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Consiglio di Stato, Sez. V, 18/3/2016 n. 1116
Sulla possibilità per la singola Sezione del Consiglio di Stato di rinviare alla Corte di giustizia dell'Unione Europea una questione sulla quale si è già pronunciata l'Adunanza plenaria.

Il Consiglio di Stato, sezione V, ha deferito all'Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:
I) se in costanza di un principio di diritto enunciato dall'Adunanza Plenaria, in presenza di una verifica espressa della rispondenza anche alla disciplina dell'Unione Europea, che venga sospettato di contrasto con la normativa dell'Unione Europea, la singola Sezione deve rimettere la questione ai sensi dell'art. 99, comma 3, c.p.a., oppure può sollevare autonomamente, quale giudice comune del diritto dell'Unione europea, una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia;
II) se in costanza di un principio di diritto enunciato dall'Adunanza Plenaria, in assenza di una verifica espressa della rispondenza anche alla disciplina dell'Unione Europea, che venga sospettato di contrasto con la normativa dell'Unione Europea, la singola Sezione deve rimettere la questione ai sensi dell'art. 99, comma 3, c.p.a., oppure può sollevare autonomamente, quale giudice comune del diritto dell'Unione europea, una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia;
III) se il principio di diritto enunciato dall'Adunanza Plenaria n. 9/2015, è rispettoso dei principi euro-unitari, di matrice giurisprudenziale, della tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, dei principi di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui al Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), nonché dei principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza.

Materia: appalti / disciplina

N. 01116/2016REG.PROV.COLL.

 

N. 09370/2014 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA NON DEFINITIVA

CON ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO

sul ricorso numero di registro generale 9370 del 2014, proposto da:

So.Ge.Si. S.p.a., in persona del legale rappresentante, in proprio e quale capogruppo mandataria r.t.i., Alsco Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante, quale mandante del r.t.i., Alfredo Grassi S.p.a., in persona del legale rappresentante, quale mandante del r.t.i., rappresentati e difesi dall'avvocato Andrea Zanetti, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;

 

contro

Lavanderie dell'Alto Adige S.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Barone, con domicilio eletto presso Eversheds Bianchini Studio Legale in Roma, Via Pompeo Magno, n. 1;

 

nei confronti di

Ama S.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesca Sbrana, Damiano Lipani, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Vittoria Colonna, n. 40;

 

per la revocazione

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. V, n. 5348/2014, resa tra le parti, concernente l’affidamento del servizio di noleggio, lavaggio, manutenzione, fornitura e vestiario per il personale a.m.a.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Lavanderie dell'Alto Adige Spa e di Ama Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2015 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Andrea Zanetti, Francesco Barone, Francesca Sbrana;

Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con il presente ricorso la SO.GE.SI. S.p.a. invoca la revocazione della sentenza pronunciata da questo Consiglio con la quale la Sezione in riforma della pronuncia di primo grado accoglieva l’appello principale e per l’effetto il ricorso di prime cure, mentre respingeva l’appello incidentale proposto ivi dall’odierna ricorrente. A seguito dell’adozione della sentenza di cui si chiede la revocazione restava, quindi, annullata la determinazione dell’Amministratore delegato di A.M.A. S.p.A. n. 378-2010 del 26.11.2010 con la quale si era provveduto all’aggiudicazione della gara di appalto per il servizio di noleggio, lavaggio, manutenzione, fornitura, logistica dei D.P.I. (dispositivi di protezione individuale) e vestiario occorrenti per il personale dell'AMA per un periodo di mesi 48 al R.T.I.

La ricorrente, in particolare, denuncia la presenza di un vizio revocatorio rappresentato dal fatto che la pronuncia avrebbe affermato l’insussistenza del vizio, denunciato con ricorso incidentale prima e con appello incidentale poi, di mancata esclusione dell’allora ricorrente principale per omessa indicazione nell’offerta economica degli oneri di sicurezza da rischio specifico. La Sezione, quindi, avrebbe sostenuto che non vi fosse una mancata dichiarazione degli oneri di sicurezza da parte dell’appellante principale. Al contrario, sarebbe sufficiente esaminare l’offerta economica di quest’ultima per rilevare che non vi è alcun cenno agli oneri sulla sicurezza.

2. In via rescissoria l’odierna ricorrente sostiene che il necessario previo esame dell’appello incidentale dovrebbe condurre al rigetto dell’appello principale, in quanto la mancata indicazione dei costi per la sicurezza avrebbe dovuto portare ad escludere l’offerta dell’originaria appellante principale.

3. Costituitasi in giudizio Lavanderie dell’Alto Adige S.p.a. sostiene l’inammissibilità del ricorso per revocazione, atteso che il vizio rescindente sarebbe stato controverso, tanto che l’allora appellante principale ne aveva sostenuto l’inammissibilità perché avanzato per la prima volta in appello e comunque non decisivo, atteso che l’eventuale pronuncia rescidente non potrebbe aprire la via ad una pronuncia rescissoria stante la novità del motivo in questione.

4. Costituitasi in giudizio A.m.a. S.p.a. sostiene che la revocazione non potrebbe essere accolta, in quanto nonostante manchi nell’offerta economica presentata da Lavanderie dell’Alto Adige S.p.a. l’indicazione in merito ai costi per la sicurezza, la lex specialis non prevedeva un simile obbligo in capo ai concorrenti, né una sanzione espulsiva in caso di omissione. Pertanto, la stazione appaltante chiede in via rescindente di revocare la pronuncia ed in via rescissoria di respingere il ricorso confermando la legittimità degli atti posti in essere al riguardo dall’amministrazione.

5. Nella successive difese il ricorrente sostiene che il vizio rescissorio sarebbe stato tempestivamente proposto con ricorso incidentale dinanzi al TAR e che in ogni caso l’eccezione sarebbe inammissibile perché sul punto si sarebbe formato il giudicato implicito. Mentre, sotto il profilo rescissorio osserva che l’esclusione, benché non disposta dalla lex specialis, discenderebbe direttamente dall’art. 87, comma 4, d.lgs. 163/2006. In caso di dubbio, invoca la rimessione della questione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

6. A sua volta parte intimata fa presente che la dichiarazione resa ai sensi del punto 7.6. prevedeva al punto 8 che l’offerta così come formulata terrebbe conto degli oneri relativi alle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro. Pertanto, comprendeva anche i costi sulla sicurezza.

7. Con ordinanza del 17 marzo 2015, n. 1387, la Sezione dispone l’acquisizione del fascicolo di primo grado per verificare se il vizio rescissorio fosse stato tempestivamente proposto con il ricorso incidentale di primo grado.

8. Con ordinanza del 10 luglio 2015, n. 3500, la Sezione rinvia la trattazione del merito in attesa della pronuncia dell’Adunanza Plenaria alla quale, medio tempore, veniva rimesso il quesito in ordine all’applicabilità - per le procedure nelle quali la fase di presentazione delle offerte si sia esaurita anteriormente - delle conclusioni raggiunte dalla sentenza n. 3/2015 della stessa Adunanza Plenaria, secondo la quale i costi interni per la sicurezza del lavoro vanno espressamente indicati dai concorrenti, pena l’esclusione dalla procedura, anche se non prevista nel bando di gara.

9. L’atteso pronunciamento dell’Adunanza Plenaria è intervenuto con la sentenza n. 9 del 2 novembre 2015, che ha affermato il seguente principio di diritto: “non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti al soccorso istruttorio, nel caso di omessa indicazione degli oneri di sicurezza aziendali, anche per le procedure nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è conclusa prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria n.3 del 2015”.

10. Nelle successive difese la ricorrente sostiene che: a) il principio enunciato dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n.3 del 2015, varrebbe anche per i contratti pubblici di servizi e forniture; b) il vizio non esaminato dalla sentenza di cui si invoca la revocazione sarebbe espressamente riferito alla mancata indicazione in sede di offerta dei costi per la sicurezza; c) la denuncia del vizio oggetto del momento rescissorio non sarebbe inficiata dal fatto che anche la propri offerta non conterrebbe l‘indicazione dei costi per la sicurezza.

11. Dal canto sua Ama s.p.a., ribadisce che né il bando di gara, né il modulo dell’offerta predisposto prevedeva l’obbligo di indicare i costi per la sicurezza e che, pertanto, anche in ragione di quanto statuito dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 9/2015, non potrebbe ritenersi operante per la gara in questione il principio di diritto espresso dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 3/2015.

12. Il presente ricorso per ciò che attiene alla domanda rescindente è fondato. Infatti, nel ricorso incidentale di primo grado è presente una censura con la quale si denuncia la mancata indicazione dei costi per la sicurezza da parte dell’originaria ricorrente ed in ragione di ciò si invoca la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Sul motivo in questione la motivazione della sentenza revocanda si esprime nei seguenti termini: “- infine, il motivo di appello incidentale proposto in via subordinata è infondato, non ravvisandosi una mancata dichiarazione degli oneri della sicurezza da parte dell’appellante”. Dagli atti di gara emerge, però, che gli oneri della sicurezza non sono stati indicati dall’originaria ricorrente. Pertanto, deve ravvisarsi la presenza di tutti gli elementi indicati dall’Adunanza Plenaria (da ultimo, cfr. Cons. St., Ad. Plen., 24 gennaio 2014, n. 5) dai quali l’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., deve essere caratterizzato, ossia: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) dall’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa; l’errore deve inoltre apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.

Nella fattispecie, infatti, da un esame dell’offerta dell’originaria ricorrente si apprezza la mancata indicazione dei costi per la sicurezza, non vi è una specifica motivazione sul punto da parte della sentenza revocanda, che si limita ad affermare la non sussistenza del vizio sulla scorta dell’errore di fatto nella percezione relativa all’indicazione nell’offerta dell’appellante principale dei costi per la sicurezza, elemento, che nella sua dimensione fattuale non si presenta come punto controverso. Infine, il suo mancato accoglimento risulta decisivo in ordine alle sorti dell’appello, stante l’efficacia cd. escludente del vizio in questione.

13. Deve a questo punto passarsi all’esame del vizio rescissorio, ossia della censura che torna all’attenzione del Consiglio in ordine alle conseguenze della mancata indicazione degli oneri per la sicurezza. Sul punto non può convenirsi con quanto sostenuto dall’originaria appellante in ordine all’interpretazione data dalla sentenza n. 9/2015 dell’Adunanza Plenaria. Quest’ultima, infatti, nell’enunciare il principio di diritto secondo il quale anche per le gare bandite prima della pubblicazione della sentenza n. 3/2015 della stessa Adunanza Plenaria, vale il principio da quest’ultima affermato in ordine alla portata escludente della mancata indicazione dei costi per la sicurezza in sede d’offerta, non introduce alcuna deroga per l’ipotesi in cui il bando di gara non prescrivesse un simile obbligo. Inoltre, la sentenza n. 3/2015 dell’Adunanza Plenaria, nell’affermare l’obbligo di indicare i costi della sicurezza nelle procedure di gara aventi ad oggetto lavori pubblici, parte del presupposto che questa regola valga per i contratti pubblici di servizi e forniture, sicché non v’è dubbio che nella procedura, oggetto del presente contenzioso, debbano applicarsi i criteri ermeneutici elaborati in entrambe le pronunce citate.

14. Prima, però, di giungere alla soluzione del quesito, il Collegio ritiene di dover porre all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato due quesiti di diritto.

14.1. Da un lato, infatti, il Collegio non può fare a meno di rilevare il possibile contrasto con la normativa dell’Unione Europea della normativa nazionale, ed in particolare, degli artt. 46 comma 1-bis, 86, comma 3-bis e 87, comma 4, d.lgs. 163/2006, se interpretati nel senso che, pur in assenza di specifica indicazione nella lex specialis dell’obbligo di indicare i costi della sicurezza e della predisposizione da parte della stazione appaltante di moduli, sia pure non obbligatori, per la formulazione dell’offerta, nei quali non sia previsto un campo nel quale indicare i costi de quibus, l’offerta che ne sia priva debba essere esclusa dalla stazione appaltante.

14.2. Dall’altro, quest’eventualità fa sorgere un ulteriore motivo di dubbio, che è quello del rapporto tra il ruolo nomofilattico assegnato dall’art. 99 c.p.a. all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato e l’obbligo per le singole Sezioni del Consiglio, in qualità di giudice di ultima istanza di sollevare, anche d’ufficio, una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia. In definitiva, ciò che viene posto in discussione è l’effettiva dimensione del ruolo dell’Adunanza Plenaria quale organo cui spetta il compito di orientare la giurisprudenza amministrativa anche nei rapporti con la Corte di Giustizia, ogni qual volta il massimo Organo di giustizia amministrativa sia intervenuto su una particolare questione, enunciando un principio di diritto, che possa essere sospettato di anticomunitarietà.

Due le ipotesi che vanno prese in esame: a) l’Adunanza Plenaria enuncia un principio di diritto, facendosi carico di esaminare gli eventuali profili di anticomunitarietà, finendo con l’escluderli; b) l’Adunanza Plenaria enuncia un principio di diritto, senza esaminare, come nella fattispecie, gli eventuali profili di anticomunitarietà.

In entrambi i casi si tratta di coordinare la disciplina contenuta nel comma 3 dell’art. 99, c.p.a., secondo il quale: “Se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall'adunanza plenaria, rimette a quest'ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso” con quella contenuta nel par. 3, dell’art. 267 TFUE, secondo il quale: “Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte”.

La questione com’è noto è attualmente all’attenzione della Corte di Giustizia, a seguito della rimessione operata dall’ordinanza del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana con l’ordinanza del 13 ottobre 2013, n. 848, alla quale il massimo Organo di giustizia dell’Unione Europea non ha, però, ancora dato risposta. Se in quell’occasione il Consiglio ha dubitato della compatibilità comunitaria dell’art. 99, comma 3, c.p.a., evidenziando che un obbligo di rinvio accentrato in capo all’Adunanza Plenaria: a) limiterebbe la potestà, riconosciuta dal diritto dell'Unione europea a ogni giudice di ultima istanza degli ordinamenti degli Stati membri, di sottoporre in via diretta alla CGUE domande di pronunce pregiudiziali; b) incrinerebbe la riserva della CGUE sull'interpretazione del diritto dell'Unione; c) inciderebbe anche negativamente sulla durata ragionevole del processo. Al momento, non risulta ancora sopraggiunta una decisione della Corte che nel procedimento rimessole ha emanato ordinanza interlocutoria in data 16 luglio 2015, con la quale ha invitato le parti interessate ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea a prendere posizione sulla seguente questione: “Se la nozione di «organo giurisdizionale», ai sensi dell’articolo 267 TFUE, e l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione quale interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea riguardino, sotto un profilo funzionale, la sezione di un organo giurisdizionale di uno Stato membro investita di una controversia oppure, sotto un profilo organico, unicamente detto organo giurisdizionale considerato nel suo complesso, al quale appartiene organicamente detta sezione”. Successivamente, risultano presentate il 15 ottobre 2015 le conclusioni dell’Avvocato Generale Melchior Wathelet, secondo le quali: “la nozione di «organo giurisdizionale», ai sensi dell’articolo 267 TFUE, debba essere interpretata sulla scorta di un approccio funzionale. Tale articolo si riferisce, di conseguenza, al giudice o alla sezione di un organo giurisdizionale di uno Stato membro investito della controversia”.

Nonostante la questione sia all’attenzione della Corte di Giustizia, nella vicenda in esame il Collegio ritiene necessario, perché propedeutico alla soluzione della presente controversia, un pronunciamento dell’Adunanza Plenaria sulla corretta interpretazione dell’art. 99, comma 3, c.p.a., ponendo, pertanto, i seguenti quesiti di diritto: I) se in costanza di un principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, in presenza di una verifica espressa della rispondenza anche alla disciplina dell’Unione Europea, che venga sospettato di contrasto con la normativa dell’Unione Europea, la singola Sezione deve rimettere la questione ai sensi dell’art. 99, comma 3, c.p.a., oppure può sollevare autonomamente, quale giudice comune del diritto dell'Unione europea, una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia; II) se in costanza di un principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, in assenza di una verifica espressa della rispondenza anche alla disciplina dell’Unione Europea, che venga sospettato di contrasto con la normativa dell’Unione Europea, la singola Sezione deve rimettere la questione ai sensi dell’art. 99, comma 3, c.p.a., oppure può sollevare autonomamente, quale giudice comune del diritto dell'Unione europea, una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia.

15. Tanto premesso sulla questione relativa ai rapporti tra Adunanza Plenaria e Corte di Giustizia, il Collegio ritiene necessario porre un ulteriore quesito di diritto all’Adunanza Plenaria, affinché possa, eventualmente, rivedere il principio di diritto enunciato con la propria sentenza n. 9/2015. Quest’ultima ha escluso la doverosità dell’uso dei poteri di soccorso istruttorio nei casi in cui la fase procedurale di presentazione delle offerte si sia perfezionata prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria 20 marzo 2015 n.3,con la quale è stato chiarito che l’obbligo, codificato all’art.87, comma 4, d.lgs. cit., di indicazione degli oneri di sicurezza aziendale si applica anche agli appalti di lavori. La sentenza in questione come sopra accennato ha ritenuto che il suddetto obbligo assistito da una sanzione esclusiva si applichi non solo per gli appalti di forniture e di servizi, ma anche per gli appalti di lavori. A bene vedere la citata sentenza n. 3/2015, giunge ad estendere al settore dei lavori pubblici una regola che ritiene il legislatore abbia non solo espressamente previsto per gli appalti di servizi e di forniture, ma la cui violazione si assistita da una sanzione espulsiva. Questa premessa accede ad un orientamento giurisprudenziale non univoco, dal momento che in precedenza la sentenza del Consiglio di Stato, 18 ottobre 2013, n. 5070, aveva concluso in senso opposto, statuendo che: “In sede di appalti diversi dai lavori pubblici, nel caso in cui non vi è una comminatoria espressa di esclusione, ove sia omesso lo scorporo matematico degli oneri di sicurezza dell'offerta il relativo costo, in quanto coessenziale e consustanziale al prezzo offerto, rileva proprio ai soli fini dell'anomalia di quest'ultimo, nel senso che, per scelta della Stazione appaltante (da interpretare sempre a favore del non predisponente), il momento di valutazione degli oneri stessi non è eliso, ma è posticipato al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta nel suo complesso”. In altra pronuncia il Consiglio (Cons. St., Sez. III, 19 gennaio 2012, n. 212) ha ritenuto che la mancata indicazione dei costi per la sicurezza conduca all’esclusione dalla procedura di gara, se la lex specialis dispone espressamente in tal senso. In altra ancora, invece, si è concluso per la portata non escludente dell’omissione nel caso di confusione imputabile alla stessa amministrazione (Cons. St., Sez. III, 10 luglio 2013, n. 3706).

Secondo l’orientamento maggioritario, invece, (cfr. Cons. St., Sez. III, 28 agosto 2012, n. 4622; Cons. St., Sez. III, 20 dicembre 2011, n. 6677) anche in mancanza di una comminatoria espressa nella disciplina speciale di una gara d'appalto, l'inosservanza della prescrizione primaria stabilita dall'art. 87 comma 4 D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163, che impone l'indicazione preventiva dei costi di sicurezza, implica la sanzione dell'esclusione in quanto rende l'offerta incompleta sotto un profilo particolarmente rilevante alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti e impedisce all'Amministrazione un adeguato controllo sull'affidabilità dell'offerta stessa.

Una simile impostazione che trascura del tutto il comportamento dell’amministrazione che induca in errore i concorrenti, non prevedendo né un obbligo di indicazione dei costi per la sicurezza nella lex specialis, né una correlata comminatoria di esclusione in caso di inadempimento del detto obbligo e formulando un modulo che non preveda l’indicazione della voce in questione, potrebbe risultare contrastante con il diritto dell’Unione Europea. Pare, peraltro, opportuno rammentare che in materia di appalti di lavori pubblici, nelle more della redazione della presente pronuncia TAR Piemonte, sez. II, 16 dicembre 2015, n. 1745; TAR Molise, sez. I, 12 febbraio 2016, n. 77; TAR Marche, sez. I, 19 febbraio 2016, n. 104 hanno proposto una questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE.

Nella fattispecie, quindi, è opportuno sollecitare l’intervento dell’Adunanza Plenaria, affinché quest’ultima possa rivedere il proprio orientamento o interrogare sul punto la Corte di Giustizia. Infatti, il principio di diritto enunciato con la sentenza dell’Adunanza Plenaria, n. 9/2015, potrebbe risultare in contrasto con i principi euro-unitari, di matrice giurisprudenziale, della tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, unitamente ai principi di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza. Del resto, la stessa Adunanza Plenaria nel valutare la sussistenza di altre ipotesi di esclusione a carico dei concorrenti ha precisato che una simile conseguenza possa derivare solo dalla espressa previsione della regola che si assume violata all’interno del bando di gara ovvero, qualora un simile previsione non fosse stata precedente specificata in seno alla lex specialis, solo in caso di violazione sostanziale del precetto.

Si pensi al principio di diritto enunciato dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria, n. 21/2012: “In tema di appalti pubblici l'art. 38 comma 2 D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163, sia prima che dopo l'entrata in vigore del D.L. 3 maggio 2011 n. 70, impone la presentazione di una dichiarazione sostitutiva completa la quale deve essere riferita, quanto al profilo della moralità professionale di cui all'art. 38 comma 1 lett. c), anche agli amministratori delle società che partecipano ad un procedimento di incorporazione o di fusione, nel limite temporale ivi indicato, con la precisazione che in caso di mancata allegazione dell'atto de quo la Ditta va estromessa dalla gara solo se il bando espliciti tale onere di dichiarazione e la conseguente causa di esclusione, mentre in caso contrario, quest'ultima può essere disposta solo ove vi sia la prova che gli amministratori per i quali è stata omessa la dichiarazione hanno pregiudizi penali” e dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria, n. 23/2013: “Nelle gare d'appalto, l'art. 38 D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163, nella parte in cui elenca i soggetti tenuti ad effettuare le dichiarazioni di sussistenza dei requisiti morali e professionali ha come destinatari dell'obbligo non soltanto coloro che rivestono formalmente le cariche di amministratori, ma anche coloro che, in qualità di procuratore ad negotia, abbiano poteri di rappresentanza dell'impresa e possono compiere atti decisionali (c.d. amministratori di fatto), con l'avvertenza che qualora la lex specialis non contenga al riguardo una specifica comminatoria di esclusione, quest'ultima può essere disposta non già per la mera omessa dichiarazione, ma solo quando sia effettivamente riscontrabile l'assenza del requisito in questione”.

È, pertanto, opportuno sottoporre all’Adunanza Plenaria, il seguente quesito di diritto: I) se il principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria n. 9/2015, è rispettoso dei principi euro-unitari, di matrice giurisprudenziale, della tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, dei principi di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nonché dei principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza.

6. In conclusione, l’appello è in parte fondato, sicché merita riforma la sentenza di primo grado, dovendo essere in parte respinto il ricorso di primo grado. Al contempo, è necessaria una pronuncia dell’Adunanza Plenaria cui il presente ricorso viene deferito ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a., al fine di risolvere i seguenti quesiti di diritto:

I) se in costanza di un principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, in presenza di una verifica espressa della rispondenza anche alla disciplina dell’Unione Europea, che venga sospettato di contrasto con la normativa dell’Unione Europea, la singola Sezione deve rimettere la questione ai sensi dell’art. 99, comma 3, c.p.a., oppure può sollevare autonomamente, quale giudice comune del diritto dell'Unione europea, una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia;

II) se in costanza di un principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, in assenza di una verifica espressa della rispondenza anche alla disciplina dell’Unione Europea, che venga sospettato di contrasto con la normativa dell’Unione Europea, la singola Sezione deve rimettere la questione ai sensi dell’art. 99, comma 3, c.p.a., oppure può sollevare autonomamente, quale giudice comune del diritto dell'Unione europea, una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia;

III) se il principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria n. 9/2015, è rispettoso dei principi euro-unitari, di matrice giurisprudenziale, della tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, dei principi di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nonché dei principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

non definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l’effetto, revoca l’impugnata sentenza e dispone il deferimento del presente giudizio all’Adunanza Plenaria.

Spese al definitivo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2015 con l'intervento dei magistrati:

Alessandro Pajno,      Presidente

Antonio Amicuzzi,     Consigliere

Fabio Franconiero,     Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino,           Consigliere, Estensore

Sabato Guadagno,      Consigliere

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/03/2016

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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