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Consiglio di Stato, Sez. VI, 31/7/2013 n. 4034
La qualità di associazione di protezione ambientale non legittima il Codacons al ricorso proposto in ordine alla sponsorizzazione del restauro sull'Anfiteatro Flavio di Roma, più comunemente noto come "Colosseo".

Secondo un indirizzo giurisprudenziale le associazioni ambientaliste sarebbero legittimate a ricorrere in sede giurisdizionale, anche con riferimento ai beni culturali ed agli strumenti urbanistici, tenuto conto della nozione allargata di "ambiente" come complesso dei valori che caratterizzano il territorio. Tuttavia, il sistema normativo vigente, è fondato su una distinta scansione concettuale tra patrimonio culturale e ambiente. La Costituzione accomuna nella tutela di cui all'art. 9 paesaggio e patrimonio storico e artistico (vale a dire il patrimonio culturale come definito nel codice di cui al d.lgs. n. 42/2004) e invece designa separatamente, tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, le funzioni di tutela dell'ambiente e dei beni culturali (art. 117, c. 2, lett. s) e, tra le materie di competenza concorrente (art. 117 c. 3), le funzioni di valorizzazione dei beni ambientali e culturali. In sintesi, quindi, l'ambiente è un bene immateriale unitario ma vi sono sue componenti che sono oggetto di disciplina, cura e tutela isolatamente e separatamente: tra queste, i beni culturali. Ciò che occorre distinguere, al fine di valutare l'ambito della legittimazione a ricorrere delle associazioni di protezione ambientale, è se l'interesse fatto valere attenga all'ambiente inteso unitariamente ovvero al singolo bene culturale considerato isolatamente e separatamente. Nel caso di specie, non viene in considerazione il possibile impatto che piani, programmi o progetti possono avere sul patrimonio culturale, né qualsiasi altro fatto che rientri nella funzione di tutela dell'ambiente. Viene invece in considerazione un intervento su beni culturali pubblici, che l'Amministrazione dei beni culturali governa con lo strumento dell'autorizzazione ai sensi degli artt. 21 e 24 del d. lgs. n. 42/2004; in particolare, un intervento di restauro, ossia di "intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all'integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali"(art. 29 c. 4 d.lgs. n. 42/2004), anzi, un contratto di sponsorizzazione stipulato in vista del restauro di un bene culturale: un fatto, dunque, che rientra nella funzione di tutela non dell'ambiente, ma dei beni culturali. La qualità di associazione di protezione ambientale non legittimava, quindi, il Codacons al ricorso proposto in ordine alla sponsorizzazione del restauro sull'Anfiteatro Flavio di Roma, più comunemente noto come "Colosseo".

Materia: ambiente / associazioni ambientaliste

N. 04034/2013REG.PROV.COLL.

 

N. 06648/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6648 del 2012, proposto dal Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori (Codacons), rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Rienzi, Marco Ramadori e Gino Giuliano, con domicilio eletto presso Codacons Ufficio Legale Nazionale del Codacons in Roma, viale Mazzini, 73;

 

contro

Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, Comm. Delegato per la Realizzazione degli Interventi Urgenti sulla Aree Archeologiche di Roma e Ostia Antica, Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust), Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Procura Generale per la Corte dei Conti della Regione Lazio, Autorita' per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori Servizi e Forniture, rappresentati e difesi dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; Soprintendenza Speciale Beni Archeologici di Roma; Roma Capitale, rappresentata e difesa dall'avv. Luigi D'Ottavi dell’avvocatura comunale e presso gli uffici della medesima domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

 

nei confronti di

Tod'S Spa;

 

e con l'intervento di

ad adiuvandum:

Claudio Fedeli, Enzo Montani, Elio Montani, Gianpaolo Tucci, Antonio De Palo, Sabrina Rossi, Romano Troiano, Enrico Troiano, Romina Falasca, Giovambattista Ielapi, Graziella Gargano, Daniele Di Pietro, rappresentati e difesi dall'avv. Orazio Castellana, con domicilio eletto presso l’avv. Orazio Castellana in Roma, via Appiano, 8; Vincenzo Merulla, Gruppo Rotativo Categoria Urtisti A/1, Fabrizio Falasca, Pierino Falasca, Pierina Maria Franceschelli, Stefano Tredicine, Dino Tredicine, Luigi Rosato, Patrizio Rosato, Soc. Mixage 93 Snc di Molinaro Domenico, Tania Donatella Tredicine, Rina Irene Cirulli, Nasir Uddin Dhali, Md Jamal Uddin, Manjurul Alam, Mohammed Nurul Absar, Soc. Mistery S.r.l. di Molinaro Antonio, Rafique Ullah, Anna Maria Cerulli, Desirè e 2012 S.r.l., Giancarlo Quici, Dulal Uddin, Nasir Ahmed Howlader, Nur Islam Mohammed, Shajahan Manik, rappresentati e difesi dall'avv. Gianfranco Di Meglio, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Innocenzo XI N.8;

per la riforma della sentenza del t.a.r. lazio – roma, sezione i, n. 06028/2012, resa tra le parti, concernente sottoscrizione del contratto di sponsorizzazione per il finanziamento di lavori da realizzare nell'anfiteatro flavio – colosseo – di roma; risarcimento del danno;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, del Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti sulle Aree Archeologiche di Roma e Ostia Antica, dell’Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, della Procura Generale per la Corte dei Conti, di Roma Capitale, dell’Autorita' per la Vigilanza Sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile 2013 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Rienzi, D'Ottavi, Di Meglio per sè e per delega, dichiarata in udienza, dell’avv. Castellana, nonché l’avvocato dello Stato Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO

La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne l’avviso di ricerca di sponsor ed il successivo contratto di sponsorizzazione, stipulato fra il Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti nelle aree archeologiche di Roma e Ostia Antica ed il gruppo TOD’S, nonché successive note del medesimo Commissario delegato, oggetto di ricorso e successivi motivi aggiunti di gravame da parte del Codacons (Coordinamento delle Associazioni e dei Comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) per violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili. Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, n. 6028/12 del 3.7.2012 è stata ritenuta fondata l’eccezione preliminare di difetto di legittimazione attiva del Codacons, con conseguente declaratoria di inammissibilità dell’impugnativa.

La sentenza ha segnalato che le finalità statutarie della predetta Associazione, concernenti la tutela degli interessi dei consumatori nei confronti di soggetti pubblici o privati, produttori o erogatori di beni e di servizi, sono riferibili in ogni caso ad un interesse collettivo di questi ultimi, effettivamente leso e non anche a generalizzate garanzie di corretto e regolare svolgimento di una funzione o di un servizio pubblico, anche sotto il profilo della economicità della gestione. Nel caso di specie, il pregiudizio posto a fondamento del ricorso sarebbe stato individuabile nel detrimento patrimoniale, subito dai contribuenti per effetto dell’affidamento della sponsorizzazione di cui trattasi ad un prezzo eccessivamente contenuto, rispetto al valore inestimabile dell’immobile interessato (Anfiteatro Flavio) ed alle ricadute in termini di promozione e di immagine riconducibili all’iniziativa. Una lesione degli interessi dei cittadini avrebbe potuto affermarsi, tuttavia, solo in via indiretta, come conseguenza del danno, in ipotesi, direttamente arrecato alle finanze pubbliche, con conseguente assunzione – da parte dell’Associazione ricorrente – di funzioni suppletive rispetto a quelle affidate dall’ordinamento alla Corte dei conti, organo di rilevanza costituzionale. Quanto alle finalità di tutela ambientale, proprie delle associazioni iscritte negli elenchi, di cui all’art. 18 della legge n. 349/1986, la sentenza ha sottolineato l’estraneità della questione dedotta in giudizio a finalità di tutela ambientalistica.

L’inammissibilità dell’impugnativa è stata ritenuta idonea a travolgere gli interventi, effettuati in via incidentale, in quanto non autonomi o – se da considerare tali – tardivi in rapporto agli atti impugnati, oltre che carenti sotto il profilo della dimostrazione del pregiudizio diretto ed attuale, prodotto agli intervenienti dagli atti contestati.

Proposto appello contro la predetta sentenza (n. 6648/12, notificato il 22.8.2012), il Codacons rappresentava il “completo travisamento”, emergente dalla sentenza appellata, dell’interesse perseguito nell’impugnativa, che avrebbe avuto come oggetto “proprio l’Anfiteatro Flavio inteso come patrimonio storico-artistico”, anche al di là degli “innegabili riflessi in punto di danno all’erario”, con riferimento all’insufficienza della somma ottenuta dallo sponsor ed alle modalità di sfruttamento accordate a quest’ultimo per quattro lustri. La legittimazione ad agire del CODACONS – cui è riconosciuto il carattere di associazione ambientalista – sarebbe infatti riconoscibile in rapporto a qualsiasi provvedimento dell’Amministrazione, suscettibile di pregiudicare il bene dell’ambiente, da intendere come comprensivo della conservazione e valorizzazione dei beni culturali (nell’ottica allargata, di cui all’art. 10 del d.lgs. 22.1.2004, n. 42). In tale contesto l’art. 13 della legge 8.7.1986, n. 349 ha legittimato le associazioni in possesso di determinati requisiti, inserite in un apposito elenco, ad intervenire per assicurare la più efficace tutela dell’ambiente, inteso nel senso più ampio ed elevato a valore costituzionale. Venivano quindi riproposti i seguenti motivi di gravame, non esaminati in primo grado:

1)         violazione dell’OPCM n. 3890 del 29.7.2010, eccesso di potere per sviamento,violazione degli articoli 1 e 2 della legge n. 241/1990, nonchè dell’art. 97 della Costituzione; violazione degli articoli 1, 4, 6, 7, 18, 20, 21, 29, 39, 101 e 120 del Codice Urbani; violazione o falsa applicazione degli articoli 26 e seguenti del d.lgs. n. 163/2006; contraddittorietà ed illogicità manifesta, in quanto il Commissario delegato avrebbe sconfinato dalle proprie funzioni dopo la cessazione delle medesime (in data 31.7.2011), accordando la sponsorizzazione di cui trattasi per una cifra irrisoria e concedendo un’esclusiva “ambigua ed aleatoria nei suoi tratti fondamentali” per ben 20 anni, in violazione del principio di concorrenza e a danno di un patrimonio dell’umanità. Non sarebbero stati resi noti, inoltre, le caratteristiche delle altre offerte di sponsorizzazione, pervenute e ritenute non idonee, né i criteri di valutazione delle offerte, né l’esatta configurazione della sponsorizzazione prescelta;

2)         ancora violazione di legge ed eccesso di potere sotto i profili in precedenza indicati; difetto assoluto di istruttoria, con riferimento ad una procedura negoziata, conclusa in soli due giorni dopo la constatazione della inidoneità delle proposte, pervenute in esito all’avviso pubblico del 4.8.2010;

3)         violazione dei principi di buon andamento e gestione della p.a.; difformità tra avviso e accordo sottoscritto; violazione o falsa applicazione degli articoli 56 e seguenti del codice degli appalti, in quanto era stato in un primo tempo preordinato l’affidamento ad uno sponsor del finanziamento e della realizzazione di interventi di restauro sul Colosseo, mentre il contratto di sponsorizzazione poi concluso prevede soltanto il finanziamento delle opere, a fronte della possibilità di sfruttare l’immagine dell’Anfiteatro, con lo stesso vantaggio a fronte di un minore onere e indebita restrizione della concorrenza;

4)         ancora violazione di legge (artt. 26 e 27 del codice degli appalti, artt. 1, 3, 4, 6, 18, 101, 111, 120 e seguenti del d.lgs. n. 42/2004, artt. 43 e seguenti della legge n. 449/1997 e del regolamento di contabilità di Stato n. 824/1927) ed eccesso di potere sotto vari profili, con riferimento al parere dell’Antitrust ed alla delibera dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP), che sarebbero giunti a conclusioni non conformi, con persistente difficoltà di comprendere se la sponsorizzazione di cui trattasi fosse di tipo attivo o passivo;

5)         difetto di motivazione della delibera dell’AVCP, sviamento, violazione delle leggi già sopra citate ed eccesso di potere sotto ulteriori profili, con improvviso e non comprensibile mutamento nella valutazione di circostanze, in un primo tempo oggetto di moniti e raccomandazioni e poi ritenute regolari, nonostante le segnalazioni dell’odierna appellante;

6)         difetto di istruttoria, carente e contraddittoria motivazione, sviamento, con riferimento all’assoluta genericità degli atti, in base ai quali è stato previsto l’affidamento dei lavori di restauro del Colosseo;

7)         ancora difetto di istruttoria , sconfinamento di poteri del Commissario delegato e contraddittorietà, avendo il Commissario delegato assunto il triplice ruolo di soggetto promotore, giudicante e firmatario dell’accordo, mentre – in scadenza di mandato – non avrebbe potuto impegnare il Ministero in via ultradecennale, con dimostrata volontà di concludere rapidamente un accordo con il gruppo TOD’S.

Ulteriori osservazioni investivano infine (paragrafi 8 e 9 dell’appello) la disciplina applicabile, con riferimento al codice degli appalti ed ai lavori da eseguire nelle aree archeologiche.

Si sono costituiti nel presente giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e Roma Capitale, opponendosi all’accoglimento dell’impugnativa, mentre sono intervenuti ad adiuvandum il Gruppo Rotativo Categoria Urtisti A/1 del Comune di Roma (assegnatario di posteggi rotativi giornalieri) e diversi commercianti, autorizzati ad operare nei siti autorizzati in prossimità dell’area archeologica, questi ultimi paventando una compromissione dell’attività, per effetto del centro servizi previsto per il gruppo TOD’S e dei diritti da tale gruppo acquisiti per lo sfruttamento sia pubblicitario che commerciale del sito.

Delle parti resistenti, Roma Capitale insisteva, in particolare, sul difetto di legittimazione dell’appellante, mentre la Presidenza del Consiglio dei Ministri – pur sottolineando come l’azione del Codacons dovesse essere ricondotta sotto ogni profilo, anche di tutela dei beni culturali ed ambientali, all’esclusiva finalità dell’associazione, coincidente con la tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori – formulava analitiche controdeduzioni, circa l’asserita mancanza di linee guida per la conservazione dell’Anfiteatro, la pretesa mancata fruizione e lo sfruttamento del nome (o marchio) del Colosseo, nonché circa l’alterazione della concorrenza, per una sorta di esclusiva allo sfruttamento dell’immagine del complesso monumentale ed il mantenimento di installazioni sull’area: circostanze, tutte, da ritenere insussistenti.

 

DIRITTO

1.Il Collegio è chiamato ad esaminare un’iniziativa, assunta dal Commissario Delegato per la realizzazione degli interventi urgenti sulle Aree Archeologiche di Roma e Ostia Antica, ai sensi dell’art. 120 del d.lgs. 22.1.2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio), secondo la disciplina di cui agli articoli 26 e 27 del d.lgs. 12.4.2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici), con riferimento ad interventi di restauro da effettuare sull’Anfiteatro Flavio di Roma, più comunemente noto come “Colosseo”.

2.Vanno premesse alcune considerazioni in ordine al rito applicabile alla presente controversia.

Le norme sopra indicate si riferiscono alla cosiddetta sponsorizzazione, da ritenere corrispondente ad un contratto atipico, in cui un soggetto (“sponsee” o “sponsorizzato”) assume, normalmente in cambio di un corrispettivo, l’obbligo di associare a proprie attività il nome o il segno distintivo di altro soggetto (detto “sponsor”, o “sponsorizzatore”), quale forma di pubblicità indiretta. Quando di contratti del tipo sopra indicato sia parte una pubblica amministrazione (come specificamente previsto, per quanto qui interessa, in materia di beni culturali, a norma del citato art. 120 d.lgs. n. 42/2004) e la sponsorizzazione non comporti alcun onere finanziario per l’Amministrazione stessa, l’accordo – non qualificabile come contratto passivo – non è assoggettato alla disciplina comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici, pur restando applicabili i principi del trattato, in materia di scelta della controparte e più in generale in tema di “economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità”, come disposto dall’art. 27 del codice dei contratti pubblici, appunto per i contratti sottratti all’ambito di applicazione delle direttive comunitarie sugli appalti (2004/18/CE e 2004/17/CE), ma non anche ai principi posti a tutela della concorrenza dai Trattati dell’Unione Europea (cfr. in tal senso Corte Cost., 10.2.2010, n. 45; Cons. St., sez. VI, 10.10.2002, n. 5442; Cons. St., sez. III, 17.10.2011, n. 5547; Cons. St., Ad. Plen., 1.8.2011, n. 16).

Ai contratti in questione, pertanto, non risulta applicabile il rito abbreviato, di cui all’art. 119 c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010), stante la tassativa elencazione delle fattispecie ivi previste, che appaiono riferite sotto il profilo in esame all’affidamento di lavori, servizi e forniture, implicanti prestazioni di natura onerosa per l’Amministrazione, con impiego di risorse pubbliche fornite dai contribuenti.

Con la sponsorizzazione, infatti, l’Amministrazione acquisisce una indubbia utilità finanziaria, controbilanciata da vantaggi di ordine pubblicitario per il soggetto finanziatore.

Il collegio non ha proceduto, dunque, alla pubblicazione anticipata del dispositivo, come richiesto dell’appellante invocando l’art. 119 comma 5 cpa.

3. Nella situazione in esame, il 4 e 5 agosto 2010 veniva diramato sulla stampa, non solo nazionale, un avviso pubblico per la “ricerca di sponsor per il finanziamento e la realizzazione di lavori secondo il piano degli interventi del Colosseo di Roma”, con scadenza del termine per le offerte il 30 ottobre 2010. A detta scadenza risultavano presentate due sole proposte, ritenute irregolari e non ammissibili. Si avviava quindi una procedura negoziata con le imprese interessate (Tod’s s.p.a., Ryanair s.p.a. e Fimit s.p.a.), procedura conclusasi con contratto di sponsorizzazione, stipulato il 21.1.2011 dal Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti nelle aree archeologiche di Roma e Ostia Antica e dalla Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma con la società Tod’s s.p.a., rappresentata dal dott. Diego Della Valle. Detto contratto, registrato il 20.6.2011, prevedeva un mero finanziamento di 25 milioni di euro, senza più alcuna diretta esecuzione di opere da parte dello sponsor, di modo che – come sottolineato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (cfr. nota n. prot. 0020292 del 24.2.2012) – la fattispecie veniva ad essere regolata non più dall’art. 26 del codice dei contratti pubblici, ma dalle norme di contabilità di Stato, relative ai contratti da cui derivi un’entrata per lo Stato stesso (art. 3 r.d. 2440/1923). La fase finale della trattativa risulta svolta nell’arco di un mese – e non, come prospettato dall’appellante, di sole 48 ore (riferite alla mera fase conclusiva). Il contenuto dell’accordo, come già ricordato, era quello di una sponsorizzazione pura, nell’ambito della quale lo sponsor si limitava a conferire un finanziamento, mentre il promotore e la Soprintendenza assumevano l’impegno di realizzare i lavori di restauro contenuti nel Piano degli interventi e di dare periodiche notizie allo sponsor sullo stato di avanzamento dei lavori. Si prevedeva, inoltre, un “piano di comunicazione”, che lo sponsor avrebbe potuto gestire direttamente o tramite una “Associazione/Fondazione senza fini di lucro…..denominata, a titolo esemplificativo, Amici del Colosseo….per promuovere e dare visibilità pubblica, a livello nazionale e internazionale, ai lavori di cui al Piano degli interventi….anche quale esemplificazione dell’attività culturale e del patrimonio storico-artistico italiani”; quanto sopra, allo scopo di rendere il Colosseo “sempre più accessibile alle categorie dei giovani, dei diversamente abili, dei pensionati e dei lavoratori”. Quanto alla composizione dell’Associazione sopra citata – per il cui statuto si disponeva la successiva approvazione del promotore – era prevista la partecipazione dello sponsor e, su parere favorevole del medesimo, delle persone fisiche o giuridiche, nonché degli enti pubblici, che intendessero “sostenere l’attività di restauro del Colosseo”, ovvero “iniziative di altrettanto rilievo, riferite al patrimonio archeologico e storico-artistico a livello nazionale e internazionale e, più in generale, l’attività dell’Associazione stessa”. Per lo svolgimento delle attività programmate, era altresì prevista la costituzione temporanea o fissa di un “Centro” “ubicato nelle immediate adiacenze del Colosseo”, sul quale lo sponsor avrebbe potuto apporre i propri “segni distintivi”per la durata degli interventi di restauro e nei due anni successivi, con possibilità di organizzare “campagne di comunicazione”, anche previ accordi o convenzioni con “associazioni, fondazioni, enti di ricerca e università, o altre istituzioni o enti pubblici o privati che perseguano e/o condividano, per i propri fini istituzionali, obiettivi analoghi a quelli dell’Associazione”. Quanto alle facoltà attribuite allo sponsor – ovvero alle utilità per il medesimo perseguibili – era innanzitutto prevista l’utilizzazione in esclusiva delle operazioni di restauro da effettuare, tramite immagini fotografiche o filmati, “nel rispetto del dettato degli articoli 106 – 108 del Codice dei beni culturali e del paesaggio”. All’Associazione sopra citata, inoltre, era concesso il diritto di utilizzare in esclusiva un logo raffigurante il Colosseo, con possibilità di registrare al riguardo un vero e proprio marchio, da utilizzare per la carta stampata ed in qualsiasi iniziativa promozionale o pubblicitaria. Direttamente allo sponsor, infine, erano accordati i seguenti diritti (riportati in sintesi):

-           ottenere l’accesso al Colosseo, con modalità da concordare con la Soprintendenza, di gruppi di persone, senza interferire con le ordinarie modalità di fruizione del monumento da parte del pubblico;

-           utilizzare la dizione “Sponsor unico per i lavori di restauro del Colosseo in base al Piano degli interventi”;

-           utilizzare il logo ed altri segni distintivi dell’Associazione sulla propria carta intestata;

-           inserire il proprio marchio sul retro del biglietto di ingresso al Colosseo;

-           inserire il proprio marchio – o comunque pubblicizzare l’erogazione del proprio contributo – sulla recinzione del cantiere, in forme compatibili con il carattere storico-artistico e con il decoro del Colosseo;

-           pubblicizzare l’erogazione del proprio contributo per la realizzazione dei lavori di restauro;

-           utilizzare il materiale e la documentazione realizzati dall’Associazione, anche attraverso la proiezione di immagini all’interno di propri spazi o nel proprio sito internet.

La durata dei diritti attribuiti allo sponsor era fissata in corrispondenza alla durata di effettuazione dei lavori di restauro e dei due anni sucessivi, mentre per i diritti attribuiti all’Associazione la durata era di quindici anni, “eventualmente prorogabili mediante apposito accordo sottoscritto dalle parti”. Le clausole di esclusiva erano apposte con riferimento ai diritti attribuiti allo sponsor ed all’Associazione “per i lavori di restauro del Colosseo di cui al Piano degli Interventi”.

4..Premesso quanto sopra circa la natura della contrattazione condotta dall’Amministrazione ed il contenuto dell’accordo concluso, il Collegio è ora chiamato ad esaminare, in via preliminare, i profili di ammissibilità dell’impugnativa, valutati negativamente in primo grado di giudizio sotto il profilo del difetto di legittimazione attiva del Codacons.

In via preliminare, con unico motivo di gravame l’associazione appellante critica la sentenza di primo grado, che ha dichiarato il ricorso proposto inammissibile per carenza di legittimazione a ricorrere, lamentando che detta legittimazione non le sia stata riconosciuta malgrado la qualità di associazione di protezione ambientale ai sensi e per gli effetti dell’art. 13 della legge n. 349/1986; vengono quindi riproposti i motivi assorbiti in primo grado.

L’appello è infondato.

Per quanto riguarda la legittimazione delle associazioni ambientaliste, in primo luogo, il collegio non ignora l’indirizzo giurisprudenziale (Cons. St., sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5365; 14 aprile 2011, n. 2329) secondo cui le stesse sarebbero legittimate a ricorrere in sede giurisdizionale, anche con riferimento ai beni culturali ed agli strumenti urbanistici, tenuto conto della nozione allargata di “ambiente” come complesso dei valori che caratterizzano il territorio (in un contesto che impone la tutela di beni di rilievo sia paesaggistico che storico-artistico o culturale, in armonia con l’art. 9, secondo comma, della Costituzione, in base al quale detti beni sono resi, complessivamente, oggetto di tutela da parte dello Stato).

Appare peraltro opportuna una rivisitazione della questione.

La legittimazione ad agire che l’appellante invoca a sostegno dell’azione giurisdizionale intrapresa è attribuita dagli artt. 18 e 13 della l. n. 349 del 1986 (legge istitutiva del Ministero dell’ambiente, sulle ceneri del precedente Ministero dei beni culturali e ambientali) alle associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale.

Il sistema normativo vigente, tuttavia, è fondato su una distinta scansione concettuale tra patrimonio culturale e ambiente.

La Costituzione accomuna nella tutela di cui all’art. 9 paesaggio e patrimonio storico e artistico (vale a dire il patrimonio culturale come definito nel codice di cui al d.lgs. n. 42 del 2004) e invece designa separatamente, tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, le funzioni di tutela dell’ambiente e dei beni culturali (art. 117, comma 2, lett. s) e, tra le materie di competenza concorrente (art. 117 comma 3), le funzioni di valorizzazione dei beni ambientali e culturali.

E’ appena il caso di osservare:

- che alla tutela dei beni culturali e dell’ambiente, superato l’accorpamento di cui al d.l. n. 657 del 1974 convertito nella legge n. 5 del 1975, sono preposti plessi amministrativi diversi (cfr. art. 2 d. lgs. n. 300 del 1999: Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo);

- che la rispettiva disciplina è contenuta in distinti codici (d. lgs. 22.1.2004, n. 42.: codice dei beni culturali e del paesaggio; d.lgs. 3.4.2006, n. 152: norme in materia ambientale);

- che lo stesso statuto dell’appellante Codacons designa tra i compiti statutari come materie separate l’ambiente e i beni storico-archeologici e paesaggistici.

Sotto il profilo sostanziale, l’ambiente è definito dal legislatore delegato il sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici (art. 5 comma 1 lett. c d.lgs. n. 152 del 2006).

Esso è “un bene immateriale unitario sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell'insieme, sono riconducibili ad unità; ….La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che é necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti” (Corte cost., sent. n. 641 del 1987).

La nozione globale di “ambiente” comprende in sé ogni componente dell’habitat (inteso come complesso degli elementi ambientali e culturali, che caratterizzano gli insediamenti umani) e quindi, soprattutto negli insediamenti urbani, anche il patrimonio storico-artistico: non a caso, pur in presenza di disposizioni specifiche per ciascun settore (cfr. art. 1 della legge 8.7.1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell’ambiente, nonché art. 10 del d.lgs. 22.1.2004, n. 42, codice dei beni culturali e del paesaggio), è infatti previsto (art. 3 L. n. 349/1986 cit.) che il Ministro dell’ambiente ed il Ministro per i beni culturali assumano di comune intesa le iniziative necessarie, per assicurare il coordinato esercizio delle attribuzioni di rispettiva competenza.

In sintesi, quindi, l’ambiente è un bene immateriale unitario ma vi sono sue componenti che sono oggetto di disciplina, cura e tutela isolatamente e separatamente: tra queste, i beni culturali.

Ciò che occorre distinguere, al fine di valutare l’ambito della legittimazione a ricorrere delle associazioni di protezione ambientale, è se l’interesse fatto valere attenga all’ambiente inteso unitariamente ovvero al singolo bene culturale considerato isolatamente e separatamente.

Nel caso di specie, non viene in considerazione il possibile impatto che piani, programmi o progetti possono avere sul patrimonio culturale, impatto alla cui valutazione l’Amministrazione dei beni culturali concorre ai sensi dell’art. 26 del d.lgs. 42 del 2004, né la bonifica di siti contaminati individuati di interesse nazionale in quanto di pregiudizio ai beni culturali (art. 252 d. lgs. n. 152 del 2006) né qualsiasi altro fatto che rientri nella funzione di tutela dell’ambiente.

Viene invece in considerazione un intervento su beni culturali pubblici, che l’Amministrazione dei beni culturali governa con lo strumento dell’autorizzazione ai sensi degli artt. 21 e 24 del d. lgs. n. 42 del 2004; in particolare, un intervento di restauro, ossia di “intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all'integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali”(art. 29 comma 4 d.lgs. n. 42 del 2004), anzi, un contratto di sponsorizzazione stipulato in vista del restauro di un bene culturale: un fatto, dunque,che rientra nella funzione di tutela non dell’ambiente, ma dei beni culturali.

La qualità di associazione di protezione ambientale non legittimava quindi il Codacons al ricorso proposto in ordine alla sponsorizzazione del restauro del Colosseo.

5..Quanto alle ulteriori considerazioni, svolte dall’appellante in ordine al diverso titolo di legittimazione a ricorrere dell’appellante in quanto associazione di tutela di consumatori e utenti, escluso dalla sentenza appellata in un autonomo capo (punti 1 e 2 della motivazione), va rilevato che esse sono state svolte non nell’appello, ma nella sola memoria di replica.

Ora, alla luce del principio della specificità dei motivi di appello ora enunciato dall’art. 101, comma 1, cpa, va ricordato che “nel giudizio di appello, che non è iudicium novum, la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso l’enunciazione di specifici motivi non essendo sufficiente, pena l’inammissibilità e la formazione del giudicato interno dei capi di sentenza che hanno pronunziato sul punto, la mera riproposizione dei motivi di primo grado; ciò comporta che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata debbano essere contrapposte quelle dell’appellante, volte a incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono, ed impone che alla parte volitiva dell’appello deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa, connotata da sufficiente grado di specificità, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice”. (Cons.. Stato, sez. IV, 27 novembre 2000, n. 6311.),

Irrilevanti per le ragioni ora esposte, tali considerazioni appaiono comunque infondate.

L’acquisizione del finanziamento, il progetto di restauro e gli equilibri sinallagmatici, accettati dall’Amministrazione nei confronti dello sponsor, corrispondono a scelte sindacabili solo nei limiti, generalmente riconosciuti in tema di impugnazione di atti discrezionali (con esercizio nella fattispecie di discrezionalità mista: tecnica e amministrativa). Nel particolare settore in esame, in pratica, una lesione avrebbe potuto potrebbe essere ravvisata solo in corrispondenza ad illegittimità della ponderazione effettuata, in quanto illogica o arbitraria, purchè incidente su interessi giuridicamente protetti, di cui la parte appellante potesse ritenersi portatrice.

Le considerazioni dell’appellante, invece, sono esposte in modo apodittico e non sono rapportate a specifici fattori di incongruità o illogicità del contratto di sponsorizzazione, i cui limiti di contestabilità sono stati in precedenza riportati. Secondo gli appellanti, infatti, la situazione legittimante invocata atterrebbe non a ragioni di controllo sulla spesa pubblica, ma alla “genericità ed ambiguità” di una sponsorizzazione, che avrebbe determinato ingiustificata riduzione delle risorse, destinate alla tutela storico-artistica di un patrimonio dell’umanità, in termini di diminuite disponibilità di mezzi economici per il restauro, con “supina” recezione di un accordo, che consegnerebbe il Colosseo “nelle mani di un noto gruppo industriale”. Al riguardo, è bene ricordare come lo statuto del Codacons ponga come propria “esclusiva finalità quella di tutelare con ogni mezzo legittimo, ivi compreso il ricorso allo strumento giudiziario, i diritti e gli interessi dei consumatori e utenti….; tale tutela si realizza nei confronti dei soggetti pubblici e privati, produttori e/o erogatori di beni e di servizi…..L’Associazione tutela il diritto alla trasparenza, alla corretta gestione e al buon andamento delle pubbliche amministrazioni”; nel medesimo statuto è anche previsto che l’associazione possa costituirsi parte civile nei processi penali per reati che offendano, in particolare, la salute, l’ambiente, i beni storico-archeologici o paesaggistici….”. Su tale base, il danno viene sostanzialmente configurato (anche in via risarcitoria) sotto il profilo della perdita di “chance”, per l’utente, di ottenere migliori condizioni di sponsorizzazione (e quindi di utile ritorno, per un più ampio restauro del complesso monumentale), con ulteriore compromessa disponibilità di quest’ultimo, sul piano turistico e commerciale.

Tali circostanze – connesse a valutazioni discrezionali dell’Amministrazione, circa l’equilibrio sinallagmatico del contratto di sponsorizzazione – non trovano alcun concreto riscontro nel caso di specie, tenuto conto dei contenuti dell’accordo, già in precedenza riportati. Una posizione legittimante non è d’altra parte ravvisabile, in ordine al perseguimento di una ipotetica (e del tutto indimostrata) ottimizzazione della qualità dei servizi e delle maggiori risorse che avrebbero potuto essere ottenute in sede di trattativa, essendo questi interessi generali della collettività, oggetto di scelte di indirizzo e gestione discrezionale della pubblica amministrazione, così come non è consentito che l’interesse dedotto in giudizio riguardi soltanto una parte delle categorie rappresentate, potendosi in caso contrario configurare una situazione di conflitto di interessi dell’associazione stessa con alcuni dei soggetti rappresentati, o una non consentita sostituzione processuale (come ipotizzabile, nel caso di specie, per l’esito di un’impugnativa, che ove accolta comporterebbe perdita del finanziamento e blocco dei lavori di restauro, in vista di maggiori utilità future ed incerte; cfr., per i diversi principi affermati: Cons. St., Ad. Plen, 23.3.2011, n. 3; Cons. St., sez. VI, 18.4.2012, n. 2208, 26.6.2012, n. 3750, 10.3.2011, n. 1540, 8.2.2011, n. 831 e 13.9.2010, n. 6554; Cons. St., sez. V, 26.10.2011, n. 5709; Cons. St., sez. IV, 28.5.2012, n. 3137 e 15.2.2013, n. 917).

Anche come associazione di consumatori ed utenti, pertanto, il Codacons appare privo di legittimazione a ricorrere, in rapporto alla questione dedotta in giudizio.

6.Per le ragioni esposte, in conclusione, l’appello va respinto, con assorbimento di ogni altra ragione difensiva, anche esposta dalle parti intervenute in giudizio, per quanto non risulti già espressamente valutato; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della novità e della complessità della questione esaminata, nonché della natura degli interessi coinvolti.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 16 aprile 2013 e del 29 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini,      Presidente

Gabriella De Michele,            Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti,         Consigliere

Andrea Pannone,        Consigliere

Vincenzo Lopilato,     Consigliere

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

                       

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 31/07/2013

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

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