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Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Veneto, 5/2/2018 n. 31
Sulle modalità di individuazione dell’an e del quantum del compenso che può essere corrisposto agli amministratori di una società a partecipazione comunale alla luce della disciplina vincolistica imposta dal legislatore statale.

Materia: società / partecipazione pubblica

Deliberazione n. 31/2018/PAR

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER IL VENETO

Nell’adunanza del 16 gennaio 2018

composta dai magistrati:

Diana Calaciura TRAINA                                  Presidente

Maria Laura PRISLEI                                                 Consigliere

Amedeo BIANCHI                                                     Consigliere

Giampiero PIZZICONI                                               Consigliere

Tiziano TESSARO                                                      Consigliere

Francesca DIMITA                                                     Primo Referendario

Elisabetta USAI                                                           Primo Referendario relatore

*****

VISTO l’art. 100, secondo comma, della Costituzione;

VISTO il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214;

VISTA la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;

VISTO il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti modificato da ultimo con deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 229 del 19 giugno 2008 con il quale è stata istituita in ogni Regione ad autonomia ordinaria la Sezione regionale di controllo, deliberato dalle Sezioni Riunite in data 16 giugno 2000;

VISTA la legge 5 giugno 2003, n. 131 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla Legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3”, e, in particolare, l’art. 7, comma 8;

VISTI gli indirizzi e criteri generali per l'esercizio dell'attività consultiva approvati dalla Sezione delle Autonomie nell'adunanza del 27 aprile 2004, come modificati e integrati dalla delibera n. 9/SEZAUT/2009/INPR del 3 luglio 2009 e, da ultimo dalla deliberazione delle Sezioni Riunite in sede di controllo n. 54/CONTR del 17 novembre 2010;

VISTA la richiesta di parere inoltrata dal Sindaco del Comune di CAMPOSAMPIERO (PD) di cui al prot. n. 23916 del 29 novembre 2017, acquisita al prot. C.d.c. n. 12930 del 29 novembre 2017;

VISTA l’ordinanza del Presidente n. 1/2018 di convocazione della Sezione per l’odierna seduta;

UDITO il relatore, Primo Referendario Elisabetta Usai,

FATTO

Il Sindaco del Comune di Camposampiero ha presentato richiesta di parere ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, domandando “In quale modo debba essere interpretata la previsione di cui al D.L. n. 95/2012 art. 4 c. 4“a dar corso dal primo gennaio 2015 il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di tali società (controllate direttamente o indirettamente dalla amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 165/01 art. 1 c.2 n.d.r.), ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l’80% del costo complessivamente sostenuto nell'anno 2013" laddove il costo sostenuto nell’anno 2013 risulti essere pari ad € 0,00 in quanto l'Amministratore Unico incaricato nell’anno 2013 abbia volontariamente rinunciato a qualsivoglia, seppur previsto, emolumento. In tal senso si chiede se possa essere individuato un ulteriore parametro di riferimento per la corretta determinazione del compenso da corrispondersi all'Amministratore Unico successivamente nominato, qualora 1o stesso non intendesse prestare la propria attività professionale a titolo gratuito".

DIRITTO

La Sezione deve verificare, in via preliminare, la sussistenza contestuale dei requisiti di ammissibilità soggettiva e oggettiva del parere richiesto.

In merito all’ammissibilità soggettiva, la funzione consultiva della Sezione è sollecitata dal Sindaco, titolare, ai sensi dell’art. 50 del T.U.E.L., della rappresentanza del Comune, ente annoverato tra quelli dotati di legittimazione attiva ai sensi dell’art. 7, comma 8, L. 131/2003.

Il parere richiesto, inoltre, è ammissibile dal punto di vista oggettivo, in termini di afferenza alla materia della contabilità pubblica nell’accezione fornita dalla costante giurisprudenza contabile in sede consultiva (ex multis, deliberazioni del 27 aprile 20014 e n. 5/AUT/2006 della Sezione delle Autonomie e deliberazione n. 54/CONTR/2010 delle Sezioni riunite in sede di controllo), quale “sistema di principi e di norme che regolano l'attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli Enti pubblici”, in una visione dinamica di salvaguardia degli equilibri dell’Ente.

La questione prospettata, difatti, attiene alle modalità di individuazione dell’an e del quantum del compenso che può essere corrisposto agli amministratori di una società a partecipazione comunale alla luce della disciplina vincolistica imposta dal legislatore statale in funzione di coordinamento della finanza pubblica.

La disposizione sulla quale verte il quesito recita testualmente, a seguito delle modifiche normative che si sono succedute: “4. A decorrere dal 1º gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di tali società, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l'80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell'anno 2013” (art. 4, comma 4, D.L. 95/2012, come modificato dalla L. conv. 135/2012, dall’art. 1, comma 562, lett. b), L. 147/2013, dall’art. 16, comma 1, lett. a), D.L. 90/2014, n. 90, convertito, con modificazioni, nella L. 114/2014, dall’art. 1, comma 235, L. 208/2015 e dall’art. 28, comma 1, lett. o), D.Lgs. 175/2016).

Si ricorda, inoltre, che l’art. 4, comma 4, secondo periodo, D.L. 95/2012, sul quale verte il dubbio interpretativo sollevato dal Comune, è destinato, ai sensi dell’art. 11, comma 7, D.lgs. 175/2016, recante il “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”, a rimanere in vigore fino all’emanazione del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze avente a oggetto, per le società a controllo pubblico, la definizione di “indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle suddette società. (…) Per ciascuna fascia è determinato, in proporzione, il limite dei compensi massimi al quale gli organi di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario, tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni o da altre società a controllo pubblico. (…) Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono limiti ai compensi inferiori a quelli previsti dal decreto di cui al presente comma. Il decreto stabilisce altresì i criteri di determinazione della parte variabile della remunerazione, commisurata ai risultati di bilancio raggiunti dalla società nel corso dell'esercizio precedente. In caso di risultati negativi attribuibili alla responsabilità dell'amministratore, la parte variabile non può essere corrisposta”.

Si precisa che alla data di approvazione della presente delibera detto decreto non è ancora stato approvato.

Ciò premesso, in vigenza del descritto regime transitorio previsto dal D.lgs. 175/2016, che ha fatto salvo il limite, ex art. 4, comma 4, D.L. 95/2012, dell’80% del costo complessivamente sostenuto nel 2013 per il compenso degli amministratori, il Comune chiede alla Sezione di esprimersi sull’esistenza di eventuali ulteriori parametri di delimitazione della spesa in analisi in ipotesi di assenza di tali oneri (in virtù della gratuità dell’incarico svolto dall’amministratore) per l’esercizio 2013.

La giurisprudenza contabile, prima dell’entrata in vigore del Testo unico sulle società a partecipazione pubblica (di seguito “TUSP”), aveva già avuto modo di esprimersi sulle possibili soluzioni da adottare in siffatta casistica.

In alcuni casi è stata prediletta un’interpretazione volta a ovviare alla ricaduta pratica di un’opzione ermeneutica letterale della norma in esame, norma deputata a contenere gli oneri di cui trattasi secondo un criterio di “costo storico” e non a imporre il divieto di remunerabilità dell’incarico di amministratore di una società che non avesse sostenuto tale costo nel 2013.

In tal senso, si è sottolineato che “Non può pertanto adottarsi un’interpretazione meramente matematica della disposizione in esame, che determinerebbe appunto l’impossibilità di affidare all’esterno tali incarichi, atteso che tale effetto pare eccedere le finalità della norma. Piuttosto, nel caso in cui l’ente locale non abbia affrontato alcun esborso, neppur minimo, nell’esercizio 2013, il meccanismo di riduzione della spesa stabilito dal legislatore necessita comunque, per poter operare, di vedere individuato un parametro di riferimento sul quale calcolare la percentuale dell’80%. Il parametro può essere individuato nell’ultimo esercizio nel quale l’ente locale privo della tipologia di spesa in esame nell’anno 2013 abbia affrontato tale spesa, purché l’importo sul quale calcolare il limite di spesa di cui ai citati commi 4 e 5 sia aggiornato tenendo conto delle limitazioni introdotte con l’art. 6, comma 6, del d.l. n. 78/2010. Si richiama inoltre la necessità che il compenso erogato al singolo amministratore rispetti quanto previsto dall’art. 1, comma 725, della legge n. 296/2006” (deliberazione Sezione Lombardia n. 1/2015/PAR).

Altre soluzioni ermeneutiche, invero, sono state improntate a un’interpretazione letterale dell’art. 4, comma 4, D.L. 95/2012 per le quali, in caso di mancanza di oneri per compensi agli amministratori di un società partecipata nell’esercizio assunto a parametro di riferimento (il 2013), l’Ente non avrebbe potuto sostenere alcuna spesa a tale titolo negli esercizi successivi.

Tra queste, la scrivente Sezione, in data, occorre precisare, anteriore all’entrata in vigore del TUSP, ha ritenuto di non attribuire rilevanza, al fine di considerare operativo il limite dell’80%, alla circostanza per cui nell’esercizio 2013 non fossero stati sostenuti oneri, pur precisando che “Non può negarsi, tuttavia, che, nonostante l’inequivoca formulazione della norma escluda l’attribuzione all’inciso appena esaminato di altro e diverso significato (in claris non fit interpretatio), si ponga un problema di coordinamento della norma medesima con la disciplina civilistica, soprattutto nel caso (segnalato dagli Enti nella richiesta di parere) in cui, nel 2013, la società non abbia erogato alcunché ai propri amministratori, in applicazione del comma 718 dell’art. 1 della L. n. 296/2006 (perché rivestenti la carica di amministratori negli enti soci). Nel caso descritto, l’applicazione del meccanismo di riduzione e contenimento della spesa contemplato dal comma 4, comporterebbe la negazione dei compensi agli amministratori di quella società, imponendo la definitiva gratuità dell’incarico, in contrasto con l’art. 2389 c.c., che prevede, invece, l’onerosità della prestazione fornita dai componenti dei Consigli di amministrazione delle società, in ossequio, tra l’altro, al principio di corrispettività delle prestazioni. Un tale effetto, ultroneo ed eccessivo, non rispondente, peraltro, alla ratio della norma, che è quella di determinare il contenimento dei costi delle società pubbliche strumentali non di eliminare i compensi degli amministratori, renderebbe opportuno un intervento correttivo del legislatore, ma non legittima la disapplicazione del chiaro precetto ivi contenuto” (Sezione del Veneto, deliberazione n. 28/2016/PAR, ripresa dalla Sezione Lombardia con deliberazione n. 160/2016/PAR, a sua volta confermativa della precedente impostazione adottata da quest’ultima Sezione con deliberazione 71/2016/PAR).

La problematica sopra evidenziata fa sorgere l’esigenza di evitare che un’interpretazione strettamente letterale possa condurre a effetti ultronei rispetto a quelli previsti dalla disciplina di diminuzione della spesa pubblica. Problematica che è stata affrontata, in sede di nomofilachia, seppur con riferimento ad altra normativa, in occasione della quale sono stati enunciati dei principi interpretativi utilizzabili nel caso di specie.

La Sezione delle Autonomie, infatti, con la deliberazione n. 1/2017/QMIG, adottata a seguito di deliberazione della Sezione Veneto n. 357/2016/QMIG, si è pronunciata in merito all’operatività del limite previsto dall’art. 9, comma 28, del D.L. 78/2010, che prevede un meccanismo di contenimento della spesa per il personale con contratti “flessibili”, analogo a quello in analisi ovvero “agganciato” alla spesa sostenuta in certo anno di riferimento (50% della spesa sostenuta nel 2009 per tali contratti di lavoro). Tale pronuncia, per l’appunto, è stata resa con riguardo all’ipotesi in cui l’ente locale non abbia effettuato assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato né nel 2009, né nel triennio 2007-2009 e, pertanto, non sia ravvisabile il parametro di riferimento previsto dalla norma testé citata (una spesa sostenuta nel 2009 per la remunerazione di detti contratti).

Seppure riferita a una fattispecie vincolistica distinta per materia, ma come detto, simile per struttura del vincolo, tale pronuncia poggia sull’assunto che l’impostazione ermeneutica letterale, propensa a ritenere operante un azzeramento della spesa per gli enti che nei periodi richiamati dalla legge non abbiano sostenuto costi a cui parametrare la percentuale di riduzione/tetto della spesa stessa negli esercizi successivi, si tradurrebbe in “un divieto assoluto di stipula per siffatta tipologia di contratti, dando luogo ad un’evidente eterogenesi dei fini” finendo così “per premiare gli enti meno oculati, che hanno realizzato ampi volumi di spesa da prendere a riferimento ai fini del relativo contenimento, a discapito di quelli più virtuosi, i quali non hanno sostenuto alcuna spesa per contratti a tempo determinato o di tipo flessibile”. La decisione in commento, per l’effetto, predilige la differente lettura che “prende le mosse dalla constatazione dell’esistenza, nella fattispecie, di una lacuna normativa e dalla conseguente necessità – correttamente rilevata dalla Sezione remittente – di “colmare il vuoto mediante gli ordinari strumenti ermeneutici che la legge assegna all’interprete”.

E, difatti, la decisione in esame, riprendendo, tra le altre, la menzionata pronuncia della Sezione Lombardia 1/2015/PAR (in materia proprio di compenso degli amministratori delle società partecipate), giunge a “ritenere funzionale consentire le assunzioni determinate dall’assoluta necessità di far fronte ad un servizio essenziale per l’ente (cfr. Sez. reg. contr. Lombardia, delibera n. 29/2012/PAR, Sez. reg. contr. Puglia, delibera n. 149/2016/PAR)” evidenziando che “Un’interpretazione eccessivamente restrittiva, imponendo l’azzeramento di un aggregato di spesa in luogo della sua semplice riduzione, oltre a risultare eccessivamente penalizzante, finirebbe per risultare anche lesiva dell’autonomia degli enti locali, in quanto vanificherebbe quei margini di scelta tra le varie tipologie di spesa, nel rispetto del limite complessivo, che la stessa Consulta, nella richiamata sentenza n. 173/2012, ha ritenuto indefettibili”.

La Sezione delle Autonomie, in conclusione, enuncia il seguente principio di diritto: “1. “Ai fini della determinazione del limite di spesa previsto dall’art. 9, comma 28, del d.l. 78/2010 e s.m.i., l’ente locale che non abbia fatto ricorso alle tipologie contrattuali ivi contemplate né nel 2009, né nel triennio 2007-2009, può, con motivato provvedimento, individuare un nuovo parametro di riferimento, costituito dalla spesa strettamente necessaria per far fronte ad un servizio essenziale per l’ente” (Sez. Aut. 1/2017/QMIG).

Nella fattispecie che qui interessa, il descritto percorso argomentativo, nella misura in cui giunge a negare l’accoglimento di un’interpretazione strettamente letterale di una norma vincolistica che si concretizzi in un divieto di spesa, anziché, come desumibile da un’interpretazione logico-sistematica, in una sua limitazione, può giustificare lo sforzo interpretativo volto all’individuazione di un parametro normativo di riferimento quale limite per il compenso agli amministratori di società partecipata alternativo a quello (spesa sostenuta nel 2013) in ipotesi non concretamente applicabile.

Occorre tenere presente che detto sforzo interpretativo deve essere valorizzato anche alla luce dell’intervenuta abrogazione, ai sensi dell’art. 28, comma 1, lett. e), del D.lgs. 175/2016, dell’art. 1, comma 725, L. 296/2006 (Legge finanziaria 2007), il quale prevedeva che “Nelle società a totale partecipazione di comuni o province, il compenso lordo annuale, onnicomprensivo, attribuito al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione, non può essere superiore per il presidente al 70 per cento e per i componenti al 60 per cento delle indennità spettanti, rispettivamente, al sindaco e al presidente della provincia ai sensi dell'articolo 82 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Resta ferma la possibilità di prevedere indennità di risultato solo nel caso di produzione di utili e in misura comunque non superiore al doppio del compenso onnicomprensivo di cui al primo periodo. Le disposizioni del presente comma si applicano anche alle società controllate, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, dalle società indicate nel primo periodo del presente comma”.

Tale limite, ritenuto concordemente operante dalla giurisprudenza consultiva delle varie Sezioni di controllo prima dell’entrata in vigore del D.lgs. 175/2016, non può, pertanto, essere di ausilio nell’individuazione di un parametro al quale riferire l’eventuale spesa per il compenso agli amministratori delle società partecipate che non abbiano sostenuto alcuna spesa nell’esercizio 2013.

Ciò considerato, è necessario evitare che, nell’intento di non ritenere vietata la stessa remunerabilità dell’incarico di amministratore in una società partecipata che non abbia sostenuto oneri a tale titolo nell’esercizio 2013, si giunga all’opposto risultato interpretativo di considerare del tutto libera la discrezionalità dell’Ente nel fissare detto compenso, confliggente con la ratio della disciplina di risulta sopra descritta, che prevede, quale diritto intertemporale, la temporanea vigenza della norma di contenimento della spesa in esame ai sensi dell’art. 4, comma 4, D.L. 95/2012 in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale che fissi i nuovi tetti.

Occorre individuare, quindi, un limite alla remunerazione agli amministratori di una società partecipata che, nel soddisfare la descritta tensione interpretativa, tenga conto dei dati normativi a disposizione.

Si ritiene, pertanto, che tale limite debba essere prioritariamente individuato applicando il tetto fatto esplicitamente salvo dal D.lgs. 175/2016, ovvero quello dell’80% del costo complessivamente sostenuto per il compenso degli amministratori di una società partecipata nel 2013 previsto dall’art. 4, comma 4, D.L. 95/2012, con il correttivo per cui, in assenza di emolumenti erogati nel 2013, si vada a considerare, a ritroso, l’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso a tale titolo con l’indeffettibile vincolo della “stretta necessarietà” enucleato dalla sopra citata deliberazione n. 1/2017/QMIG, resa in sede nomofilattica dalla Sezione delle Autonomie.

Nel recuperare un parametro di riferimento storicamente determinato e nell’agganciare ad esso il vincolo imposto all’ente locale, si ritiene possa essere salvaguardata l’esigenza espressa dal legislatore di bloccare il trend di crescita dell’onere di cui trattasi.

Tale computo, ad avviso della Sezione, deve essere contemperato, inoltre, con la massima quantificazione normativa attualmente disponibile di tale spesa imposta dall’art. 11, comma 7, TUSP (euro 240.000) che, de iure condendo, dovrà limitare l’esercizio del potere regolamentare ministeriale.

Quantificazione che è coerente con quanto disposto dall’art. 13, comma 2, lett. a) D.L. 66/2014 (il quale, nel modificare l’art. 1, comma 471 della L. 147/2013 che, a sua volta, rinvia all’art. 23-ter del D.L. 201/2011, ha statuito che il trattamento economico del Primo Presidente della Corte di cassazione rappresenta il parametro massimo da applicare “a chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche retribuzioni o emolumenti comunque denominati in ragione di rapporti di lavoro subordinato o autonomo intercorrenti” con le pubbliche amministrazioni) e che dovrà essere effettuata “tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni o da altre società a controllo pubblico” (art. 11, comma 7, TUSP).

La necessità di considerare operante anche tale tetto massimo (espresso in termini assoluti) nel recuperare un parametro storico al quale ancorare la riduzione dell’80% (espressa in termini relativi) nasce dalla constatazione che prima del 2013 si era già prodotta una copiosa e stratificata produzione normativa diretta al contenimento dei compensi agli amministratori delle società in mano pubblica (v. il citato art. 1, comma 725 della L. 296/2006 per i compensi ai singoli componenti, l’art. 6, comma 6 del D.L. 78/2010 a cui è seguito l’art. 4, comma 4, D.L. 95/2012 come modificato, in particolare, dall’art. 16 del D.L. 90/2014, per i compensi dell’organo di amministrazione). Si evita, in tal modo, di andare a considerare una spesa sostenuta in epoca anteriore alle riforme di contenimento della spesa che conduca, in ipotesi, a una quantificazione esorbitante dal menzionato tetto dei 240.000 euro.

Rimane sullo sfondo, seppure non di minore rilevanza, il criterio fondamentale di utilità e ragionevolezza che deve guidare ogni spesa pubblica dal quale non può esimersi la determinazione del compenso degli amministratori di una società in mano pubblica.

P.Q.M.

La Sezione regionale di controllo per il Veneto rende il parere nei termini dianzi precisati.

Copia del parere sarà trasmessa, a cura del Direttore della Segreteria, al Sindaco del Comune di CAMPOSAMPIERO (PD).

Così deliberato in Venezia, nella Camera di consiglio del 16 gennaio 2018.

           Il Magistrato relatore                                       Il Presidente

             F.to Elisabetta Usai                             F.to Diana Calaciura Traina

Depositata in Segreteria il 5 febbraio 2018

IL DIRETTORE DI SEGRETERIA

F.to Dott.ssa Raffaella Brandolese

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