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Consiglio di Stato, Sez. V, 11/4/2013 n. 1976
Il servizio di c.d. "gestione calore" deve qualificarsi come un appalto di servizio strumentale all'Ente affidante, e non già come servizio pubblico locale destinato all'utenza.

Sono rimesse all'Adunanza plenaria alcune questioni sull'obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche.

Il servizio definito di "energia/gestione calore", deve qualificarsi come un appalto di servizio strumentale all'Ente affidante, e non già come servizio pubblico locale destinato all'utenza. In sintesi, la natura di servizio pubblico locale va riconosciuta alle attività destinate a rendere un'utilità immediatamente percepibile ai singoli o all'utenza complessivamente considerata, che ne sopporta i costi direttamente, mediante pagamento di apposita tariffa, all'interno di un rapporto trilaterale e con assunzione del rischio di impresa da parte del gestore. Peraltro, il servizio energia non costituisce una produzione di beni o attività rivolti a fini sociali e di promozione economica, non potendo rinvenirsi nella mera gestione del calore per gli edifici pubblici alcuna finalità sociale e promozionale.

Sono rimesse all'Adunanza plenaria le seguenti questioni:
1) se l'obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche sia operativo solo per le gare indette dopo l'entrata in vigore dell'art. 12, D.L. 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 luglio 2012, n. 94, ovvero se tale regola è applicabile anche per le gare indette prima di tale data;
2) se il citato art. 12 abbia salvaguardato, e quindi sanato, gli effetti delle procedure già concluse alla data del 9 maggio 2012 e di quelle, ancora pendenti alla detta data, nelle quali si sia già proceduto, prima della medesima data, all'apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche non in seduta pubblica;
3) se il principio positivizzato dalla decisione dell'Adunanza Plenaria n. 13/2011 (obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche) si applichi solo ai plichi aperti dopo il 28 luglio 2011, data della sua pubblicazione.

Materia: appalti / disciplina

N. 01976/2013 REG.PROV.COLL.

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

 

ha pronunciato la presente

 

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 4183 del 2012, proposto da:

 

Cofely Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Marcello Mereu e Antonello Rossi, con domicilio eletto presso l’avv. Giovanni Bruno in Roma, via Savoia, 31, int. 2;

 

contro

Olicar S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, in proprio e quale mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) con il Consorzio fra Cooperative di Produzione e Lavoro Cons. Coop., rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via di Ripetta, 142;

RTI - Cons Coop;

 

nei confronti di

Provincia di Cagliari, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avv. Simonetta Garbati, con domicilio eletto presso l’avv. Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri, 5;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. SARDEGNA, SEZIONE I, n. 00332/2012, resa tra le parti, concernente affidamento appalto per la gestione degli impianti termici degli edifici scolastici di proprietà della provincia di Cagliari.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Olicar S.p.A., in proprio e quale mandataria del detto RTI, e della Provincia di Cagliari;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2013 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati Mereu, Rossi, Ferrari e Manzi, per delega dell'Avv. Garbati;

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, Sez. I, con la sentenza n. 332 del 28 marzo 2012, ha accolto il ricorso proposto dall’attuale appellata Olicar S.p.A., annullando la determinazione del Dirigente Settore Edilizia della Provincia di Cagliari n. 198 del 22 settembre 2011, nonché gli atti della procedura di gara nei limiti di cui in motivazione e il verbale di esecuzione anticipata del contratto dell’8 novembre 2011, intervenuto tra Provincia di Cagliari e l’appellante Cofely Italia S.p.A; ha, invece, rigettato le domande di risarcimento del danno proposte dalla Olicar S.p.A. e il ricorso incidentale proposto dall’appellante Cofely Italia S.p.A..

 

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, quanto al ricorso incidentale, che il servizio di c.d. “gestione calore”, oggetto dell’affidamento alla Cofely Italia S.p.A. da parte del Comune di Rivoli, deve qualificarsi come un appalto di servizio strumentale all'ente affidante, non già come servizio pubblico locale destinato all'utenza; esso, infatti, non viene reso direttamente alla collettività, ma è fornito alle strutture gestite dall'ente proprietario, traducendosi in un servizio di supporto o strumentale ad una diversa attività principale; appare evidente, infatti, la diversità con il servizio di pubblica illuminazione delle strade comunali, la cui utilità si rivolge all’intera comunità di riferimento e che consente di qualificarlo come servizio pubblico locale.

 

Ne deriva, per il TAR, che esso non costituisce presupposto per l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 23-bis del d. l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, e delle preclusioni ivi previste.

 

Passando al ricorso principale, il TAR ha evidenziato che doveva essere accolto il primo motivo del ricorso introduttivo, proposto in via subordinata dalla ricorrente in primo grado, con il quale si deduceva la violazione del principio di pubblicità delle sedute di gara dedicate alle operazioni di verifica del contenuto delle buste relative alle offerte tecniche presentate dai concorrenti; infatti, dal verbale di gara n. 1 della seduta svoltasi il 20 aprile 2011, in forma pubblica, risulta che la commissione di gara si è limitata a verificare la correttezza formale e il confezionamento dei plichi, nonché la correttezza formale del confezionamento delle buste interne contenenti l’offerta tecnica, mentre le successive sedute dedicate alla apertura ed esame delle offerte tecniche si sono svolte in forma riservata.

 

L’appellante contestava la sentenza del TAR, riproponendo nella sostanza le tesi del ricorso incidentale proposto in primo grado e confutando le argomentazioni relative all’apertura della busta contenente l’offerta tecnica avvenuta non in seduta pubblica.

 

Si costituivano l’Amministrazione intimata ed il controinteressato chiedendo il rigetto dell’appello; il controinteressato riproponeva le domande non esaminate in primo grado ex art. 101, comma 2, c.p.a..

 

Ritiene il Collegio che il primo motivo d’appello sia infondato.

 

L’appellante ha censurato la sentenza del TAR nella parte in cui ha respinto il motivo di ricorso incidentale dalla stessa formulato, volto a lamentare l’illegittimità della condotta serbata dalla Commissione di gara in quanto non ha disposto l’esclusione dell’ATI appellata per violazione dell’art. 23-bis, comma 9, D.L. n. 112/2008 e dell’art 113, comma 6, d.lgs. n. 267/2000; l’ATI appellata sarebbe titolare di affidamenti diretti di servizi pubblici locali, che, ai sensi della normativa sopra citata, avrebbero dovuto comportare l’applicazione del divieto di partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica.

 

Per questo Collegio il TAR sardo ha del tutto correttamente ed esaustivamente rigettato il motivo di diritto brevemente richiamato, rilevando la non applicabilità della previsione citata al caso di specie in ragione della non qualificabilità in termini di servizio pubblico locale degli affidamenti di cui le società odierne appellate sono destinatarie (servizio di gestione degli impianti termici degli edifici scolastici).

 

Il TAR ha correttamente definito la categpotestà pubbliche al concessionario (organo indiretto dell'amministrazione); l'appaltatore esercita le prerogative proprie di qualsiasi soggetto economico.

 

La dottrina più recente ha rilevato che, nell'evoluzione della disciplina, il modulo concessorio è frequentemente sostituito da altri titoli (anche convenzionali) di affidamento del servizio, per cui l'attenzione si focalizza sulla diversità dell'oggetto dei contrapposti istituti.

 

L'appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore dell'Ente pubblico, mentre la concessione contempla un articolato rapporto trilaterale che coinvolge l'amministrazione, il concessionario e gli utenti, con prestazioni rivolte in via immediata a questi ultimi, a carico dei quali è posto il corrispettivo.

 

Ciò consente di individuare un'ulteriore differenza in relazione ai soggetti tenuti al pagamento: normalmente nell'appalto di servizi è l'Amministrazione che compensa l'attività svolta dal privato, mentre nella concessione di servizio il costo grava direttamente sugli utenti.

 

Anche la giurisprudenza comunitaria, nel ricercare gli elementi peculiari per qualificare un contratto come appalto o concessione di servizio pubblico, ha posto l'accento sulla natura dei destinatari, per cui nell'appalto le prestazioni sono rese a favore dell'Amministrazione committente che si fa carico del corrispettivo, mentre nella concessione il servizio è erogato a favore di una comunità potenzialmente indistinta di utenti che paga la relativa tariffa.

 

Nella fattispecie le prestazioni richieste al privato gestore sono rivolte a vantaggio dell'Amministrazione, e non in modo diretto e generalizzato a favore della collettività locale.

 

Infatti, la fornitura di combustibile, la conduzione e gestione degli impianti termotecnici, l'esercizio degli impianti per il raffrescamento estivo, la manutenzione ordinaria e straordinaria nonché l'esecuzione degli interventi di riqualificazione e di adeguamento alle normative vigenti sono prestazioni indirizzate alle strutture gestite dall'Ente (scuola ed uffici), trattandosi di un servizio di supporto (o strumentale) ad una diversa attività principale.

 

Il cittadino (uti singuli), ovvero la collettività, non beneficiano del "calore" esclusivamente in quanto tale, ma perché contemporaneamente fruiscono di altri servizi (principali) erogati dall'Ente competente, quali l'attività amministrativa, la pubblica istruzione, etc..

 

Tali conclusioni sono confermate dalla circostanza che l'onere di remunerare l'attività svolta dal privato è assunto direttamente dall'Amministrazione, configurandosi un rapporto bilaterale tra committente ed appaltatore.

 

In definitiva non può revocarsi in dubbio che il servizio definito di "energia/gestione calore", oggetto della gara di cui è causa, debba qualificarsi come un appalto di servizio strumentale all'Ente affidante, e non già come servizio pubblico locale destinato all'utenza.

 

In sintesi, per questo Consiglio, la natura di servizio pubblico locale va riconosciuta alle attività destinate a rendere un'utilità immediatamente percepibile ai singoli o all'utenza complessivamente considerata, che ne sopporta i costi direttamente, mediante pagamento di apposita tariffa, all'interno di un rapporto trilaterale e con assunzione del rischio di impresa da parte del gestore (cfr., di recente, Consiglio di Stato, sez. V, 1° aprile 2011, n. 2012).

 

Peraltro, il servizio energia non costituisce una produzione di beni o attività rivolti a fini sociali e di promozione economica, non potendo rinvenirsi nella mera gestione del calore per gli edifici pubblici alcuna finalità sociale e promozionale.

 

In virtù di quanto sopra, è evidente che il richiamo al citato articolo 23-bis, effettuato dall’appellante, deve ritenersi del tutto inconferente.

 

Inoltre, la tesi secondo cui il divieto di partecipazione alle gare sussiste anche per i soggetti cui è affidata la gestione degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali a prescindere dalla qualificazione che voglia attribuirsi a detta funzione, in quanto per la prima volta formulata nel presente grado di giudizio, è inammissibile in applicazione del divieto dei nova in appello, espressamente sancito dall’art. 104 c.p.a..

 

Per quanto riguarda il motivo d’appello relativo all’apertura della busta contenente l’offerta tecnica avvenuta non in seduta pubblica, il Collegio evidenzia che la Commissione (come si evince dal verbale di gara n. 16 del 30 agosto 2011 – doc. 2 ricorrente fasc. I grado), ha proceduto alle operazioni di gara, avvenute durante le sedute di cui ai verbali da n. 2 a n. 15, in seduta riservata, compresa l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche di tutti i partecipanti e la verifica della regolarità formale del loro contenuto.

 

In relazione a tale questione di diritto, che è stata ritenuta dirimente dai primi Giudici ai fini del decidere, il Collegio ritiene che si possano generare contrasti giurisprudenziali e che, quindi, sia opportuno deferire la controversia all’esame dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a..

 

Secondo un primo e recente orientamento, infatti, l'obbligo di seduta pubblica per la fase di apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche deve ritenersi operativo solo per le gare indette dopo l'entrata in vigore dell'art.12, D.L. 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 luglio 2012, n. 94, che per la prima volta lo ha imposto, atteso che il principio di pubblicità delle gare, enunciato dall'art. 2, codice contratti pubblici, non è suscettibile di applicazione incondizionata a ogni fase delle procedure selettive (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 4 gennaio 2013, n. 4; Consiglio di Stato, sez. III, 31 dicembre 2012, n. 6714).

 

Per contro, il Collegio osserva, da un lato, che secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 28 luglio 2011, n. 13), in materia di gare pubbliche, e con specifico riferimento alle operazioni preliminari da svolgere in seduta pubblica, la "verifica della integrità dei plichi" non esaurisce la sua funzione nella constatazione che gli stessi non hanno subito manomissioni o alterazioni, ma è destinata a garantire che il materiale documentario trovi correttamente ingresso nella procedura di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili "ex post" una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato.

 

La pronuncia della Plenaria, dunque, interpreta il sistema normativo preesistente ricavandone la regola per la quale si richiede immancabilmente l’apertura della busta contenente l’offerta tecnica in seduta pubblica, senza alcun distinguo in ordine alla natura dell’appalto e/o in merito alle peculiarità dell’offerta tecnica, in quanto sancisce principi generali applicabili a qualsivoglia procedura di gara da aggiudicarsi con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

 

Dall’altro lato, in relazione all'art. 12, D.L. 7 maggio 2012, n. 52, il Collegio rileva che tale disposizione, dopo avere stabilito, in termini identici a quanto statuito dalla Plenaria cit., che “la Commissione apre in seduta pubblica i plichi contenenti le offerte tecniche al fine di procedere alla verifica della presenza dei documenti prodotti”, nella disposizione transitoria contenuta nel comma 3 ha disposto che “I commi 1 e 2” (cioè quelli con cui si è statuito positivamente l’obbligo di apertura in seduta pubblica delle buste contenenti l’offerta tecnica) “si applicano alle procedure di affidamento per le quali non si sia ancora proceduto all’apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche alla data di entrata in vigore del presente decreto”; pertanto, solo dall’8 maggio 2012 vi sarebbe stato tale obbligo.

 

Tuttavia, la disposizione transitoria risultante dalla conversione disposta con la l. 6 luglio 2012, n. 94 ha stabilito che la prescrizione in questione, comportante appunto l’apertura in seduta pubblica delle offerte tecniche, si applica “anche per le gare in corso ove i plichi contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti alla data del 9 maggio 2012”.

 

Pertanto, si deve ritenere, la precisazione viene ad avere una valenza esattamente contraria rispetto a quella che era presente nell’originario comma 3 dell’art. 12 del D.L. n. 52/2012.

 

Infatti, con l’apposizione del termine “anche” si precisa che il precetto così intervenuto legittima le stazioni appaltanti a correggere le modalità operative applicando la norma anche ai procedimenti di gara preesistenti (ad esempio in ipotesi in cui il bando disponesse diversamente), rendendo evidente che il precetto normativo “nuovo” in realtà non innova in alcun modo il tessuto normativo preesistente, ma semplicemente si limita a positivizzare una regola già ricavabile dal sistema ed enunciata, infatti, dalla citata sentenza dell’Adunanza Plenaria.

 

Evidentemente, dunque, secondo quest’altro indirizzo, il precetto non è riportato in termini innovativi e, quindi, trova continuità rispetto a quanto già sancito in via pretoria.

 

Peraltro, la diversa interpretazione della norma citata accolta dalla citate pronunce della IV e della III sezione di questo Consiglio comporterebbe alcuni inconvenienti non secondari.

 

Infatti, laddove venisse ravvisata una sanatoria delle situazioni antecedenti al 9 maggio 2012 ove le buste contenenti l’offerta tecnica fossero state aperte in seduta segreta, si potrebbe riconoscere sia una violazione del principio di ragionevolezza, ascrivibile all’art. 3 della Cost., poiché si ricollegherebbe la predetta sanatoria ad un evento del tutto casuale od episodico, vale a dire l’avvenuta (o meno) apertura della busta da parte dell’Amministrazione alla citata data del 9 maggio 2012; sia una violazione dell’art. 97 della Costituzione, norma di principio dalla quale la stessa sentenza dell’Adunanza Plenaria ha attinto per ricavare la regola della necessaria apertura dell’offerta tecnica in seduta pubblica.

 

Senza contare che si finirebbe per dedurre la sussistenza di una sanatoria e, quindi, la retroattività di una norma che, nella sua formulazione letterale, non contiene in realtà alcun precetto che possa essere inequivocabilmente letto ed interpretato sulla falsariga seguita dalle citate sentenze del Consiglio di Stato, sez. IV, 4 gennaio 2013, n. 4 e sez. III, 31 dicembre 2012, n. 6714.

 

Pertanto, si devono sottoporre all’Adunanza plenaria le seguenti questioni:

 

1) se l’obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche sia operativo solo per le gare indette dopo l'entrata in vigore dell'art. 12, D.L. 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 luglio 2012, n. 94, ovvero se tale regola è applicabile anche per le gare indette prima di tale data;

 

2) se il citato art. 12 abbia salvaguardato, e quindi sanato, gli effetti delle procedure già concluse alla data del 9 maggio 2012 e di quelle, ancora pendenti alla detta data, nelle quali si sia già proceduto, prima della medesima data, all’apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche non in seduta pubblica;

 

3) se il principio positivizzato dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 13/2011 (obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche) si applichi solo ai plichi aperti dopo il 28 luglio 2011, data della sua pubblicazione.

 

Per quanto riguarda la riproposizione, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., delle domande non esaminate dal Giudice di prime cure relative all’illegittimità degli atti impugnati per violazione dei principi di segretezza, intangibilità e non conoscibilità delle offerte (per omessa verbalizzazione delle cautele osservate dalla Commissione giudicatrice ai fini della conservazione dei plichi contenenti le offerte tecniche successivamente all’apertura delle relative busta), la stessa non può essere qui decisa, dipendendo dalla soluzione che la Plenaria intenderà adottare sui quesiti proposti.

 

Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, il primo motivo d’appello si deve ritenere infondato; la restante controversia deve essere, invece, devoluta all’esame dell’Adunanza Plenaria, affinché siano definite le segnalate questioni, aventi carattere di massima.

 

Le spese di lite verranno regolate con la decisione definitiva.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), rimette l’esame della controversia all’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a..

Spese al definitivo.

Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'Adunanza Plenaria.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

 

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/04/2013

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

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