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Consiglio di Stato, Sez. V, 14/10/2014 n. 5079
Una società può essere considerata in house quando l'amministrazione partecipante sia titolare del potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo.

Sulla partecipazione privata al capitale di società asseritamente in house.

L'attività della società in house pluripartecipate deve essere limitata allo svolgimento dei servizi pubblici nel territorio degli enti pubblici che ne risultino soci.

Una società può essere considerata in house quando l'amministrazione partecipante sia titolare del potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei componenti degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo. Infatti, solo con la nomina della maggioranza degli organi di direzione l'ente pubblico partecipante è posto nelle condizioni di indirizzare l'attività dell'ente partecipato verso il raggiungimento di finalità di pubblico interesse affidate alla sua cura, e che invece correrebbero il rischio di non potere essere attuate laddove il 'governo societario' fosse attribuito ai soci privati.

Anche una partecipazione di minoranza di un soggetto privato al capitale di una società in mano pubblica esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi. Inoltre, la partecipazione privata al capitale di società asseritamente in house comporta, da un lato, una deviazione rispetto al fine pubblico cui questa dovrebbe tendere (e, dall'altro lato, un indebito beneficio concorrenziale per il socio privato conseguente agli affidamenti disposti in via diretta dall'amministrazione partecipante.

Materia: società / partecipazione pubblica

N. 05079/2014REG.PROV.COLL.

 

N. 06877/2014 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso numero di registro generale 6877 del 2014, proposto dalla Carbotermo s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Sansone e Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, viale Giulio Cesare, 14/4, sc. A;

 

contro

Il Comune di Varese, rappresentato e difeso dall'avvocato Umberto Fantigrossi, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria 2;

 

nei confronti di

Varese Risorse s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Todarello e Giovanni Corbyons, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, via Cicerone 44;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, SEZIONE I, n. 1100/2014, resa tra le parti, concernente la convenzione inerente il piano generale di riscaldamento degli immobili del Comune di Varese;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Varese e di Varese Risorse s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 agosto 2014 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Pafundi, Fantigrossi e Corbyons;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con distinti ricorsi, successivamente riuniti per connessione, le s.r.l. Hydroterm e Fratelli Fumagalli, da un lato, e la Carbotermo s.p.a. dall’altro lato, impugnavano davanti al TAR Lombardia – sede di Milano gli atti con i quali il Comune di Varese aveva affidato in via diretta alla propria partecipata Varese Risorse s.p.a. il servizio di gestione del calore di 26 immobili comunali di proprietà o in uso dell’amministrazione, per una durata di 12 anni (dal 1° ottobre 2013 al 31 dicembre 2025) ed un importo complessivo di € 14.118.575,55 (delibera di giunta comunale n. 246 del 16 maggio 2013 e determinazione dirigenziale n. 619 del 2 luglio 2013). Le società ricorrenti censuravano l’affidamento del servizio in via diretta e chiedevano che venisse conseguentemente dichiarata:

- l’inefficacia del contratto stipulato tra l’amministrazione resistente e la società controinteressata, vale a dire dell’<<atto aggiuntivo ed integrativo della convenzione per la concessione del servizio pubblico di riscaldamento urbano nell’ambito del territorio comunale>>, di data 5 luglio 2013 (rep. n. 31433);

- nonché, per quanto potesse occorrere, la nullità parziale della convenzione richiamata, stipulata in data 2 agosto 1989 (rep. n. 25199), avente appunto ad oggetto la concessione in favore della medesima Varese Risorse del servizio di teleriscaldamento urbano, con scadenza prevista a fine 2025.

2. Il TAR adito respingeva le impugnative.

Disattendendo un primo ordine di censure formulate nei ricorsi, il TAR, in dichiarata applicazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in materia di esercizio congiunto del controllo analogo su società in house pluripartecipate (sentenza 29 novembre 2012, C-182/11 e 183/11, Econord), statuiva che il requisito in questione era nel caso di specie rispettato, in considerazione della quota azionaria pari al 9,8% detenuta dal Comune di Varese nel capitale sociale della Aspem s.p.a., a sua volta partecipante totalitaria della Varese Risorse, e dunque in forza di un controllo di tipo indiretto; nonché tenuto conto dei connessi patti parasociali (datati 15 gennaio 2009), in forza dei quali all’amministrazione comunale è attribuito il diritto di nominare <<tre componenti (su sette) del consiglio di amministrazione della stessa controllante, e, per quel che più interessa, due componenti (su cinque) della società controinteressata, nonché un sindaco effettivo e un sindaco supplente del collegio sindacale della stessa>>.

3. Quanto alle restanti censure, dirette a negare che il contestato contratto di affidamento del servizio di gestione del calore fosse riconducibile all’originario rapporto concessorio del 1989, il giudice di primo grado evidenziava che le prestazioni dedotte nel primo, <<pur essendo inquadrate nel rapporto concessorio>>, nondimeno <<potrebbero evidenziare elementi riconducibili a un appalto di servizi>>, ma che, in ogni caso, le stesse <<risultano, comunque, strumentali al soddisfacimento di specifiche esigenze del Comune, perseguito mediante un legittimo affidamento diretto a una società in house>>. Su questo punto, il TAR soggiungeva che il corrispettivo stabilito dalle parti non era stato pattuito ex novo, come invece sostenuto dalle ricorrenti, avendo la Varese Risorse offerto ribassi percentuali <<rispetto alle condizioni delle convenzioni Consip>>, costituenti parametri inderogabili ai sensi del d.l. sulla c.d. spending review n. 95/2012 (conv. con modificazioni con l. n. 135/2012).

4. La sola Carbotermo ha proposto appello, nel quale contesta tutte le statuizioni rese dal TAR e ripropone le censure e le domande originariamente azionate.

5. Resistono all’appello il Comune di Varese e la s.p.a. Varese Risorse.

 

DIRITTO

1. Con i primi due motivi, la società appellante Carbotermo contesta che il Comune di Varese sia in grado di svolgere sulla Varese Risorse un controllo analogo a quello sui propri servizi idoneo a configurare l’in house providing.

La società deduce al riguardo che tale controllo fa capo alla A2A s.p.a. <<nota Multi Utiliy quotata in borsa, partecipata da numerosi azionisti privati>>, in virtù del fatto che questa è titolare del 90% delle azioni della Aspem s.p.a., a sua volta partecipante totalitaria della controinteressata.

Sul punto, la Carbotermo nega inoltre che siano conferenti al caso di specie i principi affermati dalla Corte di giustizia nella sentenza Econord del 29 novembre 2012, richiamata dal TAR, dal momento che questa pronuncia è stata resa allorché la Aspem era a totale partecipazione pubblica, e dunque prima che il relativo controllo venisse acquisito da A2A.

2. Nel terzo motivo d’appello la Carbotermo contesta la sussistenza di un affidamento in house sotto il distinto profilo del sindacato di voto valorizzato dal giudice di primo grado.

A questo riguardo, con un primo ordine di doglianze l’appellante nega che tra A2A e Comune di Varese siano stati stipulati dei patti parasociali, eccependo che l’amministrazione resistente si è limitata a produrre nel presente giudizio <<una mera lettera su carta intestata A2A che non è sottoscritta dal Comune di Varese>>. Con un secondo ordine di censure, la Carboterno sostiene che, in ogni caso, da tali patti si trae la conclusione contraria a quella cui è giunta il TAR, perché gli stessi consentono al Comune di Varese di nominare una quota minoritaria di amministratori e sindaci di Varese Risorse, mentre la maggioranza è espressa da A2A.

A conclusione del motivo in esame, la società appellante deduce inoltre che la controinteressata <<è una società aperta all’esterno>>, essendo statutariamente prevista la possibilità che questa acquisisca partecipazioni in altre società.

3. Nel quarto e quinto motivo d’appello la Carbotermo lamenta l’insufficiente motivazione e la mancata pronuncia sulle censure e sulle domande del ricorso di primo grado con le quali aveva dedotto, rispettivamente:

- la non riconducibilità del servizio di gestione dell’energia affidato a Varese Risorse nel 2013 alla convenzione del 2 agosto 1989, con cui alla medesima società era stato concesso il servizio pubblico di teleriscaldamento urbano, e la conseguente necessità per il primo di rispettare le norme sull’evidenza pubblica;

- la nullità di tale convenzione, ai sensi dell’art. 1418, secondo comma, in relazione agli artt. 1325 e 1346 cod. civ., nella specifica parte concernente la predetta estensione dell’affidamento in favore della concessionaria Varese Risorse (artt. 2 e 6 della convenzione).

5. Nel resistere all’appello, il Comune di Varese pone invece in evidenza la connessione esistente tra il servizio in contestazione e la concessione per la gestione del servizio pubblico di teleriscaldamento originariamente affidato alla medesima controinteressata. Quanto al requisito del ‘controllo analogo’, l’amministrazione appellata rileva che la A2A s.p.a. è a sua volta controllata dai Comuni di Milano e Brescia (ciascuno con una quota del 27,45% del capitale sociale), oltre che dallo stesso Comune di Varese, per una quota pari allo 0,7%, e ribadisce inoltre di esercitare un controllo <<stringente>>, sia su Aspem che, <<direttamente>>, in virtù dei patti parasociali del 15 gennaio 2009, su Varese Risorse.

6. Dal canto suo, quest’ultima deduce che nella convenzione per la gestione del servizio di teleriscaldamento del 2 agosto 1989 era previsto l’impegno del Comune ad affidare la gestione delle proprie utenze alla concessionaria, entro 5 anni, e mediante <<apposito atto aggiuntivo>> (art. 6), al fine di estendere il servizio di fornitura del calore anche agli immobili ed ai relativi impianti, anche se <<non interconnessi con il sistema di distribuzione del teleriscaldamento>>(art. 2). In base a tali accordi, la controinteressata sostiene che l’affidamento del servizio in contestazione nel presente giudizio costituisce <<un servizio già attribuito alla resistente nell’ambito della Convenzione>>, determinante del sinallagma contrattuale fissato in quest’ultima, ed integrato, per gli aspetti di dettaglia non previsti nella medesima convenzione, dalle condizioni <<previste dalla convenzione CONSIP Gestione Servizio Integrato Energia 2 Lotto 2>>.

7. Così riassunte le opposte prospettazioni delle parti in causa, il Collegio reputa prioritario l’esame del quarto motivo d’appello, cui è strettamente connesso il quinto motivo.

Infatti, rispetto all’accertamento della legittimità dell’affidamento diretto in contestazione sotto lo specifico profilo del rispetto dell’in house providing, oggetto dei primi tre motivi, risulta evidentemente presupposta la questione diretta a stabilire se si tratti di un nuovo affidamento, come assume Carbotermo, o, come invece sostengono le appellate, dell’estensione del servizio pubblico di teleriscaldamento originariamente disposto dal Comune di Varese alla propria partecipata Varese Risorse.

8. Tanto precisato, come deduce la stessa amministrazione comunale appellata, occorre innanzitutto rilevare che il servizio in questione non si risolve nella sola fornitura del calore, ma in un coacervo di attività comprendenti anche la riqualificazione degli impianti termici e la relativa gestione e manutenzione.

Ciò non è contestato, e si evince in via documentale dal contratto in data 5 luglio 2013, intitolato come visto sopra: <<atto aggiuntivo ed integrativo della convenzione per la concessione del servizio di teleriscaldamento urbano nell’ambito del territorio comunale>>; ed inoltre dalla presupposta delibera giuntale di affidamento diretto del servizio, n. 246 del 16 maggio 2013, impugnata dalla Carbotermo.

In particolare, il contratto prevede l’affidamento a Varese Risorse della<<gestione delle centrali termiche dei ventisei immobili comunali adibiti a finalità pubbliche>> (art. 1); la gestione, a sua volta, comprende le attività di <<(i) fornitura di combustibili per gli impianti per la climatizzazione invernale (…); (ii) conduzione e manutenzione degli impianti per la climatizzazione invernale e delle apparecchiature poste all’interno delle centrali termiche (…); (iii) manutenzione degli impianti interni, intesa come attività di adeguamento normativo e di riqualificazione energetica da svolgersi all’interno degli edifici>> (art. 3); il tutto per un corrispettivo consistente in un canone annuo ottenuto applicando prezzi unitari parametrati al <<valore lordo riscaldato>>, e determinato in contratto in complessivi € 1.147.851,67 al lordo di Iva (art. 5).

9. Come deduce l’appellante, oggetto del contratto è quindi il <<servizio energetico>> di cui all’art. 2, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 115/2008 [“Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE”; ora sostituito dal <<contratto di rendimento energetico o di prestazione energetica>>, così come definito dall’art. 2, comma 2, lett. n), d.lgs. n. 102/2014 (“Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE”)].

Il citato 2, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 115/2008, vigente all’epoca dei fatti di causa, definisce nei seguenti termini il servizio energetico: <<la prestazione materiale, l'utilità o il vantaggio derivante dalla combinazione di energia con tecnologie ovvero con operazioni che utilizzano efficacemente l'energia, che possono includere le attività di gestione, di manutenzione e di controllo necessarie alla prestazione del servizio, la cui fornitura é effettuata sulla base di un contratto e che in circostanze normali ha dimostrato di portare a miglioramenti dell'efficienza energetica e a risparmi energetici primari verificabili e misurabili o stimabili>>.

Da tale definizione normativa si ricava dunque che il servizio energetico è deducibile in un contratto bilaterale e sinallagmatico tra il <<fornitore dei servizi energetici>> ed il <<cliente finale>>, individuati anch’essi nella norma definitoria in esame, rispettivamente alle lett. bb) e p).

Peraltro, già prima del d.lgs. n. 115/2008 il regolamento di cui al d.p.r. n. 412/1993 (“recante norme per la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'art. 4, comma 4, della legge 9 gennaio 1991, n. 10”) disciplinava il <<contratto servizio energia>> [art. 1, lett. p)], il quale era individuato come <<l'atto contrattuale che disciplina l'erogazione dei beni e servizi necessari a mantenere le condizioni di comfort negli edifici nel rispetto delle vigenti leggi in materia di uso razionale dell'energia, di sicurezza e di salvaguardia dell'ambiente, provvedendo nel contempo al miglioramento del processo di trasformazione e di utilizzo dell'energia>>.

10. Le norme ora richiamate conducono a qualificare il contratto in contestazione nel presente giudizio come appalto pubblico di servizi ex art. 3, comma 10, d.lgs. n. 163/2006.

Ciò per la decisiva considerazione che le prestazioni cui il fornitore del servizio si obbliga ad eseguire sono destinate a produrre utilità materiali che l’amministrazione appaltante è contrattualmente titolata ad acquisire al proprio patrimonio in via definitiva, e che consistono nell’energia termica necessaria a riscaldare i propri immobili e nella connessa riqualificazione impiantistica, oltre che nella gestione e manutenzione di detti impianti.

Sotto questo profilo è dunque possibile cogliere la strumentalità del servizio ad esigenze dell’amministrazione, come peraltro rilevato anche dal TAR (al punto 6 della parte “in diritto” della sentenza appellata), vale a dire l’elemento che contraddistingue gli appalti pubblici di servizi dalle concessioni di servizi definite al successivo comma 12 della sopra citata disposizione del codice dei contratti pubblici.

11. Inoltre, da un altro angolo visuale, in modo del tutto puntuale la società appellante evidenzia che il corrispettivo del servizio in questione non è determinato secondo criteri omogenei a quelli della concessione del servizio pubblico di teleriscaldamento urbano del 1989.

Come infatti risulta dall’atto aggiuntivo del 2013 e dalla prodromica proposta contrattuale di Varese Risorse, poi accettata con la delibera giuntale qui impugnata, il corrispettivo dovuto a quest’ultima è calcolato mediante ribassi percentuali sulle condizioni stabilite nella convenzione Consip SIE2, relativa appunto al “servizio integrato energia”.

In base a queste ultime, il criterio di determinazione del corrispettivo non è semplicemente ancorato al costo di produzione del calore, come invece previsto nella convenzione del 2 agosto 1989 (all’art. 10), ma al prezzo unitario del servizio energia elaborato dalla citata centrale pubblica di acquisti per la predetta convenzione. Il prezzo viene in particolare determinato attraverso una formula matematica fondata sull’impiego di parametri (andamento climatico effettivo, ore e volumi riscaldati) in grado di inglobare nel prezzo finale anche la remunerazione degli investimenti sostenuti dal fornitore del servizio nella riqualificazione energetica degli impianti, e dunque di ragguagliare il corrispettivo agli obiettivi di efficiente rendimento prefissati nello schema tipico in cui il contratto si inserisce a mente delle norme di settore sopra richiamate.

12. In ragione di quanto finora evidenziato, si deve pertanto concludere che il contratto concluso dalle parti appellate in data 5 luglio 2013 è funzionalmente autonomo rispetto alla concessione del servizio di teleriscaldamento urbano affidato nel 1989 alla Varese Risorse.

13. Ciò è confermato da ulteriori elementi di prova, ricavabili in particolare dai documenti correttamente versati agli atti del giudizio di primo grado dallo stesso Comune di Varese.

Si allude in primo luogo alla nota dell’amministrazione in data 11 dicembre 2013, consistente nel <<report sullo stata di attuazione alla data del 9/12/2013>> del contratto in contestazione, in cui il dirigente competente riferisce che Varese Risorse ha eseguito il rifacimento delle centrali termiche dei 26 immobili comunali mediante loro trasformazione <<a metano o biomassa>>, per un valore di oltre 2 milioni di euro.

In secondo luogo, nel precedente comunicato stampa congiunto in data 15 ottobre 2013, le due odierne appellate enfatizzano la celerità con cui sono stati svolti i lavori di <<riconversione delle centrali termiche da gasolio a gas naturale, resa possibile dall’affidamento da parte di Varese della gestione calore a Varese Risorse Gruppo A2A, società che dal 1990 gestisce il servizio pubblico di teleriscaldamento della città di Varese e ha titolo, per espressa previsione convenzionale, per fornire il servizio energia alle utenze comunali>>.

Nello specificare i lavori eseguiti, si legge nel comunicato in esame che <<la parte più impegnativa ha riguardato la rimozione delle caldaie a gasolio, con successiva bonifica dei loro serbatoi di stoccaggio (…) e la posa di nuove caldaie a condensazione ad alta efficienza energetica (…). La posa delle caldaie a combustione a gas metano ha richiesto l’intervento di ASPEM s.p.a., società che controlla al 100% Varese Risorse – intervenuta, tramite il proprio Servizio Distribuzione Gas, per la realizzazione dei collegamenti, “portando” i tubi fino a tutte le nuove centrali termiche (…). La posa di caldaie a condensazione ad alto rendimento energetico ha richiesto la realizzazione di nuove canne fumarie, la sostituzione di tutti i dispositivi di centrale quali pompe, valvole di sicurezza, elettrovalvole, sensori di gas, raccorderie, quadri elettrici, tubi scarichi e in alcuni casi veri e propri interventi di riqualificazione edilizia dei locali dedicati a ospitare la caldaia (…). Realizzato il cambio delle caldaie, l’attenzione si è spostata all’interno dei singoli ambienti degli stabili comunali: sono state poste sui termosifoni di ogni locale valvole termostatiche che consentono non solo di impostare ma anche di controllare la temperatura dell’ambiente (…). L’investimento sostenuto da Varese Risorse per il complessivo intervento di riconversione delle centrati termiche ammonta a oltre 2 milioni di euro; la società di occuperà della gestione degli impianti per la durata di 12 anni, per il corrispettivo versato dal Comune di Varese di un canone annuo di circa 1 milione di euro>>.

14. Dalla documentazione esaminata non emerge alcuna connessione tra gli immobili comunali ed il servizio di teleriscaldamento.

Posto infatti che con quest’ultimo il calore viene fornito attraverso una rete di tubazioni di acqua riscaldata e di connessi impianti terminali, in modo da assicurare la termoconvezione dalla fonte di generazione dell’energia, solitamente consistente in una centrale unitaria di produzione, non è stato chiarito quale sia il collegamento a tale sistema dell’intervento di riqualificazione affidato a Varese Risorse e qui in contestazione, visto che in base alle fonti ufficiali dell’amministrazione poc’anzi esaminate quest’ultimo è consistito nella riconversione degli impianti termici da gasolio a gas naturale con singole caldaie a condensazione.

Pertanto, quand’anche una connessione con il servizio pubblico di teleriscaldamento vi sia - come sostengono le medesime appellate - questa è meramente soggettiva, basata cioè sul solo fatto che il concessionario è stato in grado di offrire al Comune di Varese la gestione del riscaldamento dei suoi immobili, tra l’altro avvalendosi della posizione di mercato acquisita proprio in virtù della concessione del servizio di teleriscaldamento per detto Comune.

Quest’ultima notazione conferma ulteriormente che l’<<atto aggiuntivo>> del 5 luglio 2013, pur richiamandosi alla concessione del servizio pubblico di teleriscaldamento urbano, ha ad oggetto un autonomo servizio, strumentale ai bisogni dell’ente comunale affidante e da quest’ultimo reperito dal mercato.

Né può sostenersi che di tale servizio si era tenuto conto nella determinazione dell’alea contrattuale della concessione del servizio di teleriscaldamento urbano. Dalla convenzione avente ad oggetto quest’ultima, non risultano infatti elementi tali da far ritenere determinabile il presumibile valore della fornitura di calore a favore degli immobili comunali, oltre che delle necessarie opere di adeguamento impiantistico.

E ciò è confermato, ai sensi dell’art. 1362, comma secondo, cod. civ., dal fatto che la previsioni convenzionali dirette alla stipula dell’atto aggiuntivo in esame sono state largamente disattese, essendo avvenuto ciò nel 2013, ben oltre il termine di cinque anni previsto.

15. Pertanto, come ancora una volta rileva in modo puntuale la Carbotermo, l’affidamento del 2013 è stato disposto in violazione dell’art. 15 d.lgs. n. 115/2008, il cui comma 2 obbliga le pubbliche amministrazioni che intendano affidare gli <<appalti di cui al comma 1>>, ovverossia quelli per la <<gestione dei servizi energetici>> di cui si è trattato finora, ad individuare i relativi <<operatori economici che possono presentare le offerte (…) secondo le procedure previste dall'articolo 55 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 >>.

Per effetto del combinato dell’art. 15 d.lgs. n. 115/2008 con quella, da essa richiamata, del codice dei contratti pubblici, il Comune di Varese avrebbe dovuto seguire le modalità ordinarie di scelta del contraente privato imposte dall’evidenza pubblica comunitaria ed interna, tenuto oltretutto conto dell’importo contrattuale, attestantesi ben oltre la soglia di rilevanza valevole per le autorità non governative in caso di affidamento di appalti di servizi (€ 200.000, ai sensi del regolamento UE n. 1251/2011 della Commissione del 30 novembre 2011, “che modifica le direttive 2004/17/CE, 2004/18/CE e 2009/81/CE del Parlamento europeo e del Consiglio riguardo alle soglie di applicazione in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti”, applicabile ratione temporis).

Il quarto motivo d’appello è dunque fondato sotto i profili ora evidenziati.

16. E’ invece inammissibile il quinto motivo, con cui la Carbotermo domanda che sia accertata la nullità parziale della convenzione del 2 agosto 1989.

In base all’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), cod. proc. amm., la cognizione del giudice amministrativo sui contratti della pubblica amministrazione è strettamente limitata alla pronuncia di inefficacia derivante dall’accertamento di vizi verificatesi nella fase dell’evidenza pubblica prodromica alla stipulazione del contratto, tali da determinare l’annullamento dell’aggiudicazione. Per contro, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 28 dicembre 2007, n. 27169), non è consentito al giudice amministrativo accertare con efficacia di giudicato l’esistenza di una patologia tipicamente negoziale, non derivante cioè dalla violazione delle norme sull’evidenza pubblica al cui rispetto le amministrazioni pubbliche sono tenute prima di stipulare contratti, come appunto nel caso di specie, in cui la Carbotermo enuclea un vizio di nullità strutturale ex artt. 1418, comma secondo, e 1346 cod. civ. della convenzione del 1989, consistente nell’indeterminatezza delle prestazioni oggetto dello stipulando atto aggiuntivo

17. Il motivo sarebbe peraltro inammissibile anche per carenza di interesse.

Infatti, salva la questione dell’esistenza dei presupposti dell’in house providing, oggetto degli altri motivi d’appello, la violazione delle norme sull’evidenza pubblica accertata in sede di esame del quarto motivo costituisce ragione astrattamente sufficiente a condurre ad una pronuncia di illegittimità dell’affidamento del servizio in contestazione nel presente giudizio e ad una conseguente dichiarazione di inefficacia del contratto.

Per contro, la legittimità dal punto di vista civilistico dell’atto aggiuntivo stipulato nel 2013, in quanto riconducibile all’impegno delle parti odierne appellate contenuto nei sopra citati artt. 2 e 6 della convenzione del 1989, costituisce questione del tutto distinta rispetto alla verifica dell’osservanza delle norme sull’evidenza pubblica da parte dell’amministrazione. Le norme ora menzionate, infatti, conformano in modo inderogabile il procedimento di formazione della volontà negoziale dell’amministrazione, così da rendere irrilevanti nei confronti dei terzi titolari di legittimi interessi al rispetto delle stesse eventuali impegni contrattuali in contrasto con le stesse.

18. Il motivo sarebbe comunque infondato anche nel merito, perché non vi è alcuna indeterminatezza dell’oggetto dei medesimi artt. 2 e 6 della convenzione in esame. Dall’esame di tali clausole convenzionali, risulta che il Comune di Varese era obbligato ad affidarsi alla Varese Risorse anche per la gestione del servizio calore per i propri immobili, ed ancorché i relativi impianti non fossero interconnessi con la rete di teleriscaldamento.

L’obbligo è dunque sufficientemente specifico, mentre la fissazione degli elementi fondamentali del servizio era chiaramente rimessa alla successiva stipulazione dell’atto aggiuntivo, poi in effetti avvenuta.

19. A questo punto, devono essere esaminati i primi tre motivi d’appello.

L’esame può avvenire in modo congiunto, stante la connessione da cui gli stessi sono avvinti, derivante dalla contestazione dei presupposti dell’in houseproviding, la cui sussistenza avrebbe consentito all’amministrazione di sottrarsi all’obbligo della gara.

20. Tutti i motivi sono da accogliere.

21. Può innanzitutto essere apprezzata la fondatezza del terzo motivo.

Al contrario di quanto ritenuto dal TAR, infatti, il sindacato di voto tra Comune di Varese e A2A, in forza del quale i soci stipulanti sono tenuti ad esercitare i propri diritti di voto in Varese Risorse (e sulla controllante di questa Aspem) in modo che al primo spetti la nomina di 2 amministratori sui 5 componenti il consiglio d’amministrazione della società controinteressata (e 3 su 7 nella Aspem), lungi dall’attribuire al Comune appellato il controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, fornisce la conferma che quest’ultimo spetta invece alla A2A, cui è attribuita la nomina di tutti gli altri amministratori, tra cui l’amministratore delegato di Varese Risorse.

I patti parasociali in esame si limitano in altri termini a ridurre, senza eliminarlo, il divario tra socio pubblico e A2A.

A quest’ultima, inoltre, deve essere attribuita la qualità di socio privato vista la sua (incontestata) vocazione commerciale, di società multiservizi, attiva nel mercato dell’energia elettrica ed ambientali, e la sua apertura all’azionariato privato derivante dall’essere quotata in borsa (il tutto come tra l’altro risultante dalle premesse dei patti parasociali del 15 gennaio 2009, punto “B”). Pertanto, sebbene in essa vi siano partecipazioni di riferimento dei Comuni di Milano e Brescia, complessivamente pari al 55% del capitale, queste si collocano nell’ambito dell’<<attività d'impresa di enti pubblici>>, consistente nell’<<erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza>>, antitetica all’attività amministrativa in forma privatistica che invece connota il fenomeno delle società partecipante, secondo la dicotomia tracciata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 326 del 1° agosto 2008.

Dal canto suo, la Corte di giustizia della Unione europea ha statuito che l'attività della società in house pluripartecipate deve essere limitata allo svolgimento dei servizi pubblici nel territorio degli enti pubblici che ne risultino soci (sentenza 10 settembre 2009, C-573/07, Sea, §§ 79 e 80). Pertanto, nel caso oggetto del presente giudizio è del tutto irrilevante la circostanza che due amministrazione locali, e precisamente i Comuni di Milano e Brescia, detengano il controllo congiunto su A2A.

Ciò precisato, il divario cui sopra si accennava deriva in particolare dal fatto che nelle mani di A2A vi è la partecipazione di maggioranza assoluta nella Aspem (90% del capitale sociale a fronte del 9,8% detenuto dal Comune di Varese, come sopra rilevato), tale dunque da attribuire alla stessa il controllo di diritto ex art. 2359, comma 1, n. 1), cod. civ. sulla partecipata diretta, ed il potere di direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497-sexies cod. civ. di Varese Risorse, tramite la partecipazione totalitaria in quest’ultima della medesima Aspem.

Analoghe considerazioni a quelle ora svolte possono essere effettuate per quanto concerne i componenti del collegio sindacale, la cui maggioranza in entrambe le partecipate (2 su 3) è attribuita ancora una volta ad A2A in virtù dei patti parasociali in questione.

22. Conseguentemente, già in base a tali patti deve escludersi che il Comune di Varese eserciti sulla società Varese Risorse un controllo di tipo strutturale nei termini stabiliti da questa Sezione nella sentenza del 13 marzo 2014, n. 1181.

In questa pronuncia, citata in modo pertinente dall’appellante, si è infatti affermato, tra l’altro, che una società può essere considerata in house quando l’amministrazione partecipante sia titolare del potere di nomina e revoca <<quanto meno della maggioranza dei componenti degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo>>.

Il Collegio non può che aderire e dare continuità al precedente ora richiamato, essendo evidente che solo con la nomina della maggioranza degli organi di direzione l’ente pubblico partecipante è posto nelle condizioni di indirizzare l’attività dell’ente partecipato verso il raggiungimento di finalità di pubblico interesse affidate alla sua cura, e che invece correrebbero il rischio di non potere essere attuate laddove il ‘governo societario’ fosse attribuito ai soci privati.

23. Sotto il profilo da ultimo accennato, si rivela fondata anche l’ulteriore censura di cui si compone il motivo d’appello in esame, in cui la Carbotermo deduce che Varese Risorse non può essere considerata società in house del Comune anche per l’apertura del proprio capitale sociale alla partecipazione di altri privati.

La circostanza risulta in effetti documentalmente provata (mediante produzione di stralcio dello statuto della Varese Risorse, contenuto nella visura camerale prodotta dall’odierna appellante nel giudizio di primo grado), oltre a non essere contestata dalla altre parti, e fornisce ulteriore conferma della vocazione commerciale della società, già evincibile dall’analoga apertura al mercato della controllante A2A, e della correlativa inconfigurabilità del requisito del controllo analogo in capo al socio pubblico tipico dell’in house providing.

Sul punto è quindi applicabile il principio stabilito dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nella sentenza 3 marzo 2008, n. 1, secondo cui anche una partecipazione di minoranza di un soggetto privato al capitale di una società in mano pubblica <<esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi>> (§ 8, nel quale viene richiamata anche la pertinente giurisprudenza della Corte di Giustizia UE).

Nello stesso senso si è ancora di recente espresso il giudice europeo.

Nella sentenza 19 giugno 2014, C-574/12, Centro Hospitalar de Setúbal EPE, la Corte di giustizia ha infatti ribadito che la partecipazione privata al capitale di società asseritamente in house comporta, da un lato, una deviazione rispetto al fine pubblico cui questa dovrebbe tendere (come già statuito nella richiamata pronuncia 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle, §§ 49 e 50) e, dall’altro lato, un indebito beneficio concorrenziale per il socio privato conseguente agli affidamenti disposti in via diretta dall’amministrazione partecipante (§§ 36 e 38).

24. La fondatezza delle censure contenute nel terzo motivo d’appello comporta l’accoglimento dei restanti motivi in esame.

Decisiva è ancora una volta la partecipazione in Aspem di A2A, per giunta in posizione di controllo di diritto, la quale esclude in modo radicale che si ponga la questione dell’esercizio ‘congiunto’ del ‘controllo analogo’.

Come correttamente osserva l’appellante, infatti, questo presuppone necessariamente che il capitale sociale sia in mano a più amministrazioni, e non già tra queste e soci privati.

Sul punto occorre evidenziare che la giurisprudenza comunitaria sul cd “in house congiunto”, da ultimo culminata con la già citata sentenza Econord del 29 novembre 2012 (C-182/11 e 183/11), si è formata con esclusivo riguardo a fattispecie nelle quali veniva in rilievo una partecipazione societaria frazionata tra più enti pubblici, al fine di stabilire se il necessario requisito del controllo analogo debba fare capo alla singola amministrazione partecipante o collettivamente a tutte queste (cfr. in particolare i §§ 55 – 59 della sentenza 10 settembre 2009, C-573/07, Sea, già citata).

25. Come poi osserva l’appellante nel secondo motivo, e diversamente da quanto ritenuto dal TAR, non è decisivo in senso contrario a quanto finora osservato il precedente, relativo proprio alla Aspem, di cui alla più volte menzionata sentenza Econord del 29 novembre 2012.

Dalla lettura dei §§ 9 e 11 di tale pronuncia, emerge infatti che a quell’epoca la Aspem era completamente in mano pubblica: <<Risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte che il Comune di Varese, al fine di gestire servizi pubblici nel suo territorio, segnatamente quello di igiene urbana, ha costituito la ASPEM (…). All’epoca dei fatti, il Comune di Varese deteneva la quasi totalità del capitale di tale società, ciò che gli garantiva il controllo di quest’ultima (…) il capitale sociale della ASPEM ammonta ad EUR 173 785, rappresentato da altrettante azioni del valore nominale di EUR 1 ciascuna. Il Comune di Varese detiene la maggioranza del capitale in virtù del possesso di 173 467 azioni. Le restanti 318 azioni sono suddivise tra 36 comuni della provincia di Varese, con partecipazioni individuali che variano da 1 a 19 azioni>>.

La vicenda contenziosa devoluta alla cognizione del giudice europeo deve dunque essere collocata prima dell’ingresso di A2A nel capitale della Aspem.

26. In conclusione, in accoglimento dei motivi primo, secondo, terzo e quinto, la sentenza del TAR Lombardia deve essere riformata, con l’accoglimento del ricorso della Carbotermo e il conseguente annullamento degli atti con esso impugnati.

27. Residua da esaminare a questo punto la domanda di subentro nel contratto di affidamento del servizio stipulato in data 5 luglio 2013, riproposta nel presente appello dalla Carbotermo.

Anche questa domanda va accolta, sia pure nei seguenti termini.

In primo luogo, rilevato che si verte in un caso di violazioni “gravi” ai sensi dell’art. 121 cod. proc. amm., e precisamente nell’ipotesi prevista al comma 1, lett. a), il Comune di Varese non può fondatamente invocare la conservazione dell’efficacia disposta dal successivo comma 2 della disposizione del codice del processo in esame per il caso di <<esigenze imperative connesse ad un interesse generale>>.

L’amministrazione adduce al riguardo l’esistenza delle imprescindibili ragioni di carattere tecnico ostative al subentro di un altro esecutore, ponendo in rilievo la circostanza che l’attività di adeguamento impiantistico è già completamente realizzata da Varese Risorse, e che in ragione della stessa è divenuto conseguentemente <<impossibile scorporare dalla gestione dell’intero sistema di teleriscaldamento urbano quella di 26 immobili comunali qui in discussione>>.

In realtà, ribadito quanto sopra evidenziato a proposito delle caratteristiche del sistema di riscaldamento degli immobili comunali quale evincibile dagli interventi di riqualificazione svolti sugli impianti, non sono nel caso di specie ravvisabili insuperabili ragioni di carattere tecnico che ostino al subingresso di Carbotermo nel servizio energetico a favore di tali immobili, che quest’ultima potrà fornire mediante i sistemi di generazione di energia di cui la stessa dispone quale operatore del settore (come accertato dal TAR, con statuizione coperta dal giudicato interno), ed alle condizioni economiche e tecniche fissate nell’atto aggiuntivo di cui la stessa chiede l’inefficacia.

Ad opinare nel senso preteso dal Comune appellato, si dovrebbe concludere nel senso che l’autore delle opere di riconversione degli impianti termici e fornitore del riscaldamento attraverso di essi è destinato a conservare in perpetuo la posizione di mercato così acquisita.

Del pari, il paventato scorporo dalla rete di teleriscaldamento non comporta per la Varese Risorse ricadute se non di carattere economico, inidonee ad integrare la nozione di esigenze imperative connesse ad un interesse generale ex art. 121, comma 2, cod. proc. amm., come evincibile dal fatto che tale società ha svolto fino al 2013 il servizio in concessione senza fornire calore agli impianti di proprietà del Comune, e così potrà continuare a farlo anche dopo la presente sentenza.

28. Nondimeno, la dichiarazione di inefficacia del contratto non può che essere temporalmente limitata alle prestazioni <<ancora da eseguire>> ai sensi dell’art. 121, comma 1, cod. proc. amm., non potendo retroagire fino alle più volte ricordate opere di riqualificazione energetica, ormai già realizzate dalla controinteressata.

Inoltre, approssimandosi la stagione invernale, e dovendosi scongiurare i rischi di interruzione del servizio di riscaldamento, la Sezione ritiene che è opportuno differire la dichiarazione di inefficacia ed il conseguente subentro della Carbotermo al termine della stessa, così da consentire inoltre all’odierna appellante di organizzarsi per fornire il servizio a partire dall’inverno successivo. Per la fissazione del termine in questione si rinvia al dispositivo.

29. Essendo quindi la dichiarazione di inefficacia del contratto limitata temporalmente, il Comune di Varese, ai sensi dell’art. 121, comma 4, cod. proc. amm. deve effettuare il pagamento della sanzione pecuniaria prevista dal successivo art. 123.

E’ peraltro doveroso segnalare al riguardo che la questione dell’applicazione di tale sanzione non è stata oggetto di contraddittorio tra le parti interessate, così come invece imposto dal comma 2 della disposizione del codice del processo da ultimo citata, la quale rinvia a tal fine al potere di rilievo ufficioso del giudice ex art. 73, comma 3, del medesimo codice di cui al d.lgs. n. 104/2010.

Sul punto, l’amministrazione odierna appellata si è infatti limitata alle difese poc’anzi esposte in ordine ai presupposti per la dichiarazione di inefficacia del contratto, senza prendere specifica posizione sulle ulteriori sanzioni previste dall’art. 123.

Nondimeno, proprio questa circostanza è sufficiente ad escludere che si possa far luogo al rinvio previsto dal citato art. 73, comma 3.

Infatti, come stabilito dalla VI Sezione di questo Consiglio di Stato (sentenza 16 gennaio 2014, n. 151), non è necessario stimolare il contraddittorio ai sensi di quest’ultima disposizione quando si debba ritenere che la parte sia comunque consapevole della possibilità che il giudice affronti la questione (nel caso deciso nel precedente citato si trattava di un appello dichiarato inammissibile perché proposto da un soggetto che non era parte del giudizio di primo grado).

Ebbene, una simile consapevolezza è nel caso di specie ricavabile dal fatto che – come visto sopra - il Comune di Varese stesso ha collocato la violazione dedotta dalla Carbotermo in quella “grave” di cui all’art. 121, comma 1, lett. a), cod. proc. amm., ed ha conseguentemente impostato la propria difesa sull’esistenza di ragioni di carattere imperativo connesse ad un interesse generale, impeditive della dichiarazione di inefficacia del contratto, il cui accoglimento comporta necessariamente, ai sensi del comma 4 del medesimo art. 121, proprio l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 123.

30. Il rinvio della definizione del processo al fine di consentire al Comune di Varese di trattare la questione dell’applicabilità della sanzione pecuniaria è superfluo, anche perché il Collegio reputa di quantificare la stessa nella misura minima prevista dal comma 1, lett. a), della disposizione da ultimo citata, e dunque nello 0,5% del valore del contratto.

Rileva infatti la complessità delle questioni trattate nel presente giudizio, circostanza rilevante ai fini dell’applicazione del parametro di commisurazione della sanzione consistente nella <<gravità della condotta della stazione appaltante>>, previsto dal comma 2 dell’art. 123.

Quindi, tenuto conto che il valore del contratto illegittimamente affidato dall’amministrazione appellata è complessivamente pari ad € 14.118.575,55, la sanzione al cui pagamento la stessa va condannata [nel termine di sessanta giorni dal passaggio in giudicato della presente sentenza, fissato dal citato art. 123, comma 1, lett. a)] ammonta ad € 70.592,78.

Inoltre, ai sensi di quest’ultima disposizione, la presente sentenza deve essere comunicata, a cura della Segreteria della Sezione, al Ministero dell'economia e delle finanze.

31. Infine, le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza, che fa capo sia al Comune che alla Varese Risorse. Per la relativa liquidazione si rinvia al dispositivo.

Alla somma così determinata deve essere aggiunto il contributo unificato complessivamente versato dalla Carbotermo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 6877 del 2014, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, così provvede:

- accoglie il ricorso di primo grado (r.g. n. 40/2014), annullando gli atti con esso impugnati;

- dichiara l’inefficacia dell’atto aggiuntivo ed integrativo della convenzione per la concessione del servizio pubblico di riscaldamento urbano nell’ambito del territorio comunale, di data 5 luglio 2013 (rep. n. 31433), tra il Comune di Varese e Varese Risorse s.p.a., limitatamente alle prestazioni ancora da eseguire a decorrere dalla scadenza del termine di 180 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione della presente sentenza a tutte le parti;

- dispone conseguentemente il subentro nel contratto della Carbotermo s.p.a., con effetto dal medesimo termine;

- condanna il Comune di Varese a pagare entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della presente sentenza la somma di € 70.592,78 a titolo di sanzione pecuniaria ex art. 123, comma 1, lett. a), cod. proc. amm.;

- manda alla Segreteria di comunicare al Ministero dell'economia e delle finanze la presente sentenza entro cinque giorni dalla relativa pubblicazione;

- condanna il Comune di Varese e Varese Risorse s.p.a., in solido tra loro, a rifondere a Carbotermo s.p.a. le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in € 15.000,00, oltre agli accessori di legge ed al contributo unificato complessivamente versato da quest’ultima.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 agosto 2014 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti,           Presidente

Antonio Amicuzzi,     Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere

Nicola Gaviano,         Consigliere

Fabio Franconiero,     Consigliere, Estensore

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

                       

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/10/2014

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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