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Consiglio di Stato, Sez. VI, 15/5/2015 n. 2475
Sull'assoggettamento anche per le Autorità amministrative indipendenti alle disposizioni in materia di finanza pubblica: rimessione alla Corte di giustizia.

E' rimesso alla Corte di giustizia il seguente quesito interpretativo: "Se i principi di imparzialità ed indipendenza anche sotto il profilo finanziario ed organizzativo che devono essere riconosciuti alle autorità nazionali di regolamentazione di cui all'articolo 13 della direttiva 2002/21/CE, nonché il principio di sostanziale autofinanziamento di cui all'articolo 12 della direttiva 2002/20/CE ostino a una normativa nazionale (quale quella che rileva nell'ambito del presente giudizio) la quale assoggetta anche tali Autorità in via generale alle disposizioni in materia di finanza pubblica e, in particolare, a specifiche disposizioni in tema di contenimento e razionalizzazione delle spese delle amministrazioni pubbliche".

Materia: pubblica amministrazione / Autorità amministrative indipendenti

N. 02475/2015 REG.PROV.COLL.

 

N. 08131/2013 REG.RIC.          

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

 

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 8131 del 2013, proposto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Marcello Clarich, con domicilio eletto presso Marcello Clarich in Roma, viale Liegi 32

 

contro

ISTAT - Istituto Nazionale di Statistica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12

 

per la riforma della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione III, n. 5945/2013

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’ISTAT - Istituto Nazionale di Statistica, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2015 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Carli per delega dell’avvocato Clarich, e l’avvocato dello Stato Stigliano Messuti

 

1. ASPETTI GENERALI DELLA QUESTIONE.

 

La presente ordinanza di rimessione ha ad oggetto l’interpretazione e l’applicazione nell’ordinamento nazionale delle disposizioni della direttiva 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, per come modificata dalla direttiva 2009/140/CE (c.d. ‘direttiva quadro’), con particolare riguardo ai requisiti di indipendenza e imparzialità che devono essere assicurati alle Autorità nazionali di regolamentazione (ANR) ai sensi dell’articolo 3 della medesima direttiva.

 

Più in particolare, la presente ordinanza mira a individuare i limiti (ove esistenti) che sono imposti ai Legislatori nazionali laddove intendano imporre anche alle Autorità di regolamentazione in questione (con particolare riguardo all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – d’ora in poi: ‘l’Autorità appellante’ o: ‘l’AGCOM’ -) taluni limiti e vincoli di carattere finanziario volti a conseguire generali obiettivi di contenimento di spesa e di razionalizzazione delle finanze pubbliche.

 

2. IL CONTESTO NORMATIVO NAZIONALE RILEVANTE AI FINI DELLA DECISIONE.

 

2.1. La legge 31 luglio 1997 (in: GURI 31 luglio 1997, n. 177) prevede l’istituzione dell’AGCOM e reca altresì norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo.

 

L’articolo 1, comma 9 della legge riconosce all’Autorità rilevanti margini di autonomia organizzativa e stabilisce che essa “adotta un regolamento concernente l'organizzazione e il funzionamento, i bilanci, i rendiconti e la gestione delle spese, anche in deroga alle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato, nonché il trattamento giuridico ed economico del personale addetto (…), prevedendo le modalità di svolgimento dei concorsi e le procedure per l'immissione nel ruolo del personale assunto con contratto a tempo determinato (…)”.

 

2.2. Il decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (‘Codice delle comunicazioni elettroniche’ – in: GURI 15 settembre 2003, n. 214), all’articolo 7, comma 2, demanda all’AGCOM le funzioni ai autorità nazionale di regolamentazione di cui all’articolo 13 della direttiva 2002/21/CE.

 

2.3. La legge 30 dicembre 2004, n. 311 (‘Legge finanziaria 2005’, in GURI 31 dicembre 2004, n. 306) fissa un particolare limite all’incremento delle spese da parte delle pubbliche amministrazioni (ivi compresa, ai fini che qui interessano, l’AGCOM).

 

In particolare, l’articolo 1, comma 5 della legge stabilisce che “al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede di Unione europea, indicati nel Documento di programmazione economico-finanziaria e nelle relative note di aggiornamento, per il triennio 2005 - 2007 la spesa complessiva delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate per l'anno 2005 nell'elenco 1 allegato alla presente legge e per gli anni successivi dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) con proprio provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 31 luglio di ogni anno, non può superare il limite del 2 per cento rispetto alle corrispondenti previsioni aggiornate del precedente anno, come risultanti dalla Relazione previsionale e programmatica”.

 

In sintesi, la disposizione in questione ha un duplice contenuto:

 

- per un verso mira a conseguire finalità eminentemente statistiche e contabili (quale quella, propria del Regolamento (CE) n. 2223/96, di pervenire a un quadro contabile il più possibile condiviso e armonizzato al livello UE, fornendo informazioni comparabili, aggiornate ed attendibili sulla struttura e sull'andamento della situazione economica di ogni Paese). A tal fine viene predisposto un primo elenco di amministrazioni che costituiscono il c.d. ‘settore pubblico allargato’ e si demanda per il futuro all’Istituto Nazionale di Statistica – ISTAT il compito di aggiornare l’elenco medesimo utilizzando le regole contabili del c.d. ‘regolamento SEC 95’;

 

- per altro verso mira a conseguire particolari obiettivi di contenimento delle spese riferibili al c.d. ‘settore pubblico allargato’. A tal fine viene previsto che l’inserimento nel c.d. ‘elenco ISTAT’ comporti anche l’assoggettamento a talune previsioni in tema di riduzione della spesa pubblica (in questo caso: la soggezione a uno specifico limite all’incremento delle proprie spese complessive).

 

2.4. La legge 23 dicembre 2005, n. 266 (‘Legge finanziaria 2006’, in GURI 29 dicembre 2005) riconosce ad alcune Autorità amministrative indipendenti (fra cui l’AGCOM) rilevanti prerogative di autonomia finanziaria.

 

In particolare, l’articolo 1, comma 65 della legge stabilisce che “a decorrere dall'anno 2007 le spese di funzionamento [dell’AGCOM] sono finanziate dal mercato di competenza, per la parte non coperta da finanziamento a carico del bilancio dello Stato, secondo modalità previste dalla normativa vigente ed entità di contribuzione determinate con propria deliberazione da ciascuna Autorità, nel rispetto dei limiti massimi previsti per legge, versate direttamente alle medesime Autorità”.

 

Di fatto, tale forma di finanziamento (che copre una parte del tutto prevalente delle spese di funzionamento dell’AGCOM) è basata su prestazioni non spontanee imposte ai soggetti sottoposti alle attività di vigilanza.

 

2.5. il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 – in: GURI 4 luglio 2006, n. 153) reca – fra le altre - disposizioni volte alla riduzione delle spese di funzionamento per enti ed organismi pubblici non territoriali (articolo 22).

 

In particolare, l’articolo 22, comma 1 stabilisce che “gli stanziamenti per l'anno 2006 relativi a spese per consumi intermedi dei bilanci di enti ed organismi pubblici non territoriali (…), individuati ai sensi dell’articolo 1, commi 5 e 6, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 [con alcune esclusioni] sono ridotti nella misura del 10 per cento, comunque nei limiti delle disponibilità non impegnate alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

 

Evidentemente, tali riduzioni di stanziamenti vanno ad incidere sugli enti ed organismi pubblici che (come l’AGCOM) risultano già inseriti nel c.d. ‘elenco ISTAT’ di cui all’articolo 1, comma 5 della legge n. 311 del 2004.

 

2.6. La legge 31 dicembre 2009, n. 196 (in: GURI 31 dicembre 2009, n. 303) reca la nuova normativa generale nazionale in tema di contabilità e finanza pubblica.

 

L’articolo 1, comma 2 della legge (per come sostituito dall’articolo 5, comma 7 del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16) stabilisce che “ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228, e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo, effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'Unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”.

 

3. LE DISPOSIZIONI DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA CHE RILEVANO NEL CASO IN ESAME.

 

3.1. La direttiva 2002/21/CE (per come modificata dalla direttiva 2009/140/CE) istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica.

 

3.1.1. Il considerando 11 della direttiva 2002/21/CE stabilisce che “in conformità al principio della separazione delle funzioni di regolamentazione dalle funzioni operative, gli Stati membri sono tenuti a garantire l'indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione in modo da assicurare l'imparzialità delle loro decisioni. Il requisito dell'indipendenza lascia impregiudicata l'autonomia istituzionale e gli obblighi costituzionali degli Stati membri, come pure il principio della neutralità rispetto alla normativa sul regime di proprietà esistente negli Stati membri sancito nell'articolo 295 del trattato. Le autorità nazionali di regolamentazione dovrebbero essere dotate di tutte le risorse necessarie, sul piano del personale, delle competenze e dei mezzi finanziari, per l'assolvimento dei compiti loro assegnati”.

 

3.1.2. L’articolo 3 della medesima direttiva, ai paragrafi 2 e 3 stabilisce che

 

“2. Gli Stati membri garantiscono l’indipendenza delle [ANR] provvedendo affinché esse siano giuridicamente distinte e funzionalmente autonome da tutti gli organismi che forniscono reti, apparecchiature o servizi di comunicazione elettronica. (…)

 

3. Gli Stati membri provvedono affinché le rispettive autorità nazionali di regolamentazione esercitino i loro poteri in modo imparziale, trasparente e tempestivo. Gli Stati membri assicurano che le autorità nazionali di regolamentazione dispongano di risorse finanziarie e umane adeguate per svolgere i compiti a loro assegnati”;

 

3.1.3. Il considerando 13 della direttiva 2009/140/CE stabilisce che “è importante che le autorità nazionali di regolamentazione responsabili della regolamentazione ex ante del mercato dispongano di un bilancio proprio che permetta loro di assumere sufficiente personale qualificato. Per garantire la trasparenza è opportuno che il bilancio sia pubblicato annualmente”.

 

3.1.4. La direttiva 2002/20/CE (c.d. ‘direttiva autorizzazioni’) reca disposizioni in tema di autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica.

 

L’articolo 12 di tale direttiva (rubricato ‘Costi amministrativi’) stabilisce che “1. I diritti amministrativi imposti alle imprese che prestano servizi o reti ai sensi dell'autorizzazione generale o che hanno ricevuto una concessione dei diritti d'uso:

 

a) coprono complessivamente i soli costi amministrativi che saranno sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d'uso e degli obblighi specifici di cui all'articolo 6, paragrafo 2, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e interconnessione;

 

b) sono imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori.

 

2. Le autorità nazionali di regolamentazione che impongono il pagamento di diritti amministrativi sono tenute a pubblicare un rendiconto annuo dei propri costi amministrativi e dell'importo complessivo dei diritti riscossi. Alla luce delle differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche”.

 

4. I FATTI ALL’ORIGINE DELLA CONTROVERSIA E LE RAGIONI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE.

 

4.1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio e iscritto al n. 10096 dell’anno 2012, l’AGCOM impugnava dell'Elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato ai sensi dell'art. 1, comma 3, Legge 31 dicembre 2009, n. 196, di cui al Comunicato Istat pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 28 settembre 2012, nella parte in cui include(va) anche la ricorrente; nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.

 

Con il ricorso in questione l’Autorità appellante contestava:

 

- per un verso (e sul piano amministrativo) la propria inclusione nel c.d. ‘elenco ISTAT’ per l’anno 2012 (si tratta di un elenco che – come si è già detto – persegue allo stesso tempo: i) finalità statistico-contabili proprie del sistema europeo SEC 95; ii) finalità di contenimento e razionalizzazione delle spese delle amministrazioni pubbliche italiane);

 

- per altro verso (e sul piano normativo) la scelta del legislatore nazionale (legge 196 del 2009; decreto-legge 16 del 2012) di assoggettare comunque le “Autorità indipendenti” - che siano incluse o meno nel c.d. ‘elenco ISTAT’ - all’applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica. In particolare, l’AGCOM contestava l’applicazione nei propri confronti delle disposizioni di contenimento e razionalizzazione delle spese pubbliche di cui alla legge 311 del 2004 e di cui al decreto-legge 223 del 2006.

 

Per quanto riguarda i motivi di ricorso, l’Autorità appellante lamentava che gli atti amministrativi e le norme di legge impugnati fossero violativi di numerose disposizioni del diritto nazionale e dell’Unione europea.

 

In particolare:

 

- per quanto riguarda le violazioni del diritto nazionale, l’Autorità lamentava la violazione degli articoli 111 e 117 della Costituzione (l’Autorità lamentava altresì la violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1959 sotto profili che non rilevano ai fini della presente ordinanza di rimessione);

 

- per quanto riguarda le violazioni del diritto dell’Unione europea, l’Autorità lamentava la violazione delle direttive numm. 2002/21/CE e 2009/140/CE atteso che il complesso di atti amministrativi e legislativi dinanzi descritti sortirebbe l’effetto di imporre nei confronti di AGCOM (nella sua qualità di Autorità nazionale di regolamentazione ai sensi della direttiva 2002/21/CE, articolo 13) vincoli di natura organizzativa e finanziaria idonei a ridurre l’efficienza dell’intervento regolatorio nel settore delle telecomunicazioni. Oltretutto, non risulterebbe ragionevole l’imposizione di vincoli volti al “perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica” in quanto l’Autorità opererebbe in regime di sostanziale autofinanziamento, potendo imporre prestazioni non spontanee ai soggetti sottoposti all’attività di vigilanza e garantendo in tal modo la copertura pressoché totale delle proprie spese di funzionamento;

 

- sempre per quanto riguarda le violazioni del diritto europeo, l’Autorità lamentava la violazione del Regolamento (CE) n. 2223/96 (c.d. SEC 95), dal momento che essa risulta carente dei requisiti che consentirebbero la sua inclusione nell’ambito del Settore S13 del Regolamento in questione (si tratta del settore relativo alle “amministrazioni pubbliche”).

 

Nelle more della decisione da parte del Tribunale amministrativo regionale è stata depositata la sentenza di questo Consiglio di Stato n. 6014 del 2012.

 

La sentenza in questione è stata resa su un contenzioso diverso da quello in oggetto, ma con esso strettamente connesso.

 

In particolare, con la sentenza n. 6014 del 2012 questo Consiglio di Stato ha affermato (fra l’altro):

 

- che del tutto legittimamente l’AGCOM è stata inclusa nel corso degli anni nei cc.dd. ‘elenchi ISTAT’, trattandosi di un’“amministrazione pubblica in senso stretto”, cui è demandato l’esercizio di pubblici poteri;

 

- che il carattere di autonomia e indipendenza che deve essere riconosciuto all’AGCOM non è idoneo a determinare l’esclusione dell’Autorità appellante dalla nozione di “pubblica amministrazione” che ne comporta comunque la soggezione alla normativa volta al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica;

 

- che non può tenersi conto, ai fini del decidere, dell’affermato regime di auto-finanziamento in cui opera l’AGCOM, atteso che i ‘contributi’ imposti ai soggetti sottoposti a vigilanza hanno natura sostanziale di ‘tributi’ ai sensi del diritto interno e sono pertanto lato sensu riconducibili alla fiscalità generale (viene richiamata al riguardo la sentenza della Corte costituzionale n. 256 del 2007).

 

Con la sentenza n. 5945/2013 (che questo Collegio è chiamato a riesaminare) il Tribunale amministrativo del Lazio ha infine respinto il ricorso avverso gli atti con cui l’AGCOM è stata inclusa nell’elenco del c.d. ‘elenco ISTAT’ pubblicato in GURI il 28 settembre 2012 ed è stata assoggettata alle predette disposizioni in tema di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica.

 

Con il ricorso in appello l’AGCOM non ha riproposto le contestazioni avverso la propria inclusione nel c.d. ‘elenco ISTAT’ annuale e ciò per due ragioni:

 

- in primo luogo, perché la correttezza di quell’inclusione è stata definitivamente stabilita da questo Consiglio di Stato con la sentenza n. 6014/2012;

 

- in secondo luogo, perché (anche a prescindere dall’inclusione nell’elenco ISTAT, che è pur sempre un atto di natura amministrativa), vi è attualmente una precisa disposizione nell’ordinamento nazionale che stabilisce l’applicazione nei confronti dell’AGCOM delle disposizioni in materia di finanza pubblica (si tratta dell’articolo 1, comma 2 della l. 196 del 2009 per come modificato dall’articolo 5, comma 7 del decreto-legge n. 16 del 2012).

 

Al contrario, l’Autorità appellante lamenta che il primo Giudice non abbia considerato che le disposizioni legislative e amministrative che le impongono il rispetto delle disposizioni in materia di finanza pubblica risultino incompatibili con il principio di autonomia finanziaria che le deve essere assicurata in quanto ANR nel settore delle reti e servizi di comunicazione elettronica.

 

In particolare, con l’atto di appello l’Autorità ha osservato:

 

- che l’incondizionato assoggettamento delle ANR alle norme nazionali in tema di finanza pubblica (e in tema di contenimento e razionalizzazione delle spese delle amministrazioni pubbliche) è idonea a privare tali Autorità “di qualsiasi margine di autonomia nella scelta dei modi e delle tecniche attraverso le quali realizzare il contenimento della spesa” (ricorso in appello, pagina 15);

 

- che l’assoggettamento a tali norme comporta l’applicazione nei suoi confronti “[di] misure limitative estremamente specifiche, tali da escludere qualsiasi margine di autodeterminazione delle stesse con riguardo alle strategie da adottare per conseguire l’obiettivo del contenimento della spesa” (ivi, pagina 16).

 

Con l’atto di appello l’Autorità ha poi osservato che il Legislatore nazionale avrebbe certamente potuto e dovuto estendere anche in suo favore norme simili a quelle previste per la Banca d’Italia (Banca centrale che fa parte del Sistema Europeo di Banche Centrali - SEBC). E infatti, la più recente normativa nazionale in materia di contenimento della spesa pubblica (articolo 3 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) non ha previsto la sua piena e immediata applicazione nei confronti della Banca centrale (ad esempio, fissando rigide percentuali di riduzione ‘lineare’ delle spese). Al contrario, tale normativa ha riservato alla Banca un trattamento più attenuato e favorevole, prevedendo che di tale normativa essa “tiene conto” conformemente al proprio ordinamento, nell’ambito dei principi di contenimento della spesa “indicati nella legge medesima”.

 

E ancora, l’Autorità appellante soggiunge che, se proprio il Legislatore nazionale avesse ritenuto di estendere nei suoi confronti la normativa in materia di contenimento e razionalizzazione delle spese delle amministrazioni pubbliche, avrebbe potuto e dovuto limitare tali riduzioni alla sola quota di bilancio che deriva da erogazioni di fonte statale (ma si è visto che si tratta di una quota del tutto minimale, dal momento che l’Autorità trae oltre il 90 per cento del fabbisogno a copertura dei propri costi dai contributi versati dagli enti e organismi sottoposti a vigilanza).

 

Del resto, il fatto che l’Autorità copra una parte preponderante dei propri costi attraverso l’imposizione dei richiamati contributi non solo rappresenta una conferma del principio di autonomia finanziaria di cui essa deve godere, ma deriva da una precisa previsione del diritto dell’Unione (si tratta dell’articolo 12 della direttiva 2002/20/CE – relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica – il quale fissa il principio della sostanziale corrispondenza fra i “diritti amministrativi” imposti nell’ambito dell’attività di vigilanza e i relativi costi amministrativi sostenuti dalle Autorità nazionali di regolamentazione).

 

Anche per tale ragione l’Autorità appellante lamenta che il proprio assoggettamento alle disposizioni in materia di finanza pubblica (legge 196 del 2009, articolo 1, comma 2) e l’applicazione nei suoi confronti di disposizioni puntuali di riduzione della spesa (come quelle di cui alla legge 311 del 2004, articolo 1, comma 5 e di cui al decreto-legge 223 del 2006, articolo 22) risulti in contrasto con il diritto dell’Unione. Conseguentemente, le disposizioni appena richiamate dovrebbero per tale ragione essere disapplicate.

 

In subordine, l’Autorità appellante chiede che questo Giudice di ultima istanza sollevi questione per rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 del TFUE in ordine alla corretta interpretazione e applicazione delle pertinenti disposizioni del diritto dell’Unione europea.

 

4.2. Si sono costituiti in giudizio l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), nonché la Presidenza del consiglio dei ministeri e il Ministero dell’economia e delle finanze i quali hanno chiesto la reiezione dell’appello.

 

Essi hanno dedotto:

 

- in via preliminare che il ricorso sia inammissibile in quanto è stato proposto in modo erroneo avverso l’elenco ISTAT pubblicato in data 28 settembre 2012. Ciò in quanto l’elenco in questione (che rappresenta un atto di natura amministrativa) è stato di fatto “assorbito ed inglobato” dalla generale previsione di legge di cui alla legge 196 del 2009, articolo 1, comma 2 la quale ha – di fatto – ‘legificato’ l’inclusione dell’Autorità nell’ambito degli Enti ed organismi soggetti all’applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica;

 

- nel merito, ha chiesto che il ricorso sia respinto dovendosi ritenere infondati i motivi relativi al contrasto fra gli atti impugnati con la Costituzione italiana e con le pertinenti disposizioni del diritto dell’Unione.

 

5. LE RAGIONI PER CUI SI RENDE NECESSARIO DISPORRE IL RINVIO PREGIUDIZIALE.

 

5.1. Come si è esposto in precedenza, a partire dalla legge 311 del 2004 (‘legge finanziaria 2005’) il Legislatore italiano ha varato numerose disposizioni volte a un duplice scopo:

 

1) da un lato quello di attribuire all’ISTAT il compito di predisporre un elenco contenente gli enti e organismi di cui al ‘Settore S13’ del Regolamento SEC 95 (‘Amministrazioni pubbliche’) al fine dell’armonizzazione dei bilanci pubblici al livello UE;

 

2) dall’altro quello di utilizzare il medesimo elenco al fine di individuare gli enti e organismi nei cui confronti applicare le disposizioni nazionali in materia di finanza pubblica e, in via mediata, specifiche disposizioni nazionali in materia di contenimento e razionalizzazione delle spese di funzionamento di amministrazioni pubbliche (come la legge 311 del 2004, articolo 1, comma 5 e il decreto-legge 223 del 2006, articolo 22).

 

Con il ricorso di primo grado l’AGCOM ha impugnato l’elenco ISTAT pubblicato il 28 settembre 2012 lamentandone sotto diversi aspetti la presunta illegittimità per contrasto con la Costituzione e con il diritto dell’Unione europea.

 

5.2. I profili di legittimità costituzionale sollevati dall’Autorità appellante non riguardano la presente ordinanza per rinvio pregiudiziale e saranno puntualmente affrontati dal Collegio dopo la decisione resa dalla Corte di Giustizia resa ai sensi dell’articolo 267 del TFUE.

 

5.3. Ad avviso del Collegio la questione della legittimità de iure communitario dell’elenco ISTAT pubblicato il 28 settembre 2012 non risulta rilevante ai fini del decidere e se ne può prescindere ai fini della presente decisione.

 

E’ infatti pacifico in atti che, a seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 5 del decreto-legge n. 16 del 2012, l’attuale testo della l. 196 del 2009, articolo 1, comma 2 includa in ogni caso le “Autorità indipendenti” (quale l’AGCOM) fra gli enti ed organismi nei cui confronti trovano applicazione le disposizioni in materia di finanza pubblica.

 

Tale applicazione, quindi (almeno all’indomani dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 16 del 2012), prescinde dal fatto che la singola Autorità sia o meno inserita nel c.d. ‘elenco ISTAT’ annuale.

 

Consapevole di ciò, in sede di appello l’AGCOM ha in parte precisato ed emendato i propri motivi di ricorso e ha affermato che l’applicazione nei suoi confronti delle disposizioni in materia di finanza pubblica (che discenda da fonte amministrativa o da fonte legislativa) risulti comunque violativa delle pertinenti disposizioni del diritto dell’Unione e, segnatamente, delle direttive 2002/20/CE, 2002/21/CE e 2009/140/CE.

 

5.4. Per ragioni del tutto connesse con quelle esposte sub 5.3. il Collegio ritiene allo stato che si possa prescindere dall’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Difesa dello Stato italiano, la quale ha sottolineato che non sussistevano i presupposti per impugnare un atto amministrativo quale l’elenco ISTAT, dal momento che il relativo contenuto era stato nel frattempo ‘legificato’ già dal 2012.

 

La questione sarà più approfonditamente esaminata a seguito della decisione della Corte di giustizia.

 

Allo stato si anticipa che la questione appare comunque infondata.

 

E infatti, essendo comunque pacifica l’applicazione nei confronti dell’AGCOM delle disposizioni legislative nazionali in materia di finanza pubblica, laddove tali disposizioni fossero dichiarate in contrasto con il diritto dell’Unione europea, questo Giudice dovrebbe comunque disporne la disapplicazione, in tal modo procedendo a riconoscere la fondatezza nel merito delle pretese vantate in giudizio dall’Autorità.

 

5.5. Per le medesime ragioni già esposte retro, sub 5.3. e 5.4., neppure sono rilevanti ai fini della decisione le questioni relative alla presunta violazione delle disposizioni del Regolamento (CE) 2223/96 che l’ISTAT avrebbe realizzato includendo l’AGCOM nel c.d. ‘elenco ISTAT’.

 

E infatti:

 

- siccome l’AGCOM non contesta la sua pura e semplice inclusione nell’ambito del c.d. ‘settore pubblico allargato’ ai fini statistici e contabili di cui al Regolamento SEC 95, bensì l’applicazione nei suoi confronti delle generali disposizioni in materia di finanza pubblica;

 

- e siccome il Legislatore italiano, già dal 2012, ha disposto la generale applicazione di tali disposizioni nei confronti dell’AGCOM (anche a prescindere dalla sua inclusione nell’‘elenco ISTAT’) ne consegue che la questione della correttezza nella predisposizione dell’elenco ISTAT non risulta rilevante ai fini del presente rinvio pregiudiziale.

 

5.6. In realtà, questo Consiglio di Stato, non ritiene del tutto convincenti i motivi su cui si fondano i richiamati motivi di ricorso (non sembrando prima facie che il contesto normativo nazionale dinanzi descritto comporti un’effettiva violazione delle pertinenti disposizioni del diritto dell’Unione).

 

D’altra parte, è innegabile che le questioni sollevate dall’AGCOM (che comunque non risultano manifestamente infondate) siano rilevanti ai fini della decisione finale. E infatti, laddove emergesse che il diritto dell’Unione europea osta a una disciplina (quale quella descritta sub 2) che comporta il pieno assoggettamento di una ANR di cui all’articolo 3 della direttiva 2002/21/CE alle disposizioni generali in materia di finanza pubblica (e a quelle speciali in tema di contenimento e razionalizzazione delle spese di funzionamento delle amministrazioni pubbliche), la conseguenza sarebbe nel senso di obbligare questo Giudice di ultima istanza a disapplicare tali disposizioni.

 

Del resto, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, qualora non esista alcun ricorso in via ordinaria avverso la decisione di un Giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte di sensi dell’articolo 267, terzo comma del TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione di interpretazione del diritto europeo primario e derivato (in tal senso – fra le molte -: CGUE, sentenza 18 luglio 2013 in causa C-136/12; sentenza 4 novembre 1997 in causa C-337/95).

 

Siccome nel caso in esame la questione di interpretazione ed applicazione del diritto dell’Unione risulta rilevante ai fini della decisione finale, questo Giudice di ultima istanza ritiene che essa debba comunque essere sottoposta alla Corte a prescindere dal suo maggiore o minore grado di opinabilità.

 

Del resto, conformemente alla giurisprudenza sul caso ‘Cilfit’, laddove un Giudice nazionale di ultima istanza accerti la necessità di ricorrere al diritto dell’Unione al fine di risolvere la controversia di cui è investito, l’articolo 267 del TFUE impone in via di principio a tale Giudice di sottoporre la questione di interpretazione ed applicazione che egli sia chiamato a risolvere (in tal senso: CGUE, sentenza 6 ottobre 1982, in causa C-283/81).

 

5.7. Ai fini del presente giudizio risulta necessario stabilire se la normativa nazionale dinanzi descritta sub 2 (la quale assoggetta anche le autorità nazionali di regolamentazione di cui all’articolo 13 della direttiva 2002/21/CE alle generali disposizioni in materia di finanza pubblica che interessano tutte le pubbliche amministrazioni e, in particolare, alle disposizioni in tema di contenimento e razionalizzazione delle spese delle amministrazioni pubbliche) risulti in contrasto:

 

- con i principi di imparzialità ed indipendenza - anche sotto il profilo finanziario ed organizzativo - che devono essere necessariamente riconosciuti alle richiamate autorità nazionali di regolamentazione;

 

- con il principio di sostanziale autofinanziamento delle attività di gestione, controllo e applicazione del regime di autorizzazione generale ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 2002/20/CE (c.d. ‘direttiva autorizzazioni’).

 

5.8 Qui di seguito (paragrafo 5.8.1.) saranno indicate le ragioni che fanno sorgere effettivi dubbi di compatibilità fra le disposizioni nazionali richiamate sub 2 e le pertinenti disposizioni del diritto dell’UE.

 

In seguito (paragrafo 5.8.2.) saranno invece indicate le ragioni che inducono questo Giudice di ultima istanza a ritenere probabilmente infondati i richiamati dubbi di compatibilità.

 

5.8.1. Per quanto riguarda le ragioni che fanno sorgere i dubbi di compatibilità richiamati sub 5.8., si osserva quanto segue.

 

5.8.1.1. In primo luogo, la pertinente normativa comunitaria (direttiva 2002/21/CE, articolo 11) sottolinea in modo puntuale la necessaria indipendenza che deve essere assicurata dagli Stati membri alle Autorità nazionali di regolamentazione, al fine di assicurare l’imparzialità delle loro decisioni.

 

La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE ha a sua volta sottolineato che gli Stati membri sono tenuti a garantire l’indipendenza delle ANR affinché queste ultime esercitino i loro poteri in modo imparziale e trasparente (in tal senso: CGUE, sentenza 3 dicembre 2009 in causa C-424/07, punto 54; id., sentenza 6 marzo 2008 in causa C- 82/07, punto 13).

 

Vi è ragione di ritenere che la richiamata indipendenza possa comportare non solo il riconoscimento di “risorse finanziarie e umane adeguate per svolgere i compiti loro assegnati” (direttiva 2002/21/CE, articolo 3, paragrafo 3) ma anche una piena autonomia per le ANR nel decidere se e in quale misura operare eventuali riduzioni di spesa complessiva.

 

In primo luogo si potrebbe ritenere che il richiamato principio di indipendenza (al quale la direttiva 2009/140/CE aggiunge anche il principio dell’autonomia di bilancio) comporti – in alternativa -:

 

i) o una integrale sottrazione delle ANR alle disposizioni in materia di finanza pubblica che valgono per la generalità delle amministrazioni pubbliche;

 

ii) oppure la sola possibilità per il Legislatore nazionale di imporre alle ANR vincoli e obiettivi ‘di risultato’, lasciando comunque le Autorità medesime libere di individuare, nell’ambito della loro autonomia, le modalità concrete con cui perseguire le finalità generali di finanza pubblica (si tratta di un modello che il Legislatore italiano ha riservato, ad esempio, alla Banca d’Italia (- articolo 3 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 -). In tal caso, resterebbe vietato al Legislatore nazionale di imporre alle ANR tagli di bilancio di tipo ‘lineare’ –i.e.: in misura percentuale fissa - quali quelli di cui alla legge 311 del 2004, articolo 1, comma 5 e di cui al decreto-legge 223 del 2006, articolo 22.

 

In terzo luogo si potrebbe ritenere che il principio di tendenziale autofinanziamento delle attività di gestione, controllo ed applicazione del regime di autorizzazione (direttiva 2002/20/CE, articolo 12) consenta ai Legislatori nazionali di imporre tagli di bilancio alle ANR, ma soltanto per le quote di bilancio che derivano da fonte statale (e che esulano, quindi, dal regime di autofinanziamento).

 

In tal caso, quindi, i tagli di bilancio non potrebbero operare nei confronti delle quote di bilancio delle ANR che derivano da un regime di autofinanziamento.

 

5.8.2. Le ‘Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale’ (pubblicate sulla G.U.C.E. del 6 novembre 2012) al punto 24 stabiliscono che “il giudice del rinvio, se si reputa in condizione di farlo, può indicare succintamente il suo punto di vista sulla soluzione da dare alle questioni pregiudiziali sottoposte”.

 

Qui di seguito, quindi, questo Giudice del rinvio esporrà brevemente le ragioni per cui, pur non essendo in grado di individuare con certezza la corretta interpretazione ed applicazione delle disposizioni del diritto dell’UE rilevanti ai fini del decidere, nondimeno ritiene maggiormente plausibile la tesi secondo cui l’Ordinamento giuridico dell’UE non osta all’applicazione nei confronti di una ANR ai sensi della direttiva 2002/21/CE di disposizioni nazionali quali quelle descritte retro, sub 2.

 

5.8.2.1 In primo luogo sembra al Collegio che i principi di indipendenza e imparzialità delle ANR non risultino violati e compressi in modo – per così dire – ‘automatico’ per il solo fatto che nei confronti di tali Autorità vengano applicate le generali disposizioni nazionali in materia di finanza pubblica (ovvero, disposizioni specifiche di riduzione delle spese quali quelle di cui alla legge 311 del 2004, articolo 1, comma 5 o quelle di cui al decreto-legge 223 del 2006, articolo 22).

 

Allo stadio attuale di evoluzione del diritto dell’Unione europea e nazionale, alle ANR sono certamente riconosciuti particolari prerogative di indipendenza e imparzialità. Tuttavia, a tali Autorità non è riconosciuto uno status talmente differenziato e speciale rispetto alla generalità delle altre amministrazioni pubbliche da rendere ipso facto illegittima una qualunque disposizione nazionale la quale assoggetti tali Autorità alle disposizioni in materia di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica che operano per la generalità delle amministrazioni pubbliche.

 

Una siffatta disposizione nazionale potrebbe essere considerata in contrasto con la pertinente normativa dell’Unione europea solo laddove sia dimostrato in concreto che, per i caratteri quantitativi o qualitativi del taglio disposto si determini un impedimento effettivo e concreto alla capacità, per la singola ANR, di disporre “di tutte le risorse necessarie, sul piano del personale, delle competenze e dei mezzi finanziari, per l’assolvimento dei compiti loro assegnati” (direttiva 2002/21/CE, considerando 11).

 

Ma un siffatto impedimento non può essere presunto per il solo fatto che una normativa di contenimento e razionalizzazione sia stata in concreto estesa anche alle ANR, risultando al contrario necessaria una prova adeguata in tal senso (o, almeno, l’allegazione di indizi precisi e concordanti in tal senso).

 

Ma l’Autorità appellante non ha fornito una siffatta prova, essendosi – piuttosto – limitata a contestare che l’applicazione in proprio favore delle più volte richiamate disposizioni risulti in assoluto violativa della sua autonomia finanziaria e, in definitiva, della sua stessa indipendenza.

 

In ogni caso (e fermo il limite insuperabile della disponibilità “di tutte le risorse necessarie, sul piano del personale, delle competenze e dei mezzi finanziari, per l’assolvimento dei compiti loro assegnati”) ai Legislatori nazionali dovrebbe essere riconosciuto un certo margine di apprezzamento e discrezionalità normativa nell’individuare e modulare le misure di razionalizzazione da applicare anche alle ANR.

 

Allo stesso modo, una volta che tali misure siano state in concreto applicate, dovrebbe essere riconosciuto ai Giudici nazionali (in quanto Organi deputati in sede decentrata a garantire l’applicazione del diritto dell’Unione europea) il potere di valutare se le caratteristiche qualitative e quantitative della singola misura di contenimento e razionalizzazione abbia superato – anche in termini di adeguatezza e proporzionalità - il minimo necessario per conseguire generali obiettivi di finanza pubblica senza ledere il contenuto minimo essenziale delle garanzie richiamate dalla direttiva 2002/21/CE, considerando 11.

 

5.8.2.2. Come si è detto in precedenza, l’Autorità osserva poi che, anche a voler ritenere la possibilità – in via di principio – di assoggettarla a generali obiettivi di contenimento e razionalizzazione delle spese, alla stessa dovrebbero essere imposti soltanto ‘obiettivi e vincoli di scopo’, lasciandole comunque un ampio margine di autodeterminazione nell’individuazione delle misure concrete con cui conseguire i richiamati obiettivi e vincoli (sotto tale aspetto l’Autorità invoca l’applicazione in proprio favore di misure normative analoghe a quelle previste dal legislatore nazionale per la Banca d’Italia e in precedenza descritte sub 4).

 

Ad avviso del Collegio il motivo in questione non può essere condiviso in quanto:

 

i) anche in questo caso, la pretesa al riconoscimento in favore delle ANR di semplici ‘obiettivi e vincoli di scopo’ sembra presupporre il contemporaneo riconoscimento di uno status differenziato e speciale rispetto alla generalità delle altre amministrazioni pubbliche. Si tratta di un’aspettativa comprensibile, ma che non può fondare – allo stato attuale di evoluzione del diritto dell’Unione europea e nazionale – una pretesa in senso giuridico;

 

ii) per ragioni del tutto simili, non può essere condiviso l’argomento con cui si è lamentata una sostanziale disparità di trattamento con quanto stabilito dal Legislatore nazionale nei confronti della Banca d’Italia. Anche in questo caso il motivo non può essere condiviso in quanto esso non mira a lamentare la violazione di una puntuale norma del diritto dell’Unione, quanto – piuttosto – a censurare l’esercizio della discrezionalità normativa del Legislatore nazionale. Oltretutto, il contestato vizio di disparità presuppone una diversità di trattamento a fronte di situazioni sostanziali del tutto equiparabili, mentre l’AGCOM non ha allegato elementi convincenti tali da far ritenere la sua piena assimilabilità – ai fini che qui interessano – alla Banca d’Italia;

 

iii) si osserva, infine, che le due disposizioni puntuali di contenimento e razionalizzazione richiamate dall’Autorità appellante (si tratta della legge 311 del 2004, articolo 1, comma 5 e del decreto-legge 223 del 2006, articolo 22) non hanno a ben vedere comportato gli stringenti limiti applicativi contestati dall’AGCOM, ma hanno in effetti lasciato alla stessa proprio quegli apprezzabili margini attuativi di cui la stessa lamenta la mancanza. Ed infatti: a) la prima di tali disposizioni ha indicato un limite percentuale complessivo (pari al 2 per cento) all’incremento annuale della “spesa complessiva” delle amministrazioni pubbliche (senza indicare su quali capitoli di bilancio le singole amministrazioni avrebbero dovuto applicare tale limite); b) la seconda di tali disposizioni ha indicato una riduzione percentuale complessiva (pari al 10 per cento) delle “spese per consumi intermedi”, senza indicare in modo puntuale su quali spese e consumi avrebbe dovuto operare la riduzione e lasciando – anche in questo caso – un rilevante margine attuativo alla singola ANR. Pertanto, non sembra fondato l’argomento con cui l’AGCOM ha lamentato che tali disposizioni avrebbero introdotto “misure limitative della spesa estremamente specifiche, tali da escludere qualsiasi margine di autodeterminazione delle spesse con riguardo alle strategie da adottare per conseguire l’obiettivo del contenimento della spesa”.

 

5.8.2.3. Infine il Collegio osserva che non sembra condivisibile il motivo con cui AGCOM ha affermato che le richiamate disposizioni di contenimento e razionalizzazione della spesa sarebbero risultate legittime solo se si fossero limitate alla quota di finanziamento riferibile al bilancio statale, senza potersi estendere alla quota di sostanziale autofinanziamento che l’Autorità trae dalle proprie attività di vigilanza ed autorizzazione (quest’ultima ai sensi della direttiva 2002/20/CE, articolo 20).

 

Al riguardo si osserva:

 

i) che è innegabile che la direttiva 2002/20/CE (considerando 30 e 31 e articolo 12) fissi il principio della tendenziale corrispondenza fra i diritti amministrativi riscossi dalle ANR e “i costi amministrativi veri e propri di tali attività”. Tuttavia il principio in questione mira in primo luogo ad impedire che la fissazione di diritti amministrativi finisca per “distorcere la concorrenza o creare ostacoli per la concorrenza sul mercato”. Al contrario, non sembra che da tali disposizioni possa essere tratto il principio (invocato dall’AGCOM) del sostanziale divieto per i Legislatori nazionali di imporre misure di contenimento e razionalizzazione della spesa nei confronti delle ANR quando queste traggano dal sistema dei costi amministrativi una parte prevalente delle proprie entrate;

 

ii) che, come già osservato dalla Corte costituzionale con la sentenza 20 giugno 2007, n. 256 e da questo Consiglio di Stato con la sentenza 28 novembre 2012, n. 6014, i contributi e i diritti amministrativi che le Autorità amministrative indipendenti possono riscuotere dai soggetti sottoposti alla relativa attività di vigilanza, controllo e regolazione hanno pur sempre natura sostanzialmente tributaria in quanto consistono in prestazioni patrimoniali imposte da puntuali disposizioni di legge (articolo 23 della Costituzione). Pertanto, la natura stessa di tali contributi e diritti amministrativi è di carattere tributario e rientra nella generale potestà impositiva dello Stato/Legislatore (anche quando – come nel caso che qui interessa – l’imposizione di tali contributi e diritti amministrativi derivi dal recepimento di disposizioni di normativa dell’Unione europea). Ne consegue, secondo il Collegio, l’infondatezza dei motivi di appello sollevati dall’Autorità e basati sul sostanziale regime di ‘autofinanziamento’ con cui essa opera.

 

6. CONCLUSIONI.

Per le ragioni sin qui esaminate, si ritiene di sospendere il presente giudizio e di rimettere alla Corte di giustizia il seguente quesito interpretativo:

“Se i principi di imparzialità ed indipendenza anche sotto il profilo finanziario ed organizzativo che devono essere riconosciuti alle autorità nazionali di regolamentazione di cui all’articolo 13 della direttiva 2002/21/CE, nonché il principio di sostanziale autofinanziamento di cui all’articolo 12 della direttiva 2002/20/CE ostino a una normativa nazionale (quale quella che rileva nell’ambito del presente giudizio) la quale assoggetta anche tali Autorità in via generale alle disposizioni in materia di finanza pubblica e, in particolare, a specifiche disposizioni in tema di contenimento e razionalizzazione delle spese delle amministrazioni pubbliche”.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) non definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe n. 8131 del 2013;

 

Visto l’art. 267 del TFUE;

 

Visto l’art. 23 dello Statuto della Corte di Giustizia delle CE;

 

Visto l’art. 3 della l. 13 marzo 1958, n. 204;

 

Viste le ‘Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale’ pubblicate sulla G.U.C.E. del 6 novembre 2012

 

DISPONE la rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione europea delle questioni pregiudiziali indicate in motivazione;

 

DISPONE, nelle more, la sospensione del giudizio

 

RISERVA la liquidazione delle spese di lite al definitivo.

 

MANDA alla Segreteria della Sezione tutti gli adempimenti di competenza e in particolare:

 

- la comunicazione della presente ordinanza alla Corte di giustizia dell’Unione europea;

 

- l’invio, in plico raccomandato, alla Cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione europea (L-2925, Lussemburgo) della presente ordinanza, insieme a copia di tutti gli atti contenuti nel fascicolo di causa, relativi al primo e al secondo grado di giudizio.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati:

 

Maurizio Meschino, Presidente FF

 

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

 

Gabriella De Michele, Consigliere

 

Andrea Pannone, Consigliere

 

Vincenzo Lopilato, Consigliere

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/05/2015

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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