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TAR Lazio, Sez. III, 27/6/2012 n. 5920
Non è necessario provare la colpa dell'amministrazione aggiudicatrice, in materia di risarcimento da (mancato) affidamento di gare pubbliche di appalto.

In materia di risarcimento da (mancato) affidamento di gare pubbliche di appalto non è necessario provare la colpa dell'Amministrazione aggiudicatrice poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere detto risarcimento non sia subordinata alla constatazione dell'esistenza di un comportamento colpevole, in relazione ai principi di cui alla giurisprudenza comunitaria (Corte CE, Sez. III, 30.9.10, C-314/2009), secondo cui in tema di appalti pubblici la direttiva Cons. C.E.E. 21 dicembre 1989 n. 665, modificata dalla direttiva Cons. C.E.E. 18 giugno 1992 n. 50, osta a una normativa nazionale che subordini il diritto a ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina di settore da parte di un'Amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l'applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo alla P.A. stessa e sull'impossibilità per quest'ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali, e dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata.

Il concorrente a una gara d'appalto che non ha conseguito l'aggiudicazione per fatto dell'Amministrazione non ha diritto al risarcimento delle spese sostenute per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara, atteso che queste restano a carico delle imprese sia in caso di aggiudicazione che di mancata aggiudicazione. Ciò perché tali costi di, rilevano come "danno emergente" solo nell'ipotesi di illegittima esclusione, collegandosi alla pretesa del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili ma nell'ipotesi in cui l'impresa benefici del risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, dal momento che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione medesima.

Materia: appalti / disciplina

N. 05920/2012 REG.PROV.COLL.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4259 del 2011, proposto da:

Costruzioni Alessi Luigi & Figli Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Marascio, Stefano Genovese e Mariacristina Minardo, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via G.B. Martini, 2;

 

contro

- Acea Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. prof. Filippo Satta, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Roma, Foro Traiano, 1/A;

- Autorita' per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori Servizi e Forniture, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

per il risarcimento

del danno subito dalla ricorrente in occasione dell’espletamento della “Licitazione privata per la realizzazione della condotta alimentatrice DN 800 da Viale Parioli a Via Campania” – Avviso di gara n. 754 pubblicato sulla G.U.R.I. n. 242/2002 e della successiva annotazione pregiudizievole illegittimamente inscritta sul casellario informatico tenuto presso l’AVCP.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Acea Spa e dell’Autorita' per la Vigilanza Sui Contratti Pubblici di Lavori Servizi e Forniture, con la relativa documentazione;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 6 giugno 2012 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

In seguito al giudicato formatosi sulla decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI, 5.10.2010, n. 7285, che annullava, in riforma di precedente sentenza del TAR Lazio sfavorevole alla ricorrente, il provvedimento con il quale a suo tempo l’ACEA spa aveva revocato l’aggiudicazione dell’appalto per la realizzazione della condotta DN800, comminato le sanzioni di incameramento della cauzione provvisoria e disposto segnalazione all’allora denominata Autorità di Vigilanza per i Lavori Pubblici, la Costruzioni Alessi Luigi & Figli srl, con ricorso a questo Tribunale notificato il 3.5.2011 e depositato il successivo 18.5.2011, chiedeva il risarcimento del danno conseguente all’illegittimità del suddetto provvedimento come riconosciuta dal Consiglio di Stato.

In particolare la ricorrente, ricostruendo l’”iter” che aveva portato all’adozione del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione dell’appalto nei suoi confronti, con correlato incameramento della cauzione e segnalazione all’Autorità di settore, che provvedeva ad inserire apposita annotazione sul casellario informatico ex art. 27 dpr n. 34/2000 applicabile “ratione temporis”, evidenziava, in sintesi, quanto segue.

In primo luogo la ricorrente lamentava il danno derivante dalla revoca/mancata aggiudicazione dell’appalto, fondando il calcolo sull’importo posto a base di gara rivalutato alla data della domanda e pari ad euro 1.229.195,33 e chiedendo quindi il risarcimento delle seguenti poste: a) il danno pari alle spese sostenute per la partecipazione alla gara, quantificate del 2,5% dell’importo rivalutato sopra indicato e pari ad euro 30.729,88; b) il danno relativo al mancato utile e quantificato nel 10% dell’importo rivalutato, pari ad euro 129.195,33; c) il danno relativo al mancato ammortamento delle spese generali, quantificato nel 6,5% dell’importo rivalutato e pari ad euro 79.897,70.

 

Per quel che riguardava le conseguenze ulteriori, poi, la ricorrente chiedeva il risarcimento: d) del danno relativo al mancato avanzamento SOA o danno “curriculare”, di cui si riservava la quantificazione in corso di causa; e) del danno derivante dall’interdizione annuale, dal 4.1.03 al 4.11.04, alla partecipazione a gare pubbliche di cui all’annotazione sul casellario, quantificato, sotto il profilo del danno all’immagine, nel 30% del fatturato medio annuo dell’azienda e pari ad euro 700.000,00 e, sotto il profilo della perdita di “chances”, nel 5% del valore delle prestazioni non eseguite (prendendo a riferimento la somma della base d’asta di 10 gare a cui in quel periodo la ricorrente avrebbe certamente partecipato, pari ad euro 13.110.740,64) e pari ad euro 655.537,03.

Si costituivano in giudizio l’ACEA spa e l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, chiedendo la reiezione del ricorso, come illustrato dettagliatamente in memorie (per l’ACEA spa anche di replica) depositate in prossimità della pubblica udienza.

Anche parte ricorrente depositava nei termini una memoria illustrativa, in cui aggiungeva la voce di danno corrispondente alla perdita di “chance” nel periodo in cui era stata impegnata nella partecipazione alla procedura, pari ad euro 61.459,77 (5% dell’importo a base di gara rivalutato), somma che indicava pure in aggiunta come danno da mancato avanzamento SOA; la ricorrente depositava anche una memoria di replica in cui eccepiva la tardività della memoria e dei documenti depositati in data 5.5.2012 dall’Autorità resistente.

Alla pubblica udienza del 6.6.2012 la causa era trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

Il Collegio in primo luogo deve preliminarmente rilevare la tempestività del ricorso, ai sensi dei termini di cui all’art. 30 c.p.a., e la tardività della memoria e documenti depositati dall’Autorità intimata in data 5.5.2012 rispetto ai termini “liberi” di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a., non applicandosi alle controversie relative alle domande risarcitorie proposte in relazione all'affidamento di appalti pubblici il dimezzamento dei termini processuali relativo invece solo ai giudizi impugnatori aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche (TAR Puglia, Ba, Sez. I, 19.10.11, n. 1552 e Cons. Stato, Sez. VI, 23.6.06, n. 3981).

 

Premesso ciò, il Collegio rileva la fondatezza solo parziale del ricorso.

 

In relazione alla domanda risarcitoria avverso ACEA spa in conseguenza della mancata/revoca aggiudicazione, il Collegio osserva che l’illegittimità della revoca dell’aggiudicazione già disposta a favore della ricorrente (in ragione di una supposta irregolarità nel versamento dei contributi previdenziali all’INPS come indicato dal d.u.r.c.) è stata rilevata dal Consiglio di Stato con la decisione indicata in narrativa, la quale ha annullato il relativo provvedimento con sentenza del 5.10.2010, passata in giudicato entro i termini di cui all’art. 92 c.p.a. secondo quanto non contestato dalle parti.

 

Il Consiglio di Stato, in particolare, ha perentoriamente affermato che “…secondo la normativa in vigore all'epoca dei fatti di causa, il solo fatto che il d.u.r.c. non fosse regolare non costituiva di per sé prova di una grave violazione contributiva definitivamente accertata, atteso che era ostativo alla dichiarazione di regolarità contributiva qualsivoglia inadempimento, a prescindere dalla soglia di gravità, ivi comprese le irregolarità che non fossero ancora definitivamente accertate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. (4907/2009). Pertanto, nel caso specifico, la stazione appaltante, a fronte di d.u.r.c. che attestavano la non regolarità alla data di presentazione dell'offerta, doveva accertare il tenore della irregolarità, per verificare se fosse o meno grave. Ciò era tanto più doveroso ove si consideri che nel caso di specie si è avuto: a) un primo accertamento INPS precedente alla gara recante alcune, limitate posizioni debitorie (per un importo complessivo di lire 4.740.500) immediatamente sanate dall’impresa; b) un secondo accertamento, successivo alla gara, dai contenuti diversi, recante partite debitorie mai registrate in precedenza; c) un terzo accertamento INPS, che, in contraddizione con i due precedenti, riporta una posizione creditoria dell’appellante. In questo quadro senz’altro incerto non può ritenersi sufficiente, per ritenere debitamente accertata la grave violazione previdenziale, la domanda di rateizzazione dei pagamenti, anche in considerazione del fatto che tale domanda, come l’appellante deduce, era stata presentata solo a fini cautelativi. La domanda di rateizzazione non può esonerare, quindi, l’Amministrazione dal debito accertamento della gravità contributiva”.

 

Sostiene l’Acea spa nei suoi scritti difensivi in questa sede che era assente il requisito della “colpa”, non potendo rilevare l’illegittimità del provvedimento, in sé considerata, come unico indice dell’esistenza di responsabilità “civilistica” della p.a. ai fini risarcitori, in quanto il suo operato non era stato parziale, non potendo aggiudicare l’appalto in costanza di irregolarità INPS, né scorretto, in quanto aveva concesso molto tempo alla ricorrente per chiarire la sua posizione, ed era stato esempio di “buona amministrazione” perché aveva tutelato l’interesse pubblico alla celere realizzazione di opera di primaria necessità (condotta d’acqua). Inoltre, all’epoca dei fatti la normativa in materia era tutt’altro che pacifica e di chiara interpretazione, come rilavato anche in una determinazione dell’AVCP del 15.7.2003, e la stessa non chiarezza della situazione debitoria dell’impresa, come prospettata dall’INPS, era evidente.

 

Sul punto, però, il Collegio rileva che in materia di risarcimento da (mancato) affidamento di gare pubbliche di appalto non è necessario provare la colpa dell'Amministrazione aggiudicatrice poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere detto risarcimento non sia subordinata alla constatazione dell'esistenza di un comportamento colpevole (Tar Em-Rom, Pr, 7.12.11, n. 420) in relazione ai principi di cui alla giurisprudenza comunitaria ascrivibile a Corte CE, Sez. III, 30.9.10, C-314/2009, secondo cui in tema di appalti pubblici la direttiva Cons. C.E.E. 21 dicembre 1989 n. 665, modificata dalla direttiva Cons. C.E.E. 18 giugno 1992 n. 50, osta a una normativa nazionale che subordini il diritto a ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina di settore da parte di un'Amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l'applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo alla P.A. stessa e sull'impossibilità per quest'ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali, e dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata (in tal senso anche TAR Lazio, Sez. II, 3.11.11, n. 8442).

 

Il Collegio aggiunge – oltre a questa osservazione di carattere primario – che comunque nel caso di specie, anche a voler considerare la presunzione di esclusione della colpa come invocata dall’Acea spa, non può condividersi quanto dedotto dall’intimata in quanto nel caso di specie il Consiglio di Stato, pur esplicitamente considerando la normativa “in vigore all’epoca dei fatti di causa”, è stato perentorio nell’evidenziare che il d.u.r.c. non costituiva di per sé prova di una grave violazione contributiva definitivamente accertata e che la stazione appaltante doveva lei dare luogo ad attività di accertamento del tenore della irregolarità.

 

La stessa determinazione dell’Autorità di settore del 15.7.2003 richiamata dalla resistente Acea spa, poi, specificava appunto che la mancanza di parametri fissi e predeterminati e le generalità della prescrizione normativa lasciava “ampio spazio di valutazione discrezionale per la stazione appaltante” che consentiva alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un apprezzamento delle singole fattispecie; vero è che la stessa determinazione evidenziava come “gravi” le violazioni relative al mancato versamento “qualunque ne sia l’importo” ma ciò non toglie che comunque la stazione appaltante, proprio al fine di osservare i principi di buon andamento e correttezza da lei stessa invocati, doveva esperire tutti i tentativi per “salvare” un potenziale contratto favorevole per il pubblico interesse se aggiudicato all’esito di procedura ad evidenza pubblica, valutando discrezionalmente, per il singolo caso di specie, se sussisteva gravità e definitività dell’accertamento, soprattutto a fronte delle contraddittorie e non univoche indicazioni dell’INPS evidenziate anche nella su ricordata sentenza del Consiglio di Stato.

 

Chiarito, quindi, che nel caso di specie non può invocarsi l’esimente della assenza di comportamento colposo della p.a., vertendosi in materia di risarcimento per mancata aggiudicazione di appalti pubblici, e che comunque il Collegio non ritiene sussistere nel caso concreto, ne consegue che la domanda risarcitoria “per equivalente” in ordine alle conseguenze per la revoca dell’aggiudicazione risulta fondata sull’”an”, in quanto il “bene della vita” consistente nell’aggiudicazione dell’appalto è divenuto ormai impossibile da conseguire e tale impossibilità risulta causata, in rapporto diretto di “causa/effetto”, dal provvedimento di revoca illegittimo disposto dalla stazione appaltante.

 

Per quel che riguarda invece il “quantum” del risarcimento, il Collegio precisa quanto segue.

 

In relazione alla richiesta delle spese sostenute per la partecipazione alla gara, il Collegio richiama la conclusione giurisprudenziale secondo cui il concorrente a una gara d'appalto che non ha conseguito l'aggiudicazione per fatto dell'Amministrazione non ha diritto al risarcimento delle spese sostenute per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara, atteso che queste restano a carico delle imprese sia in caso di aggiudicazione che di mancata aggiudicazione (da ult.: Cons. Stato, Sez. VI, 18.3.11, n. 1681). Ciò perché tali costi di partecipazione (Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751; n. 4435/2002), rilevano come “danno emergente” solo nell’ipotesi di illegittima esclusione, collegandosi alla pretesa del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili ma nell’ipotesi in cui l'impresa benefici del risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione medesima.

 

Per quel che riguarda il mancato utile, il Collegio ritiene invece che lo stesso sia dovuto, ponendosi in diretto rapporto di causalità con l’illegittima revoca dell’aggiudicazione, ma non nella misura del 10% dell’importo rivalutato come richiesto dalla ricorrente.

 

La giurisprudenza maggioritaria in argomento, infatti, ha chiarito ormai che in tema di appalti pubblici, al fine di evitare che a seguito del risarcimento per mancata aggiudicazione il danneggiato possa trovarsi in una situazione addirittura migliore rispetto a quella in cui si sarebbe trovato in assenza dell'illecito, va detratto dall'importo dovuto a titolo risarcitorio quanto da lui percepito grazie allo svolgimento di diverse attività lucrative, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire il contratto in contestazione, con la precisazione che, tuttavia, l'onere di provare (l'assenza del) l'”aliunde perceptum” grava non sull'Amministrazione ma sull'impresa, tenendo presente che tale ripartizione dell'onere probatorio muove dalla presunzione, a sua volta fondata sull'”id quod plerumque accidit”, secondo cui l'imprenditore (specie se in forma societaria) — in quanto soggetto che esercita professionalmente una attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili — normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative che dalla cui esecuzione trae utili (Cons. Stato, Sez. VI, n. 1681/11 cit.).

 

Questo Tribunale sul punto ha ulteriormente precisato che in sede di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata aggiudicazione di una gara di appalto, il mancato utile nella misura integrale, nel caso di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se quest’ultimo dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in vista dell'aggiudicazione, mentre, in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura per l'”aliunde perceptum vel percipiendum” (Tar Lazio, Sez. II, 3.11.11, n. 8442).

 

Il Collegio, quindi, in assenza di prova siffatta da parte della ricorrente, ritiene equo liquidare una somma pari al 5% non dell’importo rivalutato, però, come prospettato dalla ricorrente, ma in relazione al ribasso del prezzo offerto dall’impresa (che, per la documentazione depositata in atti dall’Acea spa, risulta pari a euro 841.189,50) e quantificabile in euro 42.059,47. E’ conclusione giurisprudenziale condivisibile, infatti, quella secondo cui nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante, inteso come mancato profitto che l'impresa avrebbe ricavato dall'esecuzione dell'appalto, non deve essere calcolato utilizzando il criterio forfetario del 10% del prezzo a base d'asta, ma sulla base dell'utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria (Cons. Stato, Sez. VI, 26.1.09, n. 357). A tale somma, però, deve riconoscersi un ulteriore 2%, per euro 16.823,78, a titolo di “danno curriculare” risarcibile. Infatti, come osservato da giurisprudenza che il Collegio condivide, l'interesse all’aggiudicazione di un appalto pubblico, nella vita di un operatore economico, va oltre l'interesse all'esecuzione dell'opera in sé e ai relativi ricavi diretti, dato che alla mancata esecuzione di un'opera pubblica illegittimamente negata si ricollegano indiretti nocumenti all'immagine stessa della società, al suo radicamento nel mercato, all'ampliamento della qualità industriale o commerciale dell'azienda, al suo avviamento, cui aggiungere la lesione al rispetto della concorrenza, in conseguenza dell'indebito potenziamento di impresa concorrente che operava sul medesimo “target” di mercato e che è stata dichiarata aggiudicataria della gara.

 

Ne consegue che l'impresa ingiustamente privata dell'esecuzione di un appalto può rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come relativa all’immagine e al prestigio professionale, al di là dell'incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare ( Cons. Stato, Sez. VI, 1681/11 cit. nonché 11.1.10 , n. 20 ; 21.5.09 , n. 3144; 9.6.08, n. 2751 ; Sez. IV, 6.6.08 , n. 2680 ; Sez. V, 23.7.09 , n. 4594 ; Sez. V, 12.2.08, n. 491; Sez. IV, 29.7.08 , n. 3723 ; v. anche Cass. Civ., 4 giugno 2007, n. 12929 ).

 

A conclusione negativa deve invece pervenirsi per quel che riguarda il mancato ammortamento delle spese generali, richiamando la medesima ragione per la quale non si è convenuto con la richiesta di liquidare il 10% del mancato utile, dato che l’impresa non ha fornito la prova di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze per altri lavori, con la conseguenza che l’ammortamento richiesto ben può risultare già effettuato comunque in relazione ad altri lavori svolti.

 

Per quel che riguarda il danno ulteriore “curriculare” per mancato avanzamento SOA, il Collegio ritiene di concordare con le difesa dell’Acea spa, rilevandone la non risarcibilità, in quanto non risulta fornita in giudizio la prova dell’effettiva perdita di un livello di qualificazione già posseduta ovvero della mancata acquisizione di un livello superiore e che tali circostanze eventuali siano da porre in correlazione diretta con la mancata aggiudicazione (Cons. Stato, Sez. IV, 27.11.10, n. 8253).

 

Per quanto finora dedotto, quindi, in relazione alla mancata (o revoca dell’) aggiudicazione, deve accogliersi parzialmente la domanda risarcitoria nei confronti di Acea spa e condannarsi quest’ultima a corrispondere alla ricorrente quanto da lei richiesto a titolo di mancato utile per euro 42.059,47 (equitativamente sul 5% sul ribasso del prezzo offerto in gara, per euro 841.189,50), e a titolo di danno all’immagine e curriculare (equitativamente sul 2% del medesimo parametro), per euro 16.823,78. La somma totale pari ad euro 58.883,25, trattandosi di debito di valore perché risarcitorio dovrà essere rivalutata all’attualità, con interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo.

 

Passando ad esaminare le altre voci di danno che la ricorrente ritiene derivanti dall’iscrizione nel Casellario Informatico dell’Autorità di settore e dalla conseguente interdizione annuale ex art. 38 d.lgs. n. 163/06, il Collegio osserva che il criterio su cui individuare un parametro di riferimento sarebbe quello che si fonda sulla media degli utili percepiti in analogo periodo nell'anno precedente per gare con Enti pubblici (per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, n. 3981).

 

Nel caso di specie, però, manca del tutto tale prova, il cui onere era da ascriversi integralmente alla ricorrente ex art. 2697 c.c.

 

Non risultano infatti depositati in giudizio i bilanci della società negli anni precedenti e successivi all’interdizione annuale né altri dati idonei relativi all’indicazione degli utili percepiti negli anni immediatamente successivi e posteriori all’interdizione e derivanti da gare di appalto, quali risultanti dai dati generali utilizzati ai fini della quantificazione del reddito complessivo d'impresa per la dichiarazione dei redditi, commisurato al numero di gare svoltesi nell’anno alle quali l'impresa non ha potuto partecipare. Non appare sufficiente allo scopo, infatti, prendere a riferimento dieci gare svoltesi nell’anno ed affermare apoditticamente, come fatto dalla ricorrente, che avrebbe certamente ivi partecipato e vinto, non avendo quest’ultima neanche dimostrato di possedere i relativi requisiti in relazione alle singole leggi di gara che regolavano quelle fattispecie prese a riferimento.

 

Né può valere il richiamo al criterio della valutazione equitativa, dato che la giurisprudenza con cui il Collegio concorda ha chiarito che il difetto di prova dei danni patiti non è superabile mediante il ricorso al rimedio della liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 cod. civ. ove non sussista alcuna impossibilità o difficoltà di quantificare esattamente i pregiudizi subiti, ricadendo tutti gli elementi idonei a comprovare la consistenza degli stessi nella disponibilità della parte interessata (C.G.R.S., 7.11.11, n. 785).

 

Nel caso di specie era nella piena disponibilità della parte ricorrente depositare in giudizio la documentazione suddetta, per cui, in assenza della stessa, si potrebbe dedurre ugualmente in via presuntiva che gli utili della ricorrente non siano diminuiti, orientandosi la stessa verso altri mercati, né che abbiano subito detrazioni di sorta.

 

Per quanto dedotto quindi la domanda risarcitoria ulteriore, sotto i profili ora evidenziati, non può trovare accoglimento.

 

Le spese del giudizio possono compensarsi tra le parti costituite, vista la reciproca soccombenza, tranne quel che riguarda l’importo del contributo unico versato che deve essere posto a carico dell’Acea spa ed a favore di parte ricorrente.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, condanna l’Acea spa a corrispondere alla ricorrente le somme ivi indicate.

Spese compensate, tranne per quel che riguarda il contributo unificato, che l’Acea spa deve rifondere alla ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:

Franco Bianchi, Presidente

Giuseppe Sapone, Consigliere

Ivo Correale, Consigliere, Estensore

 

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/06/2012

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

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