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Consiglio di Stato, Sez. III, 19/9/2011 n. 5262
Per legittimare l'adozione dell'informativa prefettizia è sufficiente che emergano elementi indiziari che considerati nell'insieme rendano attendibile l'ipotesi del tentativo di ingerenza da parte delle organizzazioni criminali.

L'ampiezza dei poteri di accertamento giustificata dalla finalità preventiva sottesa al provvedimento interdittivo, comporta che il Prefetto possa ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell'assoluta certezza.

L'informativa sulla sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa che, ai sensi dell'art. 4 d.lg. 8 agosto 1994 n. 490 e dell'art. 10 d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, preclude la stipulazione di contratti con le pubbliche amministrazioni, non presuppone l'accertamento di responsabilità penali in capo ai titolari dell'impresa sospettata, essendo sufficiente che dalle informazioni, acquisiste tramite gli organi di polizia, si evinca un quadro indiziario sintomatico del pericolo di collegamento tra l'impresa e la criminalità organizzata. A legittimare l'adozione dell'informativa prefettizia è pertanto sufficiente che, ad esito della istruttoria, emergano elementi indiziari che, complessivamente considerati, rendano attendibile l'ipotesi del tentativo di ingerenza da parte delle organizzazioni criminali. Il parametro valutativo di tali elementi indiziari non è dunque quello della certezza, ma quello della qualificata probabilità di infiltrazione mafiosa e nel rendere le informazioni richieste dal comune ai sensi dell'art. 10 c. 7 lett. c) d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, il Prefetto non deve basarsi su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni.

L'ampiezza dei poteri di accertamento giustificata dalla finalità preventiva sottesa al provvedimento interdittivo, comporta che il Prefetto possa ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell'assoluta certezza, che tuttavia, nel loro coacervo, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, o comunque per la colleganza, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose. In sostanza non si postula quale condizione per l'applicabilità delle disposizioni in parola, che ci si trovi al cospetto di una impresa criminale posseduta o gestita o controllata da soggetti dediti ad attività criminali, ma che vi sia la possibilità che essa possa, anche in via indiretta, favorire la criminalità. Pertanto, la circostanza che, nel caso di specie, vi sia un collegamento economico legato a partecipazione societarie tra soggetti incensurati e soggetti facenti parte o comunque nell'orbita di sodalizi criminali, con le connesse frequentazioni e relazioni interpersonali, è indicatore tipico di rischio di infiltrazioni mafiose nell'impresa, rilevanti ai fini della adozione della interdittiva antimafia, potendosi desumere, secondo dati di comune esperienza, non una attuale ingerenza delle organizzazioni mafiose negli affari della impresa, ma una effettiva possibilità o meglio un rischio che tale ingerenza sussista.

Materia: appalti / disciplina

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 39 del 2011, proposto da:

(omissis) Antonino Ottaviano in qualità di rappresentante legale della Impresa Edile Geom. Antonino (omissis), rappresentato e difeso dall'avv. Natale Carbone, con domicilio eletto presso Natale Carbone in Roma, via Germanico 172;

 

contro

Ministero dell'Interno in persona del Ministro pro tempore e Ufficio Territoriale di Governo- Prefettura di Reggio Calabria in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Comune di Vibo Valentia -Settore 6-Lavori Pubblici-Interventi Tecnologici e Manutentivi, Comune di Vibo Valentia, n.c.;

 

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00943/2010, resa tra le parti, concernente PERICOLO DI TENTATIVI DI INFILTRAZIONI MAFIOSE

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria e del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 giugno 2011 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Carbone e dello Stato Urbani Neri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Il geometra (omissis), titolare di impresa individuale con sede a Catona, Reggio Calabria, risultava aggiudicatario dell’appalto per l’affidamento di lavori di “erosione delle coste e protezione dell’abitato nella frazione Marina” da eseguirsi nel Comune di Vibo Valentia. L’amministrazione comunale avanzava richiesta all’Ufficio Territoriale di Governo del certificato ex art. 10 d.P.R. n. 252 del 1998 relativo alla informativa antimafia.

 

La Prefettura di Reggio Calabria, con due note di identico contenuto destinate ai Comuni di Vibo Valentia e Taurianova, forniva informative negative in relazione alla persona del Geometra (omissis), quale titolare della impresa aggiudicataria dell’appalto.

 

Con un primo ricorso al Tar il sopradetto impugnava le due note prefettizie davanti al Tar Calabria, Sezione di Reggio Calabria.

 

Nelle more del giudizio l’Amministrazione comunale di Vibo Valentia, con determina dirigenziale n. 472 del 21 settembre 2009, procedeva alla revoca dell’aggiudicazione dell’appalto dal quale originava la informativa prefettizia oggetto del ricorso nonché al recesso del relativo rapporto contrattuale medio tempore instaurato. Avverso tale determina dirigenziale venivano proposti motivi aggiunti al ricorso n. 583/2009 chiedendo altresì disporsi l’accesso agli atti segretati.

 

Successivamente, in ragione di intervenute modifiche in seno alla gestione imprenditoriale dell’Impresa (omissis), il ricorrente, con atto stragiudiziale datato 21.11.2009, inoltrava all’ufficio Territoriale di Governo istanza di riesame della situazione giuridico fattuale relativa alla impresa al fine di ottenere la emanazione di un nuovo provvedimento ex art. 10 comma 8 del d.P.R. n. 252 del 1998.

 

Con nota datata 1.12.2009 il Prefetto respingeva anche la suddetta richiesta di riesame.

 

Avverso tale atto la ricorrente presentava un nuovo ricorso per motivi aggiunti. Con ordinanza n. 52 del 2010 resa all’esito della camera di consiglio del 24.2.2010 il Tar, in sede di esame di istanza cautelare, ordinava alla Amministrazione di pronunziarsi espressamente .

 

Con nota del 25.5.2010 prot. 34621 veniva comunicata, da parte del Prefetto, la adozione del nuovo provvedimento interdittivo.

 

Il ricorrente promuoveva nuovo ricorso rubricato con il n. 471 del 2010 dinanzi al medesimo Tar Calabria. All’udienza camerale del 6 ottobre 2010 il Tar Calabria comunicava alle parti che avrebbe introitato la causa per rendere sentenza breve. Con la sentenza n. 943 del 2010, previa riunione di tutti i giudizi introdotti, il Tar rigettava entrambi i ricorsi nn. 583 del 2009 e 471 del 2010.

 

Avverso tale sentenza veniva presentato l’odierno appello affidato a motivi vari di eccesso di potere e violazione di legge.

Si costituivano il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Reggio Calabria per resistere al ricorso.

All’udienza di trattazione del 17 giugno 2011 la causa è stata introitata per la decisione.

 

2. L’appellante, dopo avere richiamato la giurisprudenza formatasi in materia di interdittive antimafia in seno al Consiglio di Stato (IV Sez. 29.7.2008 n. 3723; VI, 3.3.2010 n. 1254; VI, 29.2.2008. n. 756), si lamenta che le informative prefettizie impugnate, ed in specie le due note d identico contenuto prot. nn. 44037 e 44308 del 2.7.2009 e la nota prot. n. 34621 del 25.5.2010, adottate in tempi successivi e con motivazioni solo parzialmente ed apparentemente diverse, pure in presenza di uno sforzo diretto a dare conto di una pluralità di elementi addotti nelle medesime “..non fanno emergere alcun quadro fattuale di elementi idoneo a fondare l’esistenza di elementi che sconsigliano la instaurazione di un rapporto con la P.A.”.

In sostanza secondo l’appellante sarebbero stati addotti meri sospetti o congetture prive di riscontro fattuale senza specifici elementi di fatto obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con associazioni di stampo malavitoso.

 

2. Quanto alla prima informativa antimafia il Tar ha preso in esame le relazione dell’Arma dei Carabinieri e della Questura datate rispettivamente 30 marzo 2009 e 9 maggio 2009 dalle quali emergerebbe un quadro articolato di partecipazioni societarie e frequentazioni del titolare della impresa, odierna appellante, con soggetti gravati da plurimi precedenti penali o loro congiunti prossimi, tutti operanti nel medesimo contesto sociale e territoriale di riferimento.

In particolare la relazione dei Carabinieri del 30.3.2009, posta a base della originaria informativa prefettizia impugnata, riferiva che il geometra (omissis) risultava, al momento della adozione del provvedimento interdittivo, contestualmente titolare di quote di società di capitali (Nuovo Paradiso) destinataria di provvedimento interdittivo antimafia, partecipata da altre società di capitali tra cui figuravano le società “ La Piazzetta” e “EdilCatona”.

Nella compagine sociale di “La Piazzetta s.r.l.” era presente il signor (omissis) il quale ricopriva la carica di amministratore unico e socio della medesima società, esente da pregiudizi penali; tuttavia degna di rilievo era la circostanza che il fratello del predetto amministratore unico (omissis)era gravato da precedenti penali.

 

Inoltre in relazione alla società EdilCatona s.r.l., i Carabinieri evidenziavano che l’amministratore unico (omissis) fosse esente da pregiudizi penali, ma che tuttavia altri due soci, (omissis) e (omissis) erano gravati da precedenti di Polizia.

 

In relazione al primo, venivano riferiti precedenti specifici in materia di reati contro la persona (estorsione e usura), mente in relazione al secondo, i precedenti riguardavano fattispecie incriminatrici (omessa custodia di armi, lesioni e violazioni normativa sulla sicurezza sul posto di lavoro). Inoltre il geometra (omissis) veniva indicato come soggetto dedito a frequentazioni con soggetti controindicati.

 

Tali elementi, secondo il Tar, complessivamente e congiuntamente apprezzati, portavano ragionevolmente ad un giudizio di cointeressenza del titolare della odierna ditta ricorrente con soggetti gravati da precedenti penali idoneo ai fini di cui all’art. 10 comma 7 lett. “c” del d.P.R. 252/98, così come ritenuto in sede cautelare, sia in primo grado che in appello (ord. n. 412/2009 e ord. Cons. Stato, VI Sez. n. 3094/2010).

 

2.1. Il ricorrente cerca di smantellare tale quadro indiziario assumendo che gli elementi raccolti non sarebbero riferibili direttamente al titolare della impresa destinataria del provvedimento prefettizio e che si potrebbe al più ipotizzare un pericolo di infiltrazioni nell’ambito della società Nuovo Paradiso, ma non nell’ambito della Impresa edile (omissis) la quale è controllata da soggetti estranei a organizzazioni criminali.

 

Gli elementi indicati dal Prefetto sarebbero solo occasionalmente riconducibili alla attività sociale della impresa, ma nella sostanza inidonei a qualificare una situazione di cointeressenza economica, come tale indice sintomatico di rischio di infiltrazioni mafiose.

 

2.2. Quanto alla seconda informativa redatta dalla Prefettura sulla base della relazione dell’Arma dei Carabinieri datata 21 aprile 2010, resa in esecuzione della ordinanza cautelare del Tar n. 205 del 2010, il Tar ha ritenuto che la cessione delle quote sociali ai fini della interruzione delle relazioni da parte della impresa ricorrente non potesse ritenersi elemento sufficiente rimanendo ferme relazioni e vicinanze interpersonali significative che non potevano ritenersi venute meno con la mera cessione delle quote, mancando ulteriori circostanze tali da giustificare oggettivamente le ragioni economiche della cessione, essendo per di più tale cessione intervenuta in pendenza del giudizio avverso la certificazione prefettizia, potendo ciò essere espressivo di intento strumentale volto soprattutto alla risoluzione della lite piuttosto che a un serio intento di resipiscenza e di allontanamento dal contesto di inquinamento mafioso.

 

Al riguardo lo (omissis) sostiene che il Tar avrebbe introdotto indebitamente nuovi elementi motivazionali dei quali il Prefetto non aveva tenuto conto nel provvedimento di riesame, essendosi questo limitato a legare il giudizio di persistenza di pericoli di infiltrazione mafiosa anche dopo la cessione delle quote alla circostanza inerente la “frequentazione con lo stesso soggetto di interesse operativo”.

 

3. Le doglianze dell’appellante tuttavia non meritano accoglimento e la sentenza del Tar regge alle critiche formulate nell’atto di appello.

 

Come è stato rilevato in giurisprudenza le informative del genere di quelle per cui è causa rappresentano una anticipazione della soglia dell'autotutela amministrativa a fronte di possibili ingerenze criminali nella attività della pubbliche amministrazioni e prescindono quindi da rilevanze probatorie tipiche del diritto penale per cercare di cogliere l'affidabilità dell'impresa affidataria dei lavori complessivamente intesa (Cons. Stato, sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2867).

 

E’ stato conseguentemente affermato che l'informativa sulla sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa che, ai sensi dell'art. 4 d.lg. 8 agosto 1994 n. 490 e dell'art. 10 d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, preclude la stipulazione di contratti con le pubbliche amministrazioni, non presuppone l'accertamento di responsabilità penali in capo ai titolari dell'impresa sospettata, essendo sufficiente che dalle informazioni, acquisiste tramite gli organi di polizia, si evinca un quadro indiziario sintomatico del pericolo di collegamento tra l'impresa e la criminalità organizzata. A legittimare l'adozione dell'informativa prefettizia è pertanto sufficiente che, ad esito della istruttoria, emergano elementi indiziari che, complessivamente considerati, rendano attendibile l'ipotesi del tentativo di ingerenza da parte delle organizzazioni criminali.

 

Sul piano del sindacato giurisdizionale è stato poi rilevato che stante l'ampia discrezionalità riservata all'autorità prefettizia, l’esame del giudice resta necessariamente circoscritto alla verifica estrinseca dei vizi sintomatici di una illogicità manifesta o di un travisamento dei fatti (Cons. Stato, sez. VI, 22 giugno 2007, n. 3470).

 

Il parametro valutativo di tali elementi indiziari non è dunque quello della certezza, ma quello della qualificata probabilità di infiltrazione mafiosa e nel rendere le informazioni richieste dal comune ai sensi dell'art. 10 comma 7 lett. c) d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, il Prefetto non deve basarsi su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni.

 

L'ampiezza dei poteri di accertamento giustificata dalla finalità preventiva sottesa al provvedimento, comporta che il Prefetto possa ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell'assoluta certezza, che tuttavia, nel loro coacervo, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, o comunque per la colleganza, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose (Cons. Stato, Sez. VI, 02 agosto 2006, n. 4737.)

 

In sostanza non si postula quale condizione per l'applicabilità delle disposizioni in parola, che ci si trovi al cospetto di una impresa criminale posseduta o gestita o controllata da soggetti dediti ad attività criminali, ma che vi sia la possibilità che essa possa, anche in via indiretta, favorire la criminalità.

 

4. Alla luce dei suddetti principi, come esattamente rilevato dal Tar, la circostanza che nel caso in esame vi sia un collegamento economico legato a partecipazione societarie tra soggetti incensurati e soggetti facenti parte o comunque nell’orbita di sodalizi criminali, con le connesse frequentazioni e relazioni interpersonali, è indicatore tipico di rischio di infiltrazioni mafiose nell’impresa, rilevanti ai fini della adozione della interdittiva antimafia, potendosi desumere, secondo dati di comune esperienza, non una attuale ingerenza delle organizzazioni mafiose negli affari della impresa, ma una effettiva possibilità o meglio un rischio che tale ingerenza sussista.

 

5. Sulla seconda informativa, si duole l’appellante che proprio la cessione di quote societarie finalizzata alla trasparenza commerciale e imprenditoriale da parte dello stesso, viene assunta a fondamento del rinnovato giudizio di pericolosità sociale da parte del Tar ritenendosi la cessione solo un mezzo strumentale per eludere la prima informativa interdittiva.

 

Al riguardo occorre sottolineare che il Prefetto ha motivato la seconda informativa affermando che il giudizio di attuale pericolo di infiltrazioni mafiose è da ritenere “tuttora esistente” in ragione del fatto che “i nuovi accertamenti disposti per il tramite delle Forze di Polizia” farebbero emergere “..che la frequentazione con lo stesso soggetto di interesse operativo anche dopo la recente cessione di quote societarie, conferma che gli intrecci economici con la compagine societaria, a cui aderiscono soggetti controindicati, non sono stati recisi”. Erano infatti “..emersi contatti in concreto intercorrenti tra il nominato in oggetto e persone ritenute far parte di cosca mafiosa attiva nella zona ove ha sede legale l’impresa in argomento”.

 

In particolare la Relazione dell’Arma dei Carabinieri sulla quale si basa il riesame del Prefetto dà atto in maniera esaustiva e puntuale della congerie di incontri dello (omissis) con esponenti della criminalità locale e del fatto che la cessione delle quote di azienda avvenuta in corso di causa e senza la contemporanea concomitanza di elementi oggettivi non era tale da fare ragionevolmente ritenere la interruzione della “comunanza di interessi con persone controindicate”.

 

Deve ritenersi che le relazioni di affari dello (omissis) debbano considerarsi costanti e non occasionali e che le stesse nel loro complesso danno obiettivo fondamento al giudizio di possibilità che la attività di impresa sia esposta a pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata.

 

Se infatti ciascuno dei singoli elementi evidenziati dalla Relazione dell’Arma potrebbe non essere sufficiente, di per sé, a fondare il giudizio di pericolosità, è la pluralità di rapporti di affari e la costanza delle frequentazioni di soggetti, tutti ritenuti a vario titolo collegati alla medesima cosca, a fare propendere per la possibilità di rischio di infiltrazione di talché la Sezione non può che condividere le conclusioni cui è pervenuto il Tar che ha rilevato che la mera cessione di quote poteva considerarsi espressione di un intento strumentale finalizzato a superare il carattere preclusivo della interdittiva.

 

In conclusione le circostanze fattuali depongono in maniera sufficientemente significativa nel senso della esistenza di effettivo rischio di collegamento mafioso nei confronti della società facente capo all’appellante.

 

6. Con il terzo motivo dedotto si censura la illegittimità del provvedimento di revoca adottato dalla amministrazione comunale di Vibo Valentia in particolare per insufficiente o omessa motivazione e per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento dalla causa tipica dell’atto.

 

Secondo l’appellante il tenore letterale della disposizione di cui all’art. 11 co. 2 del d.P.R. n. 252 del 1998 non lascerebbe dubbio in merito al fatto che la informativa prefettizia non ha portata direttamente caducante dei contratti già stipulati con la amministrazione essendo necessario l’esercizio di uno specifico potere valutativo da parte di questa in conformità peraltro ad un orientamento in tale senso di questo Consiglio di Stato (V, 29.4.2010 n.2460).

Senonché, ritiene la Sezione che anche tale motivo non colga nel segno atteso che nel caso in esame la amministrazione ha motivato il provvedimento espressamente ritenendo di fare prevalere, nella ponderazione tra interessi diversi, quello alla trasparenza e alla sicurezza, “…questo ultimo per impedire comunque, e in ogni caso, il rischio di infiltrazioni criminali negli appalti affidati”. Inoltre “..che alla luce della informativa prefettizia, non si rinvengono ragioni di interesse pubblico prevalenti tali da legittimare il sacrificio di un interesse pubblico fondamentale quale quello tutelato dalla disciplina antimafia”.

E’ evidente dunque che l’amministrazione non ha ritenuto automatica la risoluzione del contratto a fronte della informativa antimafia, ma, raffrontando gli interessi in gioco, ha ritenuto ragionevolmente recessivo l’interesse alla sua conservazione privilegiando con valutazione insindacabile nel merito, la trasparenza e sicurezza a fronte del rischio di infiltrazioni criminali.

In ogni caso si tenga conto che il quadro normativo posto dal sopradetto d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252 pone da un lato il divieto per la stazione appaltante di stipulare un contratto con un soggetto nei cui confronti emergano tentativi di infiltrazione mafiosa e riconosce alla stazione appaltante, dall’altro, una facoltà di non revocare il contratto di appalto nonostante siano emersi, a carico dell’altro contraente, tentativi di infiltrazione mafiosa. Tale facoltà, come rilevato in giurisprudenza, tuttavia non è nella libera disponibilità della stazione appaltante perché richiede che ricorrano, per la prosecuzione del rapporto contrattuale, ragioni di interesse pubblico che giustifichino in via del tutto eccezionale, di pretermettere l’interesse superiore teso a impedire alle amministrazioni pubbliche di intrattenere rapporti con imprese pregiudicate da tentativi di infiltrazioni mafiosa.

Nel senso che trattasi di una facoltà del tutto eccezionale e derogatoria è la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che, ad esempio, ha ritenuto che ai fini della prosecuzione del rapporto debba essere valutata “…la convenienza in relazione al tempo dell’esecuzione del contratto e alla difficoltà di trovare un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene a esecuzione ampiamente inoltrata” (Cons. Stato, V, 27 giugno 2006 n. 4135). In assenza di particolari ragioni contrarie, viceversa, diventa obbligatoria “la revoca del contratto qualora il condizionamento malavitoso dell’attività sia accertato a mezzo della informativa del Prefetto, il cui effetto interdittivo opera in modo automatico” (Cons. Stato, V, 29 agosto 2005 n. 4408).

Da ciò consegue altresì che il provvedimento di prosecuzione del rapporto contrattuale è soggetto a onere motivazionale rafforzato, nel senso che l’amministrazione deve dare ampia e dettagliata motivazione quando ritenga di non aderire alla portata inibitoria della informativa prefettizia, ma laddove invece la stazione appaltante non intenda fare uso della facoltà di prosecuzione, non si impone alcun obbligo motivazionale specifico e risulta sufficiente il mero rinvio alla misura interdittiva.

 

7. In conclusione l’appello non merita accoglimento.

 

8. Sussistono tuttavia motivi per compensare spese ed onorari del grado.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 giugno 2011 con l'intervento dei magistrati:

Pier Luigi Lodi, Presidente

Marco Lipari, Consigliere

Salvatore Cacace, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore

Hadrian Simonetti, Consigliere

   

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 19/09/2011

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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