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TAR Piemonte, Sez. I, 27/6/2013 n. 787
Non sussiste l'obbligo della previa comunicazione di avvio del procedimento nel caso di adozione del provvedimento di revoca di in presenza di un'informativa prefettizia antimafia sfavorevole.

Il sistema delle informative essendo ispirato alla logica della massima anticipazione della soglia di difesa sociale non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari.

L'adozione del provvedimento di revoca di un'aggiudicazione o comunque di un incarico di svolgimento di pubblico servizio, in presenza di un'informativa prefettizia antimafia sfavorevole, configura un provvedimento non soltanto fortemente caratterizzato nel profilo contenutistico, ma anche connotato dall'urgenza del provvedere. Ad escludere l'obbligo della previa comunicazione di avvio del procedimento concorre, quindi, il carattere spiccatamente cautelare della misura, che fa rilevare quelle esigenze di celerità, che rendono giustificata l'omissione della notizia partecipativa altrimenti prescritta. Pertanto, nel caso di specie, va respinta, in quanto priva di fondamento giuridico, la doglianza svolta con riguardo all'asserita violazione delle garanzie di comunicazione e partecipazione al procedimento.

Il sistema delle informative essendo ispirato alla logica della massima anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata. L'unico limite è rappresentato dalla non spendibilità - a salvaguardia dei principi di legalità e di certezza del diritto - di elementi di semplice sospetto o meramente congetturali, privi di riscontro fattuale.

Materia: appalti / disciplina

N. 00787/2013 REG.PROV.COLL.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

La Tecnica Esp S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Bruno Sarzotti, Lorenzo Travaglini Grisostomi e Giovanni Pesce, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, corso Re Umberto, 27;

 

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45; Prefettura Di Roma; Sagat S.p.A. - Aeroporto Di Torino, rappresentata e difesa dagli avv.ti Marco Casavecchia e Anna Casavecchia, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, via Paolo Sacchi, 44;

 

per l'annullamento

del provvedimento nota prot. n. 2012/2770 del 29.11.2012, con il quale la Sagat Spa ha comunicato alla ricorrente di aver disposto, con efficacia a partire dal 31 dicembre 2012, il recesso dal contratto di appalto di servizi di pulizia presso gli immobili aeroportuali in seguito all'adozione di informativa della Prefettura di Roma;

della informativa del Prefetto di Roma in data 20.10.2012 citata della nota prot. n. 2012/2770 del 29.11.2012 della Sagat Spa, di contenuto ignoto;

di ogni altro atto antecedente, presupposto, consequenziale e connesso.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero Dell'Interno e di Sagat S.p.A. - Aeroporto Di Torino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 giugno 2013 il dott. Giovanni Pescatore e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. La società Sagat s.p.a., in qualità di gestore dell'aeroporto di Torino – Caselle e titolare della progettazione, realizzazione e manutenzione delle infrastrutture legate al traffico aereo e delle attività svolte in area aeroportuale, a seguito di procedura aperta ha affidato il servizio di "pulizia spazi aeroportuali" a La Tecnica Esp s.p.a., per un corrispettivo di importo pari a € 1.850.100,42.

In data 27 maggio 2011, in vista della stipula del contratto, ha quindi chiesto alla Prefettura di Roma le informazioni di cui all'art. 10 dpr 225/1998.

Nelle more dell’istruttoria e in assenza di comunicazioni di circostanze ostative, è quindi addivenuta, in data 28 giugno 2011, alla sottoscrizione del contratto, di durata pari a 36 mesi decorrenti dal primo luglio 2011.

Solo successivamente alla stipula, in data 8 novembre 2012, Sagat ha ricevuto dalla Prefettura di Roma una nota, datata 30 ottobre 2012, con allegata informativa nella quale si legge: " ....... allo stato sussiste la presenza di situazioni relative a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all'art. 10, comma 7, lett. c) del dpr 3-6-1998, n. 252, nei confronti della società La Tecnica Esp spa con sede in Roma, Via Giuseppe Ferrari, 4".

Alla luce della sopravvenuta comunicazione, con provvedimento dell'amministratore delegato in data 29 novembre 2012, prot. 2769/2012, avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 11, comma 2, del dpr 1998 n. 252, Sagat ha esercitato il recesso dal contratto e ha provvisoriamente affidato il servizio alla G.S.I. srl, per il tempo ritenuto strettamente necessario all'indizione di nuova gara.

2. Il presente ricorso ha per oggetto la legittimità sia dell'informativa prefettizia presupposta, sia del conseguente recesso contrattuale.

3. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e Sagat S.p.a., contestando gli assunti avversi e chiedendone l’integrale rigetto.

4. A seguito della rinuncia da parte della ricorrente all’istanza di sospensione cautelare, il procedimento è pervenuto a decisione all’udienza del 13 giugno 2013.

5. Con il primo motivo La Tecnica Esp censura il provvedimento di recesso per mancata previa comunicazione di avvio del procedimento, mancata messa a disposizione dell’informativa presupposta, violazione delle regole inerenti il contraddittorio, il diritto di difesa e l'obbligo di motivazione. Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, sarebbe mancata da parte di Sagat "qualsiasi valutazione ... in ordine alla scelta se mantenere il contratto oppure se, ad esempio, sospenderne gli effetti in via cautelare ... ", tenuto anche conto dello stato di avanzamento e della regolare "prosecuzione", sino a quel momento, del rapporto contrattuale.

Con il secondo motivo la ricorrente contesta il provvedimento di recesso per difetto di motivazione e per violazione dell'art. 10/7 dpr 252/1998. Si sarebbe al cospetto, nel caso di specie, di una informativa c.d. "atipica", non implicante, quindi, effetto interdittivo automatico. Da ciò consegue che la stazione appaltante avrebbe dovuto farsi carico della valutazione discrezionale delle proprie scelte in ordine alla sorte del contratto, in quanto non direttamente condizionata dai contenuti dell’informativa prefettizia.

Con il terzo motivo di ricorso La Tecnica Esp lamenta la contraddittorietà e il difetto di motivazione degli atti impugnati per contrasto con la precedente condotta dell’amministrazione, non avendo questa ravvisato - prima dell’atto di recesso - alcun fattore ostativo al buon esito della procedura di affidamento dell’appalto. Alla data di stipula del contratto non si erano configurati, infatti, impedimenti di sorta a carico dell'appaltatrice.

Con il quarto motivo si censura l'informativa prefettizia, ponendo in rilievo, da un lato, l'insussistenza di circostanze rilevanti nella certificazione antimafia riferita alla società ricorrente; e, dall’altro, il regolare svolgimento dei plurimi rapporti contrattuali intrattenuti dalla La Tecnica Esp con altre amministrazioni nel corso degli anni.

Con il quinto motivo di ricorso, i menzionati profili di illegittimità riferiti all’informativa prefettizia vengono estesi, in via derivata, all’atto di recesso contrattuale.

6. Va precisato che, poiché il ricorso introduttivo è stato proposto prima ancora che l'interessata potesse conoscere il contenuto degli atti istruttori, la cui ostensione è avvenuta soltanto in giudizio, le censure riferite all’informativa prefettizia sono state approfondite e precisate con un atto di motivi integrativi (ritualmente notificato e depositato in data 26.02.2013).

Gli ulteriori rilievi si sono appuntati sulla consistenza delle risultanze istruttorie dell’indagine penale richiamata dall’informativa prefettizia e cristallizzate nella pronuncia della Corte di Cassazione del 6 aprile 2011, n. 514.

7. I motivi di ricorso articolati con l’atto introduttivo non possono trovare accoglimento.

Con riferimento al primo di essi si osserva - in linea con la costante giurisprudenza - che l'adozione del provvedimento di revoca di un’aggiudicazione o comunque di un incarico di svolgimento di pubblico servizio, in presenza di un'informativa prefettizia antimafia sfavorevole, configura un provvedimento non soltanto fortemente caratterizzato nel profilo contenutistico, ma anche connotato dall'urgenza del provvedere. Ad escludere l'obbligo della previa comunicazione di avvio del procedimento concorre, quindi, il carattere spiccatamente cautelare della misura, che fa rilevare quelle esigenze di celerità, che, nell'esplicita premessa dell'art. 7, comma 1, rendono giustificata l'omissione della notizia partecipativa altrimenti prescritta (cfr. T.A.R. Napoli, sez. I, 27 settembre 2004, n. 12586 e 8 aprile 2005, n. 3577; Cons. St. sez. V, 28 febbraio 2006, n. 851; sez. VI, 7 novembre 2006, n. 6555 e 12 dicembre 2011, n. 6493).

Va pertanto respinta, in quanto priva di fondamento giuridico, la doglianza svolta con riguardo all’asserita violazione delle garanzie di comunicazione e partecipazione al procedimento.

8. L’ulteriore profilo di censura, inerente l’assenza di motivate valutazioni da parte di Sagat circa la sorte del contratto, si connette alla questione della qualificazione dell’informativa, richiamata a fondamento anche del secondo motivo di ricorso.

8.1 Sul punto è utile rilevare che il sistema normativo vigente all’epoca dei fatti delineava una triplice tipologia di informative tipiche, tra di loro differenziate dal fatto che i tentativi di infiltrazione mafiosa fossero desunti:

I) da provvedimenti o proposte di provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli artt. 629, 644, 648 bis e 648 ter c.p., o dall'art. 51 comma 3-bis c.p.p. (lett. a dell'art. 10 comma 7 d.P.R. n. 252 del 1998);

II) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di cui agli artt. 2-bis, 2-ter, 3-bis e 3-quater l. n. 575 del 1965 (lett. b dell'art. 10 comma 7 d.P.R. n. 252 del 1998);

III) dagli accertamenti disposti dal prefetto (lett. c dell'art. 10 comma 7 d.P.R. n. 252 del 1998).

Le tre tipologie di informative tipiche sin qui menzionate risultano accomunate dal fatto di determinare una situazione generalizzata di incapacità a contrarre nei confronti di qualsiasi pubblica amministrazione, in capo alla quale non residua, in linea di massima, alcun potere discrezionale in ordine all'apprezzamento delle risultanze e delle valutazioni contenute nella comunicazione prefettizia.

8.2 Nel caso di specie viene in rilievo una informativa afferente a tentativi di infiltrazione desunti, ai sensi della lett. c), comma 7, dell'art. 10 cit., «dagli accertamenti disposti dal Prefetto, anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministero dell'Interno, ovvero richiesti ai prefetti competenti per quelli da effettuarsi in altra provincia».

Secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, quando i tentativi di infiltrazione sono desunti ai sensi della lett. c), la discrezionalità dell'autorità prefettizia è di latitudine maggiore rispetto a quella propria dei riscontri effettuati ai sensi della lett. a) e b), comma 7, art. 10 cit. Si tratta, infatti, di un'informativa antimafia tipica che ha ad oggetto tentativi di ingerenza mafiosa desunti sulla base di fatti e circostanze non preventivamente individuabili nella loro tipicità.

L'ipotesi delle informative prefettizie di cui all'art. 10 comma 7, lett. c) d.P.R. n. 252 del 1998 è stata introdotta dal legislatore proprio allo scopo di prevenire possibili tentativi di infiltrazione mafiosa anche in quelle situazioni in cui non sussistano ancora, o non sussistano più, provvedimenti significativi (di condanna, cautelari o di prevenzione) del tipo di quelli contemplati alle lett. a) e b) del comma 7 citato, a carico degli organi o dei soggetti indicati nell'art. 2 d.P.R. n. 252 del 1998. Con tale strumento, il legislatore ha attribuito all'amministrazione prefettizia un ruolo di massima anticipazione dell'azione di prevenzione, inerente alla funzione di polizia e di sicurezza, rispetto a cui assumono rilievo, per legge, fatti e vicende solo sintomatici e indiziari del pericolo di infiltrazione mafiosa, in ragione della preminente esigenza di tutelare, anche nella fase istruttoria, l'interesse generale all'ordine ed alla sicurezza pubblica, con particolare riguardo al settore dei contratti tra mondo imprenditoriale e pubblica amministrazione.

8.3 Accanto alle menzionate tipologie di informative tipiche, si colloca l’informativa c.d. atipica o supplementare (od aggiuntiva), prevista dall'art. 1-septies d.l. 6 settembre 1982, n. 629 e fondata sull'accertamento di elementi e circostanze che, pur denotando il pericolo di collegamento fra imprese e la criminalità organizzata, non raggiungono la soglia di gravità prevista dall'art. 4 d.lg. n. 490 del 1994, vuoi perché carenti di alcuni requisiti soggettivi o oggettivi pertinenti alle cause di divieto o sospensione, vuoi perché non integranti del tutto il tentativo di infiltrazione.

8.4 Si tratta, com'è evidente, di una tipologia di informativa prefettizia accomunata a quella di cui alla lett. c), comma 7, dell'art. 10 d.P.R. n. 252 del 1998, dalla natura non ricognitiva delle fonti da cui desumere la sussistenza (ovvero il mero pericolo) di condizionamenti mafiosi, non preventivamente individuabili nella loro tipicità, e rispetto alla quale costituisce, tuttavia, un minor sul versante degli effetti, non riconnettendosi a questo tipo di informativa atipica un effetto automaticamente impeditivo, rimanendo la stazione appaltante arbitra di procedere alla sottoscrizione del contratto o meno, pur con adeguata ed idonea motivazione.

8.5 Le considerazioni che precedono consentono di confutare le argomentazioni di parte ricorrente in ordine al mancato esercizio da parte di Sagat del proprio potere discrezionale in ordine alla prosecuzione del rapporto contrattuale con Esp. Si tratta infatti di deduzioni che erroneamente collocano l’informativa posta a base del recesso contrattuale al di fuori del novero delle informative tipiche.

Diversamente, in presenza di un'informativa cd. tipica, sia pure del tipo individuato dalla lett. c), comma 7, dell'art. 10 d.P.R. n. 252, l’effetto vincolante sulla sorte del contratto discende dal fatto che il sistema normativo non offre alle stazioni appaltanti strumenti e capacità per apprezzare la correttezza e la rilevanza "antimafia" degli elementi e delle indicazioni fornite dalla prefettura, alla quale spettano le funzioni connesse alla classificazione, analisi, elaborazione e valutazione delle notizie e dei dati specificamente attinenti ai fenomeni di tipo mafioso. Ne consegue che l'effettivo ambito della discrezionalità riservata alle amministrazione destinatarie dell'interdittiva antimafia tipica esce sostanzialmente depotenziato per quanto riguarda i contenuti delle suddette informative, per cui le ragioni di prevenzione rispetto alla criminalità organizzata possono essere adeguatamente motivate per relationem facendo riferimento all'informativa prefettizia e, se fondate, risutano normalmente sufficienti a giustificare la risoluzione del contratto.

8.6 In tale ottica, si è anche chiarito che la possibilità, prevista nell'art. 11, comma 3, del d.P.R. n. 252 del 1998, di non revocare l'appalto, pur sussistendo controindicazioni antimafia tipiche, sia esercitatile solo in presenza di peculiari situazioni che inducano comunque ad instaurare o proseguire il rapporto contrattuale o concessorio al fine di tutelare l'interesse pubblico attraverso una valutazione di convenienza. Tali peculiari circostanze nel caso di specie non sono state ravvisate.

Pertanto, a seguito di informativa prefettizia tipica sfavorevole e in presenza di contratto già stipulato, il margine di valutazione discrezionale che residua in capo alla stazione appaltante ha ad oggetto esclusivamente la ponderazione delle ragioni di ordine pubblico che, in via eccezionale, suggeriscono la conservazione del rapporto in luogo dell'ordinario scioglimento.

Solo in questo caso la motivazione deve essere ampia e dettagliata, non quando - come nella specie - l'amministrazione intenda aderire alla portata inibitoria dell'informativa prefettizia. In quest'ultimo caso, invero, a giustificare l'adozione del provvedimento di revoca è sufficiente il mero rinvio alla misura interdittiva.

Nel caso di specie, la motivazione dell’atto di recesso, recante un preliminare richiamo alle risultanze dell’informativa e il conseguente esercizio della facoltà di scioglimento dal contratto, prevista dall’art. 11, comma 2, del Dpr 252/1998, appare pienamente conforme all’insieme di principi sopra richiamati, elaborati con riferimento alle informative tipiche. Va quindi respinta l’argomentazione censoria sviluppata nei primi due motivi di ricorso, erroneamente impostata sulla collocazione dell’atto presupposto al di fuori del pertinente contesto normativo.

9. Anche il terzo motivo di ricorso - argomentato su presunti profili di contraddittorietà nella condotta di Sagat e sull’insussistenza, alla data della stipula del contratto, di impedimenti di sorta a carico dell'appaltatrice - appare destituito di fondamento.

Nelle premesse in fatto si è chiarito che il contratto è stato stipulato per decorso del termine di cui all’art. 11, comma 2, dpr 252/98, e in assenza, a quel momento, di circostanze ostative (art. 11, comma 2, dpr 252/98: “decorso il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione della richiesta…le amministrazioni procedono anche in assenza delle informazioni del prefetto”).

L’informativa prefettizia è sopraggiunta successivamente alla stipula negoziale e solo in forza di tale sopravvenienza Sagat ha deciso di svincolarsi dal contratto. La successione cronologica dei fatti rende evidente, pertanto, l’assenza di elementi di contraddittorietà nella condotta tenuta dalla stazione appaltante.

10. L’ulteriore motivo di ricorso - tendente a porre in rilievo l'insussistenza di condizioni ostative evincibili dalla certificazione antimafia relativa a La Tecnica Esp - non tiene conto del fatto che le informazioni prefettizie ostative non conseguono esclusivamente all'accertamento, di natura "ricognitiva", della sussistenza di cause di cui all'art. 10 l. 1965/575 (attestato dalla certificazione antimafia) ma, come si è già esposto, possono derivare dall'accertamento della sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, conseguente a indagini e verifiche di competenza della prefettura e il cui esito è riportato esclusivamente nell'informativa prefettizia. È evidente, quindi, che il contenuto della certificazione antimafia non esaurisce il quadro delle circostanze utilmente valutabili ai sensi del dpr 252/98, in quanto le valutazioni demandate alla competenza della prefettura, al fine di verificare l'assenza di tentativi di infiltrazioni mafiose, involgono profili non coincidenti con quelli posti a base della certificazione camerale e possono comportare che l'informativa prefettizia abbia contenuti non favorevoli per la ditta interessata anche a fronte di una certificazione antimafia negativa, o viceversa (cfr. Cons. St. sez. VI,12 novembre 2011, n. 6493).

Tanto basta per confutare ogni addebito di contraddittorietà argomentato sulla base delle diverse risultanze “antimafia” riferite a La Tecnica Esp.

11. Il punto nodale della controversia si focalizza dunque sui motivi aggiunti, ovvero sulla questione della congruità degli elementi istruttori posti a sostegno dell'informativa prefettizia.

11.1 Il Collegio reputa opportuno far precedere l'esame della concreta fattispecie da un sintetico richiamo ai tratti caratterizzanti l'istituto dell'informativa prefettizia, per quanto rilevanti ai fini della decisione e come delineati dalla giurisprudenza che si è occupata della materia (cfr. per tutte, Cons. St. sez. III, 19 gennaio 2012, n. 254; n. 5995 del 12 novembre 2011; n. 5130 del 14 settembre 2011):

- si tratta di una tipica misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale e che prescinde dall'accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all'associazione di tipo mafioso, per cui non occorre né la prova di fatti di reato, né la prova dell'effettiva infiltrazione mafiosa nell'impresa, né del reale condizionamento delle scelte dell'impresa da parte di associazioni o soggetti mafiosi;

- è sufficiente il "tentativo di infiltrazione" avente lo scopo di condizionare le scelte dell'impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato;

- tale scelta è coerente con le caratteristiche fattuali e sociologiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concreta in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia dell'intimidazione, dell'influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite, cosicché anche da una sentenza pienamente assolutoria possono essere tratti elementi per supportare la misura interdittiva;

- gli elementi raccolti non vanno riguardati in modo atomistico ma unitario, sì che la valutazione deve essere effettuata in relazione al complessivo quadro indiziario, nel quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri;

- la formulazione generica del tentativo di infiltrazione mafiosa rilevante ai fini del diritto comporta l'attribuzione al prefetto di un ampio margine di accertamento e di apprezzamento, sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesti vizi di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti.

11.2 Si è anche affermato in giurisprudenza, con specifico riguardo alle informative di cui all'art. 10, comma 7, lettera c), del d.P.R. n. 252/1998, che, essendo queste fondate su valutazioni discrezionali non ancorate a presupposti tipizzati, i tentativi di infiltrazione mafiosa possono essere desunti anche da parametri non predeterminati normativamente; tuttavia, onde evitare il travalicamento in uno "stato di polizia" e per salvaguardare i principi di legalità e di certezza del diritto, si è precisato che non possono reputarsi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, occorrendo l'individuazione di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con la criminalità organizzata.

12. Muovendo da tali necessarie premesse, va ulteriormente precisato che nella qui impugnata informativa della Prefettura di Roma del 30 ottobre 2012 si dà atto che la s.p.a. Tecnica Esp, unitamente ad altra società, risulta menzionata nella sentenza della Corte di Cassazione del 6 aprile 2011 n. 514.

La vicenda giudiziaria culminata nella citata pronuncia, ruota intorno alla figura di De Pierro Giovanni, indicato come capo di un’associazione criminale che si serviva di diverse società per realizzare reati di evasione fiscale e truffe ai danni di enti pubblici.

L’indagine penale, avviata su ipotesi di reato per riciclaggio e appropriazione indebita, è culminata in una misura di sequestro preventivo, disposta dal GIP del Tribunale di Roma e avente ad oggetto somme di danaro giacenti sui conti intestati ai figli di De Pierro. L’ordinanza cautelare è stata impugnata innanzi al Tribunale di Roma in sede di riesame e successivamente innanzi alla Corte di Cassazione, pronunciatasi con la sentenza n. 514/2011. Entrambi i giudizi si sono conclusi con la conferma della misura cautelare, motivata anche sulla base della riscontrata sussistenza del fumus dei reati contestati.

12.1 Più nel dettaglio, i dati desumibili dalla sentenza n. 514/2011 e recepiti dall’autorità prefettizia, possono così sintetizzarsi: a) l’indagine penale (che ha originato la misura di sequestro preventivo) ipotizza che diverse società (inclusa tra queste la Tecnica Esp) venissero gestite, di fatto, da De Pierro Giovanni e fossero impiegate per realizzare reati di evasione fiscale e truffe ai danni di enti pubblici; b) in tale contesto sono state segnalate operazioni sospette, attinenti a cessioni di quote e a movimentazioni di ingenti somme di denaro provenienti dalle società facenti parte del gruppo gestito da Giovanni De Pierro; c) la misura di sequestro preventivo, disposta dal G.i.p. del Tribunale di Roma, ha riguardato somme ritenute provento di appropriazione indebita e giacenti sui conti correnti intestati ai figli di Giovanni De Pierro (indagati per riciclaggio); d) con riferimento specifico a detta misura cautelare, è stato ritenuto che il denaro affluito nei conti correnti dei fratelli De Pierro fosse da ricondurre alle attività illecite dell’associazione diretta da Giovanni De Pierro e che l’operazione di riciclaggio del danaro, mediante versamento sui conti dei figli, servisse a occultare i proventi illeciti, lasciandoli comunque nella piena disponibilità del De Pierro; e) La Tecnica Esp è indicata, insieme alla società Eurogrup s.c., come facente parte del gruppo gestito da Giovanni De Pierro. Dai conti delle due società provenivano le ingenti somme di danaro (€. 1.280.000,00 ed €. 1.680.000,00) dirette ai due conti correnti intestati ai figli del De Pierro (Ivan e Mirko De Pierro). Secondo il provvedimento del Gip, i versamenti erano giustificati come corrispettivo di cessione di quote sociali della Alfa s.r.l. che erano state acquistate da Ivan e Mirko De Pierro nel gennaio 2004 ad un prezzo enormemente inferiore a quello reale. Al momento della vendita il valore di tali quote sarebbe stato gonfiato artificiosamente, attraverso la formale intestazione alla società partecipata di beni immobili, successivamente transitati ad altre società del gruppo De Pierro, senza pagamento del corrispettivo, in questo modo realizzando l’appropriazione indebita di somme di danaro in danno delle società Eurogrup e La Tecnica.

13. Ciò posto, la ricorrente rileva - con un primo motivo di eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e violazione dell’art. 10, commi 7 e 8, dpr 252/98 - come i tre capi di imputazione richiamati negli atti sottesi all’informativa non facciano cenno alcuno ai reati di mafia, sicché l’ipotesi di riciclaggio, da sola, non potrebbe essere richiamata a sostegno dell’informativa, perché occorrerebbe legarla ad un contesto criminale di tipo “mafioso”.

Con un secondo motivo - di eccesso di potere per insufficiente motivazione e violazione dell’art. 10, commi 7 e 8, dpr 252/98, sotto altro profilo - si pone in rilievo l’assenza di indicazioni sia in ordine ai soggetti ritenuti contigui all’associazione criminale, sia al modo in cui la società La Tecnica Esp risulterebbe implicata nello scenario delittuoso. In tal senso, le affermazioni circa la gestione di fatto delle società e la loro riconduzione al De Pierro risulterebbero prive di concreti elementi di riscontro.

14. In relazione ai rilievi censori sopra richiamati è d’uopo evidenziare che il delitto di riciclaggio di cui all’art. 648 bis c.p. è tra i reati dai quali è possibile desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa (lett. a) dell'art. 10 comma 7 d.P.R. n. 252 del 1998). Esso rientra tra le ipotesi sintomatiche individuate ex lege, alle quali devono correlarsi le misure cautelari o che dispongono il giudizio per giustificare l’applicazione dell'art. 10, comma 7, lett. a), del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (T.A.R. Liguria sez. II, 29 febbraio 2012, n. 347).

Come già esposto in premessa, essendo il sistema delle informative ispirato alla logica della massima anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata.

L’unico limite è rappresentato dalla non spendibilità - a salvaguardia dei principi di legalità e di certezza del diritto - di elementi di semplice sospetto o meramente congetturali, privi di riscontro fattuale.

15. Le risultanze dell’istruttoria penale, richiamate dall’informativa in esame, oltre a configurare un quadro indiziario coerente con quello contemplato dall’art. 10 comma 7 dpr 252/1998, proprio grazie al reato “spia” di cui all’art. 648 bis c.p., paiono fornire un adeguato quadro di circostanze concrete, riscontrate attraverso il filtro delle movimentazione bancarie, delle operazioni di compravendita immobiliare e di alienazione di quote societarie. Nella motivazione della sentenza della Corte di Cassazione si evidenzia come la valutazione dei fatti, in sede penale, sia stata condotta in maniera unitaria, tenendo conto della concatenazione dei fatti, della loro collocazione temporale e della coerenza complessiva del compendio indiziario.

16. Quanto al ruolo della società ricorrente e all’elemento di collegamento della stessa nella vicenda penale, nella sentenza della Corte di Cassazione si dà conto del fatto che le società coinvolte (e tra queste La Tecnina Esp) facevano capo a De Pierro Giovanni, e che costui era l’originario titolare delle quote fittiziamente cedute ai figli. Lo stesso De Pierro risulta tra gli indagati dell’inchiesta penale, essendo accusato di essere il vero gestore di fatto di tali società (Eurogrup e La Tecnica Esp) e di averne “svuotato le casse” allo scopo di far affluire somme di danaro sui conti correnti dei propri due figli. Le ragioni della implicazione della società ricorrente nella vicenda criminale sono pertanto direttamente evincibili dagli atti del procedimento penale.

16.1 Per concludere sulla significatività degli elementi istruttori, resta da rilevare che la consistenza del quadro probatorio è già stata positivamente vagliata, in diversi gradi di giudizio, dal giudice penale chiamato a esprimersi sulla legittimità della misura cautelare del sequestro preventivo, con valutazioni estese anche alla verosimiglianza delle ipotesi di reato formulate nei confronti degli indagati. Tale circostanza - in assenza di evidenti elementi di segno contrario emergenti dagli atti o dalle deduzioni di parte - consolida la valutazione di rilevanza attribuita dall’autorità prefettizia al compendio indiziario in esame. Nella ponderazione delle richiamate risultanze istruttorie, per contro, non emergono, per quanto attiene alla motivazione dell’informativa impugnata, profili di manifesta illogicità, irragionevolezza o travisamento dei fatti.

Esauriti i profili di verifica della logicità e della coerenza delle valutazioni espresse in relazione al quadro indiziario, sulla consistenza delle circostanze indiziarie non è dato soffermarsi ulteriormente in questa sede, atteso che il sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità della informativa antimafia non si confonde con un giudizio di accertamento della sussistenza dei fatti – anche di rilievo penale – assunti a base del provvedimento.

Per tutti i motivi esposti, il ricorso va integralmente respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Condanna la parte ricorrente a rifondere in favore delle parti resistenti le spese di lite che liquida per ciascuna di esse in complessivi €. 2.000,00, oltre Iva, Cpa e accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani,   Presidente

Paola Malanetto,        Primo Referendario

Giovanni Pescatore,   Referendario, Estensore

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

                       

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/06/2013

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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