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TAR Lombardia, Sez. Brescia sez. II, 11/6/2013 n. 558
Sull'autonomia degli enti locali nella scelta di far ricorso all'auto-produzione rispetto all'esternalizzazione.

Le amministrazioni pubbliche possono adempiere alle funzioni di interesse pubblico delle quali sono istituzionalmente attributarie, affidandone la gestione a terzi tramite procedure ad evidenza pubblica: nel caso di appalti pubblici sono tenute a rispettare le direttive 2004/18 e 2004/17 e gli artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, mentre nel caso di concessioni assumono rilievo i principi di pubblicità, concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e di trasparenza. Il diritto comunitario, tuttavia, consente alle amministrazioni di espletare le medesime funzioni mediante propri strumenti amministrativi, tecnici o di altro tipo, senza necessariamente far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi, e in tali casi non sussistono i presupposti per applicare le norme comunitarie a tutela della concorrenza. Si profila, dunque, una maggiore autonomia degli Enti locali nella direzione da intraprendere, in quanto l'ordinamento non aderisce a priori ad un'opzione organizzativa ma delinea un percorso di adeguatezza alle condizioni esistenti (al tipo di servizio, alla remuneratività della gestione, all'organizzazione del mercato, alle condizioni delle infrastrutture e delle reti, e soprattutto all'interesse della platea degli utenti). La scelta tra i differenti modelli va effettuata tenendo conto della concreta situazione di fatto, nel rispetto dei criteri introdotti all'art. 34 c. 20 del D.L. 179/2012 ossia la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e l'adeguata informazione alla collettività di riferimento. Detti obiettivi devono essere necessariamente correlati al preminente interesse dell'utente del servizio a godere del miglior servizio possibile alle condizioni più convenienti.

Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1377 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

Aprica Spa, Bi.Co Due Srl, rappresentate e difese dall’avv.to Alberto Salvadori, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, Via XX Settembre n. 8;

 

contro

Comune di Chiari, rappresentato e difeso dall’avv.to Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, Via A. Diaz. n. 13/c;

Comune di Castrezzato, Comune di Barbata, Comune di Comezzano-Cizzago, Comune di Fontanella, Comune di Pontoglio, Comune di Rudiano, Comune di Torre Pallavicina, non costituitisi in giudizio;

 

nei confronti di

Comunita' di Zona - Ora Chiari Servizi Srl, non costituitasi in giudizio;

 

per l'annullamento

DELLA DETERMINAZIONE IN DATA 7/11/2012 N. 496, RECANTE LA REVOCA DEL BANDO PER L’AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO DI RACCOLTA, TRASPORTO E CONFERIMENTO DEI RIFIUTI URBANI ED ASSIMILATI PER CONTO DEGLI 8 COMUNI CONVENZIONATI.

Motivi aggiunti:

 

per l’annullamento

DELLA DELIBERAZIONE GIUNTALE 29/10/2012 N. 32, DI ESAME ED APPROVAZIONE MODIFICHE STATUTARIE DELLA COMUNITA’ DI ZONA Srl, E DI AFFIDAMENTO IN HOUSE DEL SERVIZIO DI GESTIONE IGIENE URBANA.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Chiari;

Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2013 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Riferisce parte ricorrente che in data 6/4/2011 le amministrazioni intimate hanno stipulato una convenzione per la gestione associata a livello sovra-comunale della gara per l’affidamento del servizio di raccolta, trasporto, smaltimento e recupero RSU e differenziata per un periodo decennale (1/1/2012 – 31/12/2022). La convenzione si richiamava all’art. 23-bis del D.L. 112/2008, che privilegiava la procedura ad evidenza pubblica quale modello di aggiudicazione del servizio.

Con determinazione 15/11/2011 n. 675, il Comune di Chiari approvava il bando con una base d’asta complessiva di € 42.231.108,20 e provvedeva alle pubblicazioni necessarie, fissando al 30 gennaio 2012 l’ultimo giorno utile per la presentazione delle offerte.

Nel frattempo, entrava in vigore il D.L. 24/1/2012 n. 1 conv. in L. 27/2012, per cui gli Enti convenzionati decidevano di sospendere la gara e (in seguito) di attivare l’iter per la rimozione in autotutela del bando (cfr. verbale riunione 19/4/2012 – doc. 7 Comune) alla luce del nuovo art. 3-bis del D.L. 138/2011, che introduceva l’obbligo per le Regioni di organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici a rete in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, in riferimento a dimensioni comunque non inferiori al territorio provinciale. Il 7/5/2012 il Comune di Chiari sottoponeva alla Regione Lombardia una richiesta di parere sulla possibilità di proseguire la gara nelle more della costituzione dell’ATO. In data 30/5/2012 le ricorrenti ricevevano la comunicazione di avvio del procedimento di revoca del bando.

Dopo aver informalmente ottenuto il pronunciamento favorevole dalla Regione sulla possibilità di intraprendere comunque la procedura selettiva, il Comune di Chiari si attivava per riprendere l’evidenza pubblica interrotta – salva la formale acquisizione del parere dell’autorità regionale – e notiziava di ciò il legale di Aprica e Bi.Co. (nota 9/7/2012 – doc. 7 ricorrenti).

Nella riunione del 6/9/2012 i Comuni associati decidevano di sciogliere la convenzione e si riservavano ogni eventuale alternativa sulla modalità di affidamento del servizio, richiamando le opzioni proprie dei servizi pubblici locali, ossia: gara ad evidenza pubblica; società mista mediante selezione con gara a doppio oggetto del socio privato (senza prescrizioni sulla percentuale di capitale detenuta dal privato stesso); gestione in house providing purché in possesso dei requisiti previsti dall'ordinamento comunitario, salvi i vincoli di spesa stabiliti dalle vigenti normative.

In data 25/10/2012 il Comune di Chiari adottava una nuova comunicazione di avvio del procedimento di revoca, richiamando gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012 che aveva dichiarato illegittimo l’art. 4 del D.L. 138/2011, e aveva reso possibile gli affidamenti inhouse a favore di Società interamente pubbliche.

In data 7 novembre 2012, il Comune di Chiari, per conto di tutti i Comuni convenzionati, adottava la revoca del bando di gara (doc. 9 ricorrenti), con provvedimento che riproponeva la triplice opzione sopra delineata.

Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione, parte ricorrente impugna l’atto in epigrafe, deducendo quale articolato motivo in diritto la violazione dell'art. 34 del D.L. 179/2012, dell’art. 3-bis del D.L. 138/2011, dell’art. 202 del D. Lgs. 152/2006, della L.r. 26/2003, del principio della libera concorrenza, l’eccesso di potere per manifesta contraddittorietà, irrazionalità, difetto di motivazione, difetto di istruttoria, in quanto entrambi i procedimenti di revoca attivati si fonderebbero su un ragionamento giuridico (nuova disciplina dei servizi pubblici a rete con obbligo di esperire gare per ambiti individuati dalla Regione e dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 4 del D.L. 138/2011 ad opera della sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012) del tutto erroneo.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale di Chiari, formulando eccezioni in rito e chiedendo nel merito la reiezione del gravame, sottolineando tra l’altro che è lo stesso bando di gara (con clausola incontestata dai partecipanti) a consentire la revoca, senza che nulla sia dovuto ai partecipanti, per cui in proposito si applica l’art. 21-quinques della L. 241/90; inoltre, la gara non era neppure pervenuta alla fase di apertura delle buste, e non si pongono profili di tutela del destinatario dell’affidamento.

Con motivi aggiunti depositati il 21/2/2013, parte ricorrente impugna la deliberazione giuntale 29/10/2012 n. 32, di esame e modifiche dello Statuto della Società Comunità di Zona Srl e di affidamento inhouse alla stessa del servizio di gestione igiene urbana, raccolta e smaltimento RSU. Deduce i seguenti motivi in diritto:

I) Violazione degli artt. 7, 8, 9, 10 e 10-bis della l. 241/90, eccesso di potere per violazione del principio della libera concorrenza e dell’equo procedimento e sviamento, poiché durante il secondo procedimento di revoca – concluso in senso sfavorevole alle ricorrenti – queste ultime non sono state rese edotte dell'esistenza dell’iter per l’affidamento in house ad opera di Chiari, sicchè la loro partecipazione è stata vanificata;

II) Violazione degli artt. 81 e 86 del Trattato CE, violazione del principio della libera concorrenza, violazione dell'art. 34 commi 20 e 23 del D.L. 179/2012, dell’art. 3-bis del D.L. 138/2011, dell’art. 3 della L. 241/1990, eccesso di potere per sviamento irragionevolezza, manifesta contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione, dato che le norme comunitarie evocate affermano che nel diritto europeo la concorrenza è una finalità primaria che impedisce, a tutti i soggetti giuridici, pubblici o privati, di acquisire diritti speciali o di esclusiva in spregio all'evidenza pubblica, mentre in via del tutto eccezionale, la stessa può subire un’equa restrizione solo ed esclusivamente nel caso in cui la sua rigorosa applicazione sia in grado di compromettere gli interessi generali sottesi alla normale erogazione di un determinato servizio;

III) Violazione dell'art. 3 bis comma 1 e 1 bis del D.L. 138/2011, eccesso di potere per manifesta contraddittorietà e sviamento, violazione del principio della libera concorrenza, difetto di motivazione, violazione dell'art. 3 della L. 241/1990, in quanto la norma citata, sopravvenuta dopo la notifica e il deposito del ricorso introduttivo, è chiara nello stabilire che il servizio d'igiene urbana debba seguire la disciplina dei servizi a rete, ma medio tempore i Comuni possono effettuare le gare pubbliche in analogia con l’esperienza vissuta nei contenziosi afferenti alla distribuzione del gas naturale.

In conclusione, parte ricorrente formula istanza istruttoria ex art. 65 Cpa per conoscere le intenzioni degli altri Comuni (ormai non più allineati nella scelta) in ordine all’affidamento del servizio.

Nella memoria finale parte ricorrente, dopo aver richiamato la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 613/2013, sottolinea che l’adesione alla tesi dell’equivalenza dell’affidamento in house alle regole del mercato rallenterebbe il processo di integrazione comunitaria, e ciò rende opportuno il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia.

Alla pubblica udienza del 9/5/2013 il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono stati chiamati per la discussione e trattenuti in decisione.

 

DIRITTO

La ricorrente censura la determinazione in data 7/11/2012 n. 496, recante la revoca del bando per l’affidamento del servizio di raccolta, trasporto e conferimento dei rifiuti urbani e assimilati per conto degli 8 Comuni convenzionati. Si duole inoltre della deliberazione giuntale 29/10/2012 n. 32, di affidamento del servizio di gestione igiene urbana a una Società in house.

Devono essere preliminarmente affrontate le eccezioni processuali sollevate dall’amministrazione intimata.

1. Quest’ultima deduce l’improcedibilità del gravame per omessa impugnazione del silenzio serbato dal Comune sul preavviso di ricorso formulato dalla ricorrente con nota del 14/11/2012.

L’eccezione va disattesa.

1.1 Così come il privato che abbia ritualmente impugnato l’atto di aggiudicazione non è onerato dell’ impugnazione del diniego espresso sull’istanza di intervento in autotutela (cfr. T.A.R. Veneto, sez. I – 31/1/2013 n. 114), nella stessa logica il diniego tacito scaturente dall’omessa risposta da parte dell’Ente pubblico all’avviso di cui all’art. 243-bis non può che interpretarsi alla luce dei consolidati principi generali in materia di provvedimenti confermativi e va considerato come un atto privo di autonoma qualificazione e capacità lesiva: diversamente opinando, si realizzerebbe una duplicazione di gravami e si finirebbe per l’imporre un ingiustificato aggravamento di mezzi processuali, con conseguente irrigidimento della possibilità di accesso alla tutela giurisdizionale (T.A.R. Calabria Reggio Calabria – 12/8/2011 n. 671).

2. Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa impugnativa del capitolato speciale d’appalto nella parte in cui riserva la potestà di revoca in capo alla stazione appaltante, poiché le censure della ricorrente non si rivolgono contro l’astratta possibilità riconosciuta all’Ente procedente bensì avverso il concreto esercizio dello jus poenitendi ossia contro le ragioni evocate a sostegno dell’esercizio del potere.

3. Non è neppure condivisibile la tesi dell’inammissibilità del ricorso contro l’affidamento in house alla Comunità di Zona (disposto con deliberazione 29/10/2012 n. 29), in quanto la medesima è stata impugnata con ricorso per motivi aggiunti. Sulla dedotta tardività di quest’ultimo (in quanto proposto oltre i 30 giorni dalla pubblicazione all’Albo pretorio della deliberazione, avvenuta dal 30/10 al 14/11/2012), il Collegio aderisce all’obiezione di parte ricorrente (cfr. memoria di replica 26/4/2013) nella parte in cui sostiene di aver acquisito la qualifica di concorrente e di aver pertanto assunto una posizione giuridica qualificata e differenziata: pertanto detta Società (soggetto immediatamente e facilmente individuabile) doveva ritenersi direttamente incisa dalla decisione di optare per un nuovo modello di gestione del servizio che non contempla più la gara pubblica per la ricerca dell’affidatario ma privilegia il conferimento diretto ad una Società in house, e doveva prendere cognizione degli atti deliberativi mediante notifica individuale, la quale non risulta compiuta (cfr. per casi assimilabili sentenza sez. II – 11/1/2010 n. 15; 11/3/2011 n. 419).

4. Parimenti infondata è l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse per omessa impugnazione dei provvedimenti di revoca (e di affidamento a terzi) del servizio in questione. Infatti, detta obiezione è del tutto generica e priva di riferimenti precisi a provvedimenti amministrativi puntualmente individuati, cosicché si rivela inidonea a paralizzare in rito il gravame proposto.

5. Passando all’esame del merito del ricorso introduttivo, parte ricorrente deduce che:

a) l’argomentazione dell’avvenuta scadenza delle offerte per il superamento dei 180 giorni dalla loro presentazione è irrazionale, in quanto il decorso è dipeso esclusivamente dai due procedimenti amministrativi attivati dagli Enti procedenti, mentre le ricorrenti hanno sollecitato più volte la riapertura della gara;

b) i tre modelli di affidamento dei servizi pubblici locali che il Comune di Chiari ritiene siano oggi finalmente perseguibili erano già ampiamente previsti sotto la vigenza dell’art. 4 del D.L. 138/2011, sicché nel caso di specie non si rinviene un mutamento del quadro normativo così incisivo da avallare il ripensamento sulla prosecuzione della gara;

c) la gara (sia singola che collettiva) era pacificamente ammissibile, la Società mista è un modello utilizzabile previa procedura concorrenziale salvo il venir meno del vincolo dell’apertura al capitale privato per il 40% (ma alcun interesse era stato in questo senso manifestato dai Comuni aderenti alla convenzione); la gestione in house – nella logica dell’auto-produzione – era invece una possibilità che poteva essere esperita unicamente sotto la vigenza dell'art. 4 del D.L. 138/2011, mentre ora vale il contrario, anche perché rappresenta una soluzione alternativa all’evidenza pubblica di stretta applicazione, dato che provoca un’ontologica compressione del mercato;

d) la tesi avanzata nell’atto impugnato è produttiva di rischi, perché se fosse davvero possibile revocare così facilmente una gara pubblica, si potrebbero favorire gli abusi di potere, dal momento che le stazioni appaltanti, una volta presentate le offerte, potrebbero apprendere il nominativo dei concorrenti e decidere, soltanto in quel momento, se concludere o meno la gara;

e) i Comuni intimati nemmeno hanno scelto cosa fare dopo l'adozione del provvedimento impugnato, ammettendo addirittura di poter ripetere la stessa esperienza concorrenziale oggi illegittimamente revocata (dunque manca l’interesse pubblico superiore rispetto a quello sotteso alla scelta originaria);

f) con il nuovo art. 34 comma 13 del D.L. 179/2012 il legislatore nazionale – spinto dall'impulso pro-concorrenziale di derivazione comunitaria – ha stabilito (all'interno di un decreto non a caso recante "Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese") che l'unica forma di affidamento per i servizi pubblici come l'igiene urbana è la gara pubblica, concludendo così il percorso iniziato dai precedenti atti normativi (dall'art. 113 del TUEL all'art. 4 del D.L. 138/2011), che hanno progressivamente circoscritto l’utilizzo dell'in house;

g) trattandosi di un modello di affidamento di strettissima applicazione, in quanto capace di violare i fondamentali principi del Trattato, si può desumere che il legislatore – non avendolo regolato e autorizzato in nessuna specifica norma – lo ha evidentemente "estromesso" dell'ordinamento;

h) la Regione Lombardia non ha ammesso tale istituto (la L.r. 26/2003 prevede la gestione mediante Società di capitali scelte con procedure a evidenza pubblica), tenuto conto che la materia dei "servizi pubblici", deve necessariamente rientrare nella competenza esclusiva regionale e ciò fondamentalmente perché essa non è stata ricompresa né nella competenza statale, né in quella cd. concorrente, fatto salvo il rispetto della legislazione esclusiva in materia di concorrenza o di tutela dell'ambiente.

i) il Codice dell'Ambiente prevede che la gestione del servizio sia affidata, ai sensi dell'art. 202 comma 1 del D. Lgs. 152/2006, unicamente tramite procedura a evidenza pubblica, fissando, in tal modo, un principio che si armonizza perfettamente con le altre normative già evocate.

L’articolata censura non merita condivisione.

5.1 A prescindere dalla clausola comunque incontestata della lex specialis, la pubblica amministrazione conserva indiscutibilmente – anche in relazione ai procedimenti di gara per la scelta del contraente – il potere di annullare in via di autotutela il bando (così come le singole operazioni di gara) tenendo conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del pubblico interesse: l’autotutela trova fondamento negli stessi principi costituzionali predicati dall’art. 97 della Costituzione cui deve ispirarsi l'azione amministrativa, ed in tale prospettiva neppure il provvedimento di aggiudicazione definitiva e tanto meno quello di aggiudicazione provvisoria ostano all'esercizio di un siffatto potere, il quale, tuttavia, incontra il limite del rispetto dei principi di buona fede e correttezza, e della tutela dell'affidamento ingenerato (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 8/11/2012 n. 5681; T.A.R. Puglia Lecce, sez. III – 25/1/2012 n. 139). Al concreto esercizio di tale potere corrisponde l'obbligo dell'amministrazione di fornire un’adeguata motivazione in ordine alla natura e alla gravità delle anomalie racchiuse nel bando (e più in generale sottese alla scelta) che, alla luce della comparazione dell'interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidate dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela.

5.2 Nella fattispecie la posizione di parte ricorrente – mera partecipante alla selezione e aspirante all’affidamento – non è meritevole di una tutela rafforzata, non essendo neppure intervenuta l’aggiudicazione provvisoria: in buona sostanza la procedura non ha mai raggiunto uno stadio avanzato tale da indurre la ditta concorrente a maturare un serio convincimento circa la plausibile stipulazione del contratto.

5.3 Quanto alla scelta concreta, questa Sezione ha già osservato (cfr. sentenza 21/12/2012 n. 2004, che risulta appellata; si veda anche sentenza 21/2/2013 n. 196) che, dopo la pronuncia della Corte costituzionale 20/7/2012 n. 199 (e alla luce della precedente sentenza 26/1/2011 n. 24), <<Il chiarimento reso con le statuizioni riportate riporta all’attenzione dell’interprete le “regole concorrenziali minime comunitarie” in materia di affidamento dei servizi pubblici ed i principi elaborati dalla Corte di Giustizia ….>>.

5.4 La pronuncia di incostituzionalità dell'art. 4 del D.L. 13/8/2011 n. 138 determina il venir meno della sua efficacia fin dall'origine, sicché il regime applicabile ai servizi pubblici locali – fino all'entrata in vigore dell'art. 34 del D.L. 18/10/2012 n. 179 – è rimasto quello che discende dalla diretta applicazione delle disposizioni costituzionali e comunitarie rilevanti: la mancanza di una disciplina organica di settore ha rimesso all'interprete il compito di individuare le regole rilevanti.

5.5 Osserva il Collegio che, nel nuovo contesto, le amministrazioni possono certamente adempiere alle funzioni di interesse pubblico delle quali sono istituzionalmente attributarie, affidandone la gestione a terzi tramite procedure ad evidenza pubblica: nel caso di appalti pubblici sono tenute a rispettare le direttive 2004/18 e 2004/17 e gli artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, mentre nel caso di concessioni assumono rilievo i principi di pubblicità, concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e di trasparenza.

Il diritto comunitario, tuttavia, consente alle amministrazioni pubbliche di espletare le medesime funzioni mediante propri strumenti amministrativi, tecnici o di altro tipo, senza necessariamente far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi, e in tali casi non sussistono i presupposti per applicare le norme comunitarie a tutela della concorrenza. La Corte costituzionale (sentenza 28/3/2013, n. 50) ha di recente statuito che “La Corte di giustizia dell’Unione europea ha riconosciuto che rientra nel potere organizzativo delle autorità pubbliche degli Stati membri "autoprodurre" beni, servizi o lavori, mediante il ricorso a soggetti che, ancorché giuridicamente distinti dall’ente conferente, siano legati a quest’ultimo da una "relazione organica" (cosiddetto affidamento in house). Allo scopo di evitare che l’affidamento diretto a soggetti in house si risolva in una violazione dei principi del libero mercato e quindi delle regole concorrenziali, che impongono sia garantito il pari trattamento tra imprese pubbliche e private, la stessa Corte ha affermato che è possibile non osservare le regole della concorrenza a due condizioni. La prima è che l’ente pubblico svolga sulla società in house un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; la seconda è che il soggetto affidatario realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente pubblico (sentenza 18 novembre 1999, in causa C-107/98, Teckal)”.

5.6 La recente giurisprudenza condivide queste posizioni. Il Consiglio di Stato (sez. VI – 11/2/2013 n. 762; si veda anche in proposito T.A.R. Lazio Latina – 28/2/2013 n. 207) ha affermato che “Stante l’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis d.l. n. 112/2008 e la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 4, d.l. n. 138/2011, e le ragioni del quesito referendario (lasciare maggiore scelta agli enti locali sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali, anche mediante internalizzazione e società in house) è venuto meno il principio, con tali disposizioni perseguito, della eccezionalità del modello in house per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Si applica invece la disciplina comunitaria sui presupposti e condizioni per l’utilizzo della società in house”. Nel fare proprio tale indirizzo, il T.A.R. Campania Napoli, sez. I – 11/4/2013 n. 1925 ha sostenuto che “.. la scelta dell’ente locale sulle modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali, e in particolare la opzione tra modello in house e ricorso al mercato, debba basarsi sui consueti parametri di esercizio delle scelte discrezionali, vale a dire:

- valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti;

- individuazione del modello più efficiente ed economico;

- adeguata istruttoria e motivazione”.

5.7 Il legislatore nazionale si è comunque uniformato alla pronuncia della Corte, con il D.L. 18/10/2012 n. 179 conv. in L. 17/12/2012 n. 221. In particolare, l'art. 34 comma 20 prevede che «per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste». L'ordinamento nazionale, quindi, non indica un modello preferibile – ossia non predilige né l’in house, né la piena espansione della concorrenza nel mercato e per il mercato e neppure il parternariato pubblico-privato – ma rinvia alla scelta concreta del singolo Ente affidante.

5.8 In definitiva, si profila una maggiore autonomia degli Enti locali nella direzione da intraprendere, in quanto l’ordinamento non aderisce a priori ad un’opzione organizzativa ma delinea un percorso di adeguatezza alle condizioni esistenti (al tipo di servizio, alla remuneratività della gestione, all'organizzazione del mercato, alle condizioni delle infrastrutture e delle reti, e soprattutto all’interesse della platea degli utenti). La scelta tra i differenti modelli va effettuata tenendo conto della concreta situazione di fatto, nel rispetto dei criteri introdotti all’art. 34 comma 20 del D.L. 179/2012 ossia la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e l'adeguata informazione alla collettività di riferimento. Detti obiettivi devono essere necessariamente correlati al preminente interesse dell'utente del servizio a godere del miglior servizio possibile alle condizioni più convenienti.

5.9 Nel panorama descritto, dunque, il ragionamento sotteso alla deliberazione di revoca coglie perfettamente nel segno, ed è assolutamente coerente e ragionevole. Il Collegio aggiunge che – con riferimento all’invocata legislazione della Regione Lombardia – la materia di cui si discorre è riservata alla competenza esclusiva dello Stato. In proposito la Corte costituzionale (cfr. sentenza 17/11/2010 n. 325) ha statuito che la disciplina concernente le modalità dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica va ricondotta “all’ambito della materia, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, «tutela della concorrenza», prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., tenuto conto degli aspetti strutturali e funzionali suoi propri e della sua diretta incidenza sul mercato (ex plurimis, sentenze n. 314, n. 307, n. 304 e n. 160 del 2009; n. 326 del 2008; n. 401 del 2007; n. 80 e n. 29 del 2006; n. 272 del 2004)...”.

A questo proposito, il paventato rischio della violazione dei fondamentali principi del Trattato in materia di apertura al mercato appare escluso dalla norme transitorie introdotte dall’art. 34 comma 21 del D.L. 179/2012, per il quale “Gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea devono essere adeguati entro il termine del 31 dicembre 2013 pubblicando, entro la stessa data, la relazione prevista al comma 20. Per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento. Il mancato adempimento degli obblighi previsti nel presente comma determina la cessazione dell'affidamento alla data del 31 dicembre 2013”. Peraltro, l’art. 1 comma 8 del D.L. 95/2012 statuisce che “A decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house. Sono fatti salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014”. Non va poi sottaciuto che la costituzione della Società in house presuppone il “controllo analogo” da parte dei soci pubblici, che secondo la giurisprudenza comunitaria costituisce un <<potere assoluto>> di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, e riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 11/2/2013 n. 762). Il meccanismo deve importare un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e le decisioni importanti, e può essere attuato con poteri di direttiva, di nomina e revoca degli amministratori, e con poteri di vigilanza e ispettivi: per controllo analogo si intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica, e tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’Ente pubblico sull’Ente societario.

5.10 Il Collegio dà conto, infine, della proposta di direttiva europea sugli appalti del 20/12/2011, che prevede regole “in positivo” per le Società in house. All’art. 11 –rubricato “Relazioni tra amministrazioni pubbliche” – si statuisce al comma 1 che “Un appalto aggiudicato da un'amministrazione aggiudicatrice a un'altra persona giuridica non rientra nel campo di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

(a) l'amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi;

(b) almeno il 90% delle attività di tale persona giuridica sono effettuate per l'amministrazione aggiudicatrice controllante o per altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi;

(c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione privata.

Si ritiene che un'amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi del primo comma della lettera a) qualora essa eserciti un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata”. Identiche previsioni sono racchiuse agli artt. 15 (nella direttiva per le concessioni) e all’art. 21 (per i settori esclusi), e rappresentano – seppur in prospettiva – un segnale dell’evoluzione del diritto europeo nel senso della piena legittimazione dell’istituto dell’in house entro contorni precisi e puntualmente determinati.

In conclusione, il gravame introduttivo è infondato e deve essere respinto.

6. Identica sorte subisce il ricorso per motivi aggiunti, che sviluppa considerazioni già illustrate nel ricorso introduttivo.

6.1 Il Collegio si limita a precisare che non è ravvisabile alcuna violazione degli artt. 7 e ss. della L. 241/90, per il solo rilievo che parte ricorrente è stata ampiamente edotta delle valutazioni compiute dalle amministrazioni convenzionate nelle varie tappe evolutive della vicenda esaminata, ed è stata destinataria di due comunicazioni di avvio del procedimento ampie e dettagliate.

6.2 Sui concreti presupposti per l’affidamento in house Aprica e Bi.Co si limitano ad evidenziare come nel territorio di Chiari non sussistono le condizioni di allarme le quali fanno dubitare che il rispetto delle norme del Trattato possa compromettere gli interessi generali al corretto espletamento del servizio igiene urbana, e che i costi del servizio reso dalla Società in house sono assolutamente confrontabili con quelli di mercato, con sostanziale indifferenza nella gestione. Detta riflessione avalla in realtà la bontà della scelta compiuta, secondo il principio di assoluta equivalenza dell’auto-produzione rispetto all’esternalizzazione.

6.3 Va dunque rigettata, in presenza di un quadro normativo coerente con quello europeo, la richiesta di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

6.4 Non può essere, infine, accolta l’istanza istruttoria formulata ex art. 65 cpa per conoscere le intenzioni degli altri Comuni in ordine all’affidamento del servizio. Proprio perché ormai sciolti dal vincolo della convenzione, gli stessi hanno riacquistato la rispettiva autonomia e possono essere destinatari di eventuali istanze di accesso, alle quali saranno tenuti a dare risposta, mentre contro fenomeni di inerzia potranno essere esperiti i rimedi previsti dal Codice del processo (quale l’azione contro il silenzio).

In conclusione anche i motivi aggiunti sono infondati e devono essere respinti.

7. Le spese di lite possono essere equamente compensate, per la novità e complessità della questione sottoposta.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando respinge il ricorso introduttivo in epigrafe.

Respinge il ricorso per motivi aggiunti.

Spese compensate.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Mauro Pedron, Consigliere

Stefano Tenca, Consigliere, Estensore

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/06/2013, n. 558

 

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