HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Consiglio di Stato, Sez. V, 28/7/2015 n. 3716
Non sussistano i requisiti per l'affidamento in house quando l'ente strumentale individuato per lo svolgimento del servizio non ha organizzazione e risorse umane adeguate a svolgerlo compiutamente.

La necessaria strumentalità dell'ente affidatario diretto presuppone la sua capacità di svolgere le funzioni attribuitegli in via di delega dall'autorità vigilante, la quale dal canto suo non può prescindere da tale doverosa verifica preventiva, al fine di evitare che l'attribuzione di compiti di interesse pubblico rimanga una mera enunciazione formale, per la cui concreta attuazione occorre comunque stimolare l'offerta privata. In altri termini, è insito nella decisione di affidare un servizio in house l'idoneità dell'ente strumentale a svolgerlo compiutamente, potendosi giustificare la deroga all'obbligo della gara, appunto, solo in virtù di una capacità di autoproduzione interna mediante strutture su cui l'autorità pubblica affidante ha un controllo di tipo organico analogo a quello svolto sui propri uffici. Pertanto, nel caso di specie, non sussistano i requisiti per l'affidamento in house da parte della Regione dei servizi di orientamento al lavoro, organizzazione e gestione di sportelli informativi all'Agenzia Molise Lavoro essendo una struttura priva "di risorse umane, di professionalità adeguate e di capacità tecnica-operativa adeguata".

Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

N. 03716/2015REG.PROV.COLL.

 

N. 07038/2012 REG.RIC.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7038 del 2012, proposto dalla Regione Molise e dall’Agenzia regionale Molise Lavoro, rappresentate e difese dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

contro

CAT PMI Confcommercio Centro di assistenza tecnica s.c.a.r.l., in proprio e in qualità di mandataria del costituendo raggruppamento temporaneo con le imprese Formalab e Expertise s.r.l., nonché queste ultime in proprio, rappresentate e difese dall'avvocato Michele Coromano, con domicilio eletto presso Nicola Corbo in Roma, viale Tupini 113;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MOLISE, SEZIONE I, n. 423/2012, resa tra le parti, concernente un provvedimento revoca della procedura di affidamento in appalto dei servizi di orientamento al lavoro ed organizzazione degli sportelli informativi e contestuale affidamento in house providing del medesimo servizio all’Agenzia regionale Molise Lavoro

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio, contenente appello incidentale, di CAT PMI Confcommercio Centro di assistenza tecnica s.c.a.r.l., Formalab ed Expertise s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2015 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Alessia Urbani Neri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Dopo avere indetto una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento in appalto dei servizi di orientamento al lavoro, organizzazione e gestione di sportelli informativi per un triennio (delibera di giunta regionale n. 764 del 13 settembre 2010, attuativa del programma operativo p.o.r. 2007 – 2013 del Fondo sociale europeo), la Regione Molise si determinava a revocare la gara, disponendo contestualmente l’affidamento del medesimo servizio in house all’Agenzia regionale Molise Lavoro (delibera di giunta regionale n. 204 del 21 marzo 2011).

2. Con la sentenza in epigrafe il TAR Molise accoglieva l’impugnativa di alcune imprese facenti parte di una delle due a.t.i. partecipanti alla procedura di affidamento, giunta alla fase dell’apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa, e cioè la CAT PMI Confcommercio centro di assistenza tecnica s.c.a.r.l., ditta Formlab e Expertise s.r.l., ritenendo che nei rapporti tra Regione e Agenzia regionale fosse insussistente il requisito del controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Il giudice di primo grado attribuiva rilievo decisivo all’autonomia (amministrativa, tecnica, patrimoniale e contabile) statutariamente riconosciuta all’Agenzia, tale a suo avviso da escludere che la Regione «possa esercitare un penetrante controllo sulle dinamiche gestionali in modo analogo a quello che potrebbe esercitare un proprio organo».

3. Il TAR respingeva invece la domanda di reintegrazione in forma specifica proposta dalla ricorrente, ritenendo che l’interesse ad essa sotteso potesse essere pienamente soddisfatto «con l’indicazione di dar corso alla procedura di evidenza pubblica interrotta», consequenzialmente emessa nei confronti della Regione.

4. Contro la pronuncia di accoglimento dell’impugnazione hanno proposto appello principale la Regione e l’Agenzia regionale.

Oltre a riproporre ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm. le censure assorbite dal TAR, le imprese ricorrenti in primo grado hanno dal canto loro impugnato in via incidentale la statuizione di rigetto della propria domanda di reintegrazione in forma specifica, deducendo che il servizio «è stato espletato dalla Agenzia Molise Lavoro per oltre il 50%». Le medesime appellanti incidentali si dolgono del mancato esame della subordinata domanda di risarcimento per equivalente per la parte di contratto già eseguita, instando per il ristoro della chance di aggiudicazione, che quantificano nella misura del 5% del ribasso da loro offerto in sede di gara, oltre al danno curriculare ed alle spese di partecipazione alla procedura.

5. Con ordinanza cautelare n. 4248 del 24 ottobre 2012 questa Sezione ha respinto l’istanza di sospensiva della sentenza di primo grado.

6. In esecuzione dell’ordinanza, la Regione Molise ha revocato l’affidamento in house, assunto in proprio il servizio e disposto il riavvio della procedura di gara (delibera di giunta n. 748 del 26 novembre 2012). A tal fine, la mandataria CAT PMI Confcommercio veniva richiesta di confermare la validità dell’offerta in allora presentata e di prestare nuova cauzione provvisoria, ai fini del riavvio della gara, tenuto comunque conto «delle sopravvenute esigenze e del lasso di tempo trascorso in conseguenza dell’annullamento» (nota dirigenziale n. n. 47873 del 19 dicembre 2012). 7. Dopo avere riscontrato negativamente la richiesta, la medesima società impugnava la nota regionale davanti al TAR Molise, il quale, con sentenza n. 508 del 26 settembre 2014 dichiarava l’improcedibilità del ricorso «in considerazione del fatto che il servizio oggetto dell’appalto è giunto alla sua naturale scadenza in data 31.3.2014 e l’importo a tal fine stanziato è stato interamente erogato».

8. In ragione di ciò le appellanti incidentali hanno insistito nella domanda di risarcimento dei danni.

 

DIRITTO

1. Punto risolutivo ai sensi degli artt. 120, comma 10, e 74 cod. proc. amm. al fine di stabilire la fondatezza dell’appello principale è se un ente pubblico strumentale, quale è incontestabilmente l’Agenzia Molise lavoro nei confronti della Regione, da questa istituito con l. reg. n. 27/1999 (“Organizzazione delle politiche regionali del lavoro e del sistema regionale dei servizi per l'impiego”), possa o meno essere considerato o meno ente in house e conseguentemente affidatario diretto di servizi da parte dell’ente vigilante.

Le amministrazioni appellanti principali sostengono la tesi affermativa, sottolineando che un ente pubblico strumentale è istituzionalmente preposto a compiti e funzioni «di pertinenza dell’ente esponenziale di riferimento, ma che lo stesso decide di non gestire direttamente, per ragioni di carattere tecnico – organizzativo o economico» (pag. 4 dell’appello), e non ha «quale fine istituzionale la produzione di beni e servizi, altrimenti reperibili sul mercato, mediante i moduli di diritto privato, ma quello di svolgere attività amministrative in senso stretto per la cura degli interessi pubblici» (pag. 5). A comprova di ciò le appellanti evidenziano che tutta l’elaborazione giurisprudenziale sull’in house providing si è formata in relazione a società di diritto privato, rispetto alle quali si pone il problema di assicurare che l’amministrazione partecipante sia in grado di svolgere un controllo analogo a quello svolto sui propri servizi; problema che invece non si pone nel caso di enti pubblici strumentali, la cui organizzazione e funzionamento sono eterodeterminati da atti di natura autoritativa, e nel caso di specie dalle disposizioni della citata legge istitutiva dell’Agenzia Molise Lavoro.

2. Così sintetizzate le censure contenute nell’appello principale, le stesse possono essere condivise in astratto ma non nel caso oggetto del presente giudizio.

3. Innanzitutto, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, il riconoscimento normativo (nel caso di specie: art. 8 l. reg. n. 27/1999) o statutario di forme di autonomia tecnico - operativa, patrimoniale e contabile in favore di un ente strumentale, anche dotato di personalità giuridica (come appunto l’Agenzia Molise lavoro ai sensi della citata disposizione di legge regionale), non è indice della mancanza di un controllo analogo da parte dell’ente pubblico costituente, ma – in una prospettiva fisiologica - risponde all’esigenza di quest’ultimo di “rompere” l’uniformità tipica delle amministrazioni di stampo tradizionale e creare strutture in grado di operare secondo moduli d’azione maggiormente rispondenti a canoni di celerità, buon andamento ed efficienza, ma pur sempre nell’ambito di una missione di interesse pubblico predeterminata, il cui perseguimento è assicurato da un controllo sull’ente appositamente costituito inquadrabile negli schemi propri dell’organizzazione amministrativa generale, indifferentemente nella duplice forma della gerarchia e della direzione.

Il paradigma descritto è quello che ha caratterizzato la storia dell’amministrazione pubblica italiana, in cui nei decenni passati si sono affiancate organizzazioni parallele a quelle ministeriali, ed in particolare le amministrazioni e le aziende autonome e gli enti del parastato. E nel medesimo schema sembra in effetti collocarsi l’Agenzia odierna appellante principale, come evincibile dalle disposizioni di cui alla più volte citata legge regionale istitutiva n. 27/1999, che attribuiscono alla Regione Molise la potestà decisionale sugli indirizzi strategici (artt. 8 e 9), la nomina dei vertici dell’agenzia (artt. 11 e 12), su principali atti di spesa e sul ciclo di bilancio (art. 13), oltre che il finanziamento esclusivo dell’ente strumentale (art. 15).

4. Non è poi contestabile che tutta l’elaborazione giurisprudenziale sull’in house providing, europea ed interna, si è formata in relazione ad enti di diritto privato a vario titolo controllati da amministrazioni pubbliche, quali in particolare società, consorzi, aziende (in particolare la sentenza “capostipite” Teckal della Corte di giustizia, 18 novembre 1999, C-107/98), e, da ultimo, associazioni senza scopo di lucro (Corte di giustizia, 19 giugno 2014, C-574/12), mentre non si registrano pronunce riguardanti enti pubblici strumentali.

Le ragioni sono da ricondurre alle ontologiche differenze tra questi ultimi, sopra delineate, ed i soggetti di diritto privato, i quali si contraddistinguono rispetto ai primi per la disponibilità del fine da parte dei partecipanti - elemento incompatibile con il carattere doveroso del compito di interesse pubblico attribuito ad enti strumentali, e per l’assenza di meccanismi di funzionamento interno in grado di assicurare alle amministrazioni partecipanti le prerogative della pubblica autorità ad esse riconosciute sul piano dell’ordinamento generale (come di recente statuito dalle Sezioni unite della Cassazione: ord. 23 gennaio 2015, n. 1237; in termini non dissimili, peraltro, si era già pronunciata l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, nella sentenza 3 luglio 2011, n. 10, circoscrivendo il momento autoritativo alla prodromica scelta dell’amministrazione di partecipare alla società attraverso la propria capacità di diritto privato).

5. Pertanto, tutta l’evoluzione sull’in house providing si è incentrata, per quanto qui rileva, sull’individuazione degli strumenti attraverso i quali possa dirsi che le amministrazioni sono in grado di esercitare su soggetti di diritto privato da loro partecipati forme di direzione e controllo di stampo pubblicistico, al punto di piegare il tipo societario alle necessità di cura degli interessi generali - o, meglio, di avvalersi della sua neutralità, ovvero della sua indifferenza rispetto al fine di lucro previsto dal codice civile: art. 2247 – alterandone conseguentemente i modelli organizzativi e di funzionamento tradizionali. Si può quindi affermare, in estrema sintesi, che l’elaborazione giurisprudenziale sul fenomeno dell’in house si è risolto nella ricerca di una strumentalità necessaria ed immodificabile, se non per volontà unilaterale dell’autorità, che i connotati genetici degli organismi di natura privatistica in generale, e delle società di capitali in particolare, non riconoscono con rilievo esterno nemmeno al socio di maggioranza assoluta nei confronti del management.

Sono a questo riguardo ampiamente noti gli approdi cui nella definizione del requisito del “controllo analogo” la giurisprudenza europea ed interna si è ormai assestata, essendo sul punto sufficiente richiamare le più recenti pronunce con le quali questa Sezione ha ribadito la necessità che l’ente societario partecipato sia soggetto ad un controllo di stampo sostanzialmente organico, tale da rendere irrilevante l’alterità soggettiva con l’autorità pubblica partecipante. In virtù di un simile atteggiarsi dei rapporti, spetta quindi a quest’ultima nominare i vertici direttivi e di controllo, approvare gli indirizzi strategici ed i principali atti di gestione, svuotando conseguentemente l’autonomia decisionale dell’organo amministrativo invece riconosciuta dal codice civile alle società di capitali (sentenze 14 ottobre 2014, n. 5080 e 13 marzo 2014, n. 1181).

6. Tutto ciò premesso, e se dunque la legge regionale istitutiva dell’Agenzia Molise Lavoro riproduce nelle disposizioni sopra citate il modello ora descritto, nondimeno, la pars destruens dell’appello principale si arresta tuttavia a questo punto. Infatti, non sono fondate le censure volte a sostenere che l’Agenzia Molise Lavoro sia effettivamente un ente in grado di adempiere ai compiti di interesse pubblico demandatigli dalla Regione; per contro, lo sono quelle censure riproposte dalle originarie ricorrenti nel presente grado d’appello, con le quali si deduce che con la delibera giuntale impugnata l’amministrazione resistente si è sottratta agli obblighi di evidenza pubblica su di essa gravanti attraverso un meccanismo nella sostanza diretto ad avvantaggiare un competitore privato, adducendo insussistenti presupposti di in house providing.

7. Come infatti condivisibilmente osservano queste ultime, dalla lettura della citata delibera ed in particolare dal programma di svolgimento del servizio originariamente posto a gara emerge in modo palese che l’Agenzia Molise Lavoro è una struttura priva «di risorse umane, di professionalità adeguate e di capacità tecnica-operativa adeguata» (pag. 15 dell’appello incidentale). Ciò è in particolare comprovato dal fatto che il programma in questione prevede che la gestione di tutte le attività di orientamento al lavoro e di organizzazione degli sportelli informativi sia affidata agli operatori della formazione professionale addetti agli enti privati accreditati presso la regione Molise in questo settore ai sensi della l. reg. n. 10/1995 (“Nuovo ordinamento della formazione professionale”), di cui si prevede l’assunzione alle dipendenze dell’Agenzia mediante procedure di mobilità, e che agli enti della formazione sia attribuito anche un ruolo nel coordinamento tecnico dei servizi, attraverso un apposito comitato formato anche dai competenti vertici della Regione e dell’Agenzia Molise Lavoro.

8. Una simile configurazione delle modalità di svolgimento del servizio, che contrariamente a quanto si asserisce nell’appello principale si sostanzia in un’attività contendibile dal mercato, per il quale la Regione aveva inizialmente optato per l’appalto da aggiudicare all’esito di procedura ad evidenza pubblica, denota infatti l’insussistenza dei requisiti dell’in house providing.

Infatti, la necessaria strumentalità dell’ente affidatario diretto presuppone evidentemente la sua capacità di svolgere le funzioni attribuitegli in via di delega dall’autorità vigilante, la quale dal canto suo non può prescindere da tale doverosa verifica preventiva, al fine di evitare che l’attribuzione di compiti di interesse pubblico rimanga una mera enunciazione formale, per la cui concreta attuazione occorre comunque stimolare l’offerta privata. In altri termini, è insito nella decisione di affidare un servizio in house l’idoneità dell’ente strumentale a svolgerlo compiutamente, potendosi giustificare la deroga all’obbligo della gara, appunto, solo in virtù di una capacità di autoproduzione interna mediante strutture su cui l’autorità pubblica affidante ha un controllo di tipo organico analogo a quello svolto sui propri uffici.

Per contro, il ricorso ad enti formalmente già istituiti ma privi delle necessarie risorse operative, tecniche e strumentali riproduce lo schema di base dell’amministrazione pubblica che per svolgere le proprie funzioni deve procacciarsi i mezzi relativi presso il mercato. Conseguentemente, da ciò si ricava la prova dell’inadeguatezza tecnica ed operativa dell’Agenzia Molise Lavoro e la conseguente smentita del presupposto addotto dalla giunta regionale a sostegno della revoca della gara, consistente appunto nell’asserita capacità del proprio ente strumentale di assumere il servizio,

9. Inoltre, del tutto fondatamente le imprese ricorrenti in primo grado hanno in allora dedotto, e qui ribadito, che la lesione del principio della concorrenza e dell’agire imparziale dell’amministrazione è evincibile dal fatto che gli enti privati della formazione regionale hanno concorso alla gara revocata, mediante il raggruppamento temporaneo di imprese denominato Compel, unico altro competitore.

La circostanza, non contraddetta dalle parti resistenti e pertanto da ritenersi provata ai sensi dell’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., è ulteriormente avvalorata dal convergente elemento indiziario consistente nella fase della gara in cui è sopraggiunta la revoca, e cioè dopo l’apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa, quando alla Regione erano noti gli operatori economici aspiranti al servizio.

10. Ad ulteriore confutazione degli assunti contenuti nell’appello principale, nonché dei presupposti addotti dalla Regione a sostegno della revoca della gara, deve sottolinearsi che, in modo antitetico rispetto al paradigma dell’ente pubblico strumentale e del carattere istituzionale dei compiti di interesse pubblico ad esso devoluti, nel programma allegato alla delibera giuntale impugnata si prevede che i rapporti con la Regione relativamente al servizio in questione siano regolati mediante contratto, per il cui finanziamento la delibera stessa prevede uno stanziamento annuale a carico del bilancio regionale.

Ora, nella fenomenologia dell’in house providing la stipula di un contratto, strumento tipico di regolazione di contrapposti interessi (di natura patrimoniale) di soggetti distinti costituisce un rilevante sintomo dell’insussistenza dell’autoproduzione di beni e servizi che legittima le amministrazioni che siano in grado di farvi fronte a derogare all’obbligo di gara. Infatti, in linea di principio è proprio la relazione organizzativa di tipo interorganico tra autorità pubblica e soggetto privato partecipato che rende non necessario ricorrere a modelli di stampo consensuale ed alla conseguente previsione di obblighi di servizio a carico del soggetto gestore al fine di vincolare quest’ultimo allo svolgimento dell’attività di pubblico interesse.

Questa è in particolare la ragione per cui si richiede, in caso di soggetto in house pluripartecipato da enti pubblici, che ciascun ente pubblico detenga una quota in grado di svolgere sul primo un controllo effettivo, sia pure congiuntamente alle altre amministrazioni (ex multis: Corte di giustizia Ue, 21 luglio 2005, C-231/03, Coname,29 novembre 2012, C-182/11 e 183/11, Econord).

Dall’altro lato, le medesime ragioni impongono una definizione chiara, in sede di procedura di selezione del socio privato di una società mista con l’ente pubblico, dei compiti strettamente operativi per i quali si fa ricorso al primo e della conseguente durata della partnership pubblico-privata in tal modo costituita, cui il socio privato deve sottostare accettando le condizioni predeterminate dall’amministrazione, così da evitare il ricorso a società miste “generaliste” in grado di ricevere in via stabile affidamenti senza gara (cfr. Cons. Stato, sez. II, parere 18 aprile 2007, n. 456).

Dagli opposti angoli visuali ora richiamati emerge dunque l’alternatività tra relazione organizzativa e strumento contrattuale ed il fondamento giustificativo della deroga agli obblighi di evidenza pubblica che gli enti in house consentono alle pubbliche amministrazioni. Entrambi gli elementi sono accomunati dalla loro strumentalità al raggiungimento della specifica missione di pubblico interesse, ma se non ricorre la prima deve necessariamente esservi la seconda e dunque occorre rispettare l’evidenza pubblica.

11. Va sul punto precisato, peraltro, che lo strumento contrattuale non è in assoluto incompatibile con il fenomeno dell’in house, poiché esso può rispondere all’esigenza di prevedere di obblighi di servizio a carico della società affidataria attraverso i quali l’amministrazione pubblica socia vede rafforzata la propria posizione e la cura degli interessi pubblici da realizzare mediante lo strumento dell’ente partecipato. Ciò in particolare alla luce del fatto che gli obblighi statutari, attraverso i quali l’ente pubblico predetermina le condizioni per la propria influenza dominante sulla società partecipata, costituiscono limiti all’agire degli amministratori di quest’ultima di carattere essenzialmente negativo, di regola non rilevanti nei rapporti con i terzi (cfr. l’art. 2384 cod. civ.), e rispetto alla cui violazione soccorrono rimedi di carattere endosocietario (in particolare la revoca degli amministratori e l’esercizio dell’azione di responsabilità).

12. Nondimeno, nel caso di specie l’elemento patrimoniale induce di per sé ad escludere che si verta in quest’ultima ipotesi, perché questo denota un interesse privatistico dell’ente strumentale, attraverso la penetrazione nella sua struttura di operatori privati secondo le modalità prefigurate dalla delibera di giunta regionale impugnata, conflittuale rispetto a quello di natura pubblicistica connesso allo svolgimento del servizio.

Infatti, intanto può giustificarsi una contribuzione finanziaria dell’ente pubblico partecipante ulteriore rispetto all’apporto di capitale fornito in quanto questa sia necessaria a garantire la remuneratività del servizio a favore del privato compartecipante, ma non già in via indiscriminata ed al fine di fare fronte all’intero costo dello stesso, come appunto si evince dal provvedimento impugnato.

Inoltre, la sopra descritta compartecipazione degli enti privati della formazione professionale alla definizione degli indirizzi ed all’attività di coordinamento del servizio conduce a ritenere che la Regione Molise abbia inteso fare ricorso ad una forma di partenariato pubblico – privato istituzionale senza tuttavia selezionare mediante gara l’operatore di mercato, per giunta ricorrendo alle sue risorse umane e strumentali.

Ciò con l’ulteriore conseguenza di rendere non adeguatamente dimostrabili a supporto della revoca della gara le previsioni di vantaggio economico che la giunta regionale molisana ha adotto a sostegno della scelta di “internalizzare” – ma solo in apparenza come finora rilevato – il servizio inizialmente bandito.

13. A quest’ultimo riguardo, sono inoltre fondate anche le residue doglianze riproposte dalle odierne appellanti incidentali dirette a censurare la violazione della normativa regionale di settore sulla formazione professionale, ed in particolare il divieto di mobilità tra operatori degli enti privati convenzionati ed enti pubblici preposti al medesimo ambito di attività.

Il divieto in questione, sancito dall’art. 27, comma 2, l. reg. n. 10/1995, risponde a sua volta all’esigenza, in un settore di attività connotato dal determinante concorso di fondi strutturali necessari a finanziarie l’offerta di formazione e servizi di orientamento a supporto delle categorie di soggetti destinatari, di mantenere distinta la concorrente presenza di soggetti erogatori pubblici e privati e, nel caso di costituzione di forme di partenariato tra questi, di rispettare forme rispettose degli inderogabili obblighi di evidenza pubblica [come evincibile dall’art. 12, comma 1, lett. c4), l. reg. n. 10/1995, il quale contempla la possibilità che le attività formative di elevato contenuto professionalizzante siano tra l’altro attuate «mediante costituzione di società miste a prevalente capitale pubblico»].

14. Da tutto quanto sopra rilevato consegue la conferma della statuizione di annullamento del provvedimento impugnato emessa dal TAR, il quale è illegittimo anche alla luce della fondatezza dei motivi riproposti nel presente giudizio d’appello ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm. dalle originarie ricorrenti.

15. Passando alle ulteriori domande, non essendo più possibile la reintegrazione in forma specifica di queste ultime (in conseguenza dell’integrale esecuzione del contratto, come accertata dal medesimo TAR Molise nella sentenza n. 508 del 26 settembre 2014, sopra citata), deve essere accolta la domanda di risarcimento per equivalente da esse riproposte con il presente appello incidentale.

Sennonché attraverso una duplicazione dei titoli di responsabilità astrattamente configurabili nella presente vicenda contenziosa, le appellanti incidentali chiedono innanzitutto il ristoro della chance di aggiudicazione, quindi del danno curriculare ed infine delle spese di partecipazione alla gara, lamentando a quest’ultimo riguardo la violazione da parte della Regione dei doveri generali di buona fede nelle trattative precontrattuali sanciti dagli artt. 1337 e 1338 cod. civ.

Sul punto deve precisarsi che nel caso di richiesta di ristoro della chance di aggiudicazione e del connesso danno curriculare si domanda la reintegrazione del lucro cessante di cui, in base alla disposizione di carattere generale contenuta nell’art. 2043 cod. civ., l’impresa partecipante a procedure di affidamento di appalti pubblici può dolersi nell’ipotesi in cui le illegittimità provvedimentali occorse nella procedura le abbiano precluso l’interesse positivo alla sua conclusione ed alla conseguente esecuzione del contratto, ed al contempo non consentano di accertare se la partecipante danneggiata si sarebbe aggiudicata la gara.

Per contro, nel caso delle spese di partecipazione alla gara viene azionato l’interesse negativo a non essere coinvolto in trattative inutili e dunque si tutela la libertà negoziale generalmente riconosciuta ad ogni soggetto da iniziative solo apparentemente destinate alla positiva conclusione attraverso la stipula del contratto, ponendosi a carico del responsabile le diseconomie conseguentemente generate (spese inutilmente sostenute in tale fase, appunto, e perdita di alternative contrattuali), sempreché l’affidamento su tale esito sia giustificato dallo stadio avanzato delle trattative.

Ciò precisato, l’incompatibilità tra i pregiudizi in questione emerge dalla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, secondo cui i costi di partecipazione alla gara non possono essere chiesti in sede di domanda di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione, e dunque a fortiori nell’ipotesi in cui venga in rilievo la mera chance, perché essi costituiscono una voce di spesa che resta comunque a carico dell’impresa che consegua il contratto all’esito della procedura di affidamento (da ultimo: Sez. III, 10 aprile 2015, n. 1839, 12 marzo 2015, n. 1292; Sez. IV, 1 aprile 2015, n. 1708, 9 febbraio 2015, n. 656).

16. Ciò precisato, non potendosi ammettere un cumulo di domande risarcitorie a fronte del medesimo fatto illecito, ed avendo le imprese originarie ricorrenti chiesto innanzitutto il risarcimento della chance di aggiudicazione ed il connesso danno curriculare, deve ritenersi che solo questa fattispecie possa essere esaminata.

Peraltro, trattandosi di una voce di danno emergente, ed essendo al giudizio risarcitorio per danni da illegittimità provvedimentali della pubblica amministrazione applicabile con pienezza il principio dispositivo ex artt. 2043 e 2697, comma 1, cod. civ. (in questo senso, da ultimo: Sez. III, 13 maggio 2015, n. 2410), con il corollario della regola della vicinanza della prova, sarebbe stato onere delle imprese originarie ricorrenti documentare quali spese sono da esse state sostenute per partecipare alla procedura di gara revocata e a quanto queste siano ammontate.

A tale onere le medesime imprese si sono sottratte, non avendo fornito alcun elemento, per cui la richiesta di risarcimento in esame deve essere respinta anche per questa ragione.

17. Per le ragioni esposte va respinta anche la domanda di risarcimento del danno curriculare.

Infatti, posto che secondo l’indirizzo di questa Sezione (da ultimo espressa nella sentenza 22 gennaio 2015, n. 285), tale voce di danno non coincide con il pregiudizio «derivato direttamente dall’illegittimità dell’aggiudicazione e conseguentemente dal mancato legittimo conseguimento dell’appalto», tanto meno lo stesso consegue alla «mera perdita di chances» (cfr. la pronuncia di questa Sezione del 22 dicembre 2014, n. 6264), dovendo in ogni caso essere specificamente e concretamente provato, in conformità all’art. 124, comma 1, cod. proc. amm. ed all’art. 1223 cod. civ., ad esempio in termini di pregiudizio alla redditività aziendale o di perdita di occasioni contrattuali a causa della mancata acquisizione di referenze (in questo senso la sentenza, sempre di questa Sezione, del 23 febbraio 2015, n. 856).

18. Può invece essere risarcita la chance di aggiudicazione, che le appellanti correttamente indicano nell’utile risultante dalla loro offerta, scontato del 50%, vale a dire della percentuale di aggiudicazione che le stesse vantavano nella procedura di gara illegittimamente revocata, tenuto conto del numero delle partecipanti ad essa.

Nondimeno, non può convenirsi sulla misura finale del 5% del ribasso offerto, indicata a tal fine dalle imprese appellanti incidentali.

La stessa muove infatti dalla base di partenza di un utile riveniente dal contratto pari al 10% dell’offerta, ricavata in via analogica dall’art. 345 dalla legge sulle opere pubbliche n. 2248/1865, all. F. Tuttavia, questo parametro di quantificazione presuntivo e forfetario è stato ormai ripudiato dalla incontrastata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, per i rischi di overcompensation che esso comporta, in particolare nei confronti di ribassi tali da consentire percentuali di utili inferiori al valore normativamente previsto (per il diverso caso di recesso dell’amministrazione da un contratto già aggiudicato ed in corso di esecuzione), alla luce della necessità per gli operatori partecipanti a procedure di affidamento di appalti pubblici di rendere le loro offerte competitive al fine di aggiudicarsi le commesse (solo per citare le più recenti pronunce di questo Consiglio di Stato espressive di questo indirizzo: Sez. III, 10 aprile 2015, n. 1839, 20 gennaio 2015, n. 162, nonché Sez. IV, 27 aprile 2015, n. 2090, 1 aprile 2015, n. 1708, 11 novembre 2014, n. 5531, 27 marzo 2014, n. 1478, 13 dicembre 2014, n. 6000; Sez. V, 23 febbraio 2015, n. 856, 31 dicembre 2015, nn. 6453 e 6450, 22 dicembre 2014, n. 6256, 10 settembre 2014, n. 4586, 8 agosto 2014, n. 4248, 7 luglio 2014, n. 3432, 25 giugno 2014, n. 3220).

19. Pertanto, in coerenza con le tradizionali coordinate civilistiche in materia di prova del danno risarcibile ai sensi dei citati artt. 2043 e 2697, comma 1, cod. civ., ulteriormente rafforzati nel microsistema del danno da mancata aggiudicazione di contratti pubblici dal parimenti citato art. 124, comma 1, cod. proc. amm., deve ritenersi imprescindibile la dimostrazione effettiva della misura dell’utile ritraibile dall’appalto, da scontare ulteriormente del 50%.

20. Su questo punto deve peraltro precisarsi che la chance di utile (come del resto l’utile, in caso di accertabilità del diritto a conseguire l’aggiudicazione) costituisce – come sopra accennato – una voce di lucro cessante, e cioè un’entrata patrimoniale attesa, la quale è conseguentemente dimostrabile solo mediante una prova di verosimiglianza, e dunque non

 

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici