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Consiglio di Stato, Sez. VI, 21/7/2015 n. 3631
Sull'istituto della concessione amministrativa e chiarimenti sui tratti distintivi della concessioni di servizi rispetto alla concessione di lavori pubblici.

Lo strumento privilegiato per l'affidamento di concessioni di lavori pubblici è quello della finanza di progetto.

L'istituto della concessione amministrativa, secondo il costante orientamento delle Sezioni unite della Cassazione, è connotato dalla permanenza nel corso del rapporto concessorio, e fino al suo scioglimento, degli stessi poteri pubblicistici dell'autorità concedente che hanno dato luogo alla relativa costituzione, benché questa si avvalga di moduli consensuali di stampo privatistico, da considerarsi comunque sempre in funzione sostitutiva dei primi.

Al fine di distinguere le figure di concessione di lavori pubblici e quella di pubblico servizio oltre al criterio della "prevalenza economica", deve essere svolta una valutazione di tipo funzionale, in virtù della quale deve optarsi per l'ipotesi della concessione di lavori pubblici "se la gestione del servizio è strumentale alla costruzione dell'opera, in quanto diretta a consentire il reperimento dei mezzi finanziari necessari alla realizzazione, mentre si versa in tema di concessione di servizi pubblici quando l'espletamento dei lavori è strumentale, sotto i profili della manutenzione, del restauro e dell'implementazione, alla gestione di un servizio pubblico il cui funzionamento è già assicurato da un'opera esistente". Pertanto, in base al criterio funzionale, in caso di concessione di lavori l'attività di gestione dell'opera realizzata in esecuzione della stessa è strumentale a reperire le risorse necessarie a sostenerne il costo di costruzione. Nel caso inverso in cui i lavori abbiano la finalità di rendere possibile o a creare le condizioni per l'esercizio, o il miglior esercizio, del servizio pubblico, il contratto è qualificabile come concessione di servizi. Quindi traslando queste coordinate di carattere generale al caso di specie, è indubbio che l'affidamento delle aree pubbliche di sosta in virtù di appositi provvedimenti concessori è strumentale alla gestione del servizio di riscossione dei "proventi dei parcheggi a pagamento" (art. 7, c. 7, del codice della strada), anch'essa affidato in concessione in luogo dell'esercizio diretto dello stesso da parte dell'ente comunale proprietario (ai sensi del successivo c. 8). L'attività di riscossione è infatti l'unica economicamente valutabile in questa tipologia di concessione, dal momento che i proventi con essa ottenuti costituiscono l'unico cespite patrimoniale attraverso il quale il concessionario può conseguire il margine positivo di gestione del servizio. Per contro, con la gestione delle aree ed il mantenimento della loro funzionalità viene costituito in favore del concessionario il necessario titolo giuridico, opponibile ai terzi, mediante il quale questo è posto nelle condizioni di esercitare l'attività di interesse pubblico affidatagli dall'autorità concedente.

Lo strumento privilegiato per l'affidamento di concessioni di lavori pubblici è quello della finanza di progetto (o project financing, ora disciplinato in via generale agli artt. 152 e ss. d.lgs. n. 152/2006). Attraverso il project financing le pubbliche amministrazioni, non in grado di finanziare la costruzione dell'opera, possono ricorrere a capitali di origine privata (e principalmente dalle banche). A loro volta, in tanto i privati possono essere indotti a sovvenire investimenti di rilevante portata come quelli richiesti dalla costruzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, e ad assumerne i rischi inerenti alla costruzione e gestione, in quanto il relativo progetto appaia in grado di autosostenersi sul piano economico, per la sua capacità di generare alla fine della durata prevista un margine gestionale positivo.

Materia: concessioni / disciplina

N. 03631/2015REG.PROV.COLL.

 

N. 00708/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 708 del 2013, proposto dal fallimento della Formia Servizi s.p.a., rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Malinconico, con domicilio eletto presso Federico Pernazza in Roma, via Nizza 53;

 

contro

Comune di Formia, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Sanino e Domenico Di Russo, con domicilio eletto presso il primo, in Roma, viale Parioli 180;

 

nei confronti di

So.E.S. Società Europea Servizi s.p.a.;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - SEZ. STACCATA DI LATINA, SEZIONE I, n. 771/2012, resa tra le parti, concernente un provvedimento di decadenza della concessione del servizio pubblico per la realizzazione e gestione di un parcheggio multipiano parzialmente interrato ed i conseguenti provvedimenti di rilascio dell’immobile

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Formia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2015 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Giovanni Malinconico, Domenico Di Russo e Mario Sanino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. In esecuzione della deliberazione consiliare n. 80 del 15 luglio 1996, in data 21 giugno 2000 il Comune di Formia costituiva una società mista, denominata Formia Servizi s.p.a., per «la realizzazione, l’ampliamento e la ristrutturazione (…) di strutture immobiliari da adibire: a parcheggi e autosilos (…) da realizzare anche mediante lo strumento della concessione assumendone la gestione in funzione strumentale al finanziamento degli interventi effettuati», ed inoltre per «l’organizzazione e la gestione dei parcheggi di superficie e l’esercizio, anche in concessione, dei servizi connessi» (artt. 3 dell’atto costitutivo e dello statuto sociale). Nella società l’amministrazione si riservava la partecipazione di maggioranza assoluta pari al 51% del capitale sociale (già stabilita con delibera consiliare n. 158 del 28 dicembre 1996), dopo avere selezionato il socio privato mediante successiva procedura ad evidenza pubblica (i cui esiti erano approvati con delibera consiliare n. 131 del 25 novembre 1999).

2. Per quanto rileva ai fini del presente giudizio, i rapporti tra l’amministrazione e la controparte venivano regolati da una convenzione per la gestione «del servizio di gestione della mobilità e dei servizi portuali»(datata 25 settembre 2000, rep. n. 8858) e due successive convenzioni attuative, e precisamente:

- una prima, concernente la gestione delle aree di sosta e dei servizi accessori, previa concessione delle aree medesime (delibera consiliare del 20 aprile 2004 e successivi atti concessori delle aree, di cui ai provvedimenti dirigenziali n. 194 del 19 luglio 2004, n. 251 del 30 settembre 2004, n. 10 del 21 gennaio 2005 e n. 268 del 7 ottobre 2005);

- una seconda, avente ad oggetto la realizzazione in finanza di progetto di un parcheggio multipiano parzialmente interrato in piazza delle Poste, e la successiva gestione dello stesso per una durata di 44 anni, previa costituzione in favore della società concessionaria del diritto di superficie di pari durata sull’area su cui avrebbe dovuto essere realizzato il fabbricato (delibera consiliare n. 52 del 31 maggio 2006 e rogito notarile del 3 ottobre 2006).

3. In seguito al fallimento della società (dichiarato dal Tribunale di Latina con sentenza in data 23 settembre 2010), l’amministrazione partecipante la dichiarava decaduta dalla concessione «del servizio pubblico per la realizzazione e gestione di strutture di parcheggio nonché per la gestione della sosta», disponendo contestualmente la riattivazione della gestione del «servizio pubblico della sosta a pagamento sulle aree, già in regime di concessione e di quelle che si renderanno disponibili» - poi affidato all’esito di apposita procedura di gara alla So.E.S. - Società Europea Servizi s.p.a. - dando mandato ai competenti uffici di ottenere il rilascio dell’immobile (in particolare, con la delibera consiliare n. 22 del 10 maggio 2011).

4. Contro questo atto proponeva ricorso al TAR Lazio – sez. staccata di Latina il fallimento della società concessionaria.

5. Con due atti contenenti motivi aggiunti quest’ultima impugnava anche i successivi provvedimenti con cui il Comune, previo accertamento della «caducazione automatica di tutti gli accordi negoziali che funzionalmente accedono alla concessione (…) tra i quali, per quanto qui rileva, è annoverato il Contratto di cessione del diritto di superficie», ordinava lo sgombero dell’immobile e ne disponeva l’acquisizione al proprio patrimonio indisponibile ex art. 826 cod. civ. (ordinanza dirigenziale n. 1 del 17 novembre 2011 e provvedimenti conseguenti).

6. Avendo il TAR adito respinto l’impugnativa con la sentenza in epigrafe, il fallimento della Formia Servizi ha proposto il presente appello, al quale resiste il Comune ex socio di maggioranza.

 

DIRITTO

1. I motivi di cui si compone l’impugnativa del fallimento della Formia Servizi possono essere suddivisi in due gruppi omogenei in base al tenore delle censure in essi contenute.

In un primo vanno inclusi quelli con cui l’odierno appellante contesta i presupposti del provvedimento di decadenza della concessione relativa al parcheggio multipiano, eccependo che:

- attraverso l’errata qualificazione del rapporto come concessione di pubblico servizio, fatta propria dal TAR, l’amministrazione si sarebbe illegittimamente appropriata di un bene privato, appartenente all’ex concessionaria in bonis, e conseguentemente caduto nella massa attiva del fallimento, in virtù del diritto di superficie della durata di 44 anni dell’area su cui esso è stato realizzato (rogito notarile del 3 ottobre 2006, sopra citato);

- il rapporto in questione deve invece essere qualificato come concessione di lavori pubblici ex art. 3, comma 11, d.lgs. n. 163/2006, per la preponderanza sul piano economico del manufatto realizzato in esecuzione dello stesso, grazie a finanziamenti privati a breve, secondo quanto previsto dal piano economico e finanziario approvato in sede di affidamento del contratto, nel quale i ricavi attesi erano destinati ad essere ottenuti dai prezzi dei posti auto e dalla vendita a privati dei box.

Con un secondo gruppo di motivi il fallimento della Formia Servizi contesta in via autonoma, oltre che derivata rispetto alle censure facenti parte del primo gruppo, i presupposti dell’ordine del Comune di sgombero del parcheggio multipiano e la conseguente acquisizione al proprio patrimonio indisponibile. L’appellante assume che in questo modo il Comune di Forma si sarebbe avvalso dei propri poteri di autotutela demaniale ex art. 823 cod. civ. nei confronti di un bene privato, ed avrebbe inoltre soddisfatto le proprie ragioni di credito derivanti dal fallimento mediante le proprie prerogative di pubblica autorità, attraverso l’apprensione dell’unico cespite patrimoniale caduto nella procedura concorsuale, in violazione della par condicio creditorum che informa la disciplina di quest’ultima e le modalità di partecipazione della massa passiva al ricavato della gestione fallimentare.

2. Così riassunta la complessiva prospettazione del fallimento appellante, deve preliminarmente essere esaminata l’eccezione del Comune di Formia di carenza di giurisdizione in relazione a quest’ultimo ordine di doglianze (pag. 9), nonché della parte dell’impugnativa nella quale il fallimento, a dire dell’amministrazione resistente, pretende di «ottenere l’accertamento della sussistenza di un diritto di superficie sull’area sulla quale è stato edificato il parcheggio oggetto di causa» (pag. 10 e ss. della memoria conclusionale dell’amministrazione).

3. L’eccezione è inammissibile ai sensi dell’art. 9 cod. proc. amm., il quale, recependo i principi stabiliti dalle Sezioni unite della Cassazione nella sentenza 9 ottobre 2008, n. 24883, onera la parte che si dolga dell’affermazione, anche implicita, della giurisdizione da parte del giudice di primo grado a proporre specifico motivo d’appello (nel caso di specie incidentale).

Inoltre, il Comune non coglie l’esatto tenore delle censure formulate dal fallimento appellante.

Quest’ultimo, in realtà, pone tali questioni a fondamento di motivi volti a contestare i presupposti dell’esercizio di un potere pubblicistico, quale pacificamente è quello di decadenza da una concessione amministrativa (cfr., Cass., Sez. un., ord. 2 aprile 2007, n. 8094, relativa ad un caso, del tutto in termini con quello oggetto del presente giudizio, di fallimento di un concessionario di servizio pubblico ed alla conseguente decadenza disposta dal Comune concedente, in cui è stata affermata la giurisdizione amministrativa). Infatti, secondo il costante orientamento delle Sezioni unite della Cassazione, l’istituto della concessione amministrativa è connotato dalla permanenza nel corso del rapporto concessorio, e fino al suo scioglimento, degli stessi poteri pubblicistici dell’autorità concedente che hanno dato luogo alla relativa costituzione, benché questa si avvalga di moduli consensuali di stampo privatistico, da considerarsi comunque sempre in funzione sostitutiva dei primi (in questo senso, da ultimo: ord. 24 gennaio 2014, n. 1713, 2 febbraio 2011, n. 2418, 20 novembre 2007, n. 24012, 16 febbraio 2006, n. 3370, 1 dicembre 2004, n. 22492, 9 maggio 2002, n. 6687, 12 febbraio 1999, n. 50).

Alla stregua di tali considerazioni, risulta quindi azionato dal fallimento odierno appellante un petitum sostanziale avente la consistenza di interesse legittimo, rispetto al quale la questione della proprietà del manufatto e dell’area circostante, oltre che di quella concernente i rapporti tra l’autotutela pubblicistica e la normativa fallimentare, danno luogo ad accertamenti incidentali conoscibili dal giudice amministrativo ai sensi dell’art. 8 cod. proc. amm., poiché non rientranti nelle ipotesi tassative (stato e la capacità delle persone ed incidente di falso) in cui tale potere non è riconosciuto dalla citata disposizione (per una recente applicazione del potere di accertamento incidentale cfr. la recente pronuncia di questa Sezione del 22 maggio 2015, n. 2570).

4. Sempre in via preliminare, l’amministrazione eccepisce l’inammissibilità e/o improcedibilità per carenza di interesse, a causa della mancata impugnazione della nota del 22 aprile 2011 (prot. n. 17472), con la quale essa appellata riscontrava negativamente l’istanza della curatela fallimentare di continuare la gestione del parcheggio mediante affitto di azienda ad una cooperativa appositamente costituita dai dipendenti della società fallita, in applicazione dell’art. 116, comma 4, cod. contratti pubblici.

5. Anche questa eccezione deve essere respinta per la sua evidente infondatezza, derivante dal fatto che nel presente appello il fallimento della Formia Servizi non ha riproposto la censura di violazione della citata disposizione del codice “appalti” nei confronti della delibera consiliare di decadenza della concessione.

6. Può dunque passarsi al merito.

7. Fondati sono innanzitutto gli assunti del fallimento volti a sostenere la natura del rapporto inerente al parcheggio multipiano come concessione di lavori pubblici, anziché come concessione di pubblico servizio, nonché a censurare l’indebita confusione con la distinta concessione avente ad oggetto le aree pubbliche di sosta, invece inquadrabile in quest’ultimo schema, in cui il Comune di Formia è incorso nella delibera consiliare con cui è stata pronunciata la decadenza della società partecipata da tutti i rapporti di concessione.

8. Depongono in questo senso le seguenti considerazioni:

- in primo luogo, il tenore contenutistico degli atti istitutivi della società e delle prodromiche deliberazioni consiliari del Comune di Formia, ed in particolare la chiara distinzione statutariamente prevista, da un lato, tra l’attività di realizzazione di strutture immobiliari da adibire a parcheggi, per la quale si era prefigurato il ricorso dello strumento della concessione di costruzione e gestione, con assunzione a carico del concessionario della gestione «in funzione strumentale al finanziamento degli interventi effettuati», e, dall’altro lato, l’attività di «organizzazione» e «gestione dei parcheggi di superficie e l’esercizio, anche in concessione, dei servizi connessi»;

- in secondo luogo, la riconducibilità letterale della prima tipologia di attività, dedotta nell’oggetto sociale della Forma Servizi, alla concessione di lavori pubblici, prevista dall’allora vigente art. 19, comma 2, legge quadro sui lavori pubblici n. 109/1994, e da tale disposizione definita come il contratto avente ad oggetto «la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori pubblici, o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati», nella quale la controprestazione a favore del concessionario «consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati» (in continuità normativa con si vedano ora gli artt. 3, comma 11, e 143 d.lgs. n. 163/2006);

- in terzo luogo, la riconducibilità anche sul piano causale del rapporto concessorio avente ad oggetto il parcheggio multipiano a questo tipo contrattuale, come si evince dal piano economico e finanziario approvato con la citata delibera n. 52 del 31 maggio 2006, nel quale si era previsto che il costo dell’opera (pari a circa 4,5 milioni di euro) sarebbe stato ripagato dalla vendita di box e dai proventi della gestione dei posti auto, fino a raggiungere l’equilibrio economico nel 2033, tenuto conto della percentuale di introiti da retrocedere al Comune, a fronte di una scadenza del rapporto di concessione fissata al 2050, dopodiché l’area ed il parcheggio sarebbero ritornate gratuitamente in proprietà dell’amministrazione;

- in quarto luogo, l’estraneità a questo schema negoziale del distinto rapporto concessorio, costituito nel 2004 e non oggetto della presente impugnativa, avente ad oggetto la gestione delle aree pubbliche di sosta e dei servizi accessori, previo affidamento in concessione delle prime, e che – come sopra accennato - è qualificabile come concessione di pubblico servizio.

9. A quest’ultimo riguardo, il fallimento appellante cita in modo puntuale il precedente giurisprudenziale costituito dalla sentenza di questa Sezione del 14 aprile 2008, n. 1600.

Al fine di distinguere le due figure di concessione, questa pronuncia ha infatti chiarito come oltre al criterio della “prevalenza economica” (sancito dall’art. 14 del medesimo codice), debba essere svolta una valutazione di tipo funzionale, in virtù della quale deve optarsi per l’ipotesi della concessione di lavori pubblici «se la gestione del servizio è strumentale alla costruzione dell'opera, in quanto diretta a consentire il reperimento dei mezzi finanziari necessari alla realizzazione, mentre si versa in tema di concessione di servizi pubblici quando l'espletamento dei lavori è strumentale, sotto i profili della manutenzione, del restauro e dell'implementazione, alla gestione di un servizio pubblico il cui funzionamento è già assicurato da un'opera esistente».

Pertanto, in base al criterio funzionale enucleato nella pronuncia ora richiamata, in caso di concessione di lavori l’attività di gestione dell’opera realizzata in esecuzione della stessa è strumentale a reperire le risorse necessarie a sostenerne il costo di costruzione. Nel caso inverso in cui i lavori abbiano la finalità di rendere possibile o a creare le condizioni per l’esercizio, o il miglior esercizio, del servizio pubblico, il contratto è qualificabile come concessione di servizi.

10. Volendo quindi traslare queste coordinate di carattere generale al caso oggetto del presente giudizio, è indubbio che l’affidamento delle aree pubbliche di sosta in virtù di appositi provvedimenti concessori è strumentale alla gestione del servizio di riscossione dei «proventi dei parcheggi a pagamento» (art. 7, comma 7, del codice della strada), anch’essa affidato in concessione in luogo dell’esercizio diretto dello stesso da parte dell’ente comunale proprietario (ai sensi del successivo comma 8). L’attività di riscossione è infatti l’unica economicamente valutabile in questa tipologia di concessione, dal momento che i proventi con essa ottenuti costituiscono l’unico cespite patrimoniale attraverso il quale il concessionario può conseguire il margine positivo di gestione del servizio. Per contro, con la gestione delle aree ed il mantenimento della loro funzionalità viene costituito in favore del concessionario il necessario titolo giuridico, opponibile ai terzi, mediante il quale questo è posto nelle condizioni di esercitare l’attività di interesse pubblico affidatagli dall’autorità concedente.

Deve poi evidenziarsi che, come si evince dalla lettura del citato art. 7 del codice della strada, la gestione di aree di sosta sulla pubblica via è funzionale all’organizzazione del traffico veicolare nei centri abitati. In ragione di questa circostanza tale attività assume quindi le caratteristiche di servizio pubblico, vale a dire di attività rispondente a bisogni fondamentali della collettività. Il tutto con i conseguenti corollari della necessarietà, indefettibilità e continuità, in virtù dei quali l’amministrazione concedente è legittimata ad intervenire in autotutela per far fronte ad interruzioni del servizio o comunque ad inadempienze del privato concessionario.

11. A conclusioni opposte deve invece pervenirsi per quanto riguarda i parcheggi interrati, i quali costituiscono indubbiamente opere di pubblica utilità, poiché aumentano la capacità di spazi per la sosta dei veicoli, ma la cui costruzione non è imposta agli enti comunali da alcuna norma di legge. La loro presenza - solo eventuale dunque - contribuisce a soddisfare in modo più completo la domanda di aree di sosta degli utenti della strada, affiancando ulteriori infrastrutture di parcheggio agli spazi che l’ente proprietario della strada deve comunque assicurare ai sensi del più volte citato art. 7 del codice di cui al d.lgs. n. 285/1992, dando conseguentemente luogo ad un’offerta del servizio connotata dalla presenza di operatori privati a fianco dell’amministrazione.

12. Rimanendo all’analisi del rapporto concessorio avente ad oggetto il parcheggio multipiano, è indiscutibile che quest’ultimo è il bene economicamente preponderante nel sinallagma contrattuale, poiché la sua realizzazione richiede l’attrazione di ingenti capitali, da remunerare poi mediante la sua gestione funzionale. La realizzazione del manufatto rientra quindi nell’ipotesi costituita da «un insieme di lavori, che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica», prevista dall’art. 3, comma 8, cod. contratti pubblici, recante la definizione di lavori ai sensi del medesimo codice. La rilevanza del bene è ulteriormente avvalorata dalla previsione del suo acquisto gratuito a favore del Comune alla scadenza della concessione. La gestione dello stesso è invece funzionale agli scopi di ripagare gli investimenti sostenuti per la sua costruzione e di assicurare un profitto al concessionario.

13. Strettamente collegata a quest’ultima notazione è quella secondo cui lo strumento privilegiato per l’affidamento di concessioni di lavori pubblici è quello della finanza di progetto (o project financing, ora disciplinato in via generale agli artt. 152 e ss. d.lgs. n. 152/2006), impiegato nel caso di specie.

Attraverso il project financing le pubbliche amministrazioni, non in grado di finanziare la costruzione dell’opera, possono ricorrere a capitali di origine privata (e principalmente dalle banche). A loro volta, in tanto i privati possono essere indotti a sovvenire investimenti di rilevante portata come quelli richiesti dalla costruzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, e ad assumerne i rischi inerenti alla costruzione e gestione, in quanto il relativo progetto appaia in grado di autosostenersi sul piano economico, per la sua capacità di generare alla fine della durata prevista un margine gestionale positivo.

14. Le considerazioni finora svolte si addicono al caso di specie. Come infatti emerge dal piano economico e finanziario dell’opera, la gestione del parcheggio multipiano riveste una funzione strumentale rispetto all’obiettivo di remunerare l’investimento sostenuto per la relativa costruzione. Pertanto, il rapporto tra Comune di Formia e la società ex partecipata in allora in bonis avente ad oggetto tale bene non può essere qualificato come di pubblico servizio ma di lavori pubblici.

Alla luce di tali considerazioni, la delibera consiliare di decadenza impugnata dal fallimento odierno appellante mediante il ricorso originario è illegittima e deve essere annullata nella parte in cui, sulla base dell’erroneo presupposto della natura di servizio pubblico dell’attività di costruzione e gestione del parcheggio multipiano, dispone l’acquisizione del servizio medesimo in capo all’amministrazione concedente ed il contestuale affidamento a terzi, nonché dà mandato ai competenti uffici di curare l’acquisizione alla mano pubblica del bene. La delibera deve invece essere confermata nella parte in cui dispone la decadenza dalla concessione di costruzione e gestione. Questa statuizione è stata infatti legittimamente disposta in conseguenza del fallimento della concessionaria e della sua conseguente incapacità di eseguire l’affidamento per l’intera sua durata. E del resto, per questa parte il provvedimento in questione non è nemmeno stato contestato dalla curatela odierna appellante con la presente impugnativa.

15. Sono conseguentemente fondate le censure svolte in via derivata nei confronti degli atti di sgombero, in particolare la citata ordinanza dirigenziale n. 1 del 17 novembre 2011 ed i successivi provvedimenti adottati dal Comune di Formia.

16. Per le conclusioni che seguono sono fondate anche le censure svolte in via autonoma dal fallimento con riguardo a questi ultimi provvedimenti.

Ciò in particolare in virtù di un’analisi incentrata non già sulla fisiologia dell’istituto della concessione di lavori pubblici in finanza di progetto, come quella finora svolta, ma sulla fase patologica, e cioè nell’ipotesi di inattuazione del progetto, in particolare nel caso di fallimento del soggetto attuatore, qui verificatosi.

17. Su questo punto, in sede di discussione il difensore dell’appellante ha colto il nucleo centrale del problema ed adeguatamente corroborato le proprie censure, ponendo in evidenza che i finanziatori dell’opera, una volta dissoltasi l’ipotesi iniziale della destinazione del flusso reddituale riveniente dalla sua gestione funzionale al soddisfacimento delle loro ragioni di credito, devono potere confidare su adeguate forme alternative di garanzia patrimoniale in grado di limitare le conseguenze dell’insolvenza del concessionario. Ciò al fine di assicurare ex ante la fattibilità del progetto e dunque dare significato pratico allo stesso istituto giuridico della finanza di progetto. Infatti, quest’ultima sarebbe destinata a non essere mai impiegata in assenza di adeguate condizioni in grado di incoraggiare l’attrazione dei capitali privati per finanziare grandi investimenti pubblici.

Questo aspetto è in effetti fondamentale nell’economia delle concessioni di lavori pubblici, di ciò potendosi trarre conferma dalla disciplina contenuta nel codice dei contratti pubblici e del regolamento di attuazione per tale tipologia contrattuale, ed in particolare:

- dalle norme che impongono requisiti di capitale minimo rispettivamente ai fini della qualificazione dei concessionari di lavori pubblici e per l’ipotesi di subingresso nel rapporto di una società di progetto da questi ultimi costituite (artt. 95 del regolamento di cui al d.p.r. n. 207/2010 e art. 156 del codice medesimo);

- dalla destinazione preferenziale dei cespiti attivi di questa tipologia contrattuale «al soddisfacimento dei crediti dei finanziatori del concessionario» (art. 157, comma 2, cod. contratti pubblici).

18. Le considerazioni ora svolte non mutano laddove all’apporto di finanziario privato si aggiunga quello pubblico, attraverso l’assunzione da parte dell’amministrazione concedente della qualità socio di società mista concessionaria, secondo lo schema tipico di partenariato pubblico-privato istituzionalizzato, nel quale si colloca la Formia Servizi.

Infatti, con questa scelta l’ente pubblico assume conseguentemente il rischio di impresa, in comunione di scopo ex art. 2247 cod. civ. con il socio privato, acquisendo in contropartita l’aspettativa di partecipare agli utili rivenienti dalla gestione dell’opera, oltre che, alla scadenza, la sua acquisizione gratuita (nonché, sul piano pubblicistico, l’affidabilità senza gara di contratti ai sensi dell’art. 1, comma 2, cod. contratti pubblici, purché – come ampiamente noto – per la selezione del partner privato siano stati rispettati gli obblighi di evidenza pubblica). L’assunzione di questo rischio discende in particolare dalla natura privatistica dello strumento costituito dalla società mista, affermata dalla Cassazione proprio con riguardo all’odierna appellante (Sez. I, 6 dicembre 2012, n. 21991), e dalla conseguente soggezione di quest’ultima allo statuto dell’imprenditore commerciale, ivi compresa la sua fallibilità (diversamente dagli enti pubblici non economici: art. 2201 cod. civ.). In virtù di ciò, la società deve quindi essere dotata di un capitale espressivo di un patrimonio a sua volta destinato a fungere da garanzia per i creditori ex art. 2740 cod. civ., come del resto ricavabile dalle disposizioni del codice appalti e relativo regolamento di attuazione poc’anzi citate.

19. Nel paradigma descritto si colloca la presente vicenda contenziosa, atteso che:

- diversamente dal caso della concessione di aree pubbliche di sosta, il Comune di Formia ha dotato la propria società partecipata di mezzi patrimoniali, consistenti nel diritto di superficie sull’area sulla quale è stato realizzato il parcheggio multipiano;

- l’atto costitutivo di tale diritto reale di godimento ha previsto una durata dello stesso pari a 44 anni (con scadenza al 2050), perfettamente sincronizzata con la durata della concessione di costruzione e gestione del manufatto, mentre nessuna previsione di anticipata cessazione del termine contrattuale è stata prevista nel primo caso, come può chiaramente evincersi dalla lettura del rogito notarile del 3 ottobre 2006, che infatti nulla prevede al riguardo;

- contrariamente a quanto sostiene l’amministrazione appellata sul punto, una tale previsione non può essere ricavata da un supposto collegamento funzionale tra l’atto contrattuale in questione e la convenzione per la gestione «del servizio di gestione della mobilità» del 25 settembre 2000, più sopra menzionata.

20. A quest’ultimo riguardo, nel regolare i rapporti tra l’amministrazione che ha promosso la costituzione della società mista ed i soci privati per «la realizzazione di strutture di parcheggio, per la gestione della mobilità» e«per la gestione della sosta» (art. 2), la convenzione prevede, da un lato, l’attribuzione a quest’ultima del «diritto di superficie a tempo determinato su aree demaniali o di proprietà comunale» per una durata pari «alla gestione specificao della società, come precisato nei programmi attuativi» (art. 3, commi 1 e 2); e dall’altro lato che «la disponibilità di aree e spazi di sosta, da parte della società di Servizio, può derivare anche da concessioni in uso per un tempo determinato da parte del Comune» (art. 3, comma 3); ulteriormente specificando nel primo caso la duplice opzione della costituzione di tale diritto reale di godimento mediante contratto a titolo oneroso e del conferimento in natura nel capitale sociale dello stesso (art. 4).

Nella convenzione in esame sono dunque prefigurati gli schemi operativi destinati poi ad essere trasfusi e dettagliati in sede di singola convenzione attuativa (in conformità all’art. 6). Dal medesimo atto convenzionale emerge in ogni caso la dicotomia dei futuri rapporti concessori (di lavori e di servizi), poi concretamente realizzatasi, a seconda delle attività di volta in volta affidate alla società mista, sulla base del suo oggetto sociale, e la conseguente diversità dello strumento giuridico attuativo: attribuzione in proprietà superficiaria di aree in caso di realizzazione di strutture di parcheggio in un caso; attribuzione in concessione delle aree pubbliche per la gestione della sosta su di esse nell’altro.

Deve poi precisarsi al riguardo che la clausola convenzionale che correla la durata del diritto di superficie a quella della società, comunque non riprodotta nel rogito notarile del 3 ottobre 2006, va riferita all’ipotesi in cui quest’ultima cessi per qualsiasi causa anteriormente alla durata prevista della concessione, ma non già al caso di fallimento di quest’ultima.

Quest’ultima evenienza legittima certamente la decadenza della concessione, ma non anche l’acquisizione coattiva dell’opera realizzata in esecuzione di essa.

21. Sul piano più generale, per rispondere ulteriormente ai rilievi del Comune appellato, deve precisarsi che la convenzione datata 25 settembre 2000 in esame reca la disciplina “cornice” dei rapporti tra amministrazione concedente e privati partecipanti al capitale sociale della società mista costituita allo scopo di gestire le attività ed i servizi, al fine di fornire una regolamentazione generale dei rapporti di concessione, da costituire poi attraverso le singole convenzioni attuative.

Ma a valle di tale convenzione e dei conseguenti rapporti attuativi di ultime si collocano poi gli strumenti, anche di carattere privatistico, necessari a dare sostanza ai singoli rapporti di concessione, in relazione ai quali si pongono unicamente questioni di congruenza con il fine pubblico che permea l’istituto concessorio, ma la cui disciplina, pattizia o legale, è quella del tipo concretamente impiegato.

Di ciò si trae conferma anche dalla citata sentenza della Cassazione 6 dicembre 2012, n. 21991, la quale ha chiarito che la sottoposizione della società mista ad obblighi di corretta esecuzione dei servizi e delle attività ad essa affidate, ed alla conseguente vigilanza dell’ente pubblico partecipante, attiene al rapporto concessorio, ma non esplica alcuna influenza nei rapporti della società partecipata con i terzi e sulle conseguenti responsabilità.

22. Alla luce di queste ultime considerazioni, devono essere condivise le censure con cui il fallimento della Formia Servizi si duole che attraverso gli atti da essa impugnati nel presente giudizio il Comune di Formia si sia avvalso delle proprie prerogative di pubblica autorità per appropriarsi di un bene privato, il parcheggio multipiano, al di fuori dei casi in cui è quindi ammessa l’autotutela demaniale ex art. 823 cod. civ., contemporaneamente vanificando le regole di par condicio imposte dal medesimo codice ai creditori dell’imprenditore in caso di sua insolvenza.

23. In primo luogo, non essendo ravvisabile nella concessione di costruzione e gestione di un parcheggio multipiano un servizio pubblico, il Comune non era legittimato a rientrare nel possesso del parcheggio multipiano, non essendovi costretto dalla necessità di garantire la continuità di un’attività rispondente a bisogni fondamentali della popolazione.

Ma alla medesima conclusione si giunge anche attraverso la cognizione di carattere incidentale quale quella consentita dal citato art. 8 del codice del processo amministrativo sul regime dominicale del bene.

La natura privata del parcheggio multipiano al momento del fallimento della Formia Servizi risulta infatti indiscutibile, essendo tale manufatto stato realizzato su un’area concessa dal Comune in proprietà superficiaria alla società concessionaria, allora in bonis, per cui deve ritenersi che quest’ultima ne ha acquistato la proprietà ai sensi dell’art. 952, comma 1, cod. civ., in forza del quale la proprietà del suolo si estende alle costruzioni su di esso realizzate. Infatti, diversamente da quanto sostiene sul punto l’amministrazione appellata, la norma da ultimo menzionata è speciale rispetto all’accessione ex art. 934 e ss. cod. civ., da essa invece invocata, la quale si riespande solo una volta estinto il diritto di superficie, ai sensi dell’art. 954 (ex multis: Cass., Sez. II, 21 febbraio 2005, n. 3440). Ed in coerenza con la disciplina codicistica qui esaminata, va sottolineato – come peraltro sopra già evidenziato - che nella convenzione attuativa del 2006 relativa alla costruzione e gestione del parcheggio multipiano è prevista l’acquisizione gratuita del bene al Comune alla scadenza del diritto di superficie.

24. Conseguentemente, è illegittima l’apprensione coattiva cui il Comune di Formia ha fatto ricorso attraverso gli atti qui impugnati.

Infatti, richiamato sul punto quanto poc’anzi osservato a proposito dei rapporti tra autorità comunale concedente e società mista concessionaria, occorre ribadire che la natura privata del bene costituisce un elemento fondamentale della figura di partenariato pubblico-privato istituzionale in cui si sostanzia la società mista, affidataria senza gara di contratti dall’amministrazione. Si tratta più precisamente di un elemento avente rilievo causale ex art. 1325, n. 2), cod. civ. dello schema privatistico impiegato per la gestione di attività di rilievo imprenditoriale ma al contempo di interesse pubblico, poiché la gestione funzionale ed economica costituisce la controprestazione principale a carico dell’ente pubblico concedente (Cass., Sez. un., 27 dicembre 2011, n. 28804; Cons. Stato, Sez. V, 16 gennaio 2013 nn. 231 e 236).

25. Nella medesima prospettiva, la dotazione di mezzi patrimoniali a favore del concessionario risponde all’esigenza di garantire i finanziatori dell’investimento, per cui l’amministrazione che a ciò abbia concorso, acquisendo la partecipazione di maggioranza della società concessionaria, non può poi avvalersi delle proprie prerogative di pubblica autorità per sterilizzare i rischi di perdita integrale dell’investimento sostenuti in questa forma, vanificando le ragioni dei creditori della società mista. Come infatti dedotto dal fallimento appellante, in questo modo risulta sovvertito l’ordine di soddisfazione delle ragioni di credito previsto dalla legislazione concorsuale per il caso di insolvenza della società.

26. Il ricorso a strumenti di carattere pubblicistico sarebbe in ipotesi stato legittimo se la società mista fosse stata costituita per l’esercizio in concessione di un pubblico servizio (in base all’alternativa consentita dal citato art. 1, comma 2, cod. contratti pubblici). In questo caso, infatti, il privato concessionario non può acquistare un diritto sui beni e le infrastrutture necessarie al relativo svolgimento opponibile all’autorità concedente. A ciò osta l’art. 826 cod. civ., in combinato con gli art. 823 e 828 cod. civ., a mente dei quali quest’ultima può avvalersi del proprio potere di autotutela in caso di beni patrimoniali indisponibili, al precipuo fine di impedire che questi siano sottratti alla loro destinazione. E del resto, come visto per la gestione delle aree pubbliche di sosta, lo strumento tipicamente impiegato per l’affidamento di servizi pubblici in concessione è quello di attribuire mediante lo stesso schema anche i beni e le infrastrutture necessarie al relativo svolgimento, così da legittimare la posizione di supremazia dell’ente pubblico concedente (cfr., da ultimo: Cass., Sez. un., 20 aprile 2015, n. 7959).

27. Portando a compimento il ragionamento ora svolto, deve affermarsi che le due figure di concessione finora esaminate sono ciascuna connotate da una simmetrica congruenza tra fine pubblico e strumenti giuridici impiegati per la relativa realizzazione (congruenza che non può mai mancare nell’esercizio da parte dell’amministrazione della propria capacità di diritto privato: cfr. art. 11 l. n. 241/1990; regola valevole anche per le concessioni amministrative, nelle quali l’impiego di moduli consensuali di stampo privatistico è sostitutivo di poteri autoritativi, come costantemente affermato dalle Sezioni unite della Cassazione nell’indirizzo richiamato in sede di esame dell’eccezione di difetto di giurisdizione, in conformità del quale si pongono alcune recenti pronunce di questo Consiglio di Stato, ed in particolare della V Sezione: 12 novembre 2013, n. 5421 e 2 ottobre 2012, n. 5173). Infatti, come rilevato sinora, mentre nella concessione di servizi compito del concessionario è quello di organizzare e gestire un’attività rispondente a bisogni fondamentali della collettività, avvalendosi a tal fine dei beni ad essa strumentali, per contro, nella concessione di costruzione e gestione di lavori pubblici l’attribuzione della proprietà privata dell’opera al medesimo concessionario, ed il mantenimento di tale titolo per la durata prevista dal piano economico e finanziario, sono in particolare necessari a garantire il ceto creditorio della solvibilità del soggetto finanziato, oltre che a favorire la gestione dell’opera stessa secondo criteri di stampo imprenditoriale.

Questi assunti trovano il loro corollario sul versante processuale nella differente operare del riparto tra giurisdizione amministrativa ed ordinaria (peraltro non rilevante nel presente contenzioso alla luce del giudicato implicito formatosi sul punto, come in precedenza rilevato): nel caso di concessione di servizi opera infatti l’ipotesi di giurisdizione esclusiva prevista dall’art. 133, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., con l’unica eccezione delle controversie meramente patrimoniali attinenti ai rapporti tra autorità concedente e privato concessionario; per contro nelle controversie riguardanti l’esecuzione dei contratti di concessione di lavori pubblici la giurisdizione è devoluta al giudice ordinario (in questo senso, da ultimo: Cass., Sez. un., 20 maggio 2014, nn. 11022 e 11023), applicandosi il generale criterio della causa petendi, e dunque essendo configurabile la giurisdizione amministrativa solo a fronte di manifestazioni di potere pubblico incidenti autoritativamente sul rapporto medesimo.

28. Alla luce di queste notazioni emerge quindi la fondatezza delle censure con le quali la curatela appellante si duole dell’impiego da parte del Comune di Formia del potere di autotutela demaniale e del conseguente aggiramento delle norme che regolano la soddisfazione dei crediti nel fallimento.

Infatti, attraverso l’apprensione in via autoritativa dell’unico cespite patrimoniale caduto nella massa attiva della procedura, nel cui passivo l’amministrazione si è insinuata (per crediti tributari, come precisato dai difensori delle parti in sede di discussione), quest’ultima si è unilateralmente posta nelle condizioni di soddisfare le proprie ragioni in spregio al più volte citato principio della par condicio creditorum, ledendo le legittime aspettative degli altri creditori del fallimento.

29. In contrario non giova al Comune appellato sottolineare di avere proposto alla curatela fallimentare, prima di apprendere coattivamente il bene, di indennizzare la massa attiva in ragione dell’anticipato riscatto del bene (nota di prot. n. 49574 del 18 novembre 2011), senza ricevere riscontro alcuno. L’assunto reitera la “concezione pubblicistica” sulla base della quale l’amministrazione si è costantemente ed erroneamente mossa nella presente vicenda contenziosa, riconducendo in modo illegittimo in questo ambito anche la concessione di costruzione dell’infrastruttura di parcheggio su cui si controverte nel presente giudizio, in cui, invece, gli strumenti operativi impiegati hanno natura privata. Ne consegue che la sorte del parcheggio multipiano caduto nella massa attiva del fallimento è regolata dalle norme concernenti quest’ultimo.

30. In conclusione, l’appello deve essere accolto nei termini sopra esposti, dovendosi riformare pertanto la sentenza del TAR Latina, ed in accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti del fallimento della Formia Servizi annullare i provvedimenti con essi impugnati, nella parte in cui dispongono la riattivazione del servizio pubblico di sosta sul parcheggio multipiano e nelle consequenziali statuizioni attraverso le quali l’amministrazione comunale si è appropriata di tale bene, acquisendolo in regime di bene patrimoniale indisponibile ex art. 826 cod. civ.

Le spese del doppio grado di giudizio possono tuttavia essere compensate per la notevole complessità delle questioni controverse.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso ed i motivi aggiunti colà proposti, annullando gli atti con essi impugnati nei termini parimenti specificati in motivazione.

Compensa tra tutte le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati:

Alessandro Pajno,      Presidente

Francesco Caringella, Consigliere

Fabio Franconiero,     Consigliere, Estensore

Luigi Massimiliano Tarantino,           Consigliere

Sabato Guadagno,      Consigliere

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

                       

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/07/2015

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

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