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Consiglio di Stato, Sez. III, 5/5/2014 n. 2290
L'interdittiva antimafia non si collega a fatti e attività oggetto di approfondimento d'ordine penale, essendo diversi i parametri di valutazione sul piano amministrativo.

E' assodato che l'interdittiva antimafia non si collega a fatti e attività oggetto di approfondimento d'ordine penale, essendo diversi i parametri di valutazione sul piano amministrativo, bensì alle stesse emergenze giudiziarie, indizi, collegamenti societari e intrecci imprenditoriali ed economici, contatti e frequentazioni e in definitiva a un quadro che, nel complesso di tutti gli elementi e prescindendo dalle singole circostanze, rende plausibile e giustifica l'adozione dell'interdittiva quale specifica misura di tutela anticipata volta a prevenire e/o stroncare ogni possibile "inquinamento" delle aziende, degli appalti pubblici e quindi dell'attività della P.A., posto in essere notoriamente anche attraverso operazioni apparentemente legittime ma fittizie tipiche delle organizzazioni mafiose.

Materia: appalti / disciplina

N. 02290/2014REG.PROV.COLL.

 

N. 01377/2014 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1377 del 2014, proposto da:

Società Edil.Re.Co.S. srl, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Abbamonte, con domicilio eletto presso Studio Titomanlio-Abbamonte in Roma, via Terenzio, 7;

 

contro

Ministero dell'Interno e U.T.G. - Prefettura di Napoli; Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali; Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI - SEZIONE I n. 05107/2013, resa tra le parti, concernente mancata aggiudicazione lavori di consolidamento e restauro delle strutture della Casa delle Pareti Rosse in Pompei Scavi a seguito di informativa interdittiva antimafia

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’U.T.G. - Prefettura di Napoli, del Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali e della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 aprile 2014 il Cons. Vittorio Stelo e uditi per le parti l’avvocato D'Angiolella e l’avvocato dello Stato A. Collabolletta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Il Tribunale amministrativo regionale della Campania – Napoli – Sezione I, con sentenza n. 5107 del 6 novembre 2013 depositata il 14 novembre 2013, ha respinto, con compensazione delle spese, il ricorso con motivi aggiunti proposto dalla Edil.Re.Co.S. s.r.l., con sede in Boscoreale (NA), avverso l’informativa interdittiva antimafia n. I/31-711 del 22 gennaio 2013 adottata dalla Prefettura di Napoli, e atti istruttori connessi, nonché avverso i provvedimenti n. 5127 del 14 febbraio 2013 e n. 92 del 30 maggio 2013, e atti connessi, con i quali la Soprintendenza speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei ha disposto rispettivamente di non procedere all’aggiudicazione, a favore della società ricorrente, dell’appalto per i lavori di consolidamento e restauro delle strutture della Casa della Pareti Rosse in Pompei Scavi e di procedere alla aggiudicazione definitiva dei lavori alla Forte Costituzione Restauri s.r.l..

Il giudice di primo grado, dopo aver puntualmente riportato gli orientamenti ormai unanimente espressi anche da questo Consiglio in materia, ha illustrato esaurientemente gli elementi posti a base dell’interdittiva e in particolare le risultanze investigative delle forze di polizia e del G.I.A. (Gruppo interforze antimafia) ritenendo che il quadro indiziario complessivo, supportato anche da intercettazioni telefoniche, motivasse idoneamente e comprovasse la legittimità dell’interdittiva stessa.

Si richiamano quindi: la parentala fra il signor U., amministratore unico e socio di maggioranza della società ricorrente, e la figlia, arrestata per reati di rilevanza mafiosa con altri soggetti, moglie di persona arrestata in Spagna per detenzione di 57 kg di cocaina e cognata del di lui fratello con ruolo di vertice nell’organizzazione criminale; intestazione fittizia di beni appartenenti a clan mafioso, e in particolare di acquisto fittizio di immobile da parte dell’amministratore e intestato alla figlia; gestione e utilizzo di fondi provenienti dalle attività del clan G. e di conto corrente sempre del clan; costante contatto fra i membri delle famiglie e gli esponenti del clan; il qualificato e intenso rapporto di parentela e il contesto geografico e ambientale; l’irrilevanza, nella fattispecie così configurata, dell’assoluzione della suddetta figlia dall’imputazione a lei ascritta perché il fatto non sussiste; la condanna del cognato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p..

2. La Edil.Re.Co.S. s.r.l., con atto notificato il 6 febbraio 2014 e depositato il 18 febbraio 2014, ha interposto appello, insistendo in particolare sulla insussistenza dei presupposti dell’informativa impugnata.

Si sostiene infatti che l’interdittiva si basa sul solo rapporto di parentela con la figlia e sull’acquisto nel 2007 di un immobile asseritamente fittizio ma senza alcuna prova, in quanto invece eseguito correttamente, come da perizia depositata, con assegno di € 90.000,00, esclusivamente come padre a favore della figlia, convivente con il signor G. e con tre figli, e iscritta nel nucleo familiare della madre del G.; per di più la figlia è stata assolta con formula piena e quella sentenza fa stato anche nei giudizi amministrativi; nessun collegamento con clan mafiosi emerge a suo carico dagli atti.

Con memoria depositata il 25 marzo 2014 sono stati replicati sinteticamente i motivi dell’appello.

Il legale della Società, con atto depositato all’udienza pubblica del 15 aprile 2014, ha chiesto i termini per l’integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 95 c.p.a., nei confronti della società aggiudicataria della gara e quindi contro interessata.

3. Il Ministero dell’Interno e quello per i Beni e le Attività culturali, l’U.T.G. – Prefettura di Napoli e la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei si sono costituiti con mero atto formale dell’Avvocatura generale dello Stato depositato il 27 febbraio 2014.

4. La causa, all’udienza pubblica del 15 aprile 2014, è stata trattenuta in decisione.

5. Si premette che la Sezione ritiene di poter prescindere dalla richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti della società contro interessata, posto che l’appello è infondato e la sentenza impugnata merita conferma, dovendosi condividere le puntuali ed esaurienti argomentazioni già svolte dal T.A.R. e alle quali si fa richiamo anche per esigenze di economia processuale.

In effetti l’interdittiva antimafia gravata in primo grado e qui di nuovo contestata contiene gli elementi indispensabili per configurare, in fatto e in diritto, la fattispecie all’esame, sottolineando il legame di contiguità, supportato dai rapporti delle forze dell’ordine e del G.I.A., fra il vertice del clan G. e quello dell’Edil.Re.Co.S. e che si concretava attraverso la gestione dei fondi provenienti dall’attività del clan e il rapporto di parentela.

Il T.A.R. quindi ha esposto e illustrato quegli elementi sintomatici e, sulla base dei consolidati principi giurisprudenziali e di una connessa specifica valutazione dei fatti in questione, ha confermato la sussistenza del quadro indiziario complessivo tale da far ritenere concreti l’infiltrazione e il condizionamento del clan mafioso nei riguardi della società ricorrente anche in relazione all’ambito geografico.

In effetti il giudizio prognostico non è basato solo sulla parentela e sull’acquisto fittizio di un immobile, come sostenuto assertivamente con l’appello all’esame che si limita a rappresentare i due detti elementi in modo asettico e atomistico, bensì sul loro intreccio, come emerge anche da intercettazioni telefoniche evidenziate pure dal T.A.R., con una gestione da parte del sodalizio criminale della complessa attività e di contatti anche finanziari tale da rendere evidente l’intrusione, in potenza e in atto, anche nella gestione della società appellante.

Tale valutazione prescinde sì motivatamente pure dall’esito favorevole della vicenda penale della figlia dell’amministratore delegato, che pure ha visto condannare per il 416 bis c.p. il fratello del compagno che veniva arrestato in Spagna per delitto di droga, e che ha posto comunque in evidenza contatti e coinvolgimenti di vario genere delle famiglie con esponenti del clan in quello specifico contesto ambientale.

Ed è assodato che l’interdittiva non si collega a fatti e attività oggetto di approfondimento d’ordine penale, essendo diversi i parametri di valutazione sul piano amministrativo, bensì alle stesse emergenze giudiziarie, indizi, collegamenti societari e intrecci imprenditoriali ed economici, contatti e frequentazioni e in definitiva a un quadro che, nel complesso di tutti gli elementi e prescindendo dalle singole circostanze, rende plausibile e giustifica l’adozione dell’interdittiva quale specifica misura di tutela anticipata volta a prevenire e/o stroncare ogni possibile “inquinamento” delle aziende, degli appalti pubblici e quindi dell’attività della P.A., posto in essere notoriamente anche attraverso operazioni apparentemente legittime ma fittizie tipiche delle organizzazioni mafiose.

Ed è indubbio che nel caso di specie sussiste oggettivamente il quadro indiziario delineato nell’informativa prefettizia e confermato dal T.A.R.

6. Per le considerazioni che precedono l’appello va respinto e la sentenza impugnata va confermata.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio da liquidarsi in complessivi € 3000,00 (tremila) a favore delle controparti unitariamente costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo,         Presidente

Vittorio Stelo, Consigliere, Estensore

Angelica Dell'Utri,     Consigliere

Roberto Capuzzi,       Consigliere

Hadrian Simonetti,     Consigliere

                       

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

                       

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/05/2014

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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