di questa normativa, a muovere dall’antecedente della direttiva 93/38/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993, prima ancora che dalla direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004: sono poste a fronteggiare – mediante un avvicinamento alle regole contrattuali imposte alle amministrazioni - la naturale chiusura dei mercati causata dalla frequente condizione di monopolio degli esercenti quelle che per l’art. 90 (poi 86) del Trattato CE sono “imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale”.

Viceversa, al di fuori di questi settori speciali, cioè fuori dell’ambito degli oggettivi servizi pubblici nominati, non vi è sostituzione all’attività amministrativa. In relazione all’impresa pubblica (figura pienamente legittima per il diritto comunitario: cfr. art. 345 del Trattato sul funzionamento dell’UE e direttiva 2006/111/CE sulla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le imprese pubbliche, nonché all'interno di talune imprese) non sembra sorgere la necessità di assicurare normativamente la garanzia della concorrenza dei potenziali contraenti, mediante l’imposizione di scansioni particolari del processo di formazione contrattuale. Vengono infatti meno la rilevanza e la peculiarità dell’attività che giustificano l’eccezionale attrazione e assoggettamento a regole eteronome sulla formazione della volontà contrattuale con terzi (salva restando, nell’esercizio della naturale autonomia, l’adozione libera e spontanea di quelle stesse regole, come è dichiarato essere avvenuto nella specie mediante il richiamo, nella lettera d’invito, del d.lgs. n. 163 del 2006). L’impresa pubblica è comunque un’impresa e come tale agisce anch’essa con rischio, fine di lucro (art. 2082 Cod. civ.) e moduli privatistici: e questi debbono essere integri ad evitare claudicazioni rispetto alla concorrenza (cioè restrizioni nell’ordinaria capacità di attività e di competizione).

Piuttosto – a ricercare la ratio di siffatta estraneità - pare di riferimento, qui, la circostanza contestuale dell’operare in un mercato anche internazionale, fortemente competitivo, talvolta verso oligopoli, e l’esigenza vitale di godere di un’intrinseca e paritaria capacità concorrenziale rispetto ad imprese che, per l’essere senz’altro private e spesso di dimensione ed incidenza transnazionale, sono affrancate dall’aggravio di analoghe eteronomie (di fatto anche da effettivi controlli sulle restrizioni della concorrenza) e così sono in grado di massimizzare dinamismi, flessibilità e tempestività, vale a dire di minimizzare costi, diseconomie e tempi. Diversamente, infatti, si produrrebbe per factum principis in quel mercato un effetto distorsivo della concorrenza, ponendo le imprese pubbliche in situazione di svantaggio rispetto a quelle, già nei fatti avvantaggiate, senz’altro private.

 

Si aggiunga che la ricordata esigenza di tutela della concorrenza che dichiaratamente presiede alla direttiva 2004/17/CE sugli appalti nei settori speciali per la frequente condizione di monopolio in cui versano quei servizi pubblici, non pare ripetersi per queste altre attività delle imprese pubbliche. Queste altre attività anzi, proprio per lo svolgersi in un mercato competitivo, paiono – salvo singole patologie comportamentali - naturalmente portate verso la compressione dei costi dei contratti, e perciò spontaneamente orientate all’apertura al mercato dei fornitori di beni e servizi: cioè verso il prezzo più basso o l’offerta economicamente più vantaggiosa, e senza che sia imposto da regole esterne.

 

32. Del resto, questa naturale (salvo cioè quando operino nei settori speciali) collocazione al di fuori dell’ambito delle procedure pubbliche sulla formazione dei contratti delle imprese pubbliche (specie del genere impresa) è ben presente all’ordinamento comunitario derivato di cui il Codice – come da suo preambolo - è dichiarata attuazione.

 

Nella direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 (relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi), a differenza della direttiva 2004/17/CE non si fa riferimento - quanto ad appaltanti - all’ampio genere degli “enti aggiudicatori” e tra questi alla specie delle “imprese pubbliche”, ma si parla solo, e più ristrettamente, di “amministrazioni aggiudicatici”, intendendovi lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni di enti pubblici territoriali o di organismi di diritto pubblico (art. 1, para. 9): ma non le imprese pubbliche. La medesima diversa perimetrazione soggettiva è quella che, nel recepire le due direttive, il Codice delinea agli artt. 32 (per i settori ordinari) e 207 (per i settori speciali).

 

Sicché, quando il Codice dei contratti pubblici (art. 207) indica tra gli enti aggiudicatori le imprese pubbliche, è congruo – per l’adattamento al diritto comunitario derivato circa l’imposizione di regole eteronome a tutela della concorrenza nei contratti - che l’indicazione, ai fini della delimitazione del sistema unitario che presiede allo stesso Codice, sia intesa con riguardo all’attività nei soli settori speciali, e non anche con riguardo all’attività per gli appalti di lavori, forniture e servizi, per i quali l’art. 32 non prevede simile estensione (salvo che quelle imprese agiscano come sostitute o longae manus delle “amministrazioni aggiudicatici”, o abbiano i caratteri di organismo di diritto pubblico).

Non solo: l’indicazione, da parte dell’art. 32, dell’organismo di diritto pubblico come categoria limite da includere tra quelle “amministrazioni giudicatrici”, cioè tenute ad osservare le norme in tema di appalti pubblici, mostra a contrario, attraverso il suo requisito del “carattere non industriale o commerciale”, che l’attività d’impresa è in sé valutata come estranea a tale ambito di eteronomia per gli appalti pubblici ordinari: anche se si tratta di impresa pubblica (è del resto ripetutamente affermato, anche dalla giurisprudenza comunitaria, che l’impresa pubblica è figura per questa stessa ragione distinta dall’organismo di diritto pubblico).

Queste considerazioni dimostrano che ai fini della regolamentazione dei contratti di appalto l’ordinamento comunitario non giunge ad imporre all’impresa pubblica in quanto tale, sempre e comunque, la veste di aggiudicatore, ma solo quando opera nei settori speciali, mentre ne preserva la positiva libertà imprenditoriale di azione quando invece non agisce nel campo dei servizi pubblici in monopolio.

 

33. Non si vede pertanto perché con il Codice l’ordinamento nazionale debba provvedere a una siffatta inclusione, per di più, di fatto, implicativa di potenziali incisive innovazioni alla sua costituzione economica materiale. Non solo: esso eccederebbe così non soltanto i doveri di adattamento, ma anche i limiti della delega di cui agli artt. 1, 2 e 25 l. comunitaria per il 2004, 18 aprile 2005, n. 62 (che è di delega solo per l’attuazione delle citate direttive, non per la rifondazione del sistema dei contratti pubblici). Ed introdurrebbe – forzando il dato dell’art. 23, comma 29, meramente definitorio degli «enti aggiudicatori» (e in realtà prescrittivo essenzialmente per la sola Parte III, sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nei settori speciali) come se fosse indistintamente e perfettamente prescrittivo per entrambi i campi, settori ordinari e settori speciali - una simmetria indebita nell’ “unico testo normativo” delle discipline legislative delle due normative comunitarie “in materia di procedure di appalto”.

In realtà, va rilevato che nel Codice sono stati formalmente riuniti due diversi apparati normativi, che hanno molti tratti procedimentali in comune, ma che restano nondimeno distinti quanto a matrici europee, presupposti e ragioni e perciò mantengono la rispettiva individualità ordinamentale e perimetrazione soggettiva e oggettiva: come del resto topograficamente mostra la netta distinzione tra la Parte II (artt. 28 - 205), dedicata ai contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori ordinari, e la Parte III (artt. 206 - 238) dedicata ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nei settori speciali.

Pertanto, per appalti come quello in esame, nessuna delle due direttive è applicabile e la fattispecie non ricade né nella Parte III, né nella Parte II del Codice.

Il caso, presente, dell’impresa pubblica che per il Codice ha la veste di aggiudicatore solo quando opera nei settori speciali, corrisponde al caso di società a parziale partecipazione statale soggetta a controllo statale nel senso societario (cfr. art. 2359 Cod. civ.), ma che al contempo ha per scopo non lo svolgimento di un esternalizzato ed esclusivo servizio pubblico per conto di una pubblica amministrazione, bensì una presenza strategica nel mercato (con riguardo ad es. all’approvvigionamento di energie e al concorso al riequilibrio dei relativi prezzi o alla stabilizzazione degli investimenti); e che per di più deriva dalla trasformazione di un ente pubblico economico finalizzato all’intervento pubblico diretto in quel settore essenziale dell’economia. Nella specie, questa è la situazione che si configura per le qui appellanti due società del gruppo ENI, indirettamente derivanti dall’Ente Nazionale Idrocarburi, istituito dalla l. 10 febbraio 1953, n. 136, trasformato in società per azioni dall’art. 15 d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, dapprima interamente controllata dal Ministero del tesoro e poi quotata in borsa.

Non pare dunque ammissibile una lettura che - senza la necessaria base di legge: art. 23 e 41, comma 2, Cost. - estenda analogicamente all’impresa pubblica disposizioni restrittive della libertà di iniziativa economica dell’art. 41 Cost..

 

34. La vera disposizione di chiusura che dà corpo a questi principi e regola, per quanto qui interessa, i confini di operatività del Codice, è in realtà quella dell’art. 217, additata in primis dalle appellanti. Questa – replicando l’art. 20 della direttiva 2004/17/CE - preclude l’applicazione della Parte III del Codice stesso, di cui fa parte, gli “appalti che gli enti aggiudicatori aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività di cui agli articoli da 208 a 213” (cioè gli appalti chiamati non istituzionali) o “per l’esercizio di tali attività in un paese terzo, in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un’area geografica all’interno della Comunità” (cioè gli appalti chiamati extracomunitari).

Poiché, nella specie, l’appalto per cui è causa non è – come sopra esaminato - collegato da un nesso con l’attività istituzionale in un settore speciale, e non è a quella strumentale, ne viene che, per le ragioni dette, rimane fuori dall’ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici e ricade nell’ambito del diritto comune.

 

35. Questa ripartizione di sistema, riferita alla libertà contrattuale dell’imprenditore quand’anche pubblico, contrasta l’opposto assunto per cui – con una sorta di rinvio interno che sarebbe operato da una sorta di combinato disposto dell’art. 27 e dell’art. 2, comma 3 - si applicherebbero ai contratti di appalto delle imprese pubbliche estranei all’applicazione del Codice principi (economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, invito ad almeno cinque concorrenti) ravvisabili nella normativa sul procedimento amministrativo della l. 7 agosto 1990, n. 241. Si tratterebbe però della commistione delle discipline di due attività per loro natura del tutto antitetiche (funzione pubblica da un lato, attività di impresa dall’altro). La l. n. 241 del 1990 è di suo improntata al regolamento dei rapporti tra autorità e libertà nello svolgimento dell’azione amministrativa e non si può attagliare all’attività (non amministrativa, ma) di impresa, che ha tutt’altra ragion d’essere, e che soprattutto si relaziona espressamente con i terzi secondo i moduli dell’autonomia contrattuale e senza alcuna giuridica supremazia. L’art. 1 l. n. 241 del 1990, del resto, a segnare il limite intrinseco di questa ripartizione, e di applicazione di tutta la legge, si riferisce (comma 1) testualmente alla “attività amministrativa”, e al comma 1-bis (introdotto a precisazione dall’art. 11, lett. b), l. 11 febbraio 2005, n. 15) specifica comunque che la pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente. E il finale art. 29, comma 1 (come oggi ridefinito, anch’esso a precisazione, dall’art. 10, comma 1, lett. b), n. 1), l. 18 giugno 2009, n. 69) enuncia definitivamente, per quel che qui interessa: “Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative”.

Vale anche considerare che l’intervento diretto (qui: mediante una impresa controllata) nell’economia è strumento ben diverso dall’azione amministrativa; che esso si avvale per ragioni strategiche del modulo dell’impresa, con quanto ne deriva sia in termini di difetto di poteri autoritativi verso i terzi, sia in termini di articolazione della libertà e dell’autonomia organizzativa.

 

36. In realtà, l’art. 27 è da intendere – per le ragioni dette – una disposizione di chiusura che vale nei termini in cui prima ancora vale inclusivamente la perimetrazione soggettiva della direttiva 2004/18/CE (id est, la Parte II del Codice): dunque (art. 32) senza coinvolgere le imprese pubbliche quando queste operano al di fuori dei settori speciali.

L’art. 27, invero, chiude il Titolo della Parte I dedicato ai contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione del Codice, in cui è compreso l’art. 20: ma poiché si deve preliminarmente combinare un elemento soggettivo e uno oggettivo e nel caso dell’impresa pubblica questi, per ricadere nell’ambito di operatività del Codice, sono non quelli della Parte II, ma quelli della speciale Parte III, a nulla qui rileva che i servizi di investigazione e di sicurezza siano inclusi nell’all. II B del Codice, cui l’art. 20 fa riferimento per dire che ad essi – che appaiono, malgrado la collocazione della disposizione nella Parte I, appalti dei soggetti della sola Parte II - si applica la sola disciplina degli artt. 68, (specifiche tecniche), 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento) e 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati): l’art. 20 concerne le sole amministrazioni aggiudicatici cui si applica la Parte II (sui contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori ordinari) del Codice, tra cui non rientrano, come si è visto, le imprese pubbliche.

Più ancora, va rilevato che l’art. 27, come le altre disposizioni del Titolo II (artt. 16 - 27) della Parte I del Codice, relative ai contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione del Codice, non riguardano gli affidamenti di contratti che – come quello in questione – non sono disciplinati dal Codice (posto che, per il principio logico di non contraddizione, non è dato disciplinare con una certa disciplina ciò che è estraneo a quella stessa disciplina); ma quei contratti che pur potendo in principio essere oggetto delle direttive cui il Codice dà attuazione, cioè a quella disciplina, ne vengono in tutto o in parte esclusi – cioè espunti - per ragioni particolari in relazione alle quali il diritto comunitario lascia alla libertà di ogni Stato di tenerli inclusi o meno. Si tratta dunque di esclusioni di contratti che altrimenti sarebbero naturalmente ricompresi nella Parte II: non già – come nella specie - di non-inclusione di contratti che, per il difetto dei detti presupposti soggettivi e oggettivi, vi sono naturalmente non ricompresi, perché estranei. L’espressione esclusione, dunque, ha in quelle disposizioni una direzione opposta a quella di cui qui si è trattato (dove, più correttamente dal punto di vista lessicale, si deve parlare di estraneità) e non può essere sovrapposta, per il diverso significato, a ciò di cui qui si fa questione.

Più in particolare ancora, per quanto concerne tra quelle l’art. 20, si tratta di disposizione che recepisce puntualmente il dettato delle direttive 2004/18/CE (artt. 20 e 21) e 2004/17/CE (artt. 31 e 32). Il che significa che essa postula l’applicazione (vale a dire: la non-estraneità) di base dell’appalto rispetto a quelli degli artt. 32 e 207, cioè a quelli di quelle due direttive: il che però, per le ragioni sopra ripetutamente dette, qui non è. Perciò, difettando la ragione fondante di una siffatta parziale “esclusione” (espunzione) dalla disciplina del Codice (più precisamente: di una siffatta attenuazione di eteronomia, ridotta a un regime differenziato costituito dai soli artt. 68, 65 e 225), non vi è luogo alla sua invocazione nella fattispecie qui al vaglio.

 

37. Da ultimo, è necessario mettere in evidenza che la comunicazione interpretativa della Commissione europea del 1 agosto 2006 (2006/C 79/02) intitolata al “diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive appalti pubblici”, premette che “le direttive ‘appalti pubblici’ non si applicano a tutti gli appalti pubblici” e che essa ha per oggetto soltanto due categorie di appalti che non sono coperti, o lo sono solo in parte, dalle due rammentate direttive, vale a dire gli appalti sotto soglia e alcuni nominati appalti di servizi. Non tratta di appalti del genere qui in esame. Essa è perciò – coerentemente alle due direttive - estranea alla presente materia del contendere e le sue considerazioni non le si applicano.

È inutile aggiungere, del resto, che la Commissione, ove assumesse che quei principi debbano essere estesi ai contratti delle imprese pubbliche estranei alle due direttive, ben potrebbe esercitare nei confronti del Consiglio un’iniziativa di direttiva. Il che, ove fosse, avrebbe il pregio di garantire nella giusta sede un’adeguata ed esplicita ponderazione degli interessi coinvolti, e di assicurare parità di trattamento delle imprese pubbliche in tutta l’Unione Europea, senza ingiustificabili asimmetrie interne.

 

38. Deriva da quanto sopra che appare corretto l’assunto principale delle appellanti, vale a dire che esse imprese pubbliche, a differenza delle amministrazioni aggiudicatrici, sono soggetti aggiudicatori solo laddove e nella misura in cui svolgono attività nei settori speciali. Non è questo nel caso qui in esame. Perciò non opera la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dell’originario art. 244, comma 1, del Codice (oggi: art. 133, comma 1, lett. e), n. 1 Cod. proc. amm.), la procedura di affidamento dell’appalto è sottoposta alle regole comuni e la controversia compete alla giurisdizione ordinaria. Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata e la declaratoria di difetto di giurisdizione.

 

* * *

 

39. In una tale situazione di possibile divergenza interpretativa, va ribadita l’opportunità che la questione in oggetto, comportando la soluzione delle questioni testé prospettate, sia rimessa con il resto della controversia all’esame all’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato,ai sensi dell’art. 99 Cod. proc. amm..

 

39 La ripartizione delle spese di lite sarà definita con la sentenza che definirà le cause.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta);

visto l’art. 99 Cod. proc. amm.;

rimette all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato l’esame degli appelli di cui in epigrafe, previa loro riunione.

Spese al definitivo.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 1 e 16 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore

   

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 29/04/2011

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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