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Consiglio di Stato, Sez. III, 11/7/2012 n. 4116
La comunicazione via fax rappresenta una modalità tipica di comunicazione di notizie e informazioni ai partecipanti alle gare d'appalto ed è uno strumento idoneo ai fini della decorrenza del termine di decadenza.

L'aggiudicazione provvisoria, caratterizzandosi per la sua natura endoprocedimentale, è un provvedimento instabile i cui effetti interinali non impongono che la stessa sia preceduta dall'avviso di cui all'art. 7 L. 241/1990

La comunicazione via fax è espressamente contemplata dall'art. 77 del d.lgs. n. 163/06 quale modalità tipica di comunicazione di notizie e informazioni ai partecipanti alle gare d'appalto e rappresenta uno dei modi in cui può concretamente svolgersi la cooperazione tra i soggetti, in quanto essa viene attuata mediante l'utilizzo di un sistema basato su linee di trasmissione di dati ed apparecchiature che consentono di poter documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente che, attraverso il cosiddetto rapporto di trasmissione, la ricezione del medesimo in quello ricevente. Tali modalità, garantite da protocolli universalmente accettati, indubbiamente ne fanno uno strumento idoneo a garantire l'effettività della comunicazione. Posto, quindi, che gli accorgimenti tecnici che caratterizzano il sistema garantiscono, in via generale, una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio, ne consegue non solo l'idoneità del mezzo a far decorrere termini perentori, ma anche che un fax deve presumersi giunto al destinatario quando il rapporto di trasmissione indica che questa è avvenuta regolarmente, senza che colui che ha inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova. Semmai la prova contraria può solo concernere la funzionalità dell'apparecchio ricevente; ma questa non può che essere fornita da chi afferma la mancata ricezione del messaggio.

L'aggiudicazione provvisoria, caratterizzandosi per la sua natura endoprocedimentale, è considerata, dalla consolidata giurisprudenza amministrativa, quale provvedimento instabile i cui effetti interinali non impongono che la stessa sia preceduta dall'avviso di cui all'art. 7 L. 241/1990. L'aggiudicazione provvisoria, infatti, quale atto che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario della gara, non costituisce atto conclusivo del procedimento, facendo nascere in capo all'interessato un mera aspettativa alla conclusione del procedimento. Ne consegue che l'aggiudicazione provvisoria è per sua natura inidonea, al contrario dell'aggiudicazione definitiva, ad attribuire in modo stabile il bene della vita ed ad ingenerare il connesso legittimo affidamento che impone l'instaurazione del contraddittorio procedimentale prima della revoca in autotutela. Muovendo da un pacifico orientamento giurisprudenziale, appare corretto sostenere che non sussiste l'obbligo dell'amministrazione di comunicare agli interessati l'avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della citata le. n. 241 del 1990, giacché il procedimento è già stato avviato con l'atto di indizione della gara; procedimento al cui interno si colloca, appunto, l'aggiudicazione provvisoria e che è destinato a concludersi positivamente con l'aggiudicazione definitiva ovvero - com'è accaduto sostanzialmente nel caso di specie- negativamente, con la revoca dell' aggiudicazione provvisoria. Ne consegue, pertanto, che sotto tale profilo il provvedimento di revoca si presenta privo di tale vizio.


Materia: appalti / disciplina

N. 04116/2012REG.PROV.COLL.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 831 del 2012, proposto da Consorzio Cooperative Costruzioni - CCC - Societa' Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, quale ente incorporante del Consorzio Ravennate delle cooperative di produzione e lavoro – C.R. -, e per C.E.T.P. - Consorzio Elettricisti Torino e Provincia S.C., Ediltermica Iorio Srl, S.A.M.E.T. Snc, ciascuno in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentati e difesi dagli avv. Gabriele Pafundi e Marco Casavecchia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4;

 

contro

Azienda Sanitaria Locale Torino Nord,Asl To2, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Vittorio Del Monte, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Francesca Lalli in Roma, via Lucio Sestio n. 12;

Regione Piemonte, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Eleuterio Zuena e Giovanna Scollo, con domicilio eletto presso Eleuterio Zuena in Roma, via Carlo Poma, 4;

Ministero della Salute, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. Piemonte – Torino, sezione I n. 1202/2011, resa tra le parti, concernente l’affidamento dei lavori di ristrutturazione, adeguamento normativo e riqualificazione del presidio per la realizzazione del poliambulatorio in Torino nonché per l’affidamento del contratto e il risarcimento dei danni.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Locale Torino Nord, Asl To2, della Regione Piemonte e del Ministero della Salute;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2012 il Cons. Vincenzo Neri e uditi per le parti gli avvocati Pafundi, Andrea Manzi su delega di Del Monte e l’avvocato dello Stato Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso n. 149/2011 notificato alla Regione Piemonte e al Ministero della Salute in data 28.1.2011 e all’ASL TO2 in data 3.2.2011 e depositato l’8.2.2011, il Consorzio Ravennate delle cooperative di produzione e lavoro, il Consorzio Elettricisti Torino e Provincia s.c. (C.E.T.P.) e le società Ediltermica Iorio s.r.l. e S.A.M.E.T. s.n.c. impugnavano la deliberazione del 24.12.2010 – comunicata al Consorzio Ravennate con lettera del 29.12.2010 prot. n. 0072285 pervenuta il 3.1.2011 – con la quale il Commissario Straordinario dell’ASL TO2 aveva revocato l’indizione della gara già disposta con precedente deliberazione per l’affidamento dei lavori di ristrutturazione, adeguamento normativo e riqualificazione del presidio per la realizzazione del poliambulatorio in Torino, via Borgo Ticino nn. 7-9-11 e, per l’effetto, tutti gli atti conseguenti con particolare riferimento all’aggiudicazione provvisoria già disposta in favore del predetto Consorzio Ravennate.

I ricorrenti impugnavano altresì gli ulteriori atti della sequenza procedimentale.

Si costituivano, resistendo al gravame, l’ASL e la Regione Piemonte eccependo preliminarmente la tardività del ricorso notificato all’ASL.

In data 31.3.2011, l’a.t.i. ricorrente presentava motivi aggiunti replicando all’eccezione di tardività così come formulata dall’ASL e svolgendo ulteriori deduzioni a sostegno del ricorso introduttivo.

Il Tar con la sentenza impugnata, ritenendo fondata l’eccezione di tardività, dichiarava irricevibile il ricorso e i relativi motivi aggiunti.

L’interessata Consorzio Cooperative Costruzioni – C.C.C. – Società Cooperativa, quale ente incorporante del Consorzio Ravennate delle cooperative di produzione e lavoro, proponeva appello.

Resistevano l’ASL TO2 e la Regione Piemonte; quest’ultima avanzava, inoltre, appello incidentale subordinato (si veda pagina 13 dell’atto di costituzione depositato in data 15 marzo 2012).

All’udienza del 4 maggio 2012 l’appello passava in decisione.

 

DIRITTO

1. L’appello va rigettato nella parte in cui contesta la declaratoria di irricevibilità contenuta nella sentenza in epigrafe indicata. Quest’ultima, invece, va riformata con riferimento alla omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento avanzata già in primo grado dalla ricorrente.

 

2. Esaminando prioritariamente le censure proposte avverso la decisione di irricevibilità, per l’appellante la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto che al caso di specie si applicassero i termini dimezzati di cui all’articolo 120 c.p.a. ; trattandosi di provvedimenti di eliminazione del finanziamento in precedenza disposto, per l’appellante troverebbe applicazione l’ordinario termine di decadenza rimanendo “del tutto casuale che l’eliminazione del finanziamento riguardi una procedura di affidamento di lavori pubblici” (pagina 13 dell’appello).

La doglianza non ha pregio poiché non v’è dubbio che “l’eliminazione” del finanziamento è atto a monte nella vicenda in questione e che il provvedimento concretamente lesivo è quello di revoca della gara pubblica; conseguentemente il regime processuale non può che essere quello proprio delle procedure di evidenza pubblica. Sotto altro aspetto va ricordato che, ai sensi dell’articolo 32, comma 1, secondo periodo, se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV; quindi non v’è dubbio che nel caso di specie doveva trovare applicazione il rito speciale previsto per gli appalti in quanto rientrante proprio nelle disposizioni del titolo V del libro IV.

 

2.1. Con altra doglianza l’appellante ritiene che il termine non decorrerebbe dal giorno di ricezione del fax perché tale strumento non era stato espressamente autorizzato dal concorrente (pagina 13 appello) e perché non troverebbe applicazione il termine dimezzato di cui all’articolo 120, comma 5, anche in ragione del fatto che mancherebbe il provvedimento di riferimento e la relativa motivazione.

 

2.2. Per la decisione di queste due ulteriori censure giova premettere che la stazione appaltante ha comunicato con lettera prot. 0072285 del 29.12.2010 a firma del Presidente della Commissione di gara e Responsabile del Procedimento — ricevuta via fax dal Consorzio in data 3.1.2011 — la revoca della gara.

In via generale va ricordato che la comunicazione via fax è espressamente contemplata dall’art. 77 del d.lgs. n. 163/06 quale modalità tipica di comunicazione di notizie e informazioni ai partecipanti alle gare d’appalto e nel caso specifico tale modalità comunicativa, richiamata dalla lex specialis di gara (punto n. 8 del disciplinare di gara; si veda la prima alinea del disciplinare di gara allegato agli atti), deve ritenersi giuridicamente vincolante per i concorrenti.

 

Occorre al riguardo precisare che la questione della validità, efficacia, adeguatezza del fax, quale idoneo strumento di comunicazione, è stata già affrontata e risolta in senso positivo da questo Consiglio di Stato con convincenti argomentazioni, dalle quali non vi è ragione di discostarsi (Sez. VI, 4 giugno 2007, n. 2951; Sez. VI, 24 novembre 2011, n. 6208). È stato, in particolare, affermato che “Il fax rappresenta uno dei modi in cui può concretamente svolgersi la cooperazione tra i soggetti, in quanto essa viene attuata mediante l’utilizzo di un sistema basato su linee di trasmissione di dati ed apparecchiature che consentono di poter documentare sia la partenza del messaggio dall’apparato trasmittente che, attraverso il cosiddetto rapporto di trasmissione, la ricezione del medesimo in quello ricevente. Tali modalità, garantite da protocolli universalmente accettati, indubbiamente ne fanno uno strumento idoneo a garantire l’effettività della comunicazione” (Cons. St., sez. VI, 4 giugno 2007, n. 2951). Si è altresì aggiunto, sempre nella ricordata decisione: “…Posto quindi che gli accorgimenti tecnici che caratterizzano il sistema garantiscono, in via generale, una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio, ne consegue non solo l'idoneità del mezzo a far decorrere termini perentori, ma anche che un fax deve presumersi giunto al destinatario quando il rapporto di trasmissione indica che questa è avvenuta regolarmente, senza che colui che ha inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova. Semmai la prova contraria può solo concernere la funzionalità dell'apparecchio ricevente; ma questa non può che essere fornita da chi afferma la mancata ricezione del messaggio…”.

 

2.3. Una volta appurato che la comunicazione via fax è uno strumento idoneo ai fini della decorrenza del termine di decadenza deve sottolinearsi come la predetta comunicazione, inoltre, risulti effettivamente rispettosa del disposto degli artt. 120 c.p.a. e 79 codice contratti, poiché nel caso di specie si rientra in una di quelle ipotesi in cui il termine dimezzato decorre dalla conoscenza dell’atto.

Se, per un verso, è vero che le comunicazioni dei provvedimenti della Pubblica Amministrazione devono contenere tutti gli elementi essenziali “al fine di permettere di sindacare con completezza le scelte dell’amministrazione, con ciò logicamente facilitando l’eventuale esercizio del diritto di azione giurisdizionale da esercitarsi nel termine abbreviato” (cfr. Cons. St, sez. IV, 3 maggio 2011, n. 2646); per altro verso, a giudizio del Collegio, la comunicazione della revoca destinata al Consorzio Aggiudicatario è completa di tutti gli elementi essenziali ed idonei all’esercizio di tale diritto di difesa contenendo sinteticamente, oltre che l’indicazione degli atti revocati (“indizione della procedura di gara e degli atti conseguenti”), anche le ragioni di tale revoca (“per effetto della disposizione regionale prot. n. 33948/DB2000 del 23/11/2010”) e l’autorità giurisdizionale da adire (“Tribunale Amministrativo Regionale competente”), nonché il relativo termine (“trenta giorni”) da rispettare per proporre tempestivamente ricorso. Si è, in altri termini, realizzata la piena conoscenza dell’atto che, per la condivisa giurisprudenza di questo Consiglio, comporta la decorrenza del termine di impugnazione dimezzato («10.2. Secondo la lettura di tale disposizione data dall’appellante, la previsione in commento intende ancorare il termine di impugnazione, per gli atti contemplati nell’art. 79 appalti del medesimo Codice, alle sole forme di comunicazione ivi previste; in particolare, quanto all’atto di esclusione, alle forme di comunicazione di cui all’art. 79, comma 5-bis, del Codice (forma scritta, raccomandata con avviso di ricevimento, fax, posta elettronica certificata, notificazione), e esclude che il termine di impugnazione decorra da altre forme di comunicazione. L’espressione “ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto”, va cioè intesa come riferita ad atti diversi da quelli di cui all’art. 79, appalti del Codice.

 

10.3. Questa interpretazione non è condivisa dal Collegio per plurime considerazioni:

a) l’art. 79 d.lgs. 12 aprile 2006. n. 163 è stato novellato dal d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53 al fine di garantire piena conoscenza e certezza della data di conoscenza in relazione agli atti di gara, segnatamente esclusioni e aggiudicazioni, e sono state pertanto previste forme puntuali di comunicazione;

 

b) tuttavia l’art. 79 d.lgs. n. 163 del 2006 da un lato non prevede le forme di comunicazione come “esclusive” e “tassative”, dall’altro lato non incide sulle regole processuali generali del processo amministrativo, in tema di decorrenza dei termini di impugnazione dalla data di notificazione, comunicazione o comunque piena conoscenza dell’atto; sicché, l’art. 79 lascia in vita la possibilità che la piena conoscenza dell’atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, sia acquisita con altre forme, ovviamente con onere della prova a carico di chi eccepisce la avvenuta piena conoscenza con forme diverse da quelle di cui all’art. 79 medesimo;

 

c) nemmeno l’art. 79 ha inteso incidere sulla precedente copiosa giurisprudenza in tema di decorrenza del termine di impugnazione dalla data della seduta pubblica in cui vengono adottati i provvedimenti di esclusione, se alla seduta sono presenti i legali rappresentanti del concorrente e purché la conoscenza abbia i requisiti di “pienezza”;

 

d) a sua volta, l’art. 120, comm 5, Cod. proc. amm., si riferisce all’impugnazione di tutti gli atti delle procedure di affidamento, e fissa plurime decorrenze dei termini, o dalla ricezione della comunicazione dell’art. 79, d.lgs. n. 163 del 2006, o, per i bandi, dalla pubblicazione dell’art. 66, comma 8, ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto;

 

e) l’espressione “in ogni altro caso”, non va riferita ad “atti diversi” da quelli delle procedure di affidamento, e specificamente da quelli di cui all’art. 79, d.lgs. n. 163 del 2006, ma va riferita a “diverse forme” di conoscenza dell’atto, diverse dalle forme dell’art. 79 e dell’art. 66, comma 8;

 

f) così inteso, l’art. 120, comma 5, Cod. proc. amm. è coerente con la regola generale dettata dall’art. 41, comma 2, , secondo cui il termine di impugnazione del provvedimento amministrativo decorre dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza dell’atto;

 

g) pertanto, l’art. 120, comma 5, non ha inteso fissare forme tassative di comunicazione degli atti di gara al fine della decorrenza del termine di impugnazione, ma ha inteso ribadire la regola generale secondo cui il termine di impugnazione decorre o dalla comunicazione nelle forme di legge, o comunque dalla piena conoscenza dell’atto;

 

h) questo implica che se la comunicazione non avviene con le forme dell’art. 79 d.lgs. n. 163 del 2006, il termine decorre dalla piena conoscenza altrimenti acquisita», Cons. St., VI, 13 dicembre 2011 n. 6531).

 

2.4. In conclusione, sulla base delle considerazioni svolte, essendosi realizzato nei confronti dell’odierna appellante l’effetto della piena conoscenza del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione già alla data della ricezione della comunicazione via fax del 3 gennaio 2011, che vale quale comunicazione individuale del provvedimento, è da tale data che correttamente deve essere computato il termine di trenta giorni per l’impugnazione e conseguentemente risulta tardiva la notifica del ricorso all’amministrazione sanitaria compiuta soltanto in data 3 febbraio 2011. Né in senso diverso può dirsi che il vero legittimato passivo dell’azione fosse la regione e non l’amministrazione sanitaria perché, a tacer d’altro, la parte sino alla revoca dell’aggiudicazione non avrebbe avuto interesse ad impugnare gli atti regionali e perché un eventuale annullamento della revoca del finanziamento non avrebbe avuto di certo effetto caducante rispetto alla revoca della gara.

 

3. L’atto di appello reputa erroneo il mancato esame della domanda risarcitoria da parte del giudice di primo grado in considerazione del superamento della c.d. pregiudiziale annullatoria (pagina 17 dell’appello); per tale ragioni vengono riproposte le censure dedotte in primo grado (pagine 18-30 dell’appello) onde ottenere, una vola dimostrata l’illegittimità degli atti, il risarcimento del danno a prescindere dall’annullamento dei provvedimenti.

 

L’argomento è convincente perché la circostanza che l’azione impugnatoria sia risultata tardiva non osta al vaglio della distinta pretesa risarcitoria, la quale impone di valutare, sebbene solo a detti fini, la legittimità dell’atto impugnato. L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (sentenza 23 marzo 2011, n. 3) ha recentemente chiarito che dagli artt. 30 e ss. c.p.a. emerge come il legislatore delegato non ha condiviso né la tesi della pregiudizialità amministrativa, né peraltro, al contrario, quella della totale autonomia dei due rimedi – impugnatorio e risarcitorio – bensì ha optato per una soluzione intermedia, che valuta l’omessa tempestiva proposizione del ricorso per l’annullamento del provvedimento lesivo non come fatto preclusivo dell’istanza risarcitoria, ma solo come condotta che, nell’ambito di una valutazione complessiva del comportamento delle parti in causa, può autorizzare il giudice ad escludere il risarcimento o a ridurne l’importo, ove accerti che la tempestiva proposizione del ricorso per l’annullamento dell’atto lesivo avrebbe evitato o limitato i danni da quest’ultimo derivanti.

Dovendo, dunque, ritenersi ormai ammessa la domanda di risarcimento del danno, conformemente ai principi espressi dall’Adunanza Plenaria, anche in via autonoma rispetto all’impugnazione del provvedimento illegittimamente lesivo, non resta che vagliare la legittimità del provvedimento impugnato al solo fine di esaminare la fondatezza della domanda di risarcimento avanzata in primo grado e riproposta dall’appellante nell’odierno giudizio.

Nel merito le censure sono le seguenti.

 

3.1 Violazione degli artt. 1, 2, 3, e 7 e segg. della L. 241/1990.

L’appellante lamenta in modo generico la violazione degli artt. 1, 2, 3 e 7 e ss. della l. 241/1990. Per un verso tale censura risulta inammissibile per genericità limitandosi solo ad indicare le norme asseritamente violate; per altro verso, ove intesa quale doglianza per non aver ricevuto preventiva comunicazione di avvio del procedimento di revoca in autotutela, va comunque respinta nel merito.

 

Sul punto deve rammentarsi come l’aggiudicazione provvisoria, caratterizzandosi per la sua natura endoprocedimentale, è considerata, dalla consolidata giurisprudenza amministrativa, quale provvedimento instabile i cui effetti interinali non impongono che la stessa sia preceduta dall’avviso di cui all’art. 7 L. 241/1990. L’aggiudicazione provvisoria, infatti, quale atto che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario della gara, non costituisce atto conclusivo del procedimento, facendo nascere in capo all’interessato un mera aspettativa alla conclusione del procedimento (cfr. Cons. St., sez. V, 23 giungo 2010, n. 3966). Ne consegue che l’aggiudicazione provvisoria è per sua natura inidonea, al contrario dell’aggiudicazione definitiva, ad attribuire in modo stabile il bene della vita ed ad ingenerare il connesso legittimo affidamento che impone l’instaurazione del contraddittorio procedimentale prima della revoca in autotutela.

Muovendo da un pacifico orientamento giurisprudenziale, dal quale la Sezione non ha motivo di discostarsi, appare corretto sostenere che non sussiste l’obbligo dell’amministrazione di comunicare agli interessati l’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della citata legge n. 241 del 1990, giacché il procedimento è già stato avviato con l’atto di indizione della gara; procedimento al cui interno si colloca, appunto, l’aggiudicazione provvisoria e che è destinato a concludersi positivamente con l’aggiudicazione definitiva ovvero – com’è accaduto sostanzialmente nella fattispecie in esame – negativamente, con la revoca dell’ aggiudicazione provvisoria (cfr., tra le tante, Cons. St., sez. IV, 19 marzo 2003 n. 1457; Cons. St., IV, 29 ottobre 2002 n. 5903).

Ne consegue pertanto che sotto tale profilo il provvedimento di revoca si presenta privo di tale vizio.

 

3.2 Violazione dello statuto della Regione Piemonte (legge 338/1971: art. 16, 39) in relazione all’art. 20 della l. 67/88. Eccesso di potere. Violazione della l. 76/2000, del d.lg 502/1992 e delle ll.rr. 10/1995 e 18(2007. Incompetenza (art. 16/1, lett. p dello Statuto della Regione Piemonte.

 

3.2.1 L’interessata ha contestato che la delibera di revoca dell’aggiudicazione provvisoria è stata adottata dall’ASL TO2 sulla base di una revoca regionale invalida o comunque in una situazione di incompetenza.

 

Deve premettersi, come emerge dal provvedimento di revoca dell’aggiudicazione:

 

- che, con nota del 3 aprile 2006, l’ASL aveva chiesto la ridefinizione e la ridestinazione dei finanziamenti e che per il presidio oggetto della presene controversia era stato previsto un importo complessivo di € 2.065.827,60:

 

- che con d.c.r. del 19 luglio 2007 la regione aveva recepito la richiesta di ridefinizione dei finanziamenti;

 

- che, dopo una esplicita richiesta in tal senso, la regione Piemonte con deliberazione del 5 maggio 2009, contenente l’approvazione espressa della rideterminazione dell’importo complessivo e la relativa copertura finanziaria, aveva provveduto ad una revisione (come detto su richiesta di modifica avanzata dall’ASL TO2) dei costi dell’affidamento dei lavori che dovevano rideterminarsi nella somma di € 4.990.000,00 con un incremento da finanziarsi con oneri a carico della Regione;

 

- che il piano finanziario era così composto: € 2.065.827,60 di cui € 1.962.536,22 (95%) a carico dello Stato e € 103.291,38 a carico della Regione (5%) nonché ulteriori € 2.924.172,40 secondo la d.c.r. 258-20424 del 5 maggio 2009;

 

- che, con nota indirizzata al commissario della ASL, sempre la regione aveva “suggerito” all’amministrazione sanitaria di non procedere all’aggiudicazione in quanto l’intervento oggetto dell’affidamento non risultava essere più garantito da una totale copertura finanziaria a seguito dell’esaurimento delle disponibilità di risorse a carico del bilancio regionale;

 

- che, preso atto di quanto sopra, il Commissario dell’Azienda Sanitaria aveva disposto la revoca di tutti gli atti di gara, compreso il verbale di aggiudicazione provvisoria, evitando così di procedere all’aggiudicazione definitiva in favore del Consorzio aggiudicatario.

 

Quest’ultimo, con censure avanzate in primo grado e poi reiterate in appello, ha lamentato che la regione Piemonte, da considerarsi quale ente “finanziato” dallo Stato, avrebbe dovuto, prima di indicare all’ASL di procedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria, munirsi di una previa intesa con il Ministero della Salute e delle politiche sociali non avendo titolo ad agire in via autonoma (si veda pagina 20 dell’appello). È stato richiamato a tal proposito, tra l’altro, l’art 22 d. lgs. n. 76/2000.

 

Per la regione, invece, sulle somme trasferite dallo Stato vi sarebbe soltanto un generico vincolo di destinazione all’edilizia sanitaria, ma non anche un vincolo specifico legato al singolo intervento; l’articolo 20, infatti, stabilirebbe che tutte le somme assegnate, a qualsiasi titolo, dallo Stato alla regione confluiscono nel bilancio regionale, senza vincolo a specifiche destinazioni, salvo il caso di assegnazioni in corrispondenza di deleghe di funzioni amministrative a norma dell'articolo 118, secondo comma, della Costituzione, nonché di assegnazioni vincolate per calamità naturali e per interventi di interesse nazionale. Nel caso di specie, sempre per la regione, con l’accordo di programma attuativo del finanziamento ex l. 67/1988 sarebbe stata prevista “la modifica, anche sostitutiva, di taluni interventi purché rientrino nell’ambito del finanziamento attribuito alla Regione Piemonte e degli altri finanziamenti…” (si veda pagina 18 della memoria di costituzione).

 

Alla luce delle difese complessivamente spiegate dalle parti e del tenore testuale dell’articolo 22 d.lgs. 76/2000, non rinvenendosi prova concreta che si tratta di assegnazioni vincolate per calamità naturali e per interventi di interesse nazionale, la censura non può essere accolta. Tale conclusione trova conferma anche nel dato testuale del prima ricordato accordo di programma, che consente la modifica anche sostitutiva di taluni interventi.

 

3.2.2 Del pari infondata è la doglianza concernente l’asserito difetto di competenza del Direttore Regionale della Sanità ad assumere tali indicazioni. Il ricorrente, infatti, ha sostenuto la necessità di una corrispondenza tra organo che ha emesso la delibera di rideterminazione del costo dell’intervento del 5.5.2009 e organo che assume l’atto di inibizione dell’aggiudicazione definitiva.

 

Tale censura non sembra, però, tenere in debito conto che spetta alla Giunta regionale, quale organo esecutivo dell’Ente territoriale, il compito di predisporre i vari bilanci regionali – poi approvati dal Consiglio con legge regionale –, il rendiconto regionale e le relative variazioni. Compete, invece, ai Dirigenti, ai sensi dell’articolo 95, comma 2, l'attuazione degli obiettivi e dei programmi nonché l'adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi, compresi quelli che impegnano l'amministrazione regionale verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa secondo le norme della legge. Sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.

 

Anche sotto tale profilo, pertanto, il provvedimento di revoca appare legittimo in quanto adottato nel rispetto della legge e delle diverse competenze.

 

3.3 Violazione delle norme sulla contabilità statale e regionale (articolo 18 d.lgs 76/2000; articolo 34 d.l. 78/2010; articoli 1 e 31 l. 125/2010; articolo 13 l.r. 28/2008 in relazione alla l.r. 7/2001). Violazione degli artt. 1173, 1218, 1411 ss. e 2043 c.c.

 

Con un ulteriore motivo di appello l’appellante, riportando il testo degli articoli 3 e 18 d.lgs. 76/2000, nonché di parte degli articoli 30 e 34 l. 196/2000, ha dedotto la violazione da parte della Regione del principio di intangibilità dell’impegno di spesa. A giudizio dell’interessata, per effetto degli articolo 25 e 31 della lr 11 aprile 2001 n. 7, lo stanziamento di € 2.924.172,40 (di cui all’articolo 13 legge regionale 28/2008) avrebbe dovuto rimanere intangibile. Nel comportamento della regione si ravviserebbero profili di responsabilità riconducibili nei confronti della ASL “ad una violazione dell’art. 1218 cc e verso i ricorrenti ad una violazione degli artt. 1411 e segg. cc e/o dell’art. 2043cc” (si veda pagina 21 dell’appello), non comprendendosi le ragioni per cui è venuto meno l’impegno di spesa regionale di cui all’articolo 13 della lr 28/2008. Il più volte richiamato impegno di spesa, in quanto posto a base di documenti pubblici, costituirebbe un atto o un fatto che, ex art. 1173 cc, darebbe origine ad obbligazioni pubbliche sia nei rapporti tra la regione e la ASL sia nei rapporti tra la regione e i terzi, dovendosi, con riferimento a tale ultimo caso, applicarsi “analogicamente” (si veda pagina 25 dell’appello) l’articolo 1411 codice civile.

 

Nel ragionamento dell’appellante potrebbero in astratto configurarsi o un impegno contabile non ancora finalizzato che non genera alcuna obbligazione oppure un impegno contabile che diventa “atto-fonte” di obbligazione pubblica allorché venga posto a base di una precisa procedura finalizzata alla stipulazione di un contratto oppure ancora un impegno di spesa che è “atto-fonte” assieme ad altri atti allorché venga assorbito dal successivo contratto o da altro atto o fatto che genera un’obbligazione civilistica. Per l’appellante la violazione delle regole concernenti la seconda tipologia di impegni di spesa, oltre alla violazione delle norme contabili, darebbe luogo ad un’obbligazione di carattere risarcitorio.

 

La censura non è fondata.

 

In primo luogo occorre rilevare che l’articolo 13 l.r. 282008 (recante norme per l’assestamento al bilancio di previsione per l'anno finanziario 2008 e disposizioni finanziarie) stabilisce genericamente che al fine di garantire il completamento degli interventi in materia di edilizia sanitaria è autorizzata per il triennio 2011-2013 la spesa complessiva di euro 110.000.000,00 da iscrivere all'UPB DA20082; il comma 2 dello stesso articolo rinvia la quantificazione della spesa per i singoli anni e la relativa copertura agli atti adottati ai sensi dell'articolo 30 della legge regionale 4 marzo 2003, n. 2. Già dall’esame della norma in questione – nonché dalla generica previsione di una disponibilità complessiva riferita a tutti gli interventi in materia di edilizia sanitaria - può facilmente escludersi che con la previsione di quella provvista finanziaria vi sia stato un impegno di spesa generatore di obbligazioni e di eventuale responsabilità di tipo risarcitorio. Si ricordi, inoltre, a sostegno della conclusione da ultimo raggiunta che per l’articolo 31, comma 2, l.r. 7/2001, formano impegno, entro i limiti delle dotazioni finanziarie assegnate mediante il programma operativo, le somme dovute dalla Regione in base alla legge, a contratto o ad altro titolo, a creditori determinati o determinabili, sempreché la relativa obbligazione venga a scadenza entro il termine dell'esercizio. Nel caso di transazioni commerciali, ovvero di contratti comunque denominati con imprese che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, l'impegno è assunto nell'esercizio finanziario in cui il debito dell'amministrazione viene a scadere.

 

Queste previsioni, in altri termini, rendono chiaro che non poteva nel caso di specie – mancando la determinatezza o la determinabilità del creditore (ancora non esistente perché non vi era contratto) – rintracciarsi un’obbligazione fonte di responsabilità risarcitoria. Si aggiunga che l’autorizzazione contenuta nell’articolo 13 l.r. 28/2008 ben potrebbe essere sottoposta a rivisitazione da parte delle leggi finanziarie degli anni successivi al fine di adeguare i finanziamenti previsti agli obiettivi stabiliti nel documento di programmazione economica finanziaria, il quale, come noto, definisce – sulla base di valutazioni sullo stato e sulle tendenze della situazione economica e sociale internazionale, nazionale e regionale – il quadro di riferimento triennale per la predisposizione dei bilanci pluriennale e annuale e per la definizione e attuazione delle politiche della Regione.

 

Sul versante degli appalti pubblici deve essere ribadito, infine, il consolidato indirizzo giurisprudenziale per il quale nei contratti pubblici, anche dopo l’intervento dell’aggiudicazione definitiva, non è precluso all’amministrazione appaltante di revocare l’aggiudicazione stessa, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, del quale occorre dare atto nella motivazione del provvedimento di autotutela. Per le stesse ragioni può richiamarsi quella giurisprudenza che individua nella mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell’opera quell’interesse pubblico che giustifica il provvedimento di revoca (Adunanza Plenaria, 5 settembre 2005, n.6). A ciò aggiungasi che la giurisprudenza ha reputato legittimo “il diniego di approvazione degli atti di una gara d’appalto motivato con riferimento alla mancanza dei fondi necessari per la realizzazione dell’opera, atteso che il corretto svolgimento dell’azione amministrativa ed un principio generale di contabilità pubblica risalente all’art. 81 della Costituzione esigono che i provvedimenti comportanti una spesa siano adottati soltanto se provvisti di adeguata copertura finanziaria” (Cons. St., sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1457).

 

Sotto tale profilo il provvedimento di revoca appare legittimo in quanto conforme ai requisiti prescritti dal ricordato art. 21 quinquies L. 241/1990.

 

3.4. Violazione dell’art 5 bis del d. lg 502/1992.

 

Con i motivi aggiunti (in primo grado e riproposti in questa sede) parte appellante ha contestato la violazione della norma da ultimo riportata e dell’Accordo di Programma, ritenendo che vi sia stata una grave violazione “perché, da una parte, l’iniziativa regionale, incidendo sulla stessa programmazione sanitaria (così come già rilevato sub 6.(ii) di ricorso), annulla lo stesso finanziamento statale, così come risulta dall’atto ASL TO del 29-12-2010, prot. 72292” (si veda pagina 30 dell’atto di appello)

 

A prescindere dalla non specificità della censura, e della sua possibilità di diretta ripercussione sugli atti di gara, la regione – con argomentazione condivisa dal Collegio – ha rilevato che l’art. 1 comma 310 l. 266/2005, espressamente richiamato nel Decreto Ministeriale di ammissione del finanziamento, prevede che può essere in qualsiasi tempo richiesta una proroga della validità temporale dell’Accordo e che tale proroga risulta accordata dal Ministero (pagina 24 della memoria di costituzione).

 

4. Dalla legittimità del provvedimento così come vagliata alla luce delle considerazioni appena esposte deve desumersi il venir meno in capo all’appellante del diritto al risarcimento del danno asseritamente cagionato dall’atto illegittimo. Appare opportuno sottolineare infatti come la pretesa risarcitoria avanzata sia intrinsecamente incompatibile con la legittimità del provvedimento presupponendone piuttosto la sua illegittimità, illegittimità questa che per le ragioni prima esposte non è stata riscontrata dal Collegio.

 

5. Occorre ora occuparsi della domanda subordinata di corresponsione dell’indennizzo da revoca legittima ex art. 21 quinquies L. 241/1990.

 

5.1. Passando ad esaminare i presupposti ed i requisiti necessari per riconoscere il diritto all’indennizzo da revoca di atti legittimi occorre fare riferimento all’art. 21 quinquies L. 241/1990.

 

L’articolo appena citato ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi, che ne legittimano l’adozione: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto; c) per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

 

La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, possibile non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi); ciò che caratterizza la revoca, quindi, è la sopraggiunta inopportunità del provvedimento di primo grado non più idoneo al perseguimento dell’interesse pubblico in vista del quale era stato adottato.

 

Conseguentemente il soggetto che direttamente subisca un pregiudizio dalla revoca di un provvedimento amministrativo ha titolo ad un indennizzo sempre che sia legittimo il provvedimento di revoca (si verte cioè in materia di responsabilità della P.A. per atti legittimi), poiché nel diverso caso di revoca illegittima subentrerebbe eventualmente il diritto al risarcimento del danno.

 

Altro punto che occorre mettere in luce è proprio quello relativo alla distinzione tra le due ipotesi di ristoro appena menzionate: risarcimento del danno ed indennizzo.

 

Così, recependo le conclusioni cui è approdata la Corte di Cassazione (v. Cass. civ., sez. I, 1.9.2008, n. 21994 con particolare riferimento alla distinzione tra indennità di espropriazione e risarcimento del danno da occupazione espropriativa) deve sottolinearsi la diversità ontologica tra indennizzo e risarcimento del danno, i quali si distinguono, appunto, quanto a petitum e causa petendi.

 

La causa petendi, nel giudizio volto ad ottenere l’indennizzo, deve essere ravvisata nella legittimità dell’atto amministrativo di revoca adottato dalla P.A. che ha causato il pregiudizio; mentre nel giudizio risarcitorio, essa consiste nel fatto o nell’atto produttivo del danno. (Cons. St., 10.2.2012, n. 662)

 

Quanto al petitum esso sarà limitato al danno emergente con riferimento all’indennizzo; si estenderà al ristoro integrale (danno emergente e lucro cessante) nella diversa ipotesi di risarcimento del danno.

 

Su tale distinzione, in ambito civile, sono intervenute le Sezioni Unite affermando:“La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa e quella di risarcimento danni da responsabilità aquiliana non sono intercambiabili, non costituiscono articolazioni di un’unica matrice, ma riguardano diritti per la cui individuazione è indispensabile il riferimento ai rispettivi fatti costitutivi, che divergono tra loro, identificando due diverse entità. Nell’azione generale di arricchimento la causa dello spostamento patrimoniale non deve essere qualificabile come antigiuridica, in quanto si entrerebbe allora nel campo dei fatti illeciti” (Cass., SS.UU. 10.9.2009, 19488).

 

Dalle diversità appena esposte discende che è precluso al giudice, pena la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., trasformare la domanda di indennizzo in quella diversa e distinta di risarcimento. Il giudice, infatti, non può mutare d’ufficio petitum, attribuendo un bene diverso da quello richiesto né causa petendi, con conseguente introduzione in giudizio di un diverso titolo da quello posto a fondamento della domanda; al più gli è consentito interpretare e qualificare le domande avanzate dalle parti, ma non di trasformarle, incorrendo altrimenti nel divieto di ultrapetizione (per tutte v. Cass. civ., sez. I, 12.4.2006, n. 8519; Cass. civ., sez. III, 12.7.2005, n. 14573; Cass. civ., sez. V, 1.9.2004, n. 17610).

 

Altro presupposto previsto dalla legge per il riconoscimento dell’indennizzo è da individuare nella “efficacia durevole” del provvedimento revocato (legittimamente).

 

Venendo al caso di specie reputa il Collegio che non debba essere riconosciuto il diritto all’indennizzo poiché, essendosi la procedura di evidenza pubblica bloccata alla fase dell’aggiudicazione provvisoria e non risultando l’aggiudicazione definitiva, la gara ad evidenza pubblica non aveva ancora registrato l’adozione di un “provvedimento amministrativo ad efficacia durevole”. L’aggiudicazione provvisoria, infatti, con le sue caratteristiche di provvisorietà ed instabilità non può rientrare nella categoria degli atti ad efficacia durevole, caratteristica questa da attribuire all’aggiudicazione definitiva che, però, come già detto, non è intervenuta nella gara in questione.

 

6. In definitiva, per le ragioni sino a qui esposte, va respinta la domanda di annullamento degli atti impugnati in primo grado ([richiesta A) delle conclusioni riportate a pagina 30 e segg. dell’atto di appello] e di emanazione dell’aggiudicazione definitiva ([richiesta B) delle conclusioni riportate a pagina 30 e segg. dell’atto di appello e in particolare a pagina 31] perché il ricorso di primo grado è irricevibile per tardività; riformata la sentenza nella parte in cui non si è pronunciata sulla richiesta di risarcimento, che risulta del pari infondata ([richiesta C) delle conclusioni riportate a pagina 30 e segg. dell’atto di appello e in particolare a pagina 32] perché è stata accertata la legittimità dei provvedimenti adottati e in ogni caso non si ravvisano, e non sono stati dimostrati, profili di colpevolezza nell’agire delle amministrazioni interessate; infine, per le ragioni esposte nel paragrafo 5, va anche rigetta la domanda di indennizzo ([richiesta C.1) delle conclusioni riportate a pagina 30 e segg. dell’atto di appello e in particolare a pagina 32].

 

7. Il rigetto dell’appello principale comporta l’inammissibilità dell’appello incidentale subordinato avanzato dalla Regione Piemonte.

 

8. La peculiarità delle questioni trattate – nonché la loro complessità – sono giusti motivi per compensare tra le parti costituite le spese di questo grado di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Alessandro Botto, Presidente FF

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Angelica Dell'Utri, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere

Vincenzo Neri, Consigliere, Estensore

 

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/07/2012

 

IL SEGRETARIO

 

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