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TAR Campania, Napoli, Sez. I, 14/2/2018 n. 1017
Sulla compatibilità dell'istituto dell'informativa interdittiva antimafia rispetto alle garanzie fondamentali della persona, del suo patrimonio e della sua attività imprenditoriale, sancite dalla CEDU e/o della Costituzione.

L'interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste. Pertanto, ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali - secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale - sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d'altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri.

L'informativa interdittiva antimafia è oggettivamente insuscettibile di comprimere la libertà fondamentale di circolazione né il diritto fondamentale di proprietà, parzialmente) incidendo, piuttosto, sulla libertà di iniziativa economica, la quale non trova, però, specifica tutela nella CEDU, mentre è contemplata dall'art. 41 Cost..
La formula 'elastica' adottata dal legislatore nel disciplinare l'informativa interdittiva antimafia su base indiziaria riviene dalla ragionevole ponderazione tra l'interesse privato al libero esercizio dell'attività imprenditoriale e l'interesse pubblico alla salvaguardia del sistema socio-economico dagli inquinamenti mafiosi, dove il primo, siccome non specificamente tutelato dalla CEDU né riconducibile alla sfera dei diritti costituzionali inviolabili, si rivela recessivo rispetto al secondo, siccome collegato alle preminenti esigenze di difesa dell'ordinamento contro l'azione antagonistica della criminalità organizzata. Inoltre, tale formula 'elastica' riflette l'obiettivo di apprestare all'autorità amministrativa statale competente strumenti di contrasto alle organizzazioni malavitose, tanto più efficaci, quanto più adattabili - in virtù di apprezzamenti discrezionali modulabili caso per caso - ai peculiari fenomeni proteiformi, occulti, impenetrabili e pervasivi di infiltrazione mafiosa nelle imprese operanti nel mercato, potenzialmente destinate a instaurare rapporti negoziali con la pubblica amministrazione. A dimostrazione della compatibilità dell'istituto dell'informativa interdittiva antimafia ex artt. 84, c. 4, lett. e, e 91, c. 6, d.lgs. n. 159 del 2011 rispetto alle garanzie fondamentali della persona, del suo patrimonio e della sua attività imprenditoriale, sancite dalla CEDU e/o della Costituzione - militano le seguenti considerazioni:
a) la valutazione prefettizia deve fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti che, alla stregua della logica del 'più probabile che non', consentano di ritenere razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa in base ad un complessivo, oggettivo, e sempre sindacabile in sede giurisdizionale, apprezzamento dei fatti nel loro valore sintomatico;
b) gli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numerus clausus, assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l'insidiosa pervasività e mutevolezza, innanzitutto sul piano sociale, del fenomeno della criminalità organizzata, ad un preciso inquadramento (Cons. St., sez. III, n. 1743 del 2016), ma devono pur sempre essere ricondotti ad una valutazione unitaria e complessiva, che imponga all'autorità e consenta al giudice di verificare la ragionevolezza o la logicità dell'apprezzamento discrezionale, costituente fulcro e fondamento dell'informativa, in ordine al serio rischio di condizionamento mafioso.
c) In questo senso, il criterio civilistico del 'più probabile che non' si pone quale regola, garanzia e, insieme, strumento di controllo, fondato anche su irrinunciabili dati di esperienza, della valutazione prefettizia e, in particolare, consente di verificare la correttezza dell'inferenza causale che da un insieme di fatti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo una logica che nulla ha a che fare con le esigenze del diritto punitivo e del sistema sanzionatorio, laddove vige la regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio per pervenire alla condanna penale.
d) Quest'ultima regola si palesa consentanea alla garanzia fondamentale della 'presunzione di non colpevolezza' di cui all'art. 27, comma 2, Cost., alla quale è ispirato anche l'art. 6 CEDU, cosicché è evidente che l'istituto dell'informativa antimafia non possa in alcun modo ricondursi all'alveo della garanzia anzidetta, in quanto non attiene ad ipotesi di affermazione di responsabilità penale, ma riguarda la prevenzione amministrativa antimafia.
e) L'equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco - la libertà di impresa, da un lato, e la salvaguardia della legalità sostanziale delle attività economiche dalle infiltrazioni mafiose, d'altro lato - richiede, piuttosto, all'autorità prefettizia un'attenta valutazione degli elementi indiziari acquisiti, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata, e impone, nel contempo, al giudice amministrativo un altrettanto approfondito esame di tali elementi, singolarmente e nella loro intima connessione, per assicurare una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro ogni eventuale eccesso di potere da parte dell'organo governativo nell'esercizio del suo ampio, ma non indeterminato, potere discrezionale.
I cennati valori costituzionali trovano, peraltro, nella previsione dell'aggiornamento, ai sensi dell'art. 91, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011, un punto di equilibrio fondamentale e uno snodo della disciplina di settore, sia in senso favorevole che sfavorevole all'impresa, nella misura in cui si impone all'autorità prefettizia di considerare i fatti nuovi, laddove sopravvenuti, o anche precedenti - se non noti - e si consente all'impresa stessa di rappresentarli all'autorità stessa, laddove da questa non conosciuti .
f) L'ordinamento ha voluto apprestare, per l'individuazione del tentativo di infiltrazione mafiosa nell'economia e nelle imprese, strumenti sempre più idonei e capaci di consentire valutazioni e accertamenti tanto variegati e adeguabili alle circostanze, quanto variabili e diversamente atteggiati sono i mezzi che le mafie usano per cercare di moltiplicare i loro illeciti profitti.
g) Nella ponderazione degli interessi in gioco - tra cui quello del soggetto 'indiziato' a godere delle proprie garanzie di libertà e di difesa - non può pensarsi che l'autorità statale contrasti con 'armi impari' la pervasiva diffusione delle organizzazioni mafiose, che hanno, nei sistemi globalizzati, vaste reti di collegamento e profitti criminali quale 'ragione sociale' per tendere al controllo di interi territori.

Materia: appalti / disciplina
Pubblicato il 14/02/2018

N. 01017/2018 REG.PROV.COLL.

N. 02140/2017 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2140 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luca Tozzi, Alfredo Maria Serra, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Napoli, via Toledo, 323; 

contro

Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, Prefettura di Napoli, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria in Napoli, via Diaz, 11; 

per l'annullamento

dell’informativa interdittiva antimafia, prot. n. 101099, del 22.5.2017, recante il contestuale diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori di beni, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno e della Prefettura di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2017 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Col ricorso in epigrafe e successivi motivi aggiunti, la -OMISSIS- (in appresso, -OMISSIS-) impugnava, chiedendone l’annullamento, previa sospensione: - l’informativa interdittiva antimafia, prot. n. 101099, del 22 maggio 2017, emessa a proprio carico, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011, dalla Prefettura di Napoli, recante, altresì, il contestuale rigetto ex art. 1, comma 52, della l. n. 190/2012 della propria domanda di iscrizione nell’elenco dei fornitori di beni, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso (c.d. ‘white list’), presentata il 26 giugno 2015; - tutti gli atti presupposti, consequenziali e connessi, tra cui, segnatamente: -- i verbali del Gruppo Ispettivo Antimafia (GIA) del 12 maggio 2016 e del 7 ottobre 2016; -- la nota della Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia tributaria di Napoli, prot. n. 227283 del 9 maggio 2017; -- la nota del Comando provinciale dei Carabinieri di Napoli, prot. n. 0500139/2-1 P, del 15 settembre 2015; -- la nota dei Carabinieri – Gruppo di Torre Annunziata, prot. n. 35/362/5/2015, del 23 dicembre 2015; -- le note della Questura di Napoli – Divisione Polizia Anticrimine, prot. n. 13070, del 5 novembre 2013, prot. n. 12838, del 6 maggio 2015, prot. n. 10684, del 29 febbraio 2016; -- la nota della Direzione Investigativa Antimafia, prot. n. 125/NA/H7 – 9750, dell’11 maggio 2017; -- la nota della Prefettura di Napoli, prot. n. 114094, del 7 giugno 2017.

2. Il gravato provvedimento ostativo e reiettivo era stato adottato, sulla scorta delle risultanze istruttorie ivi richiamate, in considerazione: “- della tipologia dei reati sintomatici ai fini antimafia (associazione di tipo mafioso, usura, estorsione) imputati ai congiunti della famiglia -OMISSIS-, unitamente ai legami con soggetti appartenenti a clan camorristici …; - dei numerosi controlli di polizia emersi nei confronti dei soci della stessa impresa, reiterati nel corso degli anni, con persone pregiudicate per delitti rilevanti ai fini antimafia”.

3. Nell’avversare tale provvedimento, la ricorrente articolava una confutazione analitica delle circostanze indizianti il tentativo di infiltrazione mafiosa, emerse a carico della propria compagine.

In dettaglio, lamentava che: - non sarebbero, di per sé, indicativi del pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata i meri rapporti di parentela del socio -OMISSIS- -OMISSIS- con i fratelli -OMISSIS- (destinatari, il primo, di condanne penali per ‘delitti spia’ ex art. 84, comma 4, lett. a, del d.lgs. n. 159/2011, nonché di misure di prevenzione personale e patrimoniale e, il secondo – riconosciuto esponente di un clan camorristico –, di condanne penali per delitti di associazione di tipo mafioso e per ‘delitti spia’ ex art. 84, comma 4, lett. a, del d.lgs. n. 159/2011, nonché di misure di prevenzione personale) né i contatti episodici e risalenti del socio -OMISSIS- -OMISSIS- con individui controindicati sotto il profilo antimafia; - inconferente sarebbe la menzione di -OMISSIS- -OMISSIS- (estraneo alla compagine della -OMISSIS-) quale soggetto cedente quote della-OMISSIS-; - vieppiù inconferenti sarebbero le segnalate cointeressenze della -OMISSIS- in altre società; - i soci della -OMISSIS- sarebbero incensurati ed avrebbero tenuto, nella propria vita civile e imprenditoriale, condotte virtuose, antagonistiche con quelle proprie degli ambienti malavitosi; - l’impresa interdetta avrebbe finora partecipato senza ostacoli a svariate procedure ad evidenza pubblica ed avrebbe mantenuto inalterato il proprio assetto proprietario e gestionale senza doversi avvalere di prestanome; - il Gruppo Ispettivo Antimafia (GIA), nell’assumere le determinazioni di cui ai verbali del 12 maggio 2016 e del 7 ottobre 2016, non avrebbe tenuto conto, nell’ambito degli atti istruttori acquisiti, che la nota della Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia tributaria di Napoli, prot. n. 227283 del 9 maggio 2017, la nota del Comando provinciale dei Carabinieri di Napoli, prot. n. 0500139/2-1 P, del 15 settembre 2015 e la nota dei Carabinieri – Gruppo di Torre Annunziata, prot. n. 35/362/5/2015, del 23 dicembre 2015 non riporterebbero elementi a carico dei soggetti verificati, mentre le note della Questura di Napoli – Divisione Polizia Anticrimine, prot. n. 13070, del 5 novembre 2013, prot. n. 12838 e prot. n. 10684, del 29 febbraio 2016 non recherebbero alcun parere favorevole all’emissione di misure interdittive.

Denunciava, altresì, quanto al procedimento conclusosi col diniego di iscrizione nella white list: - l’inosservanza del termine di 90 giorni ex art. 3, comma 3, del d.p.c.m. 18 aprile 2013; - l’omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del 26 giugno 2015.

Infine, con memoria depositata il 3 novembre 2017, sollevava la questione di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 159/2011 (in applicazione del quale era stata emessa l’impugnata informativa interdittiva antimafia, prot. n. 101099, del 22 maggio 2017) per contrasto con l’art. 117 Cost. in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

A tale ultimo riguardo, sosteneva, in particolare, la ricorrente che, all’indomani dell’arresto sancito con la sentenza CEDU del 23 febbraio 2017, -OMISSIS-, in materia di misure di prevenzione personali applicate nelle ipotesi di c.d. pericolosità generica, i presupposti normativi per l’emissione dell’informativa interdittiva antimafia ex artt. 84, comma 4, lett. e, e 91, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011 (quale, appunto, quella in questa sede impugnata) lederebbero, per la loro indeterminatezza, i diritti fondamentali della persona garantiti dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU.

4. Costituitosi l’intimato Ministero dell’interno, eccepiva l’infondatezza del gravame esperito ex adverso, del quale richiedeva, quindi, il rigetto.

5. All’udienza pubblica del 22 novembre 2017, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Nel merito, il ricorso si rivela infondato per le ragioni illustrate in appresso.

2. In primis, giova riepilogare il complessivo quadro indiziario emerso a carico della -OMISSIS-, società a responsabilità limitata esercente attività di recupero e commercializzazione di indumenti, con capitale ripartito tra -OMISSIS- -OMISSIS-, nato a Napoli il -OMISSIS- (30%), -OMISSIS- -OMISSIS-, nata a Napoli il -OMISSIS- (30%), -OMISSIS- -OMISSIS-, nato a Napoli il -OMISSIS- (30%), -OMISSIS- -OMISSIS-, nato Napoli il -OMISSIS- (10%), e con amministratore unico nella persona del menzionato -OMISSIS- -OMISSIS-.

In particolare, a tenore dell’informativa interdittiva antimafia, prot. n. 101099, del 22 maggio 2017:

“- il socio -OMISSIS- -OMISSIS- (cl. ’47), padre dell'amministratore unico, -OMISSIS- -OMISSIS-, in data 11.11.2003, veniva proposto dal Questore di Napoli per l'applicazione della sorveglianza speciale di p.s., con contestuale proposta di sequestro di beni. Le citate proposte di misure di prevenzione personale e patrimoniale sono state, entrambe, respinte dal Tribunale di Napoli, con decreto n. -OMISSIS-, in data 31.5.2005;

- il suddetto -OMISSIS- -OMISSIS- è fratello di -OMISSIS- -OMISSIS-, nato ad Ercolano il -OMISSIS-, gravato da precedenti penali per tentato omicidio volontario, usura ed estorsione. Il predetto -OMISSIS-, nel 2003, è stato destinatario della proposta di applicazione della sorveglianza speciale di p.s., con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e relativo sequestro di beni, rigettata dal Tribunale di Napoli con decreto n. -OMISSIS-, in data 6.10.2004;

- i suddetti -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS- hanno un terzo fratello, -OMISSIS- -OMISSIS-, nato ad Ercolano il -OMISSIS-, ritenuto elemento di spicco del clan -OMISSIS-, già cognato del defunto capoclan, -OMISSIS-, in quanto avevano sposato due sorelle (-OMISSIS- e -OMISSIS-). Il citato -OMISSIS- -OMISSIS- figura coinvolto in numerosi precedenti penali per reati quali la fabbricazione e la detenzione di materie esplodenti, l'associazione di stampo mafioso, l'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, la corruzione. Lo stesso è stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno;

- -OMISSIS- -OMISSIS- (cl. ’92), figlio di -OMISSIS- -OMISSIS- (cl.. ’50), fratello di -OMISSIS- -OMISSIS- (cl. ’61), -OMISSIS- -OMISSIS- (cl. ’47) e -OMISSIS- -OMISSIS- (cl. ’64), è stato socio (50% di quote) della soc. -OMISSIS-. In data 6.10.2016 ha venduto le proprie quote a -OMISSIS- -OMISSIS-;

- il socio -OMISSIS- -OMISSIS- (cl. ’82), in data 17.3.2007, è stato controllato a bordo di un'auto, unitamente ad -OMISSIS-nato a Napoli il -OMISSIS-, quest'ultimo coinvolto nei seguenti episodi: a) arrestato in esito ad un'o.c.c, emessa, in data 26.11.2012, dal GIP del Tribunale di Napoli in quanto responsabile di associazione a delinquere di stampo mafioso; b) arrestato in esito ad un'o.c.c. emessa, in data 13.7.2014, dal GIP del Tribunale di Napoli, in quanto imputato per i reati di omicidio doloso, della violazione della normativa in materia di armi, della ricettazione con l'aggravante di cui all’art. 7 l. 203/1991, unitamente ad otto soggetti ritenuti appartenenti al clan camorristico -OMISSIS-;

- il suddetto -OMISSIS- -OMISSIS-, in data 25.9.2003, è stato controllato unitamente a -OMISSIS- -OMISSIS- di -OMISSIS- e -OMISSIS-, nato a Cercola il -OMISSIS-, destinatario di o.c.c. emessa, in data 26.11.2012, dal GIP del Tribunale di Napoli in quanto responsabile di rapina, con l'aggravante di cui all’art. 7 l. 203/1991. Detta misura cautelare è stata adottata anche nei confronti del citato -OMISSIS-(cl. ’86);

- il citato -OMISSIS- -OMISSIS-, in data 6.3.2004, è stato controllato anche insieme a -OMISSIS- -OMISSIS-, di -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-, nato a Torre del Greco il -OMISSIS-, gravato da numerosi precedenti in quanto indagato per i delitti di associazione di tipo mafioso, estorsione, omicidio, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, reati in materia di armi, istigazione alla corruzione ed altro;

- il citato -OMISSIS- -OMISSIS-, allo stato, detenuto, è stato arrestato, in esecuzione dell'o.c.c. n. 279/16, emessa, in data 23.6.2016, dal Tribunale di Napoli (p.p. -OMISSIS- n.g.n.r.), anche nei confronti di -OMISSIS- -OMISSIS-, nato a Torre del Greco il -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, nato a Torre del Greco il -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, nato a Cercola il -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, nato a Cercola il -OMISSIS-, figli di -OMISSIS- -OMISSIS-, nipote di -OMISSIS- -OMISSIS-, socio della citata -OMISSIS-, nonché a carico di -OMISSIS-, moglie del defunto capoclan, -OMISSIS-. Nell’ambito del citato procedimento penale n. -OMISSIS- n.g.n.r. figura coinvolto, anche, -OMISSIS- -OMISSIS-, nato a Cercola il -OMISSIS-, figlio di -OMISSIS- -OMISSIS-, fratello di -OMISSIS- -OMISSIS-, socio di -OMISSIS-”.

Gli elementi indizianti emersi a carico della -OMISSIS- si sostanziano, dunque: - negli stretti rapporti di parentela dell’amministratore unico e dei soci (-OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-) con soggetti gravati da condanne penali per delitti di associazione di tipo mafioso e per ‘delitti spia’ ex art. 84, comma 4, lett. a, del d.lgs. n. 159/2011 (estorsione, usura), nonché da misure di prevenzione personale e patrimoniale (-OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-, quest’ultimo riconosciuto esponente del clan camorristico -OMISSIS-); - nei contatti plurimi del socio -OMISSIS- -OMISSIS- con soggetti sottoposti a misure cautelari personali e/o imputati per delitti di associazione di tipo mafioso ovvero aggravati dall’agevolazione mafiosa e per ‘delitti spia’ ex art. 84, comma 4, lett. a, del d.lgs. n. 159/2011 (estorsione), oltre che risultati orbitare intorno al menzionato clan camorristico -OMISSIS- (-OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, nato a Cercola il -OMISSIS-, e -OMISSIS- -OMISSIS-); - nella proposta di applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali nei confronti del socio -OMISSIS- -OMISSIS-, la quale, seppure respinta dalla competente autorità giurisdizionale, costituiva, di per sé, presupposto per l’emissione di informativa interdittiva antimafia ai sensi dell’art. 84, comma 4, lett. b, del d.lgs. n. 159/2011; - nel rapporto di parentela dell’amministratore unico e dei soci (-OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-) con -OMISSIS- -OMISSIS- (nato a Napoli il -OMISSIS-), a sua volto socio della-OMISSIS-, attinta da un’indagine riguardante “un’organizzazione criminale di stampo camorristico inserita nell’ambito della commercializzazione di indumenti usati provenienti dalla raccolta urbana” (cfr. nota della Questura di Napoli – Divisione Polizia Anticrimine, prot. n. 23°/2015/mdr, del 4 maggio 2015), ossia nello stesso campo di attività propria della -OMISSIS-.

3. Le circostanze illustrate retro, sub n. 2, convergono in termini gravi, precisi e concordanti, nel formare un quadro indiziario più che sufficiente – in base alla regola causale del ‘più probabile che non’ (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4657/2015; n. 1328/2016; n. 1743/2016; n. 4295/2017) – a ingenerare un ragionevole convincimento sulla sussistenza di un condizionamento mafioso in capo all’impresa ricorrente.

Al riguardo, è appena il caso di rammentare che l’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste. Pertanto, ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 2342/2011; n. 5019/2011; n. 5130/2011; n. 254/2012; n. 1240/2012; n. 2678/2012; n. 2806/2012; n. 4208/2012; n. 1329/2013; sez. VI, n. 4119/2013; sez. III, n. 4414/2013; n. 4527/2015; n. 5437/2015; n. 1328/2016; n. 3333/2017; TAR Lazio, Roma, sez. II, n. 1951/2011; TAR Campania, Napoli, sez. I, n. 3242/2011; n. 3622/2011; n. 2628/2012; n. 2882/2012; n. 4127/2012; n. 4674/2013; n. 858/2014; n. 4861/2016; TAR Calabria, Reggio Calabria, n. 401/2012; TAR Lombardia, Milano, sez. III, n. 1875/2012; TAR Basilicata, Potenza, n. 210/2013; TAR Piemonte, Torino, sez. I, n. 1923/2014).

A fronte di una simile ricognizione globale ed organica su base inferenziale, intesa a rilevare anche il mero tentativo di infiltrazione mafiosa all’interno della singola impresa commerciale – quale, appunto, la ricognizione nella specie compiuta dall’autorità prefettizia sulla scorta delle risultanze delle verifiche istruttorie condotte dalle forze di polizia e delle conclusioni raggiunte dal gruppo GIA, richiamate nel provvedimento impugnato –, si infrangono, dunque, le censure formulate dalla -OMISSIS- in maniera frammentaria e parcellizzata.

4. Venendo, comunque, al dettaglio delle singole contestazioni di parte ricorrente, non può essere accreditato l’assunto di irrilevanza dei meri rapporti di parentela dei soci e dell’amministratore unico con soggetti controindicati sotto il profilo antimafia.

Ed invero, sia il fatto che l’intera compagine partecipativa e il vertice gestionale della società interdetta, riconducibili alla famiglia -OMISSIS-, siano legati da stretti e duplici vincoli di parentela con soggetti gravati da condanne penali per delitti di associazione di tipo mafioso e per ‘delitti spia’ ex art. 84, comma 4, lett. a, del d.lgs. n. 159/2011 (estorsione, usura), nonché da misure di prevenzione personale e patrimoniale (-OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-), sia il fatto che uno di questi soggetti (-OMISSIS- -OMISSIS-) sia riconosciuto esponente del clan camorristico -OMISSIS- – clan influente proprio nel territorio (Ercolano) di residenza dell’amministratore unico e dei soci della -OMISSIS- e annoverante nella propria orbita la figura di -OMISSIS- -OMISSIS-, controllato in compagnia del socio -OMISSIS- -OMISSIS- – conferiscono ai vincoli anzidetti una intensità qualificata in termini di intreccio di interessi economici e familiari (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. I, n. 366/2013; n. 2081/2013; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, n. 996/2013; n. 308/2014).

In questo senso, Cons. Stato, sez. III, n. 3566/2016 ha statuito che: l’autorità prefettizia ben può dare rilievo anche ad un rapporto di parentela, laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere che l'impresa abbia una conduzione collettiva e una regia familiare ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto, atteso che, nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all'interno della famiglia si può verificare una influenza reciproca di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o, quanto meno, di soggezione o di tolleranza.

Analogamente, Cons. Stato, sez. III, n. 5509/2016 ha statuito che: l’autorità prefettizia, nell'esercizio del proprio potere discrezionale, può e deve basarsi su fatti ed episodi, ivi inclusi i rapporti parentali o di affinità ove incidenti sulla conduzione dell'azienda, i quali, seppure non assurgano al rango di prove o indizi di valenza processuale, ove considerati separatamente, configurino nel loro insieme, ossia ove inseriti nel contesto economico-sociale di riferimento, un quadro indiziario univoco e concordante, avente, indipendentemente dalle eventuali vicende giudiziarie penali, valore sintomatico del concreto ed attuale pericolo di infiltrazioni mafiose nella gestione dell'impresa esaminata.

5. I rapporti di parentela non costituiscono, peraltro, gli unici elementi inferenziali assunti a fondamento dell’impugnato provvedimento ostativo e reiettivo.

Ad essi si coniuga, infatti, da un lato, la proposta di applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali nei confronti del socio -OMISSIS- -OMISSIS- – la quale, seppure respinta dalla competente autorità giurisdizionale, costituiva, di per sé, presupposto per l’emissione di informativa interdittiva antimafia ai sensi dell’art. 84, comma 4, lett. b, del d.lgs. n. 159/2011 – e, d’altro lato, una serie di incontestati ‘contatti’ (nel periodo 2003-2007) del socio -OMISSIS- -OMISSIS- con svariati individui controindicati sotto il profilo antimafia (-OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, nato a Cercola il -OMISSIS-, e -OMISSIS- -OMISSIS-), siccome sottoposti a misure cautelari personali e/o imputati in relazione a reati di associazione di tipo mafioso o aggravati dall’agevolazione di organizzazioni di tipo mafioso ovvero in relazione a ‘delitti spia’ ex art. 84, comma 4, lett. a, del d.lgs. n. 159/2011, quale l’estorsione.

A dispetto della tesi propugnata dalla ricorrente, detti contatti, ove riguardati nella loro pluralità e globalità, nonché raccordati agli illustrati rapporti parentali con soggetti coinvolti in vicende penali a sfondo camorristico, denotano la sussistenza di rapporti con figure intranee o contigue alla criminalità organizzata di tipo mafioso e – in base alla regola causale del ‘più probabile che non’ – sono, quindi, oggettivamente rivelatori del pericolo concreto di condizionamento da parte della medesima criminalità organizzata nei confronti della -OMISSIS-, così da formare un quadro indiziario in grado di resistere alle parcellizzate censure della ricorrente.

Ed invero, “se è di per sé è irrilevante un episodio isolato ovvero giustificabile, sono, invece, altamente significativi i ripetuti ‘contatti’ o le ‘frequentazioni’ di soggetti coinvolti in sodalizi criminali, di coloro che risultino avere precedenti penali o che comunque siano stati presi in considerazione da misure di prevenzione. Tali contatti o frequentazioni (anche per le modalità, i luoghi e gli orari in cui avvengono) possono far presumere, secondo la logica del ‘più probabile che non’, che l'imprenditore – direttamente o anche tramite un proprio intermediario – scelga consapevolmente di porsi in dialogo e in contatto con ambienti mafiosi. Quand'anche ciò non risulti punibile (salva l'adozione delle misure di prevenzione), la consapevolezza dell'imprenditore di frequentare soggetti mafiosi e di porsi su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità (che lo Stato deve invece demarcare e difendere ad ogni costo) deve comportare la reazione dello Stato proprio con l'esclusione dell'imprenditore medesimo dal conseguimento di appalti pubblici e comunque degli altri provvedimenti abilitativi individuati dalla legge. In altri termini, l'imprenditore che – mediante incontri, telefonate o altri mezzi di comunicazione, contatti diretti o indiretti – abbia tali rapporti (e che si espone al rischio di esserne influenzato per quanto riguarda le proprie attività patrimoniali e scelte imprenditoriali) deve essere consapevole della inevitabile perdita di 'fiducia', nel senso sopra precisato, che ne consegue (perdita che il provvedimento prefettizio attesta, mediante l'informativa)” (Cons. Stato, sez. III, n. 1743/2016).

A definitivo ripudio della censura di parte ricorrente, deve, altresì, osservarsi che la relativa risalenza dei contatti contestati al socio -OMISSIS- -OMISSIS- non vale a menomare la perdurante portata indiziante di questi ultimi. E ciò, in quanto il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi quanto il loro consolidamento, così da far virare in modo irreversibile l'impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d'ombra della mafiosità (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4323/2015).

6. Neppure colgono nel segno degli assunti della -OMISSIS- circa il carattere inconferente sia della menzione di -OMISSIS- -OMISSIS- (nato a Napoli il -OMISSIS-, persona diversa dall’amministratore unico e socio -OMISSIS- -OMISSIS-, nato a Napoli il -OMISSIS-) quale soggetto cedente quote della-OMISSIS-, sia delle segnalate cointeressenze nella -OMISSIS- e nella -OMISSIS-

Dalla lettura dell’impugnata informativa interdittiva antimafia, prot. n. 101099, del 22 maggio 2017 è, infatti, agevole avvedersi che la determinazione ostativa e reiettiva con essa disposta si regge su una base motivazionale chiaramente circoscritta alla considerazione: “- della tipologia dei reati sintomatici ai fini antimafia (associazione di tipo mafioso, usura, estorsione) imputati ai congiunti della famiglia -OMISSIS-, unitamente ai legami con soggetti appartenenti a clan camorristici …; - dei numerosi controlli di polizia emersi nei confronti dei soci della stessa impresa, reiterati nel corso degli anni, con persone pregiudicate per delitti rilevanti ai fini antimafia” (cfr. retro, in narrativa, sub n. 2) e che i riferimenti alle cennate vicende concernenti società terze esulano dall’economia di tale base motivazionale, rivestendo carattere meramente descrittivo e incidentale.

Quanto alla menzione di -OMISSIS- -OMISSIS- quale soggetto cedente quote della-OMISSIS- è appena il caso di soggiungere che – come illustrato retro, sub n. 2 – essa è effettuata al fine di evidenziare il rapporto di parentela dell’amministratore unico e dei soci (-OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-) col predetto -OMISSIS- -OMISSIS- (nato a Napoli il -OMISSIS-), a sua volto socio della citata-OMISSIS-, attinta da un’indagine riguardante “un’organizzazione criminale di stampo camorristico inserita nell’ambito della commercializzazione di indumenti usati provenienti dalla raccolta urbana”, ossia nello stesso campo di attività proprio della -OMISSIS-.

7. Ancora, provano troppo gli argomenti difensivi secondo cui: - i soci della -OMISSIS- sarebbero incensurati ed avrebbero tenuto, nella propria vita civile e imprenditoriale, condotte virtuose, antagonistiche con quelle proprie degli ambienti malavitosi; - l’impresa interdetta avrebbe finora partecipato senza ostacoli a svariate procedure ad evidenza pubblica ed avrebbe mantenuto inalterato il proprio assetto proprietario e gestionale, senza doversi avvalere di prestanome.

Tali argomenti si infrangono contro le seguenti obiezioni.

7.1. Osserva, innanzitutto, il Collegio che gli elementi ‘favorevoli’ dedotti dalla ricorrente non valgono ad elidere le circostanze indizianti rilevate dall’autorità prefettizia, le quali – come acclarato retro, sub n. 3-6 – sono, comunque, autonomamente sufficienti a sorreggere l’impugnato provvedimento ostativo e reiettivo.

7.2. Giova, inoltre, rammentare che, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, gli elementi posti a base della misura ostativa antimafia possono non essere penalmente rilevanti ovvero possono non costituire oggetto di accertamenti in sede penale definitivi e incontrovertibili ovvero, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione; e cioè, a prescindere dalla relativa rilevanza penale, ben possono consistere in mere circostanze sintomatico-presuntive del pericolo di ingerenza della malavita organizzata nell'attività imprenditoriale (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 3208/2014; n. 1743/2016; n. 4286/2017; TAR Sicilia, Catania, sez. IV, n. 2866/2016; TAR Emilia Romagna, Parma, n. 7/2017).

Ai fini dell’emissione del provvedimento interdittivo, e, cioè, sufficiente un compiuto quadro fattuale ed indiziario di un tentativo di infiltrazione avente lo scopo di condizionare le scelte dell'impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato; siffatta scelta è coerente con le caratteristiche fattuali e sociologiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concreta in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia dell'intimidazione, dell'influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 115/2015; n. 5437/2915).

7.3. Occorre, ancora, rimarcare che la formale correttezza dell’attività imprenditoriale esercitata dalla -OMISSIS- è, di per sé, insuscettibile di sottrarre quest’ultima al pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata, la quale è adusa investire i proventi delle proprie pratiche illecite in imprese operanti secondo criteri di regolarità esteriore, onde superare i controlli svolti dagli organi all’uopo deputati e così salvaguardare le proprie ricchezze.

7.4. E’, infine, appena il caso di precisare che irrilevante è la denuncia esibita in giudizio dalla ricorrente allo scopo di comprovare l’atteggiamento collaborativo assunto dai propri esponenti aziendali nei confronti delle autorità di polizia rispetto alle pratiche illecite della malavita organizzata.

Ed invero, il fatto denunciato dall’amministratore unico della -OMISSIS- corrisponde ad una ipotesi di furto con violenza sulle cose, la quale, per sua natura, oltre che per identità degli agenti indicati (“tre cittadini di etnia rom”), non appare riconducibile al novero delle attività criminose delle organizzazioni di tipo camorristico.

8. Prova, del pari, troppo l’ulteriore argomento difensivo secondo cui il GIA, nell’assumere le determinazioni di cui ai verbali del 12 maggio 2016 e del 7 ottobre 2016, non avrebbe tenuto conto, nell’ambito degli atti istruttori acquisiti, che la nota della Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia tributaria di Napoli, prot. n. 227283 del 9 maggio 2017, la nota del Comando provinciale dei Carabinieri di Napoli, prot. n. 0500139/2-1 P, del 15 settembre 2015 e la nota dei Carabinieri – Gruppo di Torre Annunziata, prot. n. 35/362/5/2015, del 23 dicembre 2015 non riporterebbero elementi a carico dei soggetti verificati, mentre le note della Questura di Napoli – Divisione Polizia Anticrimine, prot. n. 13070, del 5 novembre 2013 e prot. n. 10684, del 29 febbraio 2016 non recherebbero alcun parere favorevole all’emissione di misure interdittive.

8.1. Al riguardo, giova, in primis, chiarire che – a differenza di quanto postulato dalla ricorrente – i suindicati atti istruttori delle forze di polizia sono espressione di una funzione non già consultiva, bensì meramente informativa nell’ambito del procedimento ex artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011, consistendo nella comunicazione di ragguagli e/o aggiornamenti circa la situazione antimafia della compagine esaminata.

Conseguentemente, essi erano, di per sé, insuscettibili di condizionare – in senso favorevole o sfavorevole – la valutazione discrezionale del GIA – avente, essa sì, natura consultiva – in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento interdittivo.

8.2. Ciò posto, del tutto legittimamente il GIA e – sulla scorta del suo avviso – l’autorità prefettizia hanno ponderato le risultanze istruttorie degli atti trasmessi dalle forze di polizia interpellate, reputando preminenti le controindicazioni rivenienti dalle note della Questura di Napoli – Divisione Polizia Anticrimine, prot. n. 13070, del 5 novembre 2013, prot. n. 12838, del 6 maggio 2015, prot. n. 10684, del 29 febbraio 2016.

9. Passando ora a scrutinare i vizi procedimentali denunciati con specifico riguardo al diniego di iscrizione nella white list, nessuna portata infirmante è ricollegabile alla dedotta violazione del termine di 90 giorni ex art. 3, comma 3, del d.p.c.m. 18 aprile 2013.

Costituisce, infatti, ius receptum la proposizione secondo cui, in assenza di una norma espressa che qualifichi come perentorio il termine di conclusione del procedimento, la violazione di quest’ultimo non comporta la consumazione del potere in capo all'autorità procedente e la conseguente illegittimità del provvedimento tardivamente adottato, ma semplicemente consente all'interessato di attivare i rimedi previsti dall'ordinamento avverso l'inerzia amministrativa.

10. Quanto alla censura di omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del 26 giugno 2015, nessun dubbio che nel procedimento di iscrizione nella white list la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza sia espressamente prevista dall'art. 3, comma 3, del d.p.c.m. 18 aprile 2013.

La disposizione richiamata stabilisce, in particolare, che: "Nel caso in cui sia accertata la mancanza delle condizioni previste dall'art. 2, comma 2, la Prefettura competente, nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, adotta il provvedimento di diniego dell'iscrizione, dandone comunicazione all'interessato".

Tuttavia, ai sensi dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 159/2011, l'iscrizione nella white list risulta soggetta alla duplice e vincolante condizione: - dell'assenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'art. 67 del d.lgs. n. 159/2011; - dell'assenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell'impresa, di cui al successivo art. 84, comma 3.

Ne consegue che, in presenza di informativa interdittiva antimafia emessa ai sensi del citato art. 84 comma 3, il diniego di iscrizione negli elenchi è imposto dalla legge senza residui margini di discrezionalità in favore dell'amministrazione.

La circostanza ha una evidente ricaduta nel contesto di procedimenti – come, appunto, quello controverso – nei quali l'adozione del provvedimento ostativo antimafia preceda, sul piano logico e motivazionale, il diniego di iscrizione nella white list: appare chiaro, infatti, che in simili ipotesi trova giustificata applicazione l'art. 21 octies della l. n. 241/1990, secondo cui il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento, qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (sull'applicabilità della disposizione anche in caso di omessa comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda cfr., ex multis, sez. IV, n. 4828/2007; sez. III, n. 7/2009; sez. V, n. 4031/2009; sez. III, n. 4532/2015; TAR Lazio, Roma, sez. II ter, n. 5503/2007; sez. II bis, n. 3917/2007; TAR Molise, Campobasso, n. 113/2008; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. I, n. 1245/2008; TAR Campania, Napoli, sez. IV, n. 1611/2009).

Il caso in esame risponde esattamente allo schema consequenziale sopra delineato, in quanto la Prefettura di Napoli ha dapprima vagliato la sussistenza dei presupposti per l'adozione dell'informativa e, solo all'esito, in via succedanea e strettamente conseguente alla sua adozione, sia pure nell'ambito di un unico contesto attizio, ha respinto l’istanza di inserimento nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa.

Alla luce delle superiori considerazioni, nonché tenuto dei profili di urgenza caratterizzante il diniego di iscrizione nella white list, siccome consequenziale all’informativa interdittiva antimafia, la dedotta violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990 non può, dunque, trovare accoglimento (cfr., in tal senso, TAR Lombardia, Milano, sez. III, n. 3037/2014; TAR Piemonte, Torino, sez. I, n. 652/2016; TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, n. 103/2017; TAR Valle d’Aosta, Aosta, n. 13/2017).

11. Manifestamente infondata è, infine, la questione di legittimità costituzionale per contrasto dell’art. 84, comma 4, lett. e, del d.lgs. n. 159/2011 con l’art. 117 Cost. in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale 1 alla CEDU, sollevata dalla ricorrente sulla scorta di recenti teorizzazioni dottrinali in materia (cfr. G. Amarelli, L’onda lunga della sentenza De Tommaso: ore contate per l’interdittiva antimafia ‘generica’ ex art. 84, co. 4, lett. d ed e, d.lgs. n. 159/2011?, in Diritto Penale Contemporaneo, www.penalecontemporaneo.it, 18.10.2017, saggio in larga parte testualmente riprodotto nella memoria difensiva depositata il 3 novembre 2017).

In particolare, stando alla prospettazione della -OMISSIS-:

- la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sentenza del 23 febbraio 2017, -OMISSIS- (in appresso, sentenza De Tommaso), ha reputato confliggente con l’art. 2 del Protocollo IV alla CEDU (“1. Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di fissarvi liberamente la sua residenza. 2. Ognuno è libero di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio. 3. L’esercizio di tali diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono previste dalla legge e che costituiscono, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e libertà altrui. 4. I diritti riconosciuti al paragrafo 1 possono anche, in alcune zone determinate, essere oggetto di restrizioni previste dalla legge e giustificate dall’interesse pubblico in una società democratica”), e, quindi, con la libertà fondamentale di circolazione, la comminatoria di misure di prevenzione personali (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ed obbligo di soggiorno nel Comune di residenza) nelle ipotesi di c.d. pericolosità generica (afferente ai soggetti che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi o che, per la condotta ed il tenore di vita, vivono presumibilmente con i proventi di attività delittuose o che, per il loro comportamento, sono presumibilmente dediti alla commissione di reati lesivi dell’integrità fisica o morale dei minorenni, della sanità, della sicurezza e della tranquillità pubblica): ciò, in quanto tali ipotesi sono caratterizzate da eccessiva indeterminatezza, così da rendere imprevedibile, da parte dell’interessato, l’applicazione delle misure anzidette;

- del pari, sarebbe da reputarsi confliggente con l’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU (“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”), e, quindi, col diritto fondamentale di proprietà, l’operatività della c.d. informativa interdittiva antimafia generica di cui agli artt. 84, comma 4, lett. e, e 91, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011: ciò, in quanto i presupposti inferenziali per l’emissione della misura ostativa sarebbero caratterizzati da eccessiva indeterminatezza, così da rendere imprevedibile, da parte dell’impresa interessata, l’adozione della misura anzidetta.

11.1. Ebbene, il suindicato parallelismo non risulta enucleato negli indispensabili termini di correttezza e rigorosità logico-sistematica, tali da giustificare l’esportazione delle argomentazioni dispiegate dalla Corte di Strasburgo con riguardo alle misure di prevenzione personali applicabili in caso di pericolosità generica al settore delle informative interdittive antimafia emesse sulla base di circostanze indiziarie.

Affinché detto parallelismo possa reggersi sul piano logico-sistematico, è, infatti, necessario che vi sia un rapporto di simmetrica corrispondenza (non ravvisabile in concreto) tra le situazioni messe a confronto, ossia tra la fattispecie dedotta nel presente giudizio e quella scrutinata nella sentenza De Tommaso, nonché richiamata dalla ricorrente a guisa di termine di paragone.

11.2. Per avvedersi della incongruenza dell’analogia configurata dalla -OMISSIS-, giova previamente richiamare i seguenti passaggi della citata sentenza De Tommaso (avente per oggetto il caso di misure di prevenzione personali applicate a persona ritenuta attivamente proclive al reato e sostentantesi mediante attività criminose), rilevanti rispetto alla questione in esame.

“La Corte – recita la pronuncia in parola – osserva che, nonostante il fatto che la Corte costituzionale sia intervenuta in diverse occasioni per chiarire i criteri da utilizzare per valutare se le misure di prevenzione fossero necessarie, l'applicazione di tali misure resta legata a un'analisi prospettica da parte dei tribunali nazionali, dato che né la legge né la Corte costituzionale hanno individuato chiaramente le ‘prove fattuali’ o le specifiche tipologie di comportamento di cui si deve tener conto al fine di valutare il pericolo che la persona rappresenta per la società e che può dar luogo a misure di prevenzione. La Corte ritiene pertanto che la legge in questione non contenesse disposizioni sufficientemente dettagliate sui tipi di comportamento che dovevano essere considerati costituire un pericolo per la società.

La Corte rileva che, nella fattispecie, il tribunale competente ad applicare al ricorrente la misura di prevenzione ha basato la sua decisione sull'esistenza di tendenze criminali “attive” da parte sua, pur senza attribuirgli alcuno specifico comportamento o attività criminale. Inoltre, il tribunale ha citato come motivo della misura di prevenzione il fatto che il ricorrente non aveva ‘un’occupazione fissa e lecita’ e che la sua vita era caratterizzata dalla regolare associazione con elementi di spicco della malavita locale e dalla commissione di reati … In altre parole, la Corte ha basato il suo ragionamento sull'assunto dell’esistenza di ‘tendenze criminali’, criterio che la Corte costituzionale aveva già considerato insufficiente – nella sua sentenza n. 177 del 1980 – per definire una categoria di soggetti cui potevano essere applicate le misure di prevenzione … La Corte ritiene pertanto che la legislazione vigente al momento pertinente (articolo 1 della legge del 1956) non indicasse con sufficiente chiarezza la portata o la modalità di esercizio della ampissima discrezionalità conferita ai tribunali interni, e non fosse pertanto formulata con sufficiente precisione in modo da fornire una protezione contro le ingerenze arbitrarie e consentire al ricorrente di regolare la propria condotta e prevedere con un sufficiente grado di certezza l'applicazione di misure di prevenzione.

In ordine alle misure previste agli articoli 3 e 5 della legge n. 1423/1956 che sono state applicate al ricorrente, la Corte osserva che alcune di esse erano formulate in termini molto generici e il loro contenuto è estremamente vago e indeterminato; ciò vale in particolare per le disposizioni relative agli obblighi di ‘vivere onestamente e rispettare la legge’ e di ‘non dare ragione alcuna ai sospetti’. A questo proposito, la Corte rileva che la Corte costituzionale è pervenuta alla conclusione che gli obblighi di ‘vivere onestamente’ e di ‘non dare ragione alcuna ai sospetti’ non violassero il principio di legalità …

La Corte osserva che l'interpretazione effettuata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 282 del 2010 era successiva ai fatti del caso di specie e che era quindi impossibile per il ricorrente accertare, sulla base della posizione della Corte costituzionale in tale sentenza, il preciso contenuto di alcuni degli obblighi cui era stato sottoposto nel corso della sorveglianza speciale. Tali obblighi, infatti, possono dar luogo a più diverse interpretazioni, come ha ammesso la stessa Corte costituzionale. La Corte rileva, inoltre, che essi sono formulati in termini generali.

Inoltre, l'interpretazione da parte della Corte costituzionale nel 2010 non ha risolto il problema dell’imprevedibilità delle misure di prevenzione applicabili in quanto ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge in questione, il tribunale poteva applicare anche imporre qualsiasi misura ritenesse necessaria – senza specificarne il contenuto – in considerazione delle esigenze di tutelare la società.

Infine, la Corte non ritiene che gli obblighi di ‘vivere onestamente e rispettare le leggi’ e di ‘non dare ragione alcuna ai sospetti’ siano stati delimitati in modo sufficiente dall’interpretazione della Corte costituzionale, per i seguenti motivi. In primo luogo, il ‘dovere dell'interessato di adattare la propria condotta a uno stile di vita che osservi tutti i summenzionati obblighi’ è altrettanto indeterminato dell’‘obbligo di vivere onestamente e rispettare le leggi’, in quanto la Corte costituzionale rinvia semplicemente all’articolo 5 stesso. Secondo la Corte tale interpretazione non fornisce indicazioni sufficienti per le persone interessate. In secondo luogo, il ‘dovere della persona interessata di rispettare tutte le regole prescrittive che le chiedono di comportarsi, o di non comportarsi, in un particolare modo; non solo le leggi penali, quindi, ma le disposizioni la cui inosservanza sarebbe un ulteriore indizio del pericolo per la società che è già stato accertato’ è un riferimento a tempo indeterminato per l'intero ordinamento giuridico italiano, e non fornisce ulteriori chiarimenti sulle specifiche norme la cui inosservanza rappresenterebbe un ulteriore indizio del pericolo rappresentato dalla persona per la società. La Corte ritiene pertanto che questa parte della legge non sia stata formulata in modo sufficientemente dettagliato e non definisca con sufficiente chiarezza il contenuto delle misure di prevenzione che potrebbero essere applicate a una persona, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale.

La Corte è anche preoccupata del fatto che le misure previste dalla legge e applicate al ricorrente comprendono l’assoluto divieto di partecipare a riunioni pubbliche. La legge non specifica alcun limite temporale o spaziale di questa libertà fondamentale, la cui restrizione è lasciata interamente alla discrezione del giudice.

La Corte ritiene che la legge abbia lasciato ai giudici un'ampia discrezionalità senza indicare con sufficiente chiarezza la portata di tale discrezionalità e le modalità per esercitarla. Ne consegue che l'applicazione al ricorrente di misure di prevenzione non era sufficientemente prevedibile e non era accompagnata da adeguate garanzie contro i vari possibili abusi.

La Corte conclude pertanto che la legge n. 1423/1956 era redatta in termini vaghi ed eccessivamente ampi. Né le persone cui erano applicabili le misure di prevenzione (articolo 1 della legge del 1956) né il contenuto di alcune di queste misure (articoli 3 e 5 della legge del 1956) erano definiti dalla legge con sufficiente precisione e chiarezza. Ne consegue che la legge non soddisfaceva i requisiti di prevedibilità stabiliti dalla giurisprudenza della Corte.

Conseguentemente, non si può affermare che l'ingerenza nella libertà di circolazione del ricorrente sia stata basata su disposizioni di legge che soddisfano i requisiti di legittimità previsti dalla Convenzione. Vi è pertanto stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 a causa dell’imprevedibilità della legge in questione”.

11.3. Ora, è evidente, in primis, che la pronuncia dianzi riportata si riferisce alle sole misure di prevenzione personali (in ipotesi di c.d. pericolosità generica), limitative, come tali, della libertà fondamentale di circolazione di cui all’art. 2 del Protocollo IV alla CEDU, mentre non considera le misure di prevenzione patrimoniali, limitative del diritto fondamentale di proprietà di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale 1 alla CEDU.

E’ altrettanto evidente, poi, che le misure di prevenzione personali vagliate nella sentenza De Tommaso non sono specificamente collegate all’indizio di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso.

E’, infine, evidente che l’informativa interdittiva antimafia è oggettivamente insuscettibile di comprimere la menzionata libertà fondamentale di circolazione né – a dispetto degli assunti di parte ricorrente – il menzionato diritto fondamentale di proprietà, (parzialmente) incidendo, piuttosto, sulla libertà di iniziativa economica, la quale non trova, però, specifica tutela nella CEDU, mentre è contemplata dall’art. 41 Cost.

11.4. Ciò posto, osserva, a questo punto, il Collegio che la formula ‘elastica’ adottata dal legislatore nel disciplinare l’informativa interdittiva antimafia su base indiziaria riviene dalla ragionevole ponderazione tra l’interesse privato al libero esercizio dell’attività imprenditoriale e l’interesse pubblico alla salvaguardia del sistema socio-economico dagli inquinamenti mafiosi, dove il primo, siccome non specificamente tutelato dalla CEDU né riconducibile alla sfera dei diritti costituzionali inviolabili, si rivela recessivo rispetto al secondo, siccome collegato alle preminenti esigenze di difesa dell’ordinamento contro l’azione antagonistica della criminalità organizzata.

Non senza soggiungere che la formula ‘elastica’ in parola riflette l’obiettivo di apprestare all’autorità amministrativa statale competente strumenti di contrasto alle organizzazioni malavitose, tanto più efficaci, quanto più adattabili – in virtù di apprezzamenti discrezionali modulabili caso per caso – ai peculiari fenomeni proteiformi, occulti, impenetrabili e pervasivi di infiltrazione mafiosa nelle imprese operanti nel mercato, potenzialmente destinate a instaurare rapporti negoziali con la pubblica amministrazione.

11.5. Nei sensi sopra delineati – e cioè a suffragio della compatibilità dell’istituto dell’informativa interdittiva antimafia ex artt. 84, comma 4, lett. e, e 91, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011 rispetto alle garanzie fondamentali della persona, del suo patrimonio e della sua attività imprenditoriale, sancite dalla CEDU e/o della Costituzione – militano le seguenti considerazioni, formulate da Cons. Stato, sez. III, n. 565/2017, n. 672/2017, n. 1080/2017 e n. 1109/2017, sia pure con riguardo alla distinta questione di legittimità costituzionale dell’art. 89 bis del d.lgs. 159/2011 (peraltro, di recente ritenuta infondata da Corte cost. n. 4/2018, a conferma dell’indirizzo già invalso nella giurisprudenza amministrativa):

a) La valutazione prefettizia deve fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti che, alla stregua della logica del ‘più probabile che non’, consentano di ritenere razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa in base ad un complessivo, oggettivo, e sempre sindacabile in sede giurisdizionale, apprezzamento dei fatti nel loro valore sintomatico.

b) Gli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numerus clausus, assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, innanzitutto sul piano sociale, del fenomeno della criminalità organizzata, ad un preciso inquadramento (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 1743/2016), ma devono pur sempre essere ricondotti ad una valutazione unitaria e complessiva, che imponga all’autorità e consenta al giudice di verificare la ragionevolezza o la logicità dell’apprezzamento discrezionale, costituente fulcro e fondamento dell’informativa, in ordine al serio rischio di condizionamento mafioso.

c) In questo senso, il criterio civilistico del ‘più probabile che non’ si pone quale regola, garanzia e, insieme, strumento di controllo, fondato anche su irrinunciabili dati di esperienza, della valutazione prefettizia e, in particolare, consente di verificare la correttezza dell’inferenza causale che da un insieme di fatti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo una logica che nulla ha a che fare con le esigenze del diritto punitivo e del sistema sanzionatorio, laddove vige la regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio per pervenire alla condanna penale.

d) Quest’ultima regola si palesa consentanea alla garanzia fondamentale della ‘presunzione di non colpevolezza’ di cui all’art. 27, comma 2, Cost., alla quale è ispirato anche l’art. 6 CEDU, cosicché è evidente che l’istituto dell’informativa antimafia non possa in alcun modo ricondursi all’alveo della garanzia anzidetta, in quanto non attiene ad ipotesi di affermazione di responsabilità penale, ma riguarda la prevenzione amministrativa antimafia.

e) L’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco – la libertà di impresa, da un lato, e la salvaguardia della legalità sostanziale delle attività economiche dalle infiltrazioni mafiose, d’altro lato – richiede, piuttosto, all’autorità prefettizia un’attenta valutazione degli elementi indiziari acquisiti, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata, e impone, nel contempo, al giudice amministrativo un altrettanto approfondito esame di tali elementi, singolarmente e nella loro intima connessione, per assicurare una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro ogni eventuale eccesso di potere da parte dell’organo governativo nell’esercizio del suo ampio, ma non indeterminato, potere discrezionale.

I cennati valori costituzionali trovano, peraltro, nella previsione dell’aggiornamento, ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159/2011, un punto di equilibrio fondamentale e uno snodo della disciplina di settore, sia in senso favorevole che sfavorevole all’impresa, nella misura in cui si impone all’autorità prefettizia di considerare i fatti nuovi, laddove sopravvenuti, o anche precedenti – se non noti – e si consente all’impresa stessa di rappresentarli all’autorità stessa, laddove da questa non conosciuti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 4121/2016).

f) L’ordinamento ha voluto apprestare, per l’individuazione del tentativo di infiltrazione mafiosa nell’economia e nelle imprese, strumenti sempre più idonei e capaci di consentire valutazioni e accertamenti tanto variegati e adeguabili alle circostanze, quanto variabili e diversamente atteggiati sono i mezzi che le mafie usano per cercare di moltiplicare i loro illeciti profitti.

g) Nella ponderazione degli interessi in gioco – tra cui quello del soggetto ‘indiziato’ a godere delle proprie garanzie di libertà e di difesa – non può pensarsi che l’autorità statale contrasti con ‘armi impari’ la pervasiva diffusione delle organizzazioni mafiose, che hanno, nei sistemi globalizzati, vaste reti di collegamento e profitti criminali quale ‘ragione sociale’ per tendere al controllo di interi territori.

12. In conclusione, stante la loro ravvisata infondatezza, il ricorso in epigrafe e i relativi motivi aggiunti devono essere respinti.

13. Sussistono giusti e particolari motivi, in virtù della delicatezza della vicenda contenziosa, per compensare interamente tra le parti le spese processuali.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe e i relativi motivi aggiunti.

Compensa interamente tra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 196/2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i nominativi indicati in epigrafe e in motivazione.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Salvatore Veneziano, Presidente

Paolo Corciulo, Consigliere

Olindo Di Popolo, Primo Referendario, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Olindo Di Popolo Salvatore Veneziano
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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