HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Consiglio di Stato, Sez. III, 23/5/2011 n. 3104
Nel rendere le informazioni antimafia il Prefetto, che ha ampi poteri di accertamento, deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario quadro di indizi.

Ai fini della corretta applicazione dell'art. 10 del DPR 252/1998, è jus receptum che le situazioni relative ai tentativi d'infiltrazione mafiosa vanno desunte o da provvedimenti che dispongano una misura cautelare o il giudizio, o che rechino una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli artt. 629, 644, 648 bis e 648 ter, c.p. o dall'art. 51 c. 3 bis c.p.p., oppure dagli accertamenti disposti dal Prefetto nell'esercizio di autonomi poteri o su richiesta di altri Prefetti.
Pertanto, nel rendere le informazioni antimafia, il Prefetto non deve basarsi su specifici elementi, ma effettua la propria valutazione sulla scorta di uno sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario quadro di indizi, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni. L'ampiezza dei poteri di accertamento, giustificata dalla finalità preventiva sottesa all'informativa, consente al Prefetto di ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa anche (o non solo) in fatti in sé privi dell'assoluta certezza (p.es., condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti, ecc.), seppur tali da fondare, nel loro complesso coordinato, un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa, anche in maniera indiretta, agevoli le attività criminali o ne sia in varia guisa condizionata.

Materia: appalti / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso n. 5525/2007 RG, proposto dal sig. G. I., n.q. titolare dell’omonima ditta, rappresentato e difeso dall'avv. Andrea LO CASTRO, con domicilio eletto in Roma, via Tacito n. 90, presso lo studio dell’avv. VACCARO;

 

contro

il MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del sig. Ministro pro tempore e la PREFETTURA DI REGGIO CALABRIA, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e

 

nei confronti di

la PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA, in persona del Presidente pro tempore, controinteressata ed appellante incidentale, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe LEOTTA, con domicilio eletto in Roma, p. za Benedetto Cairoli n. 2,

 

per la riforma

della sentenza del TAR Calabria – Reggio Calabria n. 202/2007, resa tra le parti e concernente aggiudicazione di un appalto all'ATI, di cui il sig. I. era imprenditore mandante, poi modificata con estromissione di questi;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

 

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

 

Visti gli atti tutti della causa;

 

Relatore all'udienza pubblica dell’8 aprile 2011 il Cons. Silvestro Maria RUSSO e uditi altresì, per le parti, solo il prof. CLARIZIA (per delega dell’avv. LO CASTRO) e l’Avvocato dello Stato MELILLO;

 

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

1. – Il sig. G. I., titolare dell’omonima impresa edile, dichiara d’aver partecipato, quale imprenditore mandante, all’ATI di cui è capogruppo mandatario il Consorzio (omissis), con sede in Roma, ai fini della partecipazione ad una gara d’appalto di lavori pubblici a suo tempo indetta dalla Provincia di Reggio Calabria.

 

In esito alla gara stessa, detta ATI è risultata aggiudicataria ma, nelle more della stipulazione del relativo contratto, la stazione appaltante ha comunicato alla capogruppo mandataria un’informativa antimafia, emanata dalla Prefettura di Reggio Calabria ai sensi dell’art. 10, c. 2 del DPR 3 giugno 1998 n. 252. Da questa nota evincesi, tra l’altro, che da verifiche disposte dal Prefetto di Reggio Calabria sono emersi, per l’impresa del sig. I., elementi relativi a tentativi d’infiltrazione mafiosa. Sicché la stazione appaltante ha intimato all’ATI d’estromettere dalla sua compagine il sig. I. o di sostituirlo, ai fini dell’ulteriore prosieguo del procedimento.

 

Avverso gli atti della Prefettura e della stazione appaltante il sig. I. s’è gravato avanti al TAR Reggio Calabria, deducendo in punto di diritto vari profili di censura.

 

2. – L’adito TAR, con sentenza n. 202 del 2 marzo 2007, ha respinto il ricorso del sig. I., trattandosi, nella specie, di una mera informativa antimafia, preordinata, privilegiando una concezione della pericolosità in senso oggettivo, a dimostrare con sufficiente ragionevolezza la sussistenza di elementi da cui evincesi il tentativo d’infiltrazione mafiosa, non già a provare tale vicenda e la responsabilità dell’imprenditore.

 

Appella allora il sig. I., chiedendo la riforma della sentenza impugnata e deducendo in punto di diritto l’erroneità sia dell’informativa antimafia, sia dell’intimazione della Provincia, a causa dell’assenza dei presupposti per l’estromissione dall’ATI. Resistono nel presente giudizio le Amministrazioni intimate, che concludono per il rigetto della pretesa attorea. La Provincia di Reggio Calabria, dal canto suo, propone appello incidentale, deducendo la legittimità del proprio intervento a seguito degli indizi complessivamente considerati nei confronti dell’impresa del sig. I..

 

Alla pubblica udienza dell’8 aprile 2011, su conforme richiesta delle parti presenti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

 

3. – L’appello è del tutto privo di pregio e va disatteso.

 

Ai fini della corretta applicazione dell'art. 10 del DPR 252/1998, è jus receptum (cfr., da ultimo, Cons. St., VI, 15 dicembre 2010 n. 8928) che le situazioni relative ai tentativi d’infiltrazione mafiosa vanno desunte o da provvedimenti che dispongano una misura cautelare o il giudizio, o che rechino una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli artt. 629, 644, 648 bis e 648 ter, c.p. o dall'art. 51 comma 3 bis c.p.p., oppure dagli accertamenti disposti dal Prefetto nell’esercizio di autonomi poteri o su richiesta di altri Prefetti.

Ebbene, nel rendere le informazioni antimafia de quibus, il Prefetto non deve basarsi su specifici elementi, ma effettua la propria valutazione sulla scorta di uno sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario quadro di indizi, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni. L'ampiezza dei poteri di accertamento, giustificata dalla finalità preventiva sottesa all’informativa, consente al Prefetto di ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa anche (o non solo) in fatti in sé privi dell'assoluta certezza (p.es., condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti, ecc.), seppur tali da fondare, nel loro complesso coordinato, un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa, anche in maniera indiretta, agevoli le attività criminali o ne sia in varia guisa condizionata (arg. pure ex Cons. St., VI, 18 agosto 2010 n. 5880). È appena da osservare al riguardo che la ratio sottesa all’informativa de qua è espressione della logica d’anticipazione della soglia di difesa sociale ai fini d’una tutela avanzata nel contrasto alla criminalità organizzata, segnatamente, come nella specie, nell’ambito della (grande) evidenza pubblica, per la sensibilità della materia in sé e dei valori coinvolti (effettività della tutela della concorrenza nel mercato relativo, genuinità della scelta dell’ente aggiudicatore, tutela della finanza pubblica, ecc.).

 

4. – Questi essendo, per sommi capi, i criteri essenziali per l’interpretazione del ripetuto art. 10, la sentenza appellata ha anzitutto affermato, con pronuncia sul punto corretta e condivisibile, come l’informativa prefettizia per cui è causa non rientra tra le c.d. “interdittive antimafia”, di cui al Dlg. 8 agosto 1994 n. 490, essendo, come s’è più volte accennato dianzi, atti tendenti a verificare la sussistenza di elementi relativi a tentativi d’infiltrazione mafiosa nelle imprese interessate.

Inoltre, la sentenza, ribadendo la giurisprudenza già al tempo prevalente sul significato e gli effetti dell’informativa di cui al ripetuto art. 10, ha chiarito come il Prefetto abbia dedotto la situazione di pericolo da un complesso di elementi gravi, precisi e concordanti. In particolare, il TAR fa presente che «… nella vicenda che ci occupa gli accertamenti effettuati dalle Forze di Polizia, richiamati nella nota prefettizia dell’11 luglio 2005, hanno evidenziato che il ricorrente:

“- è stato deferito all’A.G. per associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento a mezzo armi da fuoco, porto e detenzione illegale di armi, turbativa d’asta;

- interessato nell’ambito del procedimento penale … per associazione mafiosa ed altro. Il 15.09.1997 il GUP dichiarava N.D.P. perché il fatto non sussiste;

 

- socio accomandatario della S.A.S. denominata “I.G.A. Costruzioni di I. G. & co.” … già oggetto di informazione antimafia come da richiesta nr. 228/Com./2000/Gab.Uff. I datata 27.3.2000 di codesta Prefettura”

A tali dati segue la segnalazione che egli è figlio di (omissis) (n. il 21.6.1931), soggetto che ha subito numerose condanne e denuncie, sottoposto più volte a misure di prevenzione e “ritenuto elemento di spicco della cosca mafiosa denominata I.- (omissis)” …».

Da una serena lettura della sentenza stessa ben s’evince come il Giudice di prime cure, in relazione ai fatti testé evidenziati, ben ha governato i principi delineati dalla giurisprudenza nella specie, laddove non si sofferma solo ad uno, piuttosto che ad un altro degli aspetti indicati nell’informativa in esame, ma ne coglie l’univoco ed indubbio significato del condizionamento mafioso dell’attività dell’appellante quale imprenditore. Non irrazionale, né immotivata è allora detta sentenza quando indica non solo nelle vicende penalmente rilevati, ma soprattutto nella cointeressenza dell’impresa attorea con quella del padre dell’appellante stesso un complesso sì articolato, ma pure unitario di indizi di seria pericolosità. Alcun automatismo si ravvisa nell’informativa e men che mai nella sentenza di primo grado, giacché l’inferenza della pericolosità muove appunto non dai singoli fatti, ma dalla circostanza, in sé non revocata in dubbio, che tutti tali fatti, certo non isolati, concorrono reiteratamente a formare un pericolo contro cui è doveroso l’approntamento della tutela anticipata cui è preordinata l’informativa prefettizia. Non sfugge al Collegio che, se quest’ultima e la stessa sentenza avessero inferito tal pericolo da ogni singolo fatto o, peggio, dal proscioglimento dell’appellante e del di lui padre, esse sarebbero erronee, ma così non è nella specie, ove rettamente si predica che il coinvolgimento d’entrambi in una stessa vicenda giudiziaria, a fronte della già citata cointeressenza tra le imprese, rappresenti già di per sé un grave indizio di contiguità indebita e pericolosa con elementi criminali.

 

5. – Il rigetto dell’appello sull’informativa prefettizia importa altresì la conferma dell’impugnata sentenza anche per la parte afferente alla richiesta di sostituzione formulata dalla Provincia appellante incidentale, essendo, per un verso, tale atto consequenziale all’atto del Prefetto e, per altro verso, non soggetto a puntuale o ulteriore motivazione rispetto a quanto già colà accertato.

Tal rigetto implica pure la pronuncia d’improcedibilità del gravame incidentale proposto dalla Provincia stessa.

Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, respinge l'appello (ricorso n. 5525/2007 RG in epigrafe).

Condanna l’appellante al pagamento, a favore delle parti resistenti e costituite, delle spese del presente giudizio, che sono nel complesso liquidate in € 3.000,00 (Euro tremila/00), oltre IVA e CPA come per legge, da suddividersi in parti uguali tra le parti anzidette.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio dell’8 aprile 2011, con l'intervento dei sigg. Magistrati:

Pier Luigi Lodi, Presidente

Vittorio Stelo, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere

Hadrian Simonetti, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

   

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/05/2011

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici