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TAR Abruzzo, Sez. Pescara, 13/12/2011 n. 693
Sono assoggettati alla procedura di valutazione ambientale tutti gli atti e provvedimenti di pianificazione e programmazione comunque denominati, oltre che le loro modifiche.

Materia: ambiente / disciplina

N. 00693/2011 REG.PROV.COLL.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 64 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla:

I.C.E.M. S.n.c. di Michele Monteferrante & C., rappresentata e difesa dagli avv.ti Salvatore De Simone e Giuseppe Gileno, con domicilio eletto presso Claudio Angelone in Pescara, via Orazio 123;

 

contro

Il Comune di Vasto, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alfonso Mercogliano, Marina D'Orsogna e Nicolino Zaccaria, con domicilio eletto presso la seconda, in Pescara, via Catania 12;

lo S.U.A.P.-Associazione Comuni Comprensorio Trigno-Sinello, la Asl 103 - Lanciano/Vasto e la Provincia di Chieti, non costituitisi;

sul ricorso numero di registro generale 184 del 2011, proposto dalla:

I.C.E.M. S.n.c. di Monteferrante Michele & C., rappresentata e difesa dagli avv. Giuseppe Gileno e Salvatore De Simone, con domicilio eletto presso Claudio Angelone in Pescara, via Orazio 123;

 

contro

Il Comune di Vasto, rappresentato e difeso dagli avv.ti Nicolino Zaccaria e Marina D'Orsogna, con domicilio eletto presso la seconda, in Pescara, via Catania 12;

 

nei confronti di

La Provincia di Chieti;

 

per l'annullamento

con il primo ricorso sub. 64/08

 

per l’accertamento

del diritto della società ricorrente a ottenere il rilascio del titolo del permesso costruire per la realizzazione di una struttura alberghiera;

 

in subordine per la declaratoria dell'illegittimità del silenzio rifiuto previa pronuncia sulla fondatezza della richiesta ex articolo 31 del codice del processo amministrativo;

 

per annullamento

delle norme tecniche di attuazione al piano regolatore generale del comune di Vasto, adottato con delibera consiliare 87 del 2007 e approvato con delibera 134 del 2010;

 

della deliberazione del consiglio comunale 44 del 21 aprile 2010 nella parte in cui rigetta le osservazioni formulate dalla ditta ricorrente;

 

di tutti gli atti strumentali e istruttori e pareri tecnici relativi ai precedenti provvedimenti, in particolare del parere reso dalla SUP della provincia di Chieti, delle controdeduzioni del comune di Vasto e dei verbali delle conferenze dei servizi del 19 ottobre 2010 e del 10 novembre 2010;

 

nonché per il risarcimento del danno ingiusto.

 

con il secondo ricorso sub 184/11

 

per annullamento

delle norme tecniche di attuazione al piano regolatore generale del comune di Vasto, adottato con delibera consiliare 87 del 2007 e approvato con delibera 134 del 2010;

 

della deliberazione del consiglio comunale 44 del 21 aprile 2010 nella parte in cui rigetta le osservazioni formulate dalla ditta ricorrente;

 

di tutti gli atti strumentali e istruttori e pareri tecnici relativi ai precedenti provvedimenti, in particolare del parere reso dalla SUP della provincia di Chieti, delle controdeduzioni del comune di Vasto e dei verbali delle conferenze dei servizi del 19 ottobre 2010 e del 10 novembre 2010;

 

nonché per il risarcimento del danno ingiusto.

 

Visti i ricorsi, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

 

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Vasto;

 

Viste le memorie difensive;

 

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2011 il dott. Umberto Zuballi e uditi gli avv.ti Salvatore De Simone e Giuseppe Gileno per la società ricorrente e l'avv. Marina D'Orsogna, anche su delega dell'avv. Nicolino Zaccaria, per il Comune resistente;

 

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

La ditta è proprietaria di un terreno sul quale intendeva realizzare una struttura alberghiera tramite edificazione diretta. L'istruttoria risultava definita con esito positivo come da comunicazione del comune del 4 settembre 2007, con la quale la ditta è stata invitata al ritiro del permesso previo pagamento degli oneri concessori.

 

Tali oneri sono stati regolarmente pagati e la ditta ha comunicato al comune tale fatto; sennonché, successivamente rispetto alla comunicazione, il comune adottava la variante nella quale l'area rimaneva edificabile ma soggetta alla previa formazione di un piano attuativo. La ditta presentava rituali osservazioni le quali, nonostante il parere favorevole dell'ufficio, sono state rigettate.

 

Nella prima articolata censura la ditta sostiene di aver già acquisito il diritto alla realizzazione della struttura alberghiera, in quanto la pratica era stata completamente istruita e definita in senso positivo, con il pagamento dei relativi oneri. Il rilascio del documento formale costituiva quindi un mero atto dovuto e consequenziale.

 

Nella seconda censura, in via subordinata, la ditta, nella denegata ipotesi in cui la pratica edilizia non risultasse definita, deduce illegittimità del rifiuto al rilascio del titolo per violazione della legge 142 del 1990, del testo unico 380 del 2001 e per errore sui presupposti, l'illogicità, l'ingiustizia e il difetto assoluto di motivazione. Non ha senso prevedere un piano attuativo in una zona che già risulta interamente edificata ed urbanizzata. La ditta chiede quindi che ai sensi dell'articolo 31 del codice del processo amministrativo si accerti la fondatezza della richiesta di ottenere i titoli edilizi.

 

Con la terza doglianza la ditta ricorrente si lamenta della illegittimità della variante alle norme tecniche di attuazione per violazione della legge urbanistica 1150 del 42, della legge regionale 18 del 1983 e di ogni norma e principio in materia di pianificazione, nonché errore sui presupposti, illogicità, difetto di istruttoria e illegittimità derivata del rifiuto al rilascio del titolo. La variante al piano regolatore risulta illegittima nella parte in cui subordina l'edificabilità dell'area alla redazione ed approvazione di un piano attuativo. Il livello di urbanizzazione presente nella zona rende illogica la previsione di un preventivo piano attuativo.

 

Nella quarta articolata censura la ditta contesta il rispetto delle norme sulla formazione degli strumenti urbanistici, in particolare la violazione dei criteri e delle norme relativi al vigente piano territoriale provinciale, per violazione dei principi di trasparenza e legalità nonché per la violazione degli articoli 78 seguenti del testo unico sugli enti locali e dell'articolo 35 della legge regionale 18 del 983.

 

La variante in questione non solo non è stata oggetto di partecipazione della provincia, ma non è stata preceduta da un’adeguata fase istruttoria.

 

La variante inoltre risulta illegittima per il mancato rispetto dell'articolo 10 della legge urbanistica, degli articoli 9 e seguenti della legge regionale 18 del 1983 e dell'articolo 43 della legge regionale 11 del 1999, per mancanza dei presupposti per l'autoapprovazione, in particolare la conformità al piano territoriale.

 

Con la sesta censura la ditta deduce la violazione della direttiva comunitaria n. 42 del 2001, la violazione degli articoli 5 e seguenti del decreto legislativo 152 del 2006, della legge regionale 2 del 2008, delle direttive ed istruzioni impartite in materia dalla giunta regionale, il difetto di istruttoria e la carenza di motivazione. La procedura di valutazione ambientale doveva essere attivata, cosa che nel caso non è stata fatta.

 

Con la settima doglianza si osserva come non sono stati rispettati la direttiva comunitaria 43 del 1992, i d.p.r. 357 del 97 e 120 del 2003, nonché le leggi regionali 11 del -1999 e 26 del 2003; deduce poi il difetto di istruttoria, la carenza di motivazione e lo sviamento. La variante interessa dei siti di particolare pregio ambientale per cui andava effettuata una verifica della sua incidenza su detti siti.

 

Con l'ottava doglianza ci si lamenta della violazione della legge urbanistica 1150 del 1942, della legge regionale 18 del 1983 e di ogni norma e principio in tema di pianificazione territoriale, il difetto di istruttoria, l’illogicità, contraddittorietà e irragionevolezza. Le norme di attuazione non possono stravolgere l'impianto del piano regolatore.

 

Nella nona censura si contesta la compatibilità della variante con il piano paesistico regionale.

 

Con la decima e ultima censura si contesta infine la violazione dell'articolo 21 della legge 136 del 2009, dell'articolo 10 della legge urbanistica e dell'articolo 10 della legge regionale 18 del 1983. Non sono stati rispettati i termini per l'approvazione della variante.

 

La ditta infine insiste per il risarcimento del danno derivante dalla mancata realizzazione della struttura alberghiera, con conseguente lievitazione dei costi oltre che il mancato guadagno; infine, la questione ha provocato un'alterazione dell'equilibrio psicofisico dei titolari della ditta, con ulteriore danno.

 

Nel primo ricorso la parte ricorrente ha proposto appositi motivi aggiunti in relazione alla documentazione acquisita, ribadendo sotto diversi profili le contestazioni sopra riassunte.

 

Il secondo ricorso, rivolto essenzialmente avverso la variante alle norme tecniche di attuazione, ricalca quello precedente ovviamente nella parte in cui impugna l'atto presupposto al diniego vale a dire la variante.

 

Quale motivo autonomo si deduce la violazione della normativa regionale per l’insussistenza dei presupposti per l'autoapprovazione della variante, in particolare l'omesso accertamento del non contrasto con il piano territoriale provinciale. Si insiste poi sul mancato rispetto della direttiva comunitaria 42 del 2001 e del decreto legislativo 152 per la mancata attuazione delle procedure di valutazione ambientale. Si ribadisce poi l’illegittima introduzione dell'obbligo di un piano attuativo per una zona già interamente urbanizzata.

 

Resiste in entrambi i giudizi il comune di Vasto che, dopo aver eccepito la carenza di interesse all’impugnazione della variante, contesta nel merito i ricorsi concludendo per il loro rigetto.

 

Con apposite memorie depositate il 3 e 13 ottobre il Comune ha ribadito le proprie argomentazioni; lo stesso ha fatto parte ricorrente con memorie depositate il 3 e 13 ottobre 2011 in cui replica alle eccezioni avversarie.

 

Infine nel corso della pubblica udienza del 3 novembre 2011, dopo ampia e approfondita discussione, le cause sono state trattenute in decisione.

 

DIRITTO

1. I due ricorsi in epigrafe vanno riuniti e decisi con unica pronuncia per ragioni di connessione oggettiva e soggettiva e come richiesto dalla società ricorrente.

Oggetto della prima controversia è l’accertamento del diritto della società ricorrente a ottenere il rilascio del titolo del permesso a costruire per la realizzazione di una struttura alberghiera; in subordine si insta per la declaratoria dell'illegittimità del silenzio rifiuto, previa pronuncia sulla fondatezza della richiesta ex articolo 31 del codice del processo amministrativo.

 

Sia nel primo ricorso sia nel secondo si chiede poi l’annullamento delle norme tecniche di attuazione al piano regolatore generale del comune di Vasto, adottato con delibera consiliare 87 del 2007 e approvato con delibera 134 del 2010; della deliberazione del consiglio comunale 44 del 21 aprile 2010 nella parte in cui rigetta le osservazioni formulate dalla ditta ricorrente; di tutti gli atti strumentali e istruttori e pareri tecnici relativi ai precedenti provvedimenti, in particolare del parere reso dalla SUP della provincia di Chieti, delle controdeduzioni del comune di Vasto e dei verbali delle conferenze dei servizi del 19 ottobre 2010 e del 10 novembre 2010; nonché per il risarcimento del danno ingiusto.

 

2. Va ora esaminata l'eccezione di carenza di interesse al ricorso, in relazione alla variante.

 

Questo collegio non ignora certo le recenti elaborazioni giurisprudenziali in materia d’interesse cosiddetto strumentale, in particolare in relazione all'impugnazione di uno strumento urbanistico, secondo cui non sarebbe configurabile un interesse al ricorso ove esso si sostanzi in una generica possibilità di riesame dell'intero strumento urbanistico, solo potenzialmente in senso più favorevole alla parte ricorrente.

 

In materia, è d'uopo richiamare la più recente giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 gennaio 2011 n. 133) sui limiti alla configurabilità dell'interesse strumentale all'impugnazione di uno strumento urbanistico, nel senso che tale impugnazione deve pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dall'Amministrazione in ordine al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si differenzia dall'interesse che un quisque de populo potrebbe nutrire (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, n. 4546).

 

In altri termini, l'utilità comunque rappresentata dal possibile vantaggio che astrattamente e potenzialmente il ricorrente potrebbe ottenere per effetto della riedizione dell'attività amministrativa non è ex se indicativa della titolarità di una posizione di interesse giuridicamente qualificata e differenziata, idonea a legittimare la tutela giurisdizionale.

 

Analoghe considerazioni possono farsi per l'ulteriore utilità, costituita dalla "reviviscenza" del previgente e più favorevole strumento urbanistico, che si avrebbe per effetto dell'annullamento giurisdizionale in questa sede richiesto, utilità la quale sarebbe comunque provvisoria, essendo jus receptum che l'effetto immediato dell'annullamento di uno strumento urbanistico consiste nel dovere dell'Amministrazione di riesercitare la propria potestà di pianificazione del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2004, n. 3563; Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 2001, n. 2415).

 

Al contrario, nel caso in esame, la parte ricorrente risulta proprietaria di alcuni terreni edificabili, per cui lo scopo del ricorso è di ottenere una maggiore edificabilità o comunque una più agevole edificabilità dei terreni di proprietà.

 

In relazione allo specifico motivo di ricorso relativo al vizio procedurale di mancata sottoposizione dello strumento urbanistico in esame alla verifica di tipo ambientale e di conformità con la pianificazione di livello superiore, se da un lato è ben vero che la parte ricorrente non è portatrice di uno specifico interesse di tipo ambientale, d’altro lato è configurabile in questo specifico ricorso un vizio che riguarda la mancanza d’istruttoria e di motivazione, in sostanza la carenza della variante che non avrebbe considerato funditus le conseguenze delle modifiche alle norme tecniche di attuazione sull’intero assetto urbanistico del territorio.

 

Nei motivi di ricorso invero, quando si solleva la questione della mancata sottoposizione dello strumento urbanistico alla valutazione ambientale, chiaramente si implica una non approfondito esame da parte dello strumento delle conseguenze delle modifiche apportate alle norme tecniche citate. Non si tratta quindi solo di una mancata valutazione di tipo ambientale, o della carenza di verifica di conformità alla strumentazione di livello superiore, per le quali è mancata la stessa sottoposizione allo specifico subprocedimento previsto dalla norma, ma di una sottovalutazione dell'impatto urbanistico oltreché ambientale della nuova normativa, la quale, come risulta chiaramente dalla documentazione in atti e dalla stessa difesa del comune, non ha riguardato semplicemente una riduzione dei parametri di costruzione e di edificazione, ma anche l'imposizione di particolari oneri, fra cui quello di previo piano attuativo, di indici più restrittivi ovvero di nuove distanze dai confini ovvero dalle altre costruzioni.

 

In altri termini, il vizio procedurale non è altro, nella prospettazione di parte ricorrente, che un indizio ovvero un indice di una mancata accurata disamina delle ripercussioni della nuova normativa sull'intero assetto urbanistico comunale. La censura così come configurata in sostanza riguarda sì l'intero territorio comunale e la carenza della procedura, ma ha ripercussioni dirette sul terreno di proprietà dei ricorrenti, il quale in virtù della nuova normativa risulta soggetto a maggiori limiti per la possibilità edificatoria.

 

Va poi osservato come la difesa comunale da un lato sottolinea la mancanza d’interesse della parte ricorrente in relazione alla mancata sottoposizione della verifica di tipo ambientale, ritenendo le modifiche de quibus ininfluenti, riguardando unicamente le norme tecniche attuazione non incidenti sulla posizione specifica di parte ricorrente e sull'assetto urbanistico, e d'altro lato, con evidente contraddizione logica, spiega l'esigenza di sottoporre a previo piano attuativo l’edificazione di varie zone del territorio comunale, pur compiutamente urbanizzate, proprio al fine di meglio riequilibrare le potestà edificatorie, ma in tal modo evidenziando la portata certo non limitata ma generale della variante, che, nella stessa prospettazione di parte resistente, incide quindi in maniera significativa sull'intero assetto del territorio comunale, oltre che direttamente sul terreno di parte ricorrente.

 

In conclusione sul punto, l'interesse al ricorso non risulta affatto meramente strumentale, ma è diretto a tutelare gli interessi del ricorrente in relazione ai terreni di sua proprietà.

 

3. Va a questo punto esaminata la questione dell'avvenuto perfezionamento o meno della concessione edilizia richiesta dalla ricorrente. Risulta dagli atti di causa che l'istruttoria della pratica era stata definita in senso positivo, come da comunicazione n. 36991 del 4 settembre 2007, con cui la ricorrente era stata invitata nel ritiro del permesso a costruire in relazione alla pratica edilizia n. CE 37 2006, previo pagamento degli oneri concessori. Il significato preciso della nota non è dubbio: l’iter della domanda di permesso a costruire per il Comune era perfezionato in senso positivo.

 

La società ricorrente ha regolarmente provveduto al pagamento degli oneri dandone informazione al comune. Risulta quindi che la procedura fosse compiuta e gli oneri adempiuti e che mancasse la sola consegna materiale del titolo edilizio, che comunque la ditta era stata invitata a ritirare.

 

Orbene, risulta oramai acquisito dalla giurisprudenza, dalla quale questo collegio non trova motivo per discostarsi, che il perfezionamento della concessione edilizia ovvero del permesso a costruire si ha quando il comune, conclusa favorevolmente l'istruttoria, comunica all’interessato l'esito positivo della domanda. Il successivo pagamento degli oneri e il rilascio materiale del permesso a costruire costituiscono momenti di perfezionamento dell’efficacia di un provvedimento già esistente

 

In altri termini, nel caso in cui la determinazione dell'amministrazione comunale abbia un contenuto riferito alla manifestazione di volontà di accoglimento della domanda di concessione, il rilascio del documento formale di concessione edilizia, pur necessario, diventa atto esecutivo e dovuto, a contenuto ricognitivo, che conterrà elementi che incidono solo sull'efficacia e non sull’esistenza e validità della concessione medesima (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3594).

 

Nel caso l’adozione della variante, avvenuta il 23 ottobre del 2007 con delibera del consiglio comunale, risale a un momento successivo alla comunicazione del comune, anche se antecedente rispetto al pagamento degli oneri.

 

In sostanza, l'iter formativo del permesso a costruire sopra citato si era già perfezionato, per cui va accolta la domanda della parte ricorrente volta ad accertare l'esistenza di un titolo a costruire esistente prima dell'adozione della variante, le cui norme di salvaguardia non operano.

 

La fondatezza della censura testé esaminata non esaurisce l’esame del primo ricorso e ovviamente nemmeno del secondo, perché il permesso a costruire riguarda solo uno dei terreni posseduti della parte ricorrente e interessati dalla variante.

 

4. Altra questione fondamentale e dirimente dei due ricorsi riguarda la necessità o meno per il comune di sottoporre le modifiche delle norme tecniche di attuazione sia alla valutazione d’impatto ambientale, prevista in via generale dalla normativa europea e nazionale di recepimento, sia al vaglio delle autorità provinciali e regionali per verificarne la conformità al piano provinciale e al piano regionale, soprattutto dal punto di vista ambientale.

 

Come noto, la valutazione ambientale strategica (VAS) è stata introdotta dalla direttiva comunitaria 42 del 2001 all’art. 2, recepita dal decreto legislativo 152 del 2006, all’art. 5 e seguenti. La norma è entrata in vigore il 31 luglio del 2007, laddove l'adozione della variante risale al 23 ottobre 2007 e la sua approvazione al 16 novembre del 2010. Sulla base di tale normativa sono assoggettati alla procedura di valutazione ambientale tutti gli atti e provvedimenti di pianificazione e programmazione comunque denominati, oltre che le loro modifiche. La VAS deve avvenire nella fase procedimentale preparatoria, dopo l’adozione e prima dell'approvazione definitiva dello strumento pianificatorio.

 

Invero, nella procedura prevista dall'articolo 5 del citato decreto legislativo 152, si possono distinguere due fasi: la prima riguarda la valutazione della stessa necessità di assoggettamento alla valutazione ambientale mentre la seconda riguarda la valutazione vera e propria, che richiede ovviamente un’adeguata istruttoria e una specifica valutazione e conseguente decisione endoprocedimentale. La normativa risulta applicabile a tutti gli strumenti urbanistici, con la sola implicita eccezione di quelli che per la loro limitata portata e per il ridotto contenuto non interessano in alcun modo l'ambiente. Si tratta di un'eccezione che peraltro deve risultare dalla motivazione dell'atto di programmazione e comunque riguarda ipotesi del tutto limitate, ed esula comunque dalla variante generale al PRG in esame.

 

Sostiene sul punto il resistente comune come, trattandosi di modifiche alle sole norme tecniche di attuazione, e non alla cartografia e alla pianificazione territoriale vera e propria, nonché di modifiche tendenti a ridurre l'edificabilità dell'intero territorio comunale, non sarebbe dal punto di vista sostanziale necessaria alcuna valutazione né di impatto ambientale né di conformità ai piani sovraordinati.

 

Questo collegio non condivide tale impostazione comunale.

 

Va innanzitutto osservato come il comune non contesti affatto l’esistenza di una normativa europea e nazionale che obbliga di sottoporre la pianificazione comunale alla valutazione di impatto ambientale, ma ne contesta l’applicabilità in relazione ai contenuti stessi della pianificazione urbanistica nel caso in discussione, cioè una modifica alle sole norme tecniche di attuazione e non già alla cartografia e zonizzazione, modifica tendente tra l’altro a ridurre gli indici e non ad aumentarli.

 

Si tratta di un ragionamento dal punto di vista logico non accettabile, in quanto parte da una valutazione per negare la necessità della stessa valutazione, in sostanza negando una premessa sulla base di una conseguenza. In altri termini, il comune deduce dal contenuto delle nuove norme tecniche di attuazione la non necessità di sottoporle a una previa valutazione ambientale, mentre è proprio l’esito di tale valutazione a eventualmente considerarne nullo l’impatto ambientale. Si dà quindi per scontato quanto dovrebbe in ipotesi risultare solo all’esito proprio della valutazione di impatto ambientale.

 

Il ragionamento vale inoltre anche per la conformità delle norme tecniche attuazione, che nel caso non riguardano solo una parte del comune ma l’intero territorio, rispetto alla pianificazione sovraordinata regionale in particolare in materia ambientale.

 

Inoltre, nel caso la modifica delle norme tecniche di attuazione, con una riduzione generalizzata degli standard edilizi, ma altresì con l’introduzione della necessità in alcune zone di strumenti attuativi, comporta palesemente un riassetto generale della pianificazione comunale, per cui è necessario comunque vagliarne l'impatto ambientale e verificarne la conformità con i piani sovraordinati. Invero, la cartografia e la pianificazione generale risulta quella relativa al piano regolatore del 2001, quando non solo la normativa era diversa ma mancavano altresì gli strumenti pianificatori di livello superiore. Una modifica quindi che risulta comunque incisiva sull'intero territorio comunale, per sua stessa natura va sottoposta sia alla valutazione d'impatto ambientale sia alla verifica di conformità e congruità con gli strumenti pianificatori sovraordinati.

 

Un semplice raffronto tra la vecchia e nuova normativa del piano conferma che la variante ha comportato una sostanziale e incisiva modifica di standard, parametri, quantità e qualità degli interventi ammissibili; infatti, l'introduzione di nuovi strumenti attuativi ha di fatto comportato un ridimensionamento degli standard edilizi e urbanistici e un’alterazione dell’edificabilità. La stessa relazione di accompagnamento alla variante conferma tale assunto.

 

Inoltre, la relazione della SUP della provincia di Chieti in atti, cioè di un ente pubblico, sostiene coerentemente che la proposta di piano, pur apparentemente di livello normativo, incide in modo strutturale sul sistema delle trasformazioni territoriali.

 

Su tale questione va poi aggiunto come l'impatto della variante avrebbe richiesto una ben più approfondita indagine conoscitiva, e in ogni caso non si poteva pretermettere né la verifica di conformità con i piani di livello sovraordinato né la verifica di tipo ambientale espressamente prevista dalla normativa citata.

 

Inoltre, in linea generale, per assoggettare uno strumento urbanistico a valutazione ambientale, non sono necessari particolari approfondimenti istruttori ovvero accurate indagini, né trovano ingresso le argomentazioni comunali, anche in considerazione del fatto che una più ampia valutazione di taluni elementi postula, in sé, la presenza di quei possibili impatti significativi sull'ambiente che costituiscono, a loro volta, presupposti fondamentali per l'attivazione della procedura. Qualora a seguito di una valutazione preliminare, l'intervento richiesto presenti possibili effetti negativi sull'ambiente, i conseguenti e doverosi approfondimenti istruttori, necessari per una più compiuta valutazione di compatibilità ambientale, debbono essere condotti nell'ambito di una diversa procedura, ossia la valutazione ambientale, che è la sede propria e naturale per operare siffatte valutazioni (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 26 gennaio 2011, n. 135).

 

Inoltre, in Comune di Vasto vi sono siti d’interesse comunitario; l'incidenza ambientale di un intervento pianificatorio su un sito d'interesse comunitario ingenera il rischio di compromissione degli obiettivi di integrale conservazione del sito stesso, anche se si tratta di rischio allo stato solo probabile, con conseguente necessità di sottoporre a valutazione d'incidenza qualsiasi piano anche non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito d'interesse comunitario, ma che possa avere incidenze significative sullo stesso, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del sito stesso (T.A.R. Umbria Perugia, sez. I, 14 giugno 2011, n. 171).

 

La verifica di impatto ambientale non sarebbe necessaria unicamente nell'ipotesi, nel caso non ricorrente, di modifiche marginali ovvero che riguardino solo una limitata porzione del territorio, ma non già qualora l'incidenza delle variazioni delle norme tecniche attuazione sia tale da ripercuotersi sull'intero ambito comunale. Del resto, la citata normativa europea e nazionale di recepimento non contiene esplicite eccezioni alla sua applicabilità, che quindi risulta cogente in via ordinaria.

 

Va infine aggiunto come il comune nello strumento qui impugnato non giustifica minimamente la mancata sottoposizione dello strumento stesso alla valutazione d’impatto ambientale e alla valutazione di conformità con la normativa sovraordinata, con un’evidente carenza di motivazione e d’istruttoria.

 

5. L’altra questione giuridica centrale nella presente controversia riguarda la possibilità per il comune di imporre un piano attuativo prima di concedere le autorizzazioni edilizie, anche in una zona già completamente urbanizzata. Orbene, secondo una giurisprudenza risalente e che questo collegio condivide, in una zona che risulti già urbanizzata e in cui quindi tutti gli standard previsti sono stati già realizzati in modo compiuto, non è corretto dal punto di vista giuridico e logico imporre un onere al privato che sostanzialmente si rivelerebbe inutile.

 

Vi possono essere peraltro delle ipotesi in cui, ancorché in una zona urbanizzata, la confusione edilizia e il disordine urbanistico siano tali da richiedere comunque la predisposizione di un piano attuativo, però tali situazioni devono risultare nella motivazione del provvedimento amministrativo anche pianificatorio o perlomeno dalla relazione accompagnatoria e dalla documentazione allegata.

 

Nel caso in esame peraltro emerge dalla documentazione come la zona sia completamente urbanizzata, di conseguenza come la previsione delle norme tecniche attuazione qui impugnate in tale parte e che prevedono l'obbligo di redazione preventiva di un piano attuativo, siano nel caso illegittime. Inoltre, le giustificazioni delle modifiche alle norme tecniche di attuazione sono quelle di diminuire il carico insediativo, finalità questa che non verrebbe affatto compromessa dalla possibilità di intervento diretto, il quale deve comunque rispettare gli standard edificatori previsti dal piano per la zona considerata.

 

6. Va ora esaminata la questione degli effetti della presente sentenza di accoglimento, anche alla luce della richiesta espressamente formulata dalla parte resistente nella memoria datata 13 ottobre 2011, nonché della recente pronuncia del Consiglio di Stato, sezioneVI, 10 maggio 2011, n. 2755.

 

In sostanza tale sentenza, facendo applicazione del codice del processo amministrativo, dei principi desumibili dello stesso e tenendo conto altresì della giurisprudenza europea, ha stabilito che spetta al giudice definire la portata della propria pronuncia giurisdizionale, in relazione all'utilità per la parte ricorrente e agli effetti di un eventuale annullamento. La sentenza citata, condivisa da questo collegio, consente al giudice di limitare gli effetti della propria pronuncia, sia in materia di annullamento e di effetto conformativo, sia stabilendo quali debbano essere in concreto i poteri dell'amministrazione per eseguire la sentenza stessa.

 

Come noto, di regola, in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa, l'accoglimento dell’azione di annullamento comporta l'annullamento con effetti ex tunc del provvedimento risultato illegittimo, con salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa, che può anche retroattivamente disporre con un atto avente effetti "ora per allora'.

 

Tale regola fondamentale è stata affermata come ineluttabile corollario del principio di effettività della tutela, poiché la misura tipica dello Stato di diritto non può che essere quella della eliminazione integrale degli effetti dell'atto lesivo per il ricorrente, risultato difforme dal principio di legalità.

 

Tuttavia, quando la sua applicazione risulterebbe incongrua e manifestamente ingiusta, ovvero in contrasto col principio di effettività della tutela giurisdizionale, la regola dell'annullamento con effetti ex tunc dell'atto impugnato, a seconda delle circostanze, deve trovare una deroga, o con la limitazione parziale della retroattività degli effetti (Sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1488), o con la loro decorrenza ex nunc ovvero escludendo del tutto gli effetti dell'annullamento e disponendo esclusivamente gli effetti conformativi.

 

Da un lato, la normativa sostanziale e quella processuale non dispongono l'inevitabilità della retroattività degli effetti dell'annullamento di un atto in sede amministrativa o giurisdizionale (cfr. l'art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 e l'art. 34, comma 1, lettera a), del Codice del processo amministrativo).

 

D'altro lato, dagli articoli 121 e 122 del Codice emerge che la rilevata fondatezza di un ricorso d'annullamento può comportare l'esercizio di un potere valutativo del giudice, sulla determinazione dei concreti effetti della propria pronuncia.

 

Tale potere valutativo, attribuito per determinare la perduranza o meno degli effetti di un contratto, va riconosciuto al giudice amministrativo in termini generali, quando si tratti di determinare la perduranza o meno degli effetti di un provvedimento.

 

Inoltre, in applicazione del principio sancito dall'art. 1 del Codice del processo amministrativo (sulla "tutela piena ed effettiva'), il giudice può emettere le statuizioni che risultino in concreto satisfattive dell'interesse fatto valere e deve interpretare coerentemente ogni disposizione processuale.

 

Da un lato il sopra richiamato principio di effettività della tutela impone di emettere una sentenza che sia del tutto coerente con le istanze di tutela e di giustizia, e d’altro lato, il giudice nazionale può sempre applicare le collaudate regole applicate dal giudice dell'Unione, spesso basate sul semplice buon senso.

 

7. Venendo al caso in esame questo giudice:

 

accerta l’esistenza del valido permesso a costruire a favore della ditta ricorrente, che va materialmente rilasciato e può essere realizzato;

 

annulla le norme tecniche di attuazione nella parte che nelle aree della parte ricorrente impone lo strumento attuativo, a far tempo dall’adozione;

 

annulla in toto dette norme tecniche di attuazione a partire dal momento - successivo all’adozione, la quale conserva quindi il suo valore anche in salvaguardia - in cui è mancata la sottoposizione alla valutazione ambientale strategica e alla verifica di conformità alla pianificazione sovraordinata, come visto necessarie nel caso;

 

il Comune in relazione all’intera variante in questione (a parte le parti annullate già dall’adozione) dovrà sottoporla alla valutazione ambientale e di conformità alla pianificazione superiore, eventualmente riesaminarla in toto nella sua discrezionalità, usufruendo delle norme di salvaguardia entro un tempo massimo di mesi otto dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza, trascorso il quale la variante stessa perderà efficacia in toto con riviviscenza della precedente normativa e obbligo di rideterminarsi.

 

La domanda di risarcimento del danno deve essere accolta, in quanto la società ricorrente avrebbe avuto titolo a edificare nella zona considerata, ove il comune non avesse illegittimamente imposto la necessità di un piano attuativo, pur mancandone i presupposti.

 

La quantificazione del danno peraltro va rimessa alla stessa amministrazione comunale, che, sulla base della documentazione che la società ricorrente produrrà, valuterà e quantificherà il mancato guadagno e l'aggravio dei costi, dal momento della comunicazione dell’esito positivo dell’istanza edilizia, maggiorato dei soli interessi legali.

 

8. In conclusione, la fondatezza delle sopra menzionate censure, comporta l'accoglimento dei ricorsi, l’accertamento dell’esistenza di un titolo edilizio, l'annullamento delle norme tecniche di attuazione, e infine il risarcimento del danno, nei termini di cui in motivazione.

Le spese dei due giudizi secondo la regola seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, riunitili, li accoglie come da motivazione.

Condanna il comune alla rifusione alla ricorrente delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 10.000 (dieci mila), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Umberto Zuballi, Presidente, Estensore

Michele Eliantonio, Consigliere

Dino Nazzaro, Consigliere

 

IL PRESIDENTE, ESTENSORE  

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

 

Il 13/12/2011

 

IL SEGRETARIO

 

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

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