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Consiglio di Stato, Sez. V, 12/11/2013 n. 5415
Sull'esercizio del potere di autotutela di provvedimenti che comportano un'indebita erogazione di risorse economiche.

La Pubblica Amministrazione, che intenda procedere all'annullamento d'ufficio di propri atti, è esentata dal ponderare l'interesse privato in comparazione con quello pubblico, quando dall'annullamento derivi il venir meno di vantaggi a terzi che, contrastando con le finalità dell'ordinamento, debbono, per ciò stesso, essere rimossi.
L'esercizio del potere di autotutela di provvedimenti che comportano un'indebita erogazione di risorse economiche della collettività non richiede una specifica valutazione/motivazione sulla sussistenza e prevalenza dell'interesse pubblico, essendo questo in re ipsa.
L'interesse occupazionale assume valenza anche pubblica, ma essa non può valere, di per sé, a legittimare un non legittimo dispendio di pubbliche risorse.


Materia: pubblica amministrazione / attività

N. 05415/2013REG.PROV.COLL.

N. 08657/2004 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

 

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 8657 del 2004, proposto dalla Provincia di Taranto, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Caricato e Cesare Semeraro, e con domicilio eletto presso la sig.ra Antonia De Angelis in Roma, via Portuense 104;

contro

Chemi.Pul Italiana S.r.l. in proprio e quale capogruppo mandataria dell’A.T.I costituita tra la suddetta Chemi.pul Italiana e le mandanti cooperative La Fiorita a.r.l. ed Europa a.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Ernesto Sticchi Damiani e Luigi Nilo, e con domicilio eletto presso Ernesto Sticchi Damiani in Roma, via Bocca di Leone 78 (St.Bdl);

per la riforma

della sentenza del T.a.r. Puglia - Sez. staccata di Lecce, Sezione II - n. 04441/2004, resa tra le parti, concernente affidamento servizio di verifiche impianti termici - annullamento per autotutela.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2012 il Cons. Giancarlo Luttazi;

Udito l’avv. E. Sticchi Damiani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

L’ATI attuale appellata, facente capo a Chemi.Pul Italiana S.r.l, era affidataria (con deliberazione n. 394 del 29.10.2001 della Giunta provinciale di Taranto) della realizzazione di un piano di impresa adottato al fine di stabilizzare 48 lavoratori socialmente utili (LSU) attraverso l’esternalizzazione del servizio di controllo dell’effettivo stato di manutenzione ed esercizio degli impianti termici ai sensi della legge 9 gennaio 1991, n. 10 (“Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”).

Durante lo svolgimento del rapporto l’ATI affidataria lamentava una serie di inadempienze delle obbligazioni di competenza dell’Amministrazione resistente; per questo notificava prima una diffida ex art. 1454 c.c. e successivamente proponeva azione giurisdizionale al giudice ordinario per la risoluzione del contratto per inadempimento.

Con delibera della Giunta n. 407 del 29.12.2003 l’Amministrazione provinciale di Taranto procedeva all’autoannullamento in sede di autotutela, per "difetto di adeguata istruttoria in ordine ai profili essenziali ai fini delle necessarie valutazioni in punto di legittimità”, delle deliberazioni di affidamento del piano di impresa.

La deliberazione n. 407/2003 è stata impugnata dinanzi al Tar di Lecce col ricorso n. 360/2004, che ha chiesto l’annullamento della delibera e degli atti presupposti, nonché il risarcimento dei danni derivanti dall’esecuzione degli atti impugnati.

Il Tar, con la qui appellata sentenza n. 4441/2004, ha respinto la richiesta risarcitoria ma ha accolto il ricorso, come da motivazione, quanto alla richiesta d’annullamento dell’atto impugnato, ritenendo quest’ultimo “sicuramente carente sotto il profilo della motivazione e della stessa sussistenza dei requisiti necessari per la legittimità del provvedimento di autotutela”.

La pronuncia del Tar è appellata dalla Provincia di Taranto, la quale prospetta:

- la esaustività motivazionale del provvedimento di autotutela emesso dalla Provincia di Taranto;

- l’erroneità della sentenza appellata; sia laddove afferma che il primo gruppo di motivi sostanziali a base dell'annullamento (serie di presunte violazioni procedurali e sostanziali commesse nell’emanazione dell’atto di affidamento) riguardano problematiche proprie della fase di affidamento, insuscettibili, come tali, di concretizzare quell’interesse pubblico concreto ed attuale necessario per dare vita al provvedimento di autotutela; sia laddove afferma la illegittimità dell'atto impugnato in prime cure nella parte in cui rileva la mancanza, nell’ATI complessivamente intesa e nei lavoratori socialmente utili interessati dal piano di impresa, dei requisiti necessari per lo svolgimento del servizio di verifica degli impianti termici.

L’appellata Chemi.Pul si è costituita per resistere, e ha depositato una memoria la quale - chiesta in limine l’espunzione dall’appello, ai sensi dell’art. 89, c.p.c., del secondo capoverso della pagina 13; formulate precisazioni in fatto; e resistito all’istanza cautelare – ha difeso gli assunti del primo giudice e riproposto i profili di illegittimità evidenziati in primo grado.

Su richiesta dell’appellante, l’istanza cautelare, già fissata per la trattazione nella camera di consiglio del 16 novembre 2004, è stata cancellata dal ruolo.

La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 18 dicembre 2012.

 

DIRITTO

In limine.

L’istanza Chemi.Pul, ai sensi dell’art. 89, c.p.c., di espunzione del secondo capoverso della pagina 13 dell’appello va respinta. Non ritiene il Collegio che quanto riportato nel capoverso in questione possa assumere, ai sensi dell'art. 89 Cod. proc. civ., i connotati propri delle "espressioni sconvenienti o offensive" delle quali si renda opportuno lo stralcio dagli atti processuali. Si tratta, infatti, di generiche espressioni critiche inerenti ai fatti di causa e alle valutazioni del giudice di prime cure, espressioni che non appaiono debordare dai limiti di esercizio del diritto di difesa (cfr. C.S., VI, 20 dicembre 2011, n. 6748).

Ciò esclude sia la natura offensiva sia per contenuti lessicali o semantici – la natura sconveniente della frase.

1.0 - Nel merito l’appello va accolto.

La sentenza appellata ha ritenuto illegittima, annullandola con gli atti connessi, la delibera della Giunta provinciale di Taranto n. 407 del 29.12.2003.

Quella delibera n. 407/2003 concretava un annullamento, in autotutela, delle deliberazioni di affidamento del piano di impresa (facenti capo in particolare alla deliberazione della medesima Giunta provinciale di Taranto n. 394 del 29.10.2001) adottato al fine di stabilizzare 48 lavoratori socialmente utili attraverso l’esternalizzazione del servizio di controllo dell’effettivo stato di manutenzione ed esercizio degli impianti termici ai sensi della legge 9 gennaio 1991, n. 10 (“Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”).

1.1 - Il Tar, accogliendo i rilievi Chemi.Pul, ha rilevato in primo luogo una carenza nella necessaria motivazione circa l’interesse alla caducazione dell’atto.

In particolare il Tar ha rilevato che l’impugnata delibera n. 407/2003 ha individuato un solo interesse suscettibile di tutela e tale da giustificare l’autoannullamento: l’interesse pubblico all’effettuazione dei controlli sugli impianti di riscaldamento.

Invece – rileva il Tar – vi erano almeno altri due interessi suscettibili di tutela, e dunque da considerare espressamente e da valutare:

- la consolidata posizione dell’ATI aggiudicataria, che proprio in virtù della propria posizione di aggiudicataria del servizio aveva già sostenuto le spese necessarie per l’esecuzione del piano di impresa (in particolare, per quello che riguarda le spese di formazione del personale) ed era quindi sicuramente titolare di una aspettativa tutelata allo svolgimento del servizio (ed agli utili di impresa conseguenti);

- la particolare natura del provvedimento di affidamento, che proprio in quanto relativo ad un piano di stabilizzazione di LSU, assumeva anche l’importantissima funzione costituita dalla stabilizzazione dei lavoratori interessati dal piano di impresa.

La mancata considerazione espressa e dunque la mancata valutazione di quei due specifici interessi, e la mancata dovuta comparazione tra le esigenze di interesse pubblico concrete ed attuali a base dell’autotutela e la posizione soggettiva consolidata degli altri soggetti interessati alla vicenda – ha ritenuto il Tar - imponevano già l’annullamento giurisdizionale dell’atto di autotutela.

In proposito l’appellante Provincia rileva che la rimozione in via di autotutela di atti illegittimi che hanno comportato indebito e continuativo esborso di denaro pubblico non richiede un'espressa motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico specifico in merito al loro annullamento né la valutazione delle posizioni dei destinatari dell’indebita erogazione; e che, comunque, la sequela motivazionale dell’atto di autotutela si è articolata su una pluralità di punti autonomamente individuati dall'Amministrazione e ritenuti oggettivamente preminenti nel perseguimento dell'interesse pubblico.

Il Collegio condivide questi rilievi.

In effetti la delibera contestata non ha motivato l’autoannullamento col generico interesse pubblico all’effettuazione dei controlli sugli impianti di riscaldamento, ma, come rilevato dall’appello, si è articolata su vari punti autonomamente individuati e indicati come oggettivamente preminenti nel perseguimento dell'interesse pubblico.

Essi, in sintesi, sono i seguenti:

1) la deliberazione di affidamento non è stata preceduta da “adeguata istruttoria in ordine a profili essenziali ai fini delle necessarie valutazioni in punto di legittimità”;

2) l’affidamento è avvenuto in mancanza delle specifiche condizioni previste dall’art. 10 del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468 (Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili, a norma dell'articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196);

3) la mancanza dei requisiti necessari per lo svolgimento del servizio, sia in capo all’ATI aggiudicataria, sia ai lavoratori socialmente utili interessati dal piano di impresa;

4) il piano di impresa non è stato previamente analizzato “nei suoi elementi strutturali di costi e di ricavi, con riguardo all’impianto strumentale-funzionale ed alla forza lavoro”;

5) le anomalie riscontrate non risultano superate da successive integrazioni, ove ammissibili, e le stesse sono tuttora persistenti.

Di questi rilievi, come esposto in prosieguo di sentenza, questo Collegio ritiene decisivo, nonché fondato e pregnante, quello sub 3), con specifico riferimento ai lavoratori socialmente utili interessati dal piano di impresa e al relativo difetto di istruttoria.

Sicché – escluso che nella fattispecie l’autoannullamento fosse finalizzato al mero ripristino della legalità, essendo invece finalizzato alla tutela di pregnanti interessi pubblici - appare applicabile alla fattispecie il principio che - mitigando il formalismo di un’acritica e illegittima valorizzazione dell’interesse dei soggetti che, beneficiati da atti illegittimi, aspirano al mantenimento di quegli atti – esime la Pubblica Amministrazione, che intenda procedere all'annullamento d'ufficio di propri atti, dal ponderare l'interesse privato in comparazione con quello pubblico, quando dall'annullamento derivi il venir meno di vantaggi che, contrastando con le finalità dell'ordinamento, debbono, per ciò stesso, essere rimossi (confr., su fattispecie relativa a illegittima attribuzione di posizioni lavorative ad elevata professionalità, Cons. g.a. 2 dicembre 2011, n. 985).

Risulta condivisibile anche il rilievo, di parte appellante, il quale esclude che il potere di autotutela di provvedimenti che comportano un illegittimo esborso di pubblico denaro non richiede una specifica valutazione/motivazione sulla sussistenza e prevalenza dell'interesse pubblico.

La Chemi.Pul sostiene in memoria che l’affidamento in questione non produce alcun esborso di denaro pubblico, ma richiama essa stessa una norma della pregressa Convenzione (contenuta nell’art. 30 di quest’ultima) che dimostra comunque un coinvolgimento finanziario pubblico, perché proprio della Provincia e della Regione Puglia.

Si legge infatti nell’articolo 30 citato: “…Le parti convengono che, in considerazione dell’alto rischio di impresa che l’attività comporterà, la Provincia verserà all’ATI il finanziamento pro capite di lire 20 milioni per ciascuno LSU stabilizzato, che riceverà dalla Regione Puglia giusta delibera di G.R. n. 838 del :26.06.01, entro 30 giorni dall’accreditamento delle somme”.

E se, come rileva l’appellata, il medesimo articolo 30 prevede anche “Nulla sarà dovuto se la Regione Puglia non dovesse riconoscere alla Provincia di Taranto alcun finanziamento, senza che ciò comporti responsabilità alcuna per l’Ente”, ciò non esclude quel coinvolgimento finanziario pubblico, poiché anche in caso di mancato finanziamento regionale: la Provincia ha sempre in carico la gestione dei lavoratori; resta possibile e assai probabile l’onere di un soggetto pubblico, quale è la Regione; restano gli oneri sociali derivanti dal costo e dalla impreparazione (v. infra) dei soggetti officiati dell’importante servizio, a valenza pubblica,di controllo dell’effettivo stato di manutenzione ed esercizio degli impianti termici.

Pertanto il Collegio ritiene che correttamente l’appellante abbia richiamato anche il principio secondo cui l'esercizio del potere di autotutela di provvedimenti che comportano un’indebita erogazione di risorse economiche della collettività non richiede una specifica valutazione/motivazione sulla sussistenza e prevalenza dell'interesse pubblico, essendo questo in re ipsa (v., per tutte, C.d.S., Sez. V, 15 novembre 2012, n. 5772).

Risulta dunque da escludere il deficit motivazionale, ravvisato dal Tar, quanto alla mancata comparazione dell’interesse pubblico con quello, privato, dell’appellata e dei lavoratori interessati dal piano di impresa.

Certamente l’interesse occupazionale di questi ultimi assume valenza anche pubblica. Ma essa non può valere, di per sé, a legittimare un non legittimo dispendio di pubbliche risorse.

1.2 - Il Collegio ravvisa altresì la condivisibilità dell’appello laddove contesta la sentenza n. 4441/2004 nella parte in cui essa sostiene che anche sotto il profilo sostanziale possa essere positivamente esclusa la stessa sussistenza dell’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento.

In proposito il percorso argomentativo della sentenza appellata, qui contestato dalla Provincia, rileva che i vizi individuati da quest’ultima ai fini dell’autotutela si riferiscono dalle seguenti due diverse serie di elementi:

a) una serie di presunte violazioni procedurali e sostanziali commesse nell’emanazione dell’atto di affidamento (mancanza di adeguata istruttoria, difetto delle condizioni previste dall’art. 10 del decreto legislativo n. 468/1997, mancata valutazione del piano nei suoi elementi strutturali di costi e di ricavi);

b) la mancanza, nell’ATI complessivamente intesa e nei lavoratori socialmente utili interessati dal piano di impresa, dei requisiti necessari per lo svolgimento del servizio di verifica degli impianti termici.

Gli elementi sub a) sono qualificati dal Tar come problematiche proprie della fase di affidamento; e per questo ritenuti insuscettibili, in questa prospettazione, di concretizzare quell’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento necessario presupposto del provvedimento di autotutela.

Gli elementi sub b) sono invece ritenuti dal Tar idonei, in termini di interesse pubblico concreto ed attuale, all’emanazione del provvedimento di autotutela ma, nell’esame complessivo della vicenda, assenti.

L’appello contesta queste argomentazioni, ed è fondato anche sotto questo profilo.

In primo luogo correttamente osserva l’appellante che le criticità sub a) (mancanza di adeguata istruttoria, difetto delle condizioni previste dall’art. 10 del decreto legislativo n. 468/1997, mancata valutazione del piano nei suoi elementi strutturali di costi e di ricavi), ritenute dal Tar insuscettibili di concretizzare il presupposto dell’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento d’autotutela perché concernenti la fase d’affidamento della procedura, non necessariamente – solo perché proprie della fase di affidamento – debbono considerarsi inidonee a concretizzare un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento in autotutela.

Infatti sia le carenze istruttorie, sia il difetto delle condizioni, previste dall’art. 10 del decreto legislativo n.468/1997 per l’occupazione dei soggetti LSU, sia la mancata valutazione dei profili strutturali di costi e di ricavi del piano, ben possono fare emergere, dopo l’emanazione dell’atto, una sua dannosa erroneità, e dunque l’esigenza di rimuoverne, nell’interesse pubblico, gli effetti.

Ciò premesso - omessa la distinzione operata dal Tar e diversamente da quanto da esso ritenuto - può osservarsi con l’appellante che, anche sotto il profilo sostanziale della vicenda, sia ravvisabile l’interesse pubblico concreto ed attuale esposto dalla Provincia – e connesso al già considerato interesse di evitare dispendio di pubbliche risorse - all’annullamento in autotutela.

In proposito il Collegio, tra i vari rilievi d’appello, ritiene decisivo quello il quale sottolinea che l’impugnato annullamento delle deliberazioni d’affidamento del piano di impresa (si rammenta, adottato al fine di stabilizzare 48 lavoratori socialmente utili attraverso l’esternalizzazione del servizio di controllo dell’effettivo stato di manutenzione ed esercizio degli impianti termici ai sensi della legge 9 gennaio 1991, n. 10) trova fra le sue ragioni fondanti (e con ricaduta sulla già constatata esigenza di evitare dispendio di pubbliche risorse) la mancanza, nei lavoratori socialmente utili interessati dal piano di impresa, dei requisiti necessari per lo svolgimento del servizio di verifica degli impianti termici.

In proposito l’atto impugnato in prime cure ha così motivato:

“I lavoratori socialmente utili contemplati nel piano di impresa, con la previsione di impiego nelle verifiche e nei confronti degli impianti termici, non sono risultati in possesso dei requisiti soggettivi di idoneità tecnica previsti dall’allegato 1 del d.p.r. 412/93, come specificati da prescrizione dell’Enea, comprendenti: a) laurea in materia tecnica specifica; b) diploma di scuola tecnica superiore con indirizzo specifico e almeno un anno di documentata esperienza lavorativa nel settore; c) attestato di formazione professionale con più di due anni di lavoro alle dipendenze di una impresa nel settore specifico; d) esperienza lavorativa qualità di operaio specializzato, non inferiore a tre anni, alle dirette dipendenze di un’impresa nel settore impiantistica idrotermosanitaria”. Ed il Tar ha escluso questa carenza.

La sentenza appellata ha rilevato che l’Allegato I al d.P.R. 26 agosto 1993, n. 412 (“Regolamento recante norme per la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'art. 4, comma 4, della l. 9 gennaio 1991, n. 10”) prevede che il personale incaricato delle verifiche debba possedere i requisiti seguenti:

a) una buona formazione tecnica e professionale, almeno equivalente a quella necessaria per l'installazione e manutenzione delle tipologie di impianti da sottoporre a verifica;

b) una conoscenza soddisfacente delle norme relative ai controlli da effettuare ed una pratica sufficiente di tali controlli;

c) la competenza richiesta per redigere gli attestati, i verbali e le relazioni che costituiscono la prova materiale dei controlli effettuati;

e che l’art. 11, comma 19 del citato d.P.R. n. 412/1993 prevede l’obbligo di affidare i controlli ad organismi esterni all’Amministrazione, forniti dei requisiti minimi di cui al citato Allegato I e la possibilità, per l’ENEA, di fornire agli enti locali che ne facciano richiesta assistenza per l'accertamento dell'idoneità tecnica dei predetti organismi.

L’ENEA – prosegue il Tar – è stata interpellata dall’Amministrazione, ed ha fornito, con nota 19.2.2002 prot. n. UDA/2002/390, un quadro dei requisiti necessari per l’effettuazione dell’attività di verificazione, contrastante (come da quadro comparativo fornito nella nota 25.11.2003 prot. n. 7420-48559 del Servizio ecologia ed ambiente) con quello previsto dal Regolamento per l’esecuzione del controllo di rendimento di combustione e dello stato di esercizio e manutenzione degli impianti termici della Provincia di Taranto, approvato con deliberazione del Consiglio provinciale n. 177 del 2001 e tenuto presente dall’ATI nella predisposizione del piano di impresa, poi approvato dall’Amministrazione provinciale.

La Provincia quindi - indotta dalla nota dell’ENEA - avrebbe avuto un ripensamento che però, secondo il primo giudice, non potrebbe svolgere alcun ruolo nella vicenda in contestazione, giacché

- il piano di impresa era stato elaborato con riferimento ai requisiti previsti alla data di riferimento e non ai requisiti più restrittivi successivamente ritenuti necessari sulla scorta della nota ENEA;

- l’autoannullamento è intervenuto in un momento in cui (come da verbale del 5.12.2003) l’ATI ricorrente aveva già accettato di conformarsi ai requisiti ENEA;

- la nota dell’ENEA non sarebbe tale da determinare i requisiti professionali per l’effettuazione dei controlli, ma assumerebbe il valore di un mero apporto consultivo/collaborativo facoltativo, e sarebbe applicabile solo se recepita in atti della Provincia, né risulta che la Provincia abbia modificato le previsioni del proprio regolamento sui controlli, per adeguarle alla nota dell’ENEA.

L’appellante Provincia contesta questi assunti del Tar, ribadendo il rilevato difetto originario dei requisiti necessari per l’affidamento del servizio ed il conseguente vizio istruttorio e sostanziale della deliberazione n. 394/2001 annullata in autotutela.

In effetti i soggetti affidatari, in virtù di quella deliberazione n. 394/2001, del servizio di controllo dell’effettivo stato di manutenzione ed esercizio degli impianti termici ai sensi della citata legge n. 10/1991, risulta fossero privi dei requisiti di legge, dallo stesso Tar indicati [ex Allegato I al d.p.r. 26 agosto 1993, n. 412: a) una buona formazione tecnica e professionale, almeno equivalente a quella necessaria per l'installazione e manutenzione delle tipologie di impianti da sottoporre a verifica; b) una conoscenza soddisfacente delle norme relative ai controlli da effettuare ed una pratica sufficiente di tali controlli; c) la competenza richiesta per redigere gli attestati, i verbali e le relazioni che costituiscono la prova materiale dei controlli effettuati].

Questa carenza di requisiti emerge:

- dalla circostanza, esposta anche dalla appellata Chemi.Pul, che è dopo la delibera 394 del 2001 (di affidamento alla Chemi.Pul delle attività da progetto) e la conseguente assunzione dei lavoratori in argomento, che questi ultimi hanno seguito corsi di formazione professionale finalizzati alla conoscenza delle mansioni da espletare;

- dalla surriferita nota ENEA prot. n. UDA/2002/390 del 19.2.2002 citata dal Tar;

- dalla nota del Servizio ecologia ed ambiente della Provincia prot. n. 884 del 5.2-2003, ove si legge che il Servizio non può attestare che i soggetti verificatori posseggono i requisiti previsti per le attività di verifica ex legge n. 10 del 1991 secondo i dettati dell’Enea;

- dalla nota del medesimo Servizio ecologia ed ambiente della Provincia prot. n. 1821 del 14.3 2003, ove si legge che la proposta di cui al Piano d’impresa è in stridente contrasto, quanto ai requisiti minimi dei “presunti verificatori (LSU e non)” con quanto stabilito dal citato d.P.R. n. 412/1993 (“Regolamento recante norme per la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'art. 4, comma 4, della l. 9 gennaio 1991, n. 10”) e successive modifiche e integrazioni;

- dalla nota del medesimo Servizio ecologia ed ambiente della Provincia prot. n. 7420-48559 del 25.11.2003, in cui si legge che “l’attività di formazione degli operatori LSU non è titolo sufficiente perché essi possano compiere autonomamente l’attività di verifica e controllo di impianti sia superiori che inferiori a 35 kW di potenza termica al focolare”.

La Sezione non condivide i rilievi del Tar sul punto.

Se per un verso l’ENEA ha fornito, con nota 19.2.2002 prot. n. UDA/2002/390, un quadro dei requisiti necessari per l’effettuazione dell’attività di verificazione che contrasterebbe (come risulta dal quadro comparativo fornito nella citata nota 25.11.2003 prot. n. 7429-48559 del Servizio ecologia ed ambiente) con i requisiti previsti dal Regolamento per l’esecuzione del controllo di rendimento di combustione e dello stato di esercizio e manutenzione degli impianti termici della Provincia di Taranto, approvato con deliberazione del Consiglio provinciale n. 177 del 2001 e tenuto presente dall’ATI nella predisposizione del piano di impresa poi approvato dall’Amministrazione provinciale, per contro la medesima nota 25.11.2003 prot. n. 7429-48559 del Servizio ecologia ed ambiente (non specificatamente contestata sul punto) nel rilevare, come già riferito, che “l’attività di formazione degli operatori LSU non è titolo sufficiente perché essi possano compiere autonomamente l’attività di verifica e controllo di impianti sia superiori che inferiori a 35 kW di potenza termica al focolare”, ha pure aggiunto che ciò trova riscontro all’art. 3 (requisiti tecnico professionali dei verificatori) proprio in quel Regolamento di cui alla deliberazione n. 177 del 2001, tenuta presente dall’ATI nella predisposizione del piano di impresa.

Sicché - diversamente da quanto rilevato dal Tar e dalla appellata - la carenza di requisiti nei LSU risultava all’Amministrazione già dal raffronto con quel Regolamento ex delibera n. 177 del 2001.

Quanto alla circostanza che l’autoannullamento è intervenuto in un momento in cui (come da verbale del 5.12.2003) l’ATI ricorrente aveva accettato di conformarsi ai requisiti ENEA, essa non incide sul dato di fatto - decisivo sui vizi oggetto dell’autotutela dell’Amministrazione – che, ab origine, i LSU erano privi dei requisiti (sia ENEA che ex citata deliberazione n. 177 del 2001).

Il Collegio dunque ritiene che le argomentazioni del Tar avverso l’annullamento in autotutela delle delibere di affidamento verifica impianti siano da riformare.

2. – Anche le censure assorbite dal Tar ma riproposte in questo grado da Chemi.Pul non sono qui condivise.

In particolare, la riproposta censura di violazione dell’art. 10 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per avere l’Amministrazione omesso di tener conto della memoria procedimentale presentata dall’ATI, va respinta perché la memoria, espressamente citata nella impugnata delibera n. 407/2003, risulta, dal complesso delle argomentazioni dell’atto impugnato, valutata - e disattesa - dall’Amministrazione, anche con riferimento ai requisiti di capacità tecnica vantati dall’ATI (v. alla pag. 7 della delibera).

Mentre può omettersi l’esame delle riproposte censure Chemi.Pul di seguito elencate:

- mancato esame e mancata esposizione in motivazione delle ragioni per le quali è stato disatteso il parere facoltativo richiesto ad Italialavoro sulla congruità del piano di impresa;

- asserita illegittimità della delibera di autotutela n. 407 del 29.12.2003 nella parte in cui afferma che le pregresse delibere n. 394/2001, n. 431/2001 e n. 141/2002 risultano assunte in difetto di adeguata istruttoria in ordine ai profili essenziali ai fini delle necessarie valutazioni in punto di legittimità;

- asserita illegittimità della delibera di autotutela n. 407 del 29.12.2003 nella parte in cui afferma che non risulta dimostrato che il servizio avesse ad oggetto lo svolgimento di attività analoghe o connesse a quelle già oggetto di progetti socialmente utili promossi dall’Ente, né la sussistenza delle altre condizioni previste dall’art. 10, comma 3, del decreto legislativo n. 468 del 1997;

- asserita illegittimità della delibera di autotutela n. 407 del 29.12.2003 nella parte in cui afferma la mancata valutazione del piano nei suoi elementi strutturali di costi e di ricavi;

- la serie di riproposte censure già formulate a chiusura del ricorso di primo grado contro vari altri atti del procedimento di autotutela contestato.

Infatti, risultando legittimo in radice, per carenza dei requisiti di legge in capo ai lavoratori officiati, l’annullamento in autotutela, quest'ultimo non sarebbe inciso all'accoglimento in appello delle diverse censure sopra elencate.

3. - In conclusione, l'appello va accolto.

Per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, va respinto il ricorso di primo grado.

Le caratteristiche della vicenda, considerata in particolare la sua complessità, inducono alla compensazione delle spese di entrambi gradi.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie.

Per l’effetto, in riforma dell'appellata sentenza, respinge il ricorso di primo grado.

Spese di entrambi i gradi compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Trovato, Presidente

Carlo Saltelli,  Consigliere

Manfredo Atzeni,       Consigliere

Fabio Franconiero,     Consigliere

Giancarlo Luttazi,      Consigliere, Estensore                      

                        L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/11/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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