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TAR Puglia, Bari, sez. I, 5/1/2012 n. 24
Sulla distinzione tra servizi pubblici locali di rilevanza economica e servizi pubblici locali privi di tale rilevanza e capacità jure privatorum dei comuni.

Ai fini della distinzione tra servizi pubblici locali di rilevanza economica e servizi pubblici locali privi di tale rilevanza, a fronte della rilevata inidoneità di criteri distintivi di natura astratta, sostanzialistica e/o ontologica, occorre far ricorso ad un criterio relativistico, che tenga conto delle peculiarità del caso concreto, quali la concreta struttura del servizio, le concrete modalità del suo espletamento, i suoi specifici connotati economico-organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio. Pertanto, applicando siffatto criterio relativistico e contestualizzante al caso di specie, riguardante il servizio socio sanitario erogato presso una struttura del comune e affidato dal medesimo ad una fondazione dallo stesso costituita si perviene alla conclusione che si versi in fattispecie di servizio privo di rilevanza economica.

I comuni possono organizzare la gestione dei servizi pubblici privi di rilevanza economica anche con forme differenti da quelle previste nell'art. 23 bis, del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, compresa, tra queste, pure la fondazione. La capacità jure privatorum dei comuni, già riconosciuta esplicitamente dall'art. 11 del c.c., si esprime, dopo l'introduzione, da parte della l.11 febbraio 2005 n. 15, del c. 1 bis nell'art. 1 della l. 7 agosto 1990 n. 241, normalmente in un'attività (non autoritativa ma pur sempre funzionalizzata) di diritto privato. Tale clausola generale fuga ogni dubbio sulle potenzialità insite nell'autonomia privata esercitata dall'ente (che, d'altronde, ai sensi dell'articolo dall'art. 114 Cost., ha la facoltà di organizzare, in modo autonomo, le proprie funzioni): esso può non solo istituire una fondazione, ma anche adattare (come si è verificato nel caso di specie) lo schema privatistico alle proprie esigenze, attraverso l'apertura statutaria a più soggetti, pubblici o privati, allo scopo di ottenere l'incremento del fondo patrimoniale e quindi il sostentamento degli scopi istituzionali durante la vita della persona giuridica.

Materia: servizi pubblici / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 313 del 2010, proposto dalla Residence per anziani S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Felice Eugenio Lorusso, con domicilio eletto in Bari, via Amendola n. 166/5;

 

contro

Comune di Santeramo in Colle, rappresentato e difeso dall'avv. Emilio Toma, con domicilio eletto in Bari, via Calefati, 133;

Regione Puglia;

nei confronti di

Fondazione Città di Santeramo - Giuseppe Simone e Vito Calabrese;

Cooperativa sociale CON NOI a r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Cozzi, con domicilio eletto in Bari, corso Cavour n. 31;

per l'annullamento

della deliberazione del Consiglio comunale di Santeramo in Colle n. 66 del 7.12.2009, pubblicata sull’Albo pretorio comunale per 15 giorni consecutivi a far data dal 7.12.2009, con cui è stata approvata la costituzione della fondazione “Città di Santeramo - Giuseppe Simone e Vito Calabrese” per la gestione dei servizi sociali non aventi rilevanza economica con conseguente affidamento in house del “servizio socio sanitario erogato nell’ambito della struttura che ospita la casa di riposo e la casa protetta Simone-Calabrese”.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Santeramo in Colle e della Cooperativa sociale CON NOI a r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2011 il cons. Giuseppina Adamo e uditi per le parti i difensori, avv.ti Michele Paparella, per delega dell'avv. Felice Eugenio Lorusso, Emilio Toma e Giuseppe Cozzi;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

A. La società a responsabilità limitata "Residence per anziani" si occupa di residenze e centri per persone anziane. Impugna la deliberazione del Consiglio comunale di Santeramo in Colle n. 66 del 7 dicembre 2009, con cui l’Ente, proprietario di un immobile sito alla via P. Sette, adibito a casa di riposo e a casa protetta "Giuseppe Simone e Vito Calabrese” (sinora gestite dalla cooperativa sociale CON NOI), ha approvato la costituzione della fondazione ”Città di Santeramo - Giuseppe Simone e Vito Calabrese” per la gestione dei servizi sociali non aventi rilevanza economica con conseguente affidamento (secondo l'interessata, da definirsi in house) del “servizio socio sanitario erogato nell’ambito della struttura che ospita la casa di riposo e la casa protetta Simone-Calabrese”.

Ritenendosi lesa, in quanto operatore economico del settore, la società ha impugnato il predetto atto alla stregua dei seguenti motivi:

1. violazione e falsa applicazione dell'articolo 113 del decreto legislativo n. 267/2000; violazione e falsa applicazione dell'articolo 23 bis del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 133; violazione dei generali principi in materia di tutela della concorrenza; violazione dei generali principi in materia di affidamento dei servizi pubblici in house; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto in diritto, difetto assoluto d’istruttoria, perplessità, disparità di trattamento, sviamento;

2. violazione e falsa applicazione dell'articolo 113 del decreto legislativo n. 267/2000; violazione e falsa applicazione dell'articolo 23 bis del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 133; violazione dei generali principi in materia di tutela della concorrenza; violazione dei generali principi in materia di affidamento dei servizi pubblici in house; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto in diritto, difetto assoluto d’istruttoria, perplessità, disparità di trattamento, sviamento;

3. violazione e falsa applicazione dell'articolo 19 della legge regionale 12 luglio 2006 n. 19 e degli articoli 11, 14, 22 e 25 del regolamento regionale 18 gennaio 2007 n. 4; violazione e falsa applicazione dell'articolo 113 del decreto legislativo n. 267/2000; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto in diritto, difetto assoluto d’istruttoria, perplessità, disparità di trattamento, sviamento.

Si sono costituiti il Comune di Santeramo in Colle e la cooperativa sociale CON NOI a r.l., chiedendo il rigetto del ricorso.

Sulle conclusioni delle parti, la causa è stata riservata per la decisione all'udienza del 9 novembre 2011.

B.1. Le censure dedotte dalla Residence per anziani S.r.l. partono dal presupposto che il servizio affidato all’istituita fondazione “Città di Santeramo - Giuseppe Simone e Vito Calabrese” avrebbe rilevanza economica e perciò sarebbe assoggettato all'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 e all'articolo 23 bis del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 133. Rispetto al caso concreto, allora, la richiamata disciplina non consentirebbe tale soluzione in mancanza dei requisiti del "controllo analogo" e della "stabilità dell'assetto societario", individuati dalla giurisprudenza nazionale e dell'Unione europea.

Il modulo previsto dal Comune di Santeramo (fondazione), secondo la parte, d'altronde, sarebbe esclusa anche a voler richiamare l'articolo 113 bis del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, dopo la dichiarazione della sua illegittimità da parte della Corte costituzionale (sentenza 13-27 luglio 2004, n. 272). In radice poi sarebbe inibita all'Ente locale l'attivazione di servizi sociali e socio-sanitari non previsti dal piano di zona, a norma della legge regionale 12 luglio 2006 n. 19 e del relativo regolamento 18 gennaio 2007 n. 4.

I rilievi sono però infondati.

B.2. Occorre innanzitutto – al fine di delimitare la fattispecie in esame rispetto all’ambito applicativo dell’art. 113 del decreto legislativo n. 267/2000 (disciplinante l’affidamento, la gestione ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, la cui violazione viene denunziata dalla ricorrente) –, affrontare la questione della qualificazione della natura del servizio pubblico locale de quo; questione, che si risolve nel quesito, se ad esso possa attribuirsi natura di servizio pubblico locale sociale privo di rilevanza economica oppure di servizio pubblico locale munito di siffatta rilevanza.

Giova, al riguardo, prendere le mosse dall’art. 113 bis del decreto legislativo n. 267/2000 ("Gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica"), inserito dall'articolo 35, comma XV, della legge 28 dicembre 2001 n. 448, che, nella sua versione successiva alle modifiche introdotte dall’articolo 14, comma secondo, del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003 n. 326, così recita:

“1. Ferme restando le disposizioni previste per i singoli settori, i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica sono gestiti mediante affidamento diretto a:

a) istituzioni;

b) aziende speciali, anche consortili;

c) società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.

2. È consentita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1.

3. Gli enti locali possono procedere all'affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate.

4. (abrogato)

5. I rapporti tra gli enti locali ed i soggetti erogatori dei servizi di cui al presente articolo sono regolati da contratti di servizio”.

La Corte costituzionale con sentenza 13-27 luglio 2004, n. 272 ha dichiarato illegittimo l’articolo 14, comma secondo, del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269 e, per l'effetto, in parte anche l’art. 113 bis del decreto legislativo n. 267/2000 per violazione dei criteri costituzionali di riparto del potere legislativo tra Stato e Regioni e per la conseguente illegittima compressione delle autonomie regionali e locali in materia di servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, sul rilievo che la disciplina delle forme di gestione e di conferimento di detti servizi, estranea alla materia della concorrenza, non rientra nelle materie riservate dall’art. 117 della Costituzione alla potestà legislativa statale. In sostanza, risultava compromesso di riflesso lo “spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte ragionale ed anche locale” nella materia in esame, assicurato dall’art. 117, comma terzo.

Si deve dunque concludere che l’articolo 113 bis è stato inciso nei limiti del comma primo, lettera c) ("società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano") e dell'abrogazione del comma quarto (laddove in precedenza prevedeva: "Quando sussistono ragioni tecniche, economiche o di utilità sociale, i servizi di cui ai commi 1, 2 e 3 possono essere affidati a terzi, in base a procedure ad evidenza pubblica, secondo le modalità stabilite dalle normative di settore").

Ciò significa che non è stato cancellato il concetto di servizio pubblico locale privo di rilevanza economica né negata la sua valenza giuridica, con la conseguenza che non è condivisibile il ragionamento della ricorrente, la quale presuppone che tutti i servizi pubblici locali siano stati assorbiti nel regime di cui all'articolo 113 del decreto legislativo n. 267/2000 (e successivamente in quello - concorrente - di cui dell'articolo 23 bis del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 133), riguardante invece i servizi pubblici di valenza economica.

A smentita di tale posizione giova richiamare altresì quanto al proposito sottolineato dal Giudice delle leggi: “La tutela della concorrenza e l’inderogabilità della disciplina da parte di norme regionali sono però esplicitamente evocate in riferimento ai soli servizi pubblici locali attualmente classificati come “di rilevanza economica”, di cui all'art. 113, e non già in riferimento ai servizi “privi di rilevanza economica” previsti dall'art. 113-bis. La nuova denominazione di questi servizi, adottata in conformità a tendenze emerse in sede di Commissione europea a decorrere dal settembre 2000, già di per sé può indicare che il titolo di legittimazione per gli interventi del legislatore statale costituito dalla tutela della concorrenza non è applicabile a questo tipo di servizi, proprio perché in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale. A questo proposito la Commissione europea, nel “Libro Verde sui servizi di interesse generale” (COM-2003-270) del 21 maggio 2003, ha affermato che le norme sulla concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche, dopo aver precisato che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo, cosicché non sarebbe possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura “non economica”. Secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta infatti al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell'eventuale finanziamento pubblico dell'attività in questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001). Per i servizi locali, quindi, che, in relazione al soggetto erogatore, ai caratteri ed alle modalità della prestazione, ai destinatari, appaiono privi di “rilevanza economica”, ci sarà dunque spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale”.

Come ha osservato il Consiglio di Stato, Sezione quinta, 10 settembre 2010 n. 6529, “Ai fini della distinzione tra servizi pubblici locali di rilevanza economica e servizi pubblici locali privi di tale rilevanza non si può dunque, alla stregua della riportata giurisprudenza costituzionale e della ivi richiamata giurisprudenza comunitaria – infatti, secondo il diritto comunitario, sono soggetti alla disciplina della concorrenza solo i servizi di interesse economico generale (v. art. 86, ex art. 90, tratt. Ce.) –, far ricorso all’astratto criterio sostanzialistico del carattere remunerativo, o meno, della loro erogazione tramite attività d’impresa svolta nel mercato, la quale garantisca la remunerazione efficace del capitale (i.e. la capacità di produrre utili), nel senso che nell’organizzazione imprenditoriale il corrispettivo desunto dal mercato dei prodotti (beni e servizi) deve remunerare, con un tendenziale margine di profitto, il costo desunto dal mercato dei fattori della produzione. In effetti, qualsiasi attività, anche quella istituzionalmente esercitata da enti pubblici e comunemente considerata priva di rilevanza economica – attività e servizi, per lo più connotati da significativo rilievo socio-assistenziale, gestiti in funzione di mera copertura delle spese sostenute, anziché del perseguimento di profitto d’impresa, le cui spese per lo più fanno carico alla finanza pubblica e la cui disciplina è normalmente diversa da quella dei servizi a rilevanza economica –, può essere svolta in forma d’impresa, purché vi sia un soggetto (in questi casi, un’istituzione pubblica) disposto a ricorrere agli operatori di mercato, ossia alle imprese, per procurarsi le relative prestazioni. Si tratta di distinzione incerta e di differenze di regime non ontologicamente necessarie, come dimostrato dall’esistenza, per un verso, di servizi corrispondenti alla prima definizione, erogati da pubbliche amministrazioni in forma non remunerativa (si pensi all’istruzione o alla sanità), e, per altro verso, di servizi analoghi a quelli del secondo gruppo, erogati da imprese (si pensi agli istituti di patronato o ai centri di assistenza fiscale). La scelta delle modalità di erogazione e del regime giuridico, al quale le varie attività sono sottoposte, dipende, in definitiva, più da valutazioni politiche che dai caratteri intrinseci dei servizi.

A fronte della rilevata inidoneità di criteri distintivi di natura astratta, sostanzialistica e/o ontologica a discernere la natura delle due categorie di servizi pubblici in esame, occorre far ricorso ad un criterio relativistico, che tenga conto delle peculiarità del caso concreto, quali la concreta struttura del servizio, le concrete modalità del suo espletamento, i suoi specifici connotati economico-organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio”.

B.3. In concreto, allora, applicando siffatto criterio relativistico e contestualizzante al caso sub iudice, deve pervenirsi alla conclusione che si versi in fattispecie di servizio privo di rilevanza economica.

Depongono in tal senso gli elementi desumibili dagli atti.

In primo luogo, la delibera gravata mette in evidenza (nella parte "valutato") l'impegno del Comune per la fruizione dei servizi sociali da parte delle fasce economicamente più deboli della popolazione, servizi la cui offerta dipende essenzialmente dalle scelte politiche dell'Amministrazione municipale. Questi fattori sono espressamente assunti dall’Ente locale come rilevanti ai fini della non significatività economica del servizio, alla stregua degli indici individuati a livello comunitario e puntualmente riportati, nella parte "considerato" dell'atto (assenza di uno scopo precipuamente lucrativo; mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività; eventuale finanziamento pubblico).

In secondo luogo, lo statuto della fondazione esplicita questi elementi rilevanti attraverso una precisa indicazione dei compiti socio-assistenziali nei casi di marginalità e di bisogno e delle regole di funzionamento e finanziamento. Per tale ultimo aspetto hanno rilievo preponderante (rispetto alle entrate proprie di marginale importanza) i contributi ordinari e straordinari versati dal Comune e dagli altri eventuali partecipanti e sostenitori (pubblici e privati), le sovvenzioni e i finanziamenti, nonché le erogazioni, donazioni e i lasciti.

B.4. Una volta confermato che nella specie si tratti di un servizio privo di rilevanza economica (come d'altronde già in origine desumibile dalla delibera, che, su questo punto come sugli altri rilevanti per la controversia, si distingue per chiarezza e completezza), occorre far riferimento alla normativa regionale, a cui la Corte costituzionale affida sostanzialmente la disciplina. Essa definisce i compiti dell’ente territoriale essenzialmente attraverso l'articolo 19 della legge regionale 12 luglio 2006 n. 19 ("Disciplina del sistema integrato dei servizi sociali per la dignità e il benessere delle donne e degli uomini in Puglia"), per il quale "1. I Comuni sono titolari di tutte le funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale, adottano sul piano territoriale gli assetti organizzativi e gestionali più funzionali alla gestione della rete dei servizi, alla spesa e al rapporto con i cittadini e concorrono alla programmazione regionale.

2. Ai Comuni, oltre alle competenze già trasferite a norma del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) e alle funzioni attribuite, ai sensi dell'articolo 132, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), con il decreto legislativo 30 marzo 1999, n. 96 (Intervento sostitutivo del Governo per la ripartizione di funzioni amministrative tra regioni ed enti locali a norma dell'articolo 4, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e successive modificazioni), spettano, nell'ambito delle risorse disponibili in base al Piano regionale e di zona, l'esercizio delle seguenti attività…" (poi ulteriormente elencate).

È evidente che la norma ribadisce l'appartenenza all'ambito comunale di una delle sue competenze proprie più tradizionali, in genere denominata "assistenza (e beneficenza)", che gli enti locali italiani hanno sempre esercitato sin dall’istituzione delle congregazioni di carità, con la legge 3 agosto 1862 n. 753, e che la Costituzione e la successiva riforma del titolo quinto (in ossequio al principio della sussidiarietà), l'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977 n. 616, la legge 8 giugno 1990 n. 142 e il decreto legislativo n. 267/2000 - in particolare l'articolo 13 che affida al comune "tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale" (tra cui innanzi tutto quelle comprese "precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità") - non hanno potuto che confermare e rinforzare.

Tali premesse consentono in sé, pertanto, di respingere non solo i rilievi formulati con il primo motivo (in quanto la non rilevanza economica del servizio sottrae la fattispecie in esame dall'ambito applicativo dell'articolo 113 del decreto legislativo n. 267/2000 e delle norme che si occupano dei servizi di significato economico, assunti dalla ricorrente come parametro di legittimità), ma anche il terzo motivo, teso a negare l'autonomia comunale nell'organizzazione dei servizi sociali (ritenuti del tutto assorbiti nella programmazione prevista dalla normativa regionale).

Al proposito è solo d’aggiungere che il Comune, operando con estrema cautela, si è preoccupata di rispettare, in ogni caso, anche le condizioni che, secondo la Corte di giustizia e la giurisprudenza amministrativa, consentono lo "in house providing", introducendo nello statuto (come appositamente evidenziato nella delibera, nella parte "Ravvisata a tal fine l'opportunità") una complessa serie di misure che consentono allo "Ente locale, nella qualità di socio unico", ovvero di membro fondatore, non sostituibile e non integrabile, unico e totalitario componente dell'assemblea della fondazione, un costante e penetrante controllo sugli atti e sugli organi di tale persona giuridica, rafforzato e ampliato attraverso l'esplicita previsione di ulteriori accordi regolativi del rapporto tra le parti e il generalizzato accesso ai documenti della fondazione riconosciuto ai consiglieri comunali.

La lettura dell’insieme delle clausole statutarie in definitiva evidenzia l’insostenibilità in concreto delle tesi dell’istante in relazione al punto, segnatamente nella parte in cui contesta il ricorrere, per il Comune, di un “controllo analogo” a quello esercitato sui servizi gestiti direttamente (anche ove s’intendesse verificare tale profilo, nonostante l’estraneità dell’articolo 113 e il venir meno, nell’articolo 113 bis, primo comma, del decreto legislativo n. 267/2000, della lettera c).

B.5. Quanto al secondo motivo, la società Residence per anziani sostiene che, anche a voler richiamare l'articolo 113 bis del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, pur dopo la dichiarazione della sua illegittimità di cui alla sentenza Corte costituzionale 13-27 luglio 2004, n. 272, il modulo prescelto dal Comune di Santeramo (fondazione) sarebbe comunque contra legem, in quanto non previsto da detta disposizione.

Anche in riferimento a tale questione, la posizione assunta dall'Amministrazione municipale è chiaramente esposta nella delibera impugnata: partendo dal presupposto (che il Collegio condivide, come illustrato al precedente punto B.2.) che la citata pronuncia della Corte non abbia cancellato in toto l'articolo 113 bis (e quindi, tanto meno, abbia comportato la sussunzione di tutti i servizi locali nell'ambito dell'articolo 113 ovvero del successivo articolo 23 bis del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, che sono rimasti il riferimento normativo dei servizi a rilevanza economica), ne fa discendere, anche sulla scorta di pareri della Corte dei conti) che "conseguentemente deve oggi ritenersi possibile che i comuni organizzino la gestione dei servizi pubblici privi di rilevanza economica anche con forme differenti da quelle previste nel citato articolo 23 bis", compresa, tra queste, pure la fondazione.

In effetti, una volta che la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell’articolo 14, comma secondo, del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269 e, per l'effetto, in parte anche dell’articolo 113 bis del decreto legislativo n. 267/2000, perché le norme di dettaglio riguardanti l'organizzazione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica comprimevano la sfera giuridica, costituzionalmente protetta, della regione e degli enti locali, e una volta che, in definitiva, in tale settore la Regione Puglia si sia limitata a ribadire la competenza propria del comune nel settore dei servizi sociali, non vi è ragione per negare che le scelte autonome dell'amministrazione municipale possano estrinsecarsi attraverso strumenti di diritto privato e, quindi, anche attraverso una fondazione, d'altronde espressamente prevista dallo stesso articolo 113 bis, comma terzo, per i "servizi culturali e del tempo libero".

È infatti innegabile il dato normativo in base al quale al quale la capacità jure privatorum dei comuni, già riconosciuta esplicitamente dall’articolo 11 del codice civile, si esprime oggi, dopo l'introduzione, da parte della legge 11 febbraio 2005 n. 15, del comma 1 bis nell’articolo 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241, normalmente in un'attività (non autoritativa ma pur sempre funzionalizzata) di diritto privato.

Tale clausola generale fuga ogni dubbio sulle potenzialità insite nell'autonomia privata esercitata dall'ente (che, d'altronde, ai sensi dell'articolo dall'art. 114 della Costituzione, ha la facoltà di organizzare, in modo autonomo, le proprie funzioni): esso può non solo istituire una fondazione, ma anche adattare (come si è verificato nel caso in esame) lo schema privatistico alle proprie esigenze, attraverso l'apertura statutaria a più soggetti, pubblici o privati, allo scopo di ottenere l'incremento del fondo patrimoniale e quindi il sostentamento degli scopi istituzionali durante la vita della persona giuridica (secondo un modello per certi versi analogo alle fondazioni universitarie di diritto privato di cui al D.P.R. 24 maggio 2001, n. 254), con un'operazione già ritenuta ammissibile dal Consiglio di Stato, Sez. II, 30 ottobre 1996, n. 245.

In conclusione il ricorso va respinto, mentre la complessità e novità delle questioni affrontate giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

 

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppina Adamo, Presidente FF, Estensore

Savio Picone, Referendario

Francesco Cocomile, Referendario

                       

                       

IL PRESIDENTE, ESTENSORE               

                       

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/01/2012

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

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