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Consiglio di Stato, Sez. VI, 31/10/2017 n. 5026
Sulla natura giuridica del comunicato Istat contenente l'elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico (fattispecie concernente l'inserimento della Fondazione Teatro di San Carlo di Napoli nel summenzionato elenco).

Il comunicato Istat contenente l'elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato che concorrono al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e che sono, di conseguenza, soggette a disposizioni di contenimento della spesa (c.d. "spending review"), ha carattere di accertamento costitutivo - a carattere provvedimentale (accompagnato da rilevanti margini di discrezionalità tecnica) - per quanto riguarda la qualificazione degli enti in esso compresi come amministrazioni pubbliche, chiamate a concorrere agli equilibri finanziari fissati dall'Ue per gli Stati membri, con gli effetti giuridici determinati dalla legge e, ove ritenuti lesivi, assoggettabili a valutazione in sede giurisdizionale (attualmente, in base all'art. 1, c. 169, della l. 24 dicembre 2012, n. 228 -l. di stabilità 2013 - innanzi alle Sezioni Riunite della Corte Dei Conti, "in speciale composizione, ai sensi dell'art. 103, c.2, della Costituzione").

L'inserimento nel conto consolidato elaborato dall'Istat può soccorrere qualora non sia evidente che l'organismo esaminato è una pubblica amministrazione: l'elenco stesso non ha, in altre parole, natura e valore costitutivi della natura pubblica dell'organismo stesso, a ciò venendo in considerazione altri profili, in particolare quelli che si basano sulla definizione di "unità istituzionale pubblica", di derivazione comunitaria. Tale definizione fa leva sul concetto di "controllo" e di "finanziamento" da parte di pubbliche amministrazioni.

Tutte le amministrazioni pubbliche inserite nell'apposito elenco, sono chiamate ad operare gravi forme di restrizioni nelle spese, quand'anche fonte di difficoltà sul piano gestionale: in proposito, non può riconoscersi, nel caso di specie, alla Fondazione Teatro di San Carlo una posizione speciale, tale da esonerarla da restrizioni che investono ogni pur essenziale servizio pubblico, dalla scuola alla sanità, fino ad ogni ulteriore settore considerato dalla normativa di riferimento.

L'elemento unificante tra i soggetti, di cui è previsto l'inserimento negli elenchi ISTAT, è riconducibile ai fondi pubblici di cui gli stessi sono destinatari e che ne giustificano l'inclusione nel conto consolidato dello Stato; le misure finanziarie, successivamente assunte, possono inoltre presentare aspetti controvertibili, in rapporto ai quali, tuttavia, le scelte del legislatore possono muoversi con ampi margini di discrezionalità, peraltro nell'ambito di obiettivi imposti a livello comunitario, in presenza di situazioni di deficit eccessivo.


Materia: finanza pubblica / spesa pubblica

 

Pubblicato il 31/10/2017

 

N. 05026/2017REG.PROV.COLL.

 

N. 06171/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6171 del 2013, proposto da:

Fondazione Teatro di San Carlo in Napoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Cardarelli, Filippo Lattanzi, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Cardarelli in Roma, via G.P. Da Palestrina, 47;

 

contro

Istat - Istituto Nazionale di Statistica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III n. 05607/2013, resa tra le parti, concernente elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Istat - Istituto Nazionale di Statistica e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2017 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Francesco Cardarelli e Pietro Garofoli dell'Avvocatura Generale dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza con cui il Tar Lazio aveva respinto l’originario gravame, proposto dalla fondazione al fine di ottenere l’annullamento in parte qua del comunicato Istat contenente l’elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato.

Avverso la predetta sentenza venivano proposti i seguenti motivi di appello:

I) erroneità della sentenza nell’aver ritenuto “legificato” l’elenco ISTAT 2012;

II) erroneità della sentenza nel non avere sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della citata legge n. 196 del 2009 e delle disposizioni del d.-l. n. 95 del 2012, convertito in legge n. 135 del 2012, con riferimento agli articoli 3, 9, 33 e 97 della Costituzione;

III) riproposizione delle censure già proposte in primo grado:

III.1) violazione o falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 196 del 2009; violazione o falsa applicazione del regolamento UE n. 2223/1996 – SEC 95; eccesso di potere per manifesta illogicità, irragionevolezza, difetto di istruttoria, errore sui presupposti, poiché la Fondazione Arena di Verona non potrebbe essere inserita fra le “amministrazioni pubbliche”, comprese nel settore S13 in base al predetto regolamento UE – SEC 95, con particolare riguardo al requisito della “produzione di beni e servizi non destinabili alla vendita”;

III.2) ancora violazione o falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 196 del 2009, e del regolamento UE n. 2223/1996 – SEC 95; eccesso di potere per manifesta illogicità, irragionevolezza, difetto di istruttoria ed errore sui presupposti, con riferimento al requisito – fondamentale per l’inserimento nell’elenco ISTAT di cui trattasi – della “produzione di beni e di servizi non destinabili alla vendita”;

III.3) eccesso di potere per carenza di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità, irrazionalità, errore sui presupposti, essendosi l’Amministrazione vincolata all’osservanza delle “norme classificatorie e definitorie proprie del sistema statistico nazionale e comunitario” (Regolamento UE n. 2223/96 – SEC 95), senza però che risultino precisate le relative modalità di applicazione, con effettivi accertamenti per i singoli Enti inseriti nell’elenco;

III.4) ancora violazione dell’art. 1 della legge n. 196 del 2009, nonché degli articoli 1, comma 7, 3, commi 1, 10 e 11-bis, 5, commi 2, 7, 8 e 8 comma 3 del d.-l. n. 95 del 2012, convertito con modificazioni in legge n. 135 del 2012; violazione o falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 800 del 1967, nonché degli articoli 1 e 3 del d.lgs. n. 367 del 1996; violazione degli articoli 3, 9, 33 e 97 della Costituzione; eccesso di potere per illogicità, ingiustizia manifesta e sviamento, non avendo l’ISTAT esercitato correttamente le proprie funzioni, implicanti individuazione degli enti cheavrebbero potuto essere coinvolti in interventi di contenimento della spesa, a norma del d.-l. n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012 (c.d. spending review);

III.5) in via subordinata: illegittimità derivata per illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 196 del 2009 e degli articoli 1, comma 7, 3, commi 1, 10 e 11-bis, 5, commi 2, 7, 8 e 8, comma 3 del decreto legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni in legge n. 135 del 2012, con riferimento agli articoli 3, 9, 33 e 97 della Costituzione, essendo “irragionevole disporre l’applicazione omogenea ed indistinta di previsioni gravemente limitative in tema di finanza pubblica ad enti affatto diversi per caratteri, struttura, autonomia operativa e finalità perseguite”, per il solo fatto di essere collocati negli elenchi ISTAT.

L’Istituto Nazionale di Statistica appellato, costituitosi in giudizio, descriveva le proprie funzioni, ed eccepiva, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse a ricorrere, in quanto le disposizioni di finanza pubblica, a cui sarebbe connesso il pregiudizio dell’appellante, continuerebbero comunque a trovare applicazione nei confronti del medesimo, per espressa prescrizione legislativa. Nel merito, venivano altresì formulate analitiche controdeduzioni a tutte le prospettazioni difensive, contenute nell’appello

Alla pubblica udienza del 26\10\2017 la causa passava in decisione.

 

DIRITTO

1. La presente controversia ha oggetto analogo ad altre precedenti, decise dalla sezione con pronunce dalle quali, per evidenti ragioni di certezza del diritto ed in assenza di elementi innovativi o sopravvenuti, non sussistono motivi per discostarsi (cfr. ad es. CdS sez VI, 5617 del 2015 e 2326\2016), salva la necessità di alcuni ulteriori approfondimenti.

Torma infatti all’esame del Collegio la questione di legittimità, concernente l’inserimento della Fondazione di carattere culturale fra le amministrazioni che concorrono al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e che sono, di conseguenza, soggette a disposizioni di contenimento della spesa: (c.d. “spending review”), nei termini disciplinati dall’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilità e finanza pubblica), da raccordare “con le procedure e i criteri stabiliti dall’Unione Europea” (art. 1 cit., comma 1).

A quest’ultimo riguardo, in termini di inquadramento normativo deve ancora una volta farsi prioritario riferimento al regolamento CE n. 2223/96 del 25 giugno 1996, concernente il “Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella comunità Ue” (cosiddetto SEC 95), in conformità al quale l’ISTAT predispone annualmente il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche, nell’ambito della procedura sui deficit eccessivi regolati dal Trattato di Maastricht. Il regolamento in questione detta modalità di classificazione – su cui è fondato l’intero sistema europeo di controllo dei conti pubblici – prevedendo singole “unità istituzionali” (intese come centri di decisione economica) raggruppate in settori, fra cui quello – denominato “S 13” – che comprende le “amministrazioni pubbliche”.

Rientrano nel citato settore S13 le seguenti unità istituzionali (cfr. SEC 95, par. 2.69):

“a) gli organismi pubblici che gestiscono e finanziano un insieme di attività, principalmente consistenti nel fornire alla collettività beni e servizi non destinabili alla vendita;

b) le istituzioni senza scopo di lucro, dotate di personalità giuridica, che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, che sono controllate e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubbliche;

c) i fondi pensione autonomi”.

Fra le amministrazioni pubbliche è stata appunto inserita – per quanto qui interessa – la Fondazione odierna appellante.

Le questioni in esame, in rapporto alla situazione sopra delineata, analogamente alle precedenti decisioni, possono essere sintetizzate nei seguenti termini:

I) valutazione della sussistenza, o meno, dell’interesse a ricorrere dell’attuale appellante, tenuto conto dell’eccezione di inammissibilità, riproposta in appello dalla parte resistente;

II) determinazione della natura giuridica dell’elenco, a cui fa rinvio l’art. 1, comma 2, della citata legge n. 196 del 2009;

III) esame della fondatezza, o meno, della qualificazione operata nell’elenco impugnato, con riferimento alla Fondazione Arena di Verona:

IV) giudizio sulla rilevanza e non manifesta infondatezza dell’eccezione di incostituzionalità, sollevata con riferimento alle disposizioni legislative, che fossero considerate giustificative di tale qualificazione.

2. Il primo quesito, benché prospettato in termini di eccezione preliminare, presuppone che si affronti prioritariamente il secondo, in quanto l’Istituto resistente ritiene il ricorso inammissibile per le ragioni interpretative – sostanzialmente accolte nella sentenza appellata – secondo cui il contestato elenco del 28 settembre 2012 sarebbe “insensibile” agli esiti del giudizio, poiché “assorbito dall’art. 1, comma 2 (della legge n. 196 del 2009)[…] .partecipando della natura giuridica della norma che lo richiama”.

La sezione, come già deciso nei precedenti richiamati oltre che in specie nella prima sentenza parziale che ha accolto l’appello in parte qua (cfr. decisione n. 4748 del 2015, oltre che n. 2643 del 2015), non condivide tale prospettazione e di conseguenza, in accoglimento del primo motivo di appello, ravvisa l’infondatezza dell’eccezione preliminare.

In base al citato articolo 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, infatti, “Ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l’anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell’elenco, oggetto del comunicato dell’Istituto nazionale di statistica..in data 24 luglio 2010, nonché a decorrere dall’anno 2012 gli enti e i soggetti indicati…dal predetto Istituto nell’elenco…in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 228 e successivi aggiornamenti, ai sensi del comma 3 del presente articolo”. Il testo riportato sembrerebbe avallare, in qualche misura, la tesi della natura recettizia del rinvio, visto che in particolare l’elenco, comunicato dall’ISTAT nel 2011, sembra assunto come termine di riferimento per gli anni futuri – salvo aggiornamenti – “a decorrere” dal 2012, come se lo stesso facesse ormai parte del testo legislativo e ne avesse assunto la natura.

Un’interpretazione logica e sistematica, tuttavia, induce a ravvisare piuttosto il carattere dinamico di tale rinvio (cfr. anche in tal senso Cons. Stato, VI, 28 novembre 2012, n. 6014), essendo prevista al successivo comma 3 del medesimo articolo 1 della legge n. 196/2009 la “ricognizione” (e non il mero, eventuale aggiornamento) delle amministrazioni pubbliche, di cui al precedente comma 2, con un “provvedimento” da pubblicare, annualmente, entro il 30 settembre.

Al testo normativo appena sintetizzato si aggiungono le disposizioni del già ricordato SEC 95 e del relativo Manuale, che delineano i parametri di un accertamento complesso, in cui si pone come principio fondamentale del sistema europeo dei conti “la realtà economica, prescindendo da quella giuridica” (cfr. punto 2 del Manuale).

Le esigenze di adeguamento ad un fattore, di certo non statico come detta realtà economica, d’altra parte, non possono non apparire incompatibili con la paventata cristallizzazione normativa delle amministrazioni pubbliche, determinate per il 2011 dal medesimo SEC 95 e, come impediscono di attribuire forza e valore di legge all’elenco, ugualmente non consentono di ravvisare nella reiterazione immodificata del medesimo un atto meramente confermativo e non – come dispone la legge – una “ricognizione”, frutto di periodico riesame ed eventuale revisione.

In tale ottica deve riconoscersi che l’elenco di cui trattasi abbia carattere di accertamento costitutivo – a carattere provvedimentale (accompagnato da rilevanti margini di discrezionalità tecnica) – per quanto riguarda la qualificazione degli enti in esso compresi come amministrazioni pubbliche, chiamate a concorrere agli equilibri finanziari fissati dall’Unione Europea per gli Stati membri, con gli effetti giuridici determinati dalla legge e, ove ritenuti lesivi, assoggettabili a valutazione in sede giurisdizionale (attualmente, in base all’art. 1, comma 169, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 –legge di stabilità 2013 – innanzi alle Sezioni Riunite della Corte Dei Conti, “in speciale composizione, ai sensi dell’art. 103, secondo comma, della Costituzione”).

L’accoglimento del primo motivo di appello, nei termini sopra esposti, in parte supera e in parte rende necessario posticipare la disamina del secondo motivo (riferito alle argomentazioni, con cui nella sentenza appellata si escludeva che l’elenco, ritenuto parte integrante del testo legislativo, potesse indurre a sollevare questioni di costituzionalità). Tali questioni, in ogni caso, vengono in qualche misura assorbite dall’ultimo motivo di gravame (III.5), prospettato in via subordinata e da esaminare in caso di rigetto delle altre argomentazioni difensive.

3. Deve quindi essere prioritariamente affrontata, nel merito, la questione di legittimità dell’avvenuto inserimento, per l’anno 2012, della Fondazione appaltante nell’elenco delle amministrazioni pubbliche.

Tale inserimento è contestato (censure nn. III.1, III.2 e III.3), per violazione o falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 196 del 2009, nonché del regolamento UE n. 2223/1996 – SEC 95 e per eccesso di potere sotto vari profili: profili diversi, ma strettamente correlati e, quindi, tali da meritare trattazione congiunta.

Per affrontare le problematiche sollevate, la Sezione rinvia alle considerazioni già svolte nei precedenti richiamati anche per quanto riguarda la natura giuridica dell’ente interessato, il rilievo di tale circostanza ai fini della normativa di riferimento e la corretta lettura delle norme regolamentari, in base alle quali debbono essere individuate le amministrazioni pubbliche, da inserire nel conto consolidato dello Stato.

Come già ricordato, in primo luogo, la Fondazione in questione ha personalità giuridica di ordine privatistico; nondimeno, la stessa ha connotati tali da consentire di qualificare l’ente come organismo di diritto pubblico, nei termini recepiti dall’art. 3, comma 26, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).

I parametri di individuazione degli organismi di diritto pubblico enunciati nella norma citata sono:

a) finalizzazione istituzionale al soddisfacimento di specifiche “esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale e commerciale”;

b) possesso di personalità giuridica (anche di natura privata);

c) attività finanziata in percentuale maggioritaria “dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”, o – in alternativa – “la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri, dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali, o da altri organismi di diritto pubblico” (sul carattere cumulativo di detti requisiti, salvo il carattere alternativo di quelli di cui al punto c, cfr. Cass. SS.UU. 7.4.2010, n. 8225).

La rispondenza della fondazione appellante ai parametri sopra indicati va ribadita in base a dati non controversi, quali il possesso di personalità giuridica – la cui natura privata non esclude il perseguimento di rilevanti interessi pubblici, connessi alla diffusione dell’arte musicale e o teatrale e quindi alla promozione della cultura, quale valore riconducibile all’art. 9, primo comma, della Costituzione – con ulteriore (e di primario rilievo sotto il profilo in esame) percezione di contributi pubblici, nonchè assoggettamento a controlli di assoluta pregnanza.

Questi controlli si concretizzano, come sottolineato dalla stessa appellante, nella vigilanza, del Ministero per i beni e le attività culturali (nei cui confronti sussiste obbligo di rendiconto) e nella possibilità di commissariamento, e nelle ulteriori numerose disposizioni che confermano una diretta ed immanente partecipazione degli enti pubblici competenti.

In tale contesto, giuridico e finanziario, non può essere posta in dubbio la sussistenza di un controllo pubblico, del tutto rispondente a quanto previsto dal citato art. 3, comma 26, del. d.lgs. n. 163 del 2006, a nulla rilevando al riguardo le argomentazioni dell’appellante, che sottolinea l’autonomia statutariamente prevista, a norma dell’art. 10 del più volte citato d.lgs. n. 367 del 1996, della fondazione di cui trattasi, per quanto riguarda l’attività di produzione artistica e le attività connesse, o strumentali.

Detta autonomia, infatti, attiene alla fase attiva dell’esercizio delle funzioni affidate alla Fondazione, ma non esclude il controllo, quale relazione interorganica nell’ambito della quale l’operato degli organi attivi viene può essere sindacato per valutare la relativa rispondenza alla legge, o alla convenienza amministrativa, o a regole tecniche di varia natura, potendo il controllo essere finalizzato ad assicurare non solo la legittimità, ma anche l’economicità o l’efficacia della gestione operativa.

A tale nozione di controllo – risultante dal testo normativo di riferimento (art. 3, comma 26, d.lgs. n. 163 del 2006) – si è attenuta la prevalente giurisprudenza, nel definire “organismi di diritto pubblico” figure soggettive anche molto diverse fra loro, come la Fondazione Ca’ d’Industria (Cons. Stato, VI, 3 giugno 2014, n. 2843); la Fondazione La Biennale di Venezia (Cons. Stato, VI, 8 maggio 2014, n. 2362), le Autorità Portuali (Cons. Stato, VI, 15 dicembre 2014, n. 6146), gli Aeroporti di Milano Linate e Malpensa (Cons. Stato, VI, 8 ottobre 2013, n. 4934) e gli Aeroporti di Roma (Cons. Stato, VI, 22 aprile 2014, n. 2026): questi ultimi solo attraverso la specificazione dei parametri identificativi degli organismi in questione, parametri che possono anche prescindere, come ampiamente dedotto, dal finanziamento pubblico ed associarsi a criteri imprenditoriali di gestione (cfr. in tal senso Cons. Stato,. VI, n. 6014 del 2012 cit.; II, 25 luglio 2008, parere n. 2361 e IV, 8 maggio 2013, ordinanza n. 2492, emessa ai sensi dell’art. 267 TFUE; sulla connotazione pubblicistica delle Fondazioni lirico-sinfoniche cfr. anche Corte cost., 21 aprile 2011, n. 153).

Appare evidente, dunque, come l’elemento fondante dell’organismo di diritto pubblico sia appunto quello, riconducibile alla rilevanza degli interessi generali perseguiti, in rapporto ai quali non può venire meno una funzione amministrativa di controllo, anche qualora la gestione fosse produttiva di utili (come dimostra il carattere espressamente disgiunto dei requisiti, di cui al precedente punto “c”): è propria dell’Amministrazione, infatti, la cura concreta di interessi della collettività, che lo Stato ritiene corrispondenti a servizi da rendere ai cittadini e che pertanto, ove affidati a soggetti esterni all’Apparato amministrativo vero e proprio, debbono comunque rispondere a corretti parametri gestionali, anche sul piano dell’imparzialità e del buon andamento .

Altrettanto evidente invece – ed essenziale per le finalità di contenimento della spesa pubblica, cui corrisponde la ratio della normativa in esame (che non può tollerare, essendo posta in relazione al sistema economico nazionale, eccezioni formalistiche) – è la rilevanza prioritaria del fattore di finanziamento pubblico per le amministrazioni, da inserire nell’elenco di cui al più volte citato art. 1 della legge n. 196 del 2009, in conformità ai criteri enunciati nel c.d. SEC 95.

Deve pertanto ammettersi che la mera qualificazione della fondazione in questione come organismo di diritto pubblico non sia sufficiente, perché la stessa risulti inserita nell’elenco delle “amministrazioni”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 della legge n. 196 del 2009.

Detta qualificazione, tuttavia, consente di aderire alla prospettazione, nei termini già evidenziati dalla Sezione e rispetto ai quali nessun elemento innovativo è stato fornito da parte appellante, secondo cui la fondazione di cui trattasi deve essere ricondotta alla prima tipologia di unità istituzionali, comprese nel settore S13 del SEC 95 (par. 2.68), ovvero a quella degli “organismi pubblici che gestiscono e finanziano un insieme di attività, principalmente consistenti nel fornire alla collettività beni e servizi non destinabili alla vendita” (e non fra le “Istituzioni senza scopo di lucro dotate di personalità giuridica”, per le quale si richiede – in forma cumulativa e non alternativa – che sussistano controlli e finanziamenti, provenienti “in prevalenza” da amministrazioni pubbliche).

L’unico requisito, che appare quindi suscettibile di accertamento, per valutare il legittimo inserimento della Fondazione in questione fra le “amministrazioni pubbliche”, ai fini che qui rilevano, è dunque quello della produzione e offerta al pubblico, da parte della stessa, di beni e servizi “non destinabili alla vendita”.

Quest’ultima espressione, come chiarito dal regolamento SEC 95 e dal relativo Manuale esplicativo (rispettivamente, nei paragrafi 3.33 e 5.2) implica una ricognizione del carattere economicamente significativo, o meno, del prezzo di vendita, dovendo ritenersi “non destinabile alla vendita” un bene o un servizio, il cui prezzo influisce in maniera scarsa sia sulla domanda che sull’offerta: convenzionalmente, è stato scelto al riguardo – come riportato dal Manuale – il “criterio del 50%”, in base al quale deve essere accertato se i ricavi realizzati, in condizioni di mercato, coprano o meno una quota superiore alla metà dei costi di produzione (fermo restando che, per la rilevanza dell’interesse pubblico sotteso, l’attività viene comunque espletata, anche ove non sfruttabile economicamente in modo produttivo).

Nell’impugnativa vengono prodotti al riguardo conteggi, dai quali dovrebbe desumersi che “il rapporto tra ricavi e costi di produzione supera ampiamente il valore del 50%”. Quanto sopra, tuttavia, sulla base di criteri valutativi, che appaiono efficacemente contestati dall’ISTAT, per quanto riguarda l’inserimento, tra i ricavi, di quote di finanziamento pubblico, nonché per lo scorporo di parte dei costi, con particolare riguardo a quelli per il personale, peraltro senza tenere conto di peculiari eventi, che il medesimo Istituto rappresenta senza puntuale smentita (apporti patrimoniali straordinari intervenuti ed altri contributi in conto esercizio, dopo un periodo peraltro di gestione commissariale).

Appare rilevante, inoltre, che il SEC 95 (par. 3.33 b) imponga non un mero riscontro contabile, ma un vero e proprio giudizio prognostico, formulato nei seguenti termini: “Il criterio del 50% va applicato in un’ottica pluriennale, ossia solo se vale per diversi anni, oppure se vale per l’anno in corso e si attende che varrà per il prossimo futuro. Le fluttuazioni secondarie del volume delle vendite da un anno all’altro non richiedono una riclassificazione delle Unità Istituzionali….”: quanto sopra, all’evidente fine di riconoscere o meno all’ente – con relativa stabilità – carattere imprenditoriale in un sistema di mercato, ovvero più marcato perseguimento di interessi pubblici non economici, con mezzi prevalentemente a carico dello Stato.

In tale contesto fondatamente, come già concluso dalla sezione, l’Istituto nazionale di statistica sottolinea la sussistenza di margini di discrezionalità tecnica richiedenti il “possesso di conoscenze specialistiche”, contestabili non con mere argomentazioni difensive o ricostruzioni soggettive dei fatti, ma solo per erronea rappresentazione della realtà, palese incongruenza o inosservanza di regole tecnico-scientifiche di inequivoca lettura; né nel caso di specie parte appellante deduce e dimostra elementi tali da evidenziare tali profili di sindacabilità, neppure in termini di travisamento dei fatti o di manifesta irrazionalità.

Data la complessità dei parametri di riscontro, appare pertanto rafforzata la tesi della natura provvedimentale – e non di mero strumento contabile, come talvolta ritenuto dalla giurisprudenza (senza tuttavia che sussista, al riguardo, un orientamento consolidato) – dell’elenco di cui trattasi, da formare in base ad un apprezzamento sistematico, nonché ad una proiezione anche futura dei dati stessi e da cui discende una qualificazione, produttiva per gli enti interessati di effetti giuridici. Nel caso di specie, l’ISTAT ha ragionevolmente rappresentato il carattere tendenzialmente non remunerativo dell’attività tipica della Fondazione, nei termini richiesti dalla normativa vigente, tanto da poter esprimere – su scala pluriennale – un giudizio di sostanziale sottrazione della stessa a criteri imprenditoriali di mercato, nonostante l’indubbio valore, sul piano culturale, del servizio offerto alla collettività. Alla ragionevole impostazione di cui sopra – che sembra escludere vizi di accertamento e di istruttoria (contrariamente a quanto sostenuto, in particolare, nel terzo motivo di gravame, al punto n. 3) non si contrappongono da parte dell’appellante controdeduzioni tecniche idonee, nel senso in precedenza chiarito, a smentire le risultanze contabili illustrate dall’ISTAT.

Inoltre, come già evidenziato da questo Consiglio di Stato (sezione VI, nn. 6014\2012 e 2843\2014) a contrario, l'inserimento nel conto consolidato elaborato dall'Istat ex art. 1 comma 3 cit. può soccorrere qualora non sia evidente che l'organismo esaminato è una pubblica amministrazione: l'elenco stesso non ha, in altre parole, natura e valore costitutivi della natura pubblica dell'organismo stesso, a ciò venendo in considerazione altri profili, in particolare quelli che si basano sulla definizione di "unità istituzionale pubblica", di derivazione comunitaria. Tale definizione fa leva sul concetto di "controllo" e di "finanziamento" da parte di pubbliche amministrazioni, elementi che, rapportati alle caratteristiche della Fondazione esaminata, conducono a riconoscerne la natura di organismo di diritto pubblico.

In base alle considerazioni svolte, nessuna delle censure prospettate nell’impugnativa appare quindi meritevole di accoglimento: oltre alle argomentazioni, già puntualmente disattese nella presente decisione, l’appellante espone infatti tesi difensive che attengono a scelte di indirizzo politico, non sindacabili in tema di finanziamento pubblico e di revisione della spesa (c.d. “spending review”). Quest’ultima, come è noto, risulta finalizzata a migliorare efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa nell’impiego di risorse della collettività, attraverso una sistematica analisi e valutazione di obiettivi e risultati, tenuto conto delle strutture organizzative e delle procedure decisionali esistenti. L’appellante contesta il contenuto delle scelte, operate con d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica, con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale del settore bancario), con riferimento ad una serie di misure restrittive, inerenti anche al trattamento del personale, che sarebbero di impedimento per le attività istituzionali di promozione della cultura e dell’educazione musicale, in aggiunta alla disposta riduzione del finanziamento pubblico (che dovrebbe di per sé soddisfare le esigenze di contenimento della spesa pubblica, poste a base della disciplina contestata).

Tali argomentazioni appaiono inammissibili, per come dedotte nel caso di specie, in quanto così formulate risultano meramente volte a contestare nel merito opzioni di politica economica, peraltro imposte a livello europeo nell’intento politico di ridurre il disavanzo dei Paesi membri dell’Unione Europea.

Al riguardo, tutte le amministrazioni pubbliche inserite nell’apposito elenco, predisposto in base alle regole in precedenza esaminate, sono chiamate ad operare gravi forme di restrizioni nelle spese, quand’anche fonte di difficoltà sul piano gestionale: in proposito, non può riconoscersi alla fondazione appellante una posizione speciale, tale da esonerarla da restrizioni che investono ogni pur essenziale servizio pubblico, dalla scuola alla sanità, fino ad ogni ulteriore settore considerato dalla normativa di riferimento.

In tale contesto, peraltro neppure censurato nei termini di sindacabilità propri del presente giudizio di legittimità, si inserisce il diverso elemento concernente l’eventuale illogica diversa considerazione tra finalità del finanziamento pubblico ed attuazione della cosiddetta spending review. Infatti, il sostegno delle strutture organizzative non autosufficienti sul piano finanziario, per la rilevanza degli interessi pubblici perseguiti, non può che risultare inciso dai tagli generalizzati imposti dalla revisione della spesa. Peraltro, ciò fuoriesce dallo spettro di analisi della presente controversia, in cui la p.a., nei predetti limiti di sindacato, ha svolto un’attività istruttoria ed una conseguente motivazione della determinazione di inserimento in contestazione, conforme al riconosciuto carattere provvedimentale.

Invero, nell’attuale contesto normativo ed ordinamentale assume altresì rilievo preminente il carattere elastico della nozione di p.a., così come imposto dalle regole imposte dall’adesione agli organismi europei, che risulta adeguata alle finalità settoriali perseguite: a titolo esemplificativo estensive in caso di evidenza pubblica, limitative in caso di presupposti per accedere al pubblico impiego. Agli specifici fini di politica economica, con particolare riferimento alle imposizioni in tema di tagli alla spesa pubblica, l’obiettivo perseguito appare di tale ampiezza da imporre un’opzione ermeneutica estensiva del concetto di p.a., nel cui contesto si inserisce anche la determinazione qui contestata. Peraltro anche sul punto, dinanzi all’istruttoria ed alla motivazione esplicata dall’istituto appellato, non risultano dedotti specifici motivi di appello né vizi accompagnati da adeguati elementi concreti attestanti una palese travisamento di fatto ovvero una manifesta illogicità; anzi, il contestato inserimento appare trovare logico coordinamento con gli obiettivi predetti, senza adeguata contestazione, in termini ammissibili rispetto al presente ambito di sindacato di legittimità, degli stessi obiettivi.

4. Resta quindi da valutare soltanto l’eccezione di incostituzionalità delle norme di riferimento (art. 1 della legge n. 196 del 2009, articoli 1, comma 7, 3, commi 1, 10 e 11-bis, 5, commi 2, 7 e 8 e 8 comma 3 della citata legge n. 135 del 2012), in rapporto agli articoli 3, 9, 33 e 97 della Costituzione.

Il collegio non può che ribadire, preliminarmente quanto già concluso dalla sezione in ordine alla manifesta infondatezza dell’eccezione.

L’appellante, infatti, riconduce i dubbi di costituzionalità alle caratteristiche peculiari della fondazione e all’esigenza sia di non trattare in modo uguale situazioni diverse, sia di non “incidere con ripercussioni irreparabili sul funzionamento di enti di produzione che ricevono contributi pubblici”, tenuto conto dell’importanza degli interessi perseguiti, che imporrebbero apposito bilanciamento con le ragioni esclusivamente finanziarie, ispiratrici delle norme in discussione.

Appare evidente, tuttavia, che l’elemento unificante tra i soggetti, di cui è previsto l’inserimento negli elenchi ISTAT, è riconducibile ai fondi pubblici di cui gli stessi sono destinatari e che ne giustificano l’inclusione nel conto consolidato dello Stato; le misure finanziarie, successivamente assunte, possono inoltre presentare aspetti controvertibili, in rapporto ai quali, tuttavia, le scelte del legislatore possono muoversi con ampi margini di discrezionalità, peraltro nell’ambito di obiettivi imposti a livello comunitario, in presenza di situazioni di deficit eccessivo.

Apodittico e indimostrato, infine, appare il rappresentato pregiudizio irreparabile per la cultura e il buon andamento dell’Amministrazione, in rapporto ad una serie di specifiche misure che – come quella del divieto di monetizzare le ferie non godute – possono presentare aspetti opinabili, ma non appaiono tali da compromettere il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente, né esulano dalle finalità di contenimento generale della spesa, stimato necessario per fronteggiare la situazione economica in atto, così come non evidenziano percepibili alterazioni dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell’ottica di austerità imposta dal contingente andamento dei conti pubblici.

Da ultimo viene innovativamente invocata la declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza Corte Cost. n. 7 del 2017, la quale ha dichiarato illegittimo l’art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui prevede che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.

In particolare, in tal caso la Consulta non ha reputato conforme a Costituzione il prelievo strutturale e continuativo nei riguardi di un ente caratterizzato da funzioni previdenziali e assistenziali sottoposte al rigido principio dell’equilibrio tra risorse versate dagli iscritti e prestazioni rese. In tale caso la norma aggrediva, sotto l’aspetto strutturale e continuativo, la correlazione contributi-prestazioni, nell’ambito della quale si articola «la naturale missione» della Cassa vulnerando l’autosufficienza del proprio sistema previdenziale. Quindi, se per un verso l’ingerenza del prelievo statale rischia di minare quegli equilibri che costituiscono elemento indefettibile dell’esperienza previdenziale autonoma, per un altro verso la fattispecie si caratterizzava per l’assoluta esclusione – a differenza della previdenza dei pubblici dipendenti – di qualsiasi contribuzione a carico dello Stato nel momento in cui il flusso finanziario proveniente dai versamenti contributivi non risulti sufficiente al pagamento delle prestazioni dovute.

Appare pertanto evidente la assoluta diversità del caso in esame, dove invece l’ente in questione gode di ampi finanziamenti pubblici e di ancor più rilevanti ambiti di vigilanza e partecipazione da parte dello Stato, nei termini sopra ribaditi. Non è individuabile alcuna autosufficienza, analoga a quella rilevata in capo alla cassa previdenziale, ne è sussistente alcuna rigida corrispondenza fra corresponsione di privati iscritti, assenti nel caso in esame, e prestazioni rese al pubblico.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va in definitiva respinto.

Sussistono giunti motivi, anche a fronte della fondatezza del primo motivo di appello, per procedere alla compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Sergio Santoro,           Presidente

Bernhard Lageder,     Consigliere

Vincenzo Lopilato,     Consigliere

Francesco Mele,         Consigliere

Davide Ponte, Consigliere, Estensore

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

Davide Ponte             Sergio Santoro

                       

IL SEGRETARIO

 

 

 

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