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Consiglio di Stato, Sez. VI, 16/7/2012 n. 4160
Sul potere sanzionatorio dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e fornitura ex art. 48, c. 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, in sede di controlli sul possesso dei requisiti di partecipazione.

L'art. 48, c. 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, prevede che le stazioni appaltanti richiedono, tra gli altri, all'aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria di comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico organizzativa eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Qualora tale prova non sia fornita ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e fornitura può adottare determinati provvedimenti sanzionatori. In particolare, può disporre la sospensione dell'impresa, per un periodo da uno a dodici mesi, dalla partecipazione alle procedure di affidamento, nonché irrogare una sanzione amministrativa fino ad euro 25.822,00 ovvero, in presenza di informazioni o documenti falsi, fino ad euro 51.545,00. La suddetta normativa non impone all'Autorità, di svolgere accertamenti ulteriori, rispetto alla falsità della dichiarazione, volti a verificare la sussistenza del requisito oggettivo della gravità della violazione e a prendere in esame la "situazione soggettiva del dichiarante", ma può soltanto accertare se la notizia comunicata dalla stazione appaltante sia inconferente ovvero se la falsità sia innocua o se la stessa abbia ad oggetto fatti e circostanze irrilevanti ai fini della aggiudicazione della gara.

Materia: appalti / requisiti di partecipazione

N. 04160/2012REG.PROV.COLL.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1142 del 2010, proposto dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e fornitura, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

contro

Retis s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Michele Lioi e Marco Orlando, con domicilio eletto presso il primo in Roma, piazza della Libertà, 20;

 

nei confronti di

Regione Umbria, non costituita in giudizio;

 

per la riforma

della sentenza 26 ottobre 2009, n. 10429 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione III.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio di Retis s.p.a.;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 maggio 2012 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Caselli.

 

FATTO e DIRITTO

1.– La Retis s.p.a. ha partecipato alla procedura di gara indetta dalla Regione Umbria per l’affidamento del servizio di realizzazione informatica-strumenti di sostegno alla gestione finanziaria di impresa.

Il bando di gara prevedeva, quale requisito di capacità tecnica, la «esecuzione negli ultimi tre anni (2004-2006) di almeno un progetto in ambiente software, positivamente collaudato, per un importo almeno uguale alla base d’asta» e, dunque, nella specie, pari ad euro 723.000,00.

La Retis ha dichiarato di possedere tale requisito.

La stazione appaltante, in sede di controlli ex art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, richiedeva di dimostrare l’effettiva sussistenza del requisito.

La società, in data 1° febbraio 2008, ha indicato il progetto «Sportello e Portale», realizzato per la Società italiana Autori ed editori-Siae, di valore pari all’importo indicato. A seguito di chiarimenti richiesti dalla stazione appaltante, risultava, però, che il predetto progetto non fosse stato concluso nel triennio indicato nel bando di gara in quanto per tale periodo il fatturato era stato pari ad euro 4000.000,00.

La stazione appaltante, pertanto, accertata la non veridicità della dichiarazione resa in ordine al possesso del requisito partecipativo, ha disposto, in attuazione di quanto previsto dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, l’esclusione della società dalla gara, l’escussione della cauzione provvisoria e la segnalazione all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e fornitura (d’ora innanzi Autorità).

L’Autorità – ritenute prive di rilievo, per la chiarezza della clausola del bando, le note difensive con le quali la stazione appaltante ha comunicato che la falsa dichiarazione fosse stata dovuta ad un «disguido interno» cagionato da un dipendente – ha irrogato, con provvedimento del 19 marzo 2009, n. 25, la sanzione pecuniaria di euro 10.000,00 e ha disposto la sospensione dalla partecipazione alle procedure di affidamento per un periodo di dodici mesi.

 

1.1.– Tale atto è stato impugnato, innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione terza, dalla società la quale ha dedotto: a) la mancanza della falsità della dichiarazione, potendo la società stessa dimostrare il possesso del requisito mancante mediante il ricorso all’istituto dell’avvalimento; b) l’illegittimità dell’applicazione della sanzione interdittiva, non avendo l’Autorità accertato, in particolare, la «gravità della falsa dichiarazione».

 

1.2.– Il Tribunale adito, con sentenza 26 ottobre 2009, n. 10429, ha premesso che la società non fosse in possesso del requisito richiesto e che non fosse possibile il ricorso all’avvalimento in mancanza della dichiarazione prescritta dall’art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006. Nondimeno, si è ritenuto che l’Autorità avrebbe dovuto accertare la sussistenza di un «comportamento diverso ed ulteriore dalla mera mancanza di un requisito di partecipazione». In particolare, l’irrogazione delle sanzioni presuppone, si è sottolineato, che si valuti la «gravità del falso» e la «situazione soggettiva del dichiarante».

Inoltre, si è affermato che la sanzione pecuniaria, avendo assunto come punto di riferimento il valore posto a base d’asta, sarebbe stata irrogata «al di fuori dei limiti previsti dalla legge».

Per queste ragioni il Tar ha annullato il provvedimento impugnato. E’ stata, invece, rigettata, per mancanza di prova del pregiudizio subito, la domanda di risarcimento dei danni.

 

2.– L’Autorità ha proposto, con l’atto indicato in epigrafe, appello rilevando la erroneità della sentenza in quanto: a) l’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 non prevede che l’Autorità debba effettuare verifiche ulteriori rispetto all’accertata falsità della dichiarazione; b) la ritenuta illegittimità della sanzione pecuniaria non era stata oggetto di contestazione nel giudizio di primo grado e comunque tale illegittimità non sussisterebbe atteso che la sanzione di euro 10.000,00 rientrerebbe nei limiti legali predeterminati.

 

2.1.– Si è costituita in giudizio la Retis s.p.a. chiedendo, senza indicare le ragioni, che l’appello venga dichiarato «irricevibile, inammissibile ed infondato», con «espressa riproposizione di tutti i motivi assorbiti nella sentenza impugnata».

 

3.– L’appello è fondato.

 

3.1.– In via preliminare, è necessario riportare il contenuto della normativa attributiva del potere all’Autorità.

L’art. 48, secondo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede, per quanto interessa in questa sede, che le stazioni appaltanti richiedono, tra gli altri, all’aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria di comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico organizzativa eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Qualora tale prova non sia fornita ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell’offerta l’Autorità può adottare determinati provvedimenti sanzionatori. In particolare, può disporre la sospensione dell’impresa, per un periodo da uno a dodici mesi, dalla partecipazione alle procedure di affidamento, nonché irrogare una sanzione amministrativa fino ad euro 25.822,00 ovvero, in presenza di informazioni o documenti falsi, fino ad euro 51.545,00.

 

3.2.– La normativa riportata non impone all’Autorità, contrariamente a quanto affermato nella sentenza di primo grado, di svolgere accertamenti ulteriori, rispetto alla falsità della dichiarazione, volti a verificare la sussistenza del requisito oggettivo della gravità della violazione e a prendere in esame la «situazione soggettiva del dichiarante». L’Autorità può soltanto accertare se la notizia comunicata dalla stazione appaltante sia inconferente ovvero se la falsità sia innocua o se la stessa abbia ad oggetto fatti e circostanze irrilevanti ai fini della aggiudicazione della gara (cfr., sia pure con riguardo ad una fattispecie diversa da quella in esame, Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2011, n. 3361).

Nel caso in esame, il provvedimento sanzionatorio contiene una articolata motivazione in cui si accerta, anche alla luce delle argomentazioni difensive svolte dall’impresa, la falsità della dichiarazione e la sua oggettiva rilevanza.

Non essendo, dunque, necessario, come correttamente affermato dal Tar, svolgere ulteriori accertamenti ne consegue, sotto tale aspetto, la legittimità della determinazione assunta.

 

3.3.– Per quanto attiene, poi, alla sanzione pecuniaria è sufficiente rilevare che, a prescindere dalla questione relativa all’osservanza del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la stessa è stata irrogata nel rispetto dei limiti predeterminati dalla legge. Il Tar ha ritenuto che tali limiti fossero stati superati in quanto è stato tratto in errore dalla parte della motivazione del provvedimento impugnato in cui si afferma che, in ragione della falsità della dichiarazione, la sanzione deve essere irrogata «nella misura più elevata» e «commisurata all’importo a base d’appalto (euro 723.000,00)». Nella parte dispositiva l’Autorità ha poi, chiaramente, disposto il pagamento di euro 10.000,00 a fronte di un limite massimo, in caso di dichiarazioni false, di euro 51.545,00.

La sanzione è stata, pertanto, irrogata nel rispetto delle condizioni prescritte dalla legge attributiva del potere.

 

3.4.– La società resistente ha, nell’atto di costituzione, riproposto i motivi dichiarati assorbiti.

 

La deduzione è inammissibile per genericità non avendo la parte indicato quali siano tali motivi dichiarati assorbiti (Cons. Stato, sez. VI, 10 aprile 2012, n. 2060). In ogni caso, anche a prescindere da questo aspetto, dalla lettura del ricorso di primo grado e della sentenza risulta che il Tar ha esaminato tutti i motivi proposti.

 

4.– In definitiva, per le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere accolto con conseguente rigetto del ricorso di primo grado.

 

5.– La parte resistente è condannata, in applicazione del principio di soccombenza, al pagamento di euro 3.000,00 oltre iva e cpa., a favore dell’appellante, per entrambi i gradi del giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

 

a) accoglie l’appello proposto con il ricorso, n. 1142 del 2010, indicato in epigrafe;

 

b) condanna, in applicazione del principio di soccombenza, la parte resistente al pagamento, a titolo di spese processuali, di euro 3.000,00, oltre iva e cpa, per entrambi i gradi del giudizio.

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giovannini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore

 

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/07/2012

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

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