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Consiglio di Stato, Sez. VI, 31/10/2011 n. 5809
La revoca del provvedimento di aggiudicazione di una gara non può essere impedita dalla cessione di un ramo d'azienda.


Se da una parte il divieto di cessione del contratto, nel settore dei pubblici appalti, risulta temperato nei casi di cessione di azienda, ovvero di trasformazione, fusione o scissione societaria, purché permangano i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti, al fine di non penalizzare i processi di ristrutturazione delle società, è comunque imposta la possibilità di verifica dei predetti requisiti da parte dell'Amministrazione: in tale ottica, ai sensi dell'art. 35, c. 1, della l. n. 109/94, gli atti gli atti sopra indicati non producono effetti nei confronti delle Amministrazioni aggiudicatrici, fino a che non siano intervenute le comunicazioni, di cui all'art. 1 del D.P.C.M. n. 187/1991, circa il nuovo reale assetto societario. Ne consegue la perdurante inefficacia dei medesimi atti in relazione al subentro in rapporti contrattuali, che alla data della cessione siano già stati revocati dall'Amministrazione, non solo non sussistendo, in tale ipotesi, l'esigenza di non penalizzare i processi di trasformazione societaria, ma potendo configurarsi la cessione quale strumento elusivo dell'inidoneità alla stipula dell'originale soggetto aggiudicatario.

Materia: appalti / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9722 del 2006, proposto dalle società Encla Infrastrutture S.r.l. in qualità di impresa capogruppo e mandataria dell’Associazione temporanea di imprese con la società Comos s.r.l., nonché la stessa Comos s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avv. Antonello Tornitore, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Cola di Rienzo, 271;

 

contro

Il Comune di Ercolano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sergio Soria e Andrea Scognamiglio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alfredo Pieretti in Roma, via di Priscilla n. 106;

 

nei confronti di

Il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge presso la sede di Roma, via dei Portoghesi, 12; Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Palermo;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE I, n. 7609/2006, resa tra le parti, concernente REVOCA DELL’AGGIUDICAZIONE DI UN APPALTO PER OPERE DI COMPLETAMENTO DI SISTEMA FOGNARIO - INFORMATIVA ANTIMAFIA

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2011 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti l’avv. Soria e l’avvocato dello Stato Pio Marrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

Attraverso l’atto di appello in esame (n. 9722/06, notificato il 17.11.2006), si contestava la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, sez. I, n. 7609/06 del 20.7.2006, che non risulta notificata, con la quale era stato respinto il ricorso proposto dalla società Encla Infrastrutture s.r.l.. (attuale appellante e cessionaria di ramo d’azienda da parte della società Comos s.r.l.) avverso atti del Comune di Ercolano e della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Palermo, con cui veniva revocata l’aggiudicazione di un appalto per opere di completamento del servizio fognario comunale (località san Vito, lotti A e B), a seguito delle comunicazioni rese ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/98 (a loro volta oggetto di impugnativa) nei confronti della società Imap s.r.l., poi trasformata in Cosaf s.r.l..

Nella citata sentenza, le ragioni della parte ricorrente erano ritenute non condivisibili, per irrilevanza della cessione del ramo di azienda, comprendente l’appalto in questione, da Cosaf s.r.l. s.r.l. ad Encla Infrastrutture s.r.l., essendo intervenuta la risoluzione del contratto il 28 novembre 2005 e risultando comunicata la cessione solo il 22 dicembre 2005, con conseguente applicabilità dell’art. 35, comma 1, della legge n. 109/1994, secondo cui le cessioni di azienda non producono effetto nei confronti delle stazioni appaltanti prima della comunicazione delle stesse, da effettuare ai sensi dell’art. 1 del D.P.C.M. n. 187 in data 11.5.1991.

Ugualmente irrilevante sarebbe stato il riconoscimento, a favore del coniuge del legale rappresentante della Cosaf s.r.l., dei benefici di cui all’art. 81 del D.L. n. 151/1991, in ragione della sua dissociazione da ‘Cosa Nostra’, essendo stato comunque lo stesso condannato per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., con conseguente impossibilità di intrattenere rapporti contrattuali con l’Amministrazione (essendo, peraltro, il medesimo soggetto risultato il reale “dominus” della società).

In sede di appello tutte le argomentazioni, in precedenza sintetizzate, venivano analiticamente contestate, al fine di ribadire la illegittimità degli atti impugnati sulla base delle seguenti, ribadite argomentazioni difensive:

1) violazione o falsa applicazione dell’art. 35 L. n. 104/1994; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, illegittimità derivata, in quanto la cessione di azienda – intervenuta il 25.11.2005, in corso di procedura – avrebbe dovuto determinare un nuovo esame della posizione dell’impresa cessionaria, proprio sotto il profilo antimafia; l’omissione per oltre 60 giorni di qualsiasi osservazione da parte del Comune, inoltre, avrebbe determinato il regolare subentro di detta impresa cessionaria nella titolarità del contratto, a norma dell’art. 35, comma 2, della legge n. 109/1994;

2) violazione o falsa applicazione dell’art. 4 del D.Lgs. n. 490/1994, dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998, degli articoli 7 e 8 del D.L. n. 152/1991; eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti; sviamento, non potendo assumersi come unico ed esclusivo indice dei provvedimenti adottati il rapporto di coniugio con il legale rappresentante dell’impresa oggetto di informativa, peraltro senza considerare la reale posizione del soggetto in questione nell’ambito di un processo penale, concluso nel 2001.

L’Amministrazione appellata, costituitasi in giudizio, richiamava le tre categorie di informative prefettizie: quella ricognitiva di cause di divieto di per sé interdittive, ai sensi dell’art. 4, comma 4, del D.Lgs n. 490/1994, quella relativa ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese interessate, la cui efficacia interdittiva discende da una valutazione del Prefetto (cfr. art. 10, comma 7, D.P.R. n. 252/1998) e quella delle cosiddette informative supplementari o atipiche, il cui effetto interdittivo è rimesso alla valutazione autonoma e discrezionale dell’Amministrazione destinataria dell’informativa (art. 1 septies del D.L. n. 629/1982, convertito con modificazioni dalla legge n. 726/1982 e richiamato dall’art. 10, comma 9 del D.P.R. n. 252/1998).

Nella situazione in esame, il Comune di Ercolano aveva richiesto alla Prefettura di Palermo l’informativa, di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998, nei confronti della società Imap s.r.l., con sede a Palermo e da tale informativa risultava che il sig. Crisafulli Ettore, coniuge dell’Amministratore unico di Imap, sig.ra Emilia Valentino, era stato condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso ed altri reati, con sentenza n. 1069/2001, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Palermo il 27.9.2001, ai sensi dell’art. 444 c.p.p.. Con nota prefettizia del 31.8.2005 (n. 8744) veniva quindi trasmesso al Comune di Ercolano certificato di diniego ex art. 10 del D.P.R. n. 252/1998, confermato su istanza di riesame con provvedimento in data 3.11.2005 (n. 6617), con modifica della classificazione dell’informativa da c) ad a), nei confronti di “Cosaf s.r.l.”, per “sussistenza delle condizioni interdittive di cui alla legge n. 575/1965 a carico di Crisafulli Ettore, nella qualità di dominus e procuratore della Imap, oggi trasformatasi in Cosaf s.r.l.”.

Irrilevante, in tale situazione, sarebbe stata la cessione del ramo d’azienda all’attuale appellante, in quanto comunicata il 22.12.2005 e quindi successivamente alla revoca dell’aggiudicazione, disposta il 3.12.2005; anche l’inclusione del contratto di cui trattasi nella cessione, peraltro, risultava operata in data successiva alla predetta revoca (23.12.2005). Non vi sarebbero state, quindi, comunicazioni da rendere entro 60 giorni da parte della stazione appaltante, risultando riferita la comunicazione, di cui all’art. 35, comma 1, della legge n. 109/1994, ad un contratto con aggiudicazione, nella fattispecie, già revocata. Quanto all’asserita non attualità della condanna emessa a carico del sig. Ettore Crisafulli, infine, la stazione appaltante non poteva che ritenersi vincolata all’osservanza dell’art. 10, comma 7, lettera a) del D.P.R. n. 252/1998, indipendentemente dal successivo, rappresentato distacco del condannato rispetto all’organizzazione criminale di originaria appartenenza (restando sussistente, in ogni caso, il fatto oggettivo dell’intervenuta condanna, per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., senza che – sul piano che qui interessa – rilevi l’attenuante della dissociazione, di cui all’art. 8 del D.L. n. 152/1991, trattandosi di attenuante legata ad un contributo prettamente processuale dell’imputato, per vedere mitigata la pena comminabile, ma senza automatica cessazione o diminuzione della pericolosità sociale).

Premesso quanto sopra – e ritenute non sussistenti le ragioni per un ulteriore rinvio della decisione (essendo applicabile anche nel processo amministrativo l’art. 85 c.p.c., circa gli effetti della rinuncia al mandato difensivo), nonché in assenza di formali comunicazioni, in ordine ad eventi interruttivi del giudizio (cfr Cons. St., sez. VI, 30.3.2004, n. 1706) – il Collegio ritiene che l’appello non possa trovare accoglimento.

Si deve infatti in primo luogo escludere, secondo un ordine logico di trattazione delle questioni sottoposte a giudizio, che l’Amministrazione abbia erroneamente applicato, nel caso di specie, la normativa in materia di condizionamento delle imprese da parte della criminalità organizzata, con particolare riguardo all’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998., il cui comma 7, lettera a), rendeva la revoca dell’appalto, a suo tempo aggiudicato alla società Imap s.r.l. (poi divenuta Cosaf s.r.l.), un atto dovuto (cfr. in tal senso Cons. St., sez. V, 2.3.2009, n. 1148). Quanto sopra in una situazione che vedeva reale “dominus” della società aggiudicataria – circostanza, questa, in fatto non contestata – un soggetto condannato ai sensi dell’art. 416 bis cod. pen. (associazione di tipo mafioso).

In un contesto normativo, che persegue esigenze di tutela dell’ordine pubblico, con anticipazione della soglia di difesa sociale nel contrasto con la criminalità organizzata, il secondo ordine di censure prospettato non può dunque che essere respinto, essendo in effetti sussistenti i presupposti per la revoca dell’aggiudicazione dell’appalto di cui trattasi alla società Imap, indipendentemente dalla dissociazione poi espressa dal signor Ettore Crisafulli in rapporto all’organizzazione mafiosa.

Resta da definire – con riferimento al primo ordine di censure – se la revoca potesse risultare impedita dalla cessione del ramo di azienda, comprendente l’appalto in precedenza specificato, all’attuale appellante ENCLA Infrastrutture s.r.l., con regolare subentro di quest’ultima in assenza di osservazioni da parte del Comune, a norma dell’art. 35 della legge 11.2.1994, n. 109.

Il Collegio non ritiene che, nella situazione in esame, detto subentro possa considerarsi intervenuto.

Se da una parte, infatti, il divieto di cessione del contratto, nel settore dei pubblici appalti, risulta temperato nei casi di cessione di azienda, ovvero di trasformazione, fusione o scissione societaria, purché permangano i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti, al fine di non penalizzare i processi di ristrutturazione delle società, è comunque imposta la possibilità di verifica dei predetti requisiti da parte dell’Amministrazione: in tale ottica, come prescrive il citato art. 35, comma 1 della legge n. 109/1994, gli atti sopra indicati non producono effetti nei confronti delle Amministrazioni aggiudicatrici, fino a che non siano intervenute le comunicazioni, di cui all’art. 1 del D.P.C.M. n. 187/1991, circa il nuovo reale assetto societario.

Non può non discendere dalla normativa sopra ricordata la perdurante inefficacia dei medesimi atti in relazione al subentro in rapporti contrattuali, che alla data della cessione siano già stati revocati dall’Amministrazione, non solo non sussistendo in tale ipotesi l’esigenza di non penalizzare i processi di trasformazione societaria, ma potendo configurarsi la cessione come strumento elusivo della inidoneità alla stipula dell’originale soggetto aggiudicatario.

Per le ragioni esposte, in conclusione, anche il primo ordine di censure non può essere condiviso, con conseguente ritenuta infondatezza dell’impugnativa; le spese giudiziali – da porre a carico della parte soccombente – vengono liquidate nella misura di €. 2.000,00 (euro duemila/00).

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l'appello, come in epigrafe proposto; condanna l’appellante al pagamento delle spese giudiziali del secondo grado, nella misura di €. 2.000,00 (euro duemila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Garofoli, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

   

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 31/10/2011

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