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Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, 9/3/2018 n. 79
Sulle modalità di liquidazione delle partecipazioni societarie non strettamente necessarie alle finalità istituzionali dell'ente pubblico

Il procedimento di liquidazione della partecipazione societaria dichiarata non strettamente necessaria alle proprie finalità istituzionali da parte di ente pubblico, avviato ai sensi dell'art. 1, commi 27 e seguenti, della legge n. 244/2007, come integrato dall'art. 1, comma 569, della legge n. 147/2013, è regolato anche dall'articolo 2437 quater del codice civile, ora, peraltro, espressamente richiamato dall'articolo 24, comma 5, del TUSPP

Materia: società / partecipazione pubblica

Lombardia/ 79  /2018/PAR

 

 

 

 

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA LOMBARDIA

 

composta dai magistrati:

dott.ssa Simonetta Rosa                              Presidente

dott. Marcello Degni                                     Consigliere (relatore)

dott. Giampiero Gallo                                   Consigliere

dott. Luigi Burti                                            Consigliere

dott. Donato Centrone                                 I Referendario

dott. Paolo Bertozzi                                     I Referendario

dott. Cristian Pettinari                                I Referendario

dott. Giovanni Guida                                   I Referendario

 

nell’adunanza in camera di consiglio del 6 marzo 2018 ha assunto la seguente

 

DELIBERAZIONE

visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;

vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;

vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;

visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;

vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;

vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3 novembre 2004 con la quale la Sezione ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri previsti dall’articolo 7, comma 8, della legge n. 131/2003;

Vista la nota del giorno 6 febbraio 2018, con la quale il Sindaco del Comune di Milano ha rivolto alla Sezione una richiesta di parere ai sensi dell’articolo 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131;

Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’adunanza odierna per deliberare sulla richiesta del sindaco del comune sopra citato;

Udito il relatore Marcello Degni;

 

PREMESSO IN FATTO

 

Il sindaco di Milano ha rivolto a questa Sezione una richiesta di parere sull’applicabilità alla procedura di liquidazione della quota dei soci pubblici cessati ai sensi dell’art.1, comma 569 della legge 147 del 2013, del procedimento previsto dal codice civile (articolo 2437-quater), richiamato dal testo unico delle società a partecipazione pubblica (articolo 24, comma 5, del decreto legislativo 175 del 2016 e s.m.i).

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

1.      Verifica dell’ammissibilità della richiesta di parere.

1.1.            Il primo punto da esaminare concerne la verifica sulla riconducibilità della richiesta proveniente dal Comune di Milano all’ambito delle funzioni attribuite alle Sezioni regionali della Corte dei conti dall’art. 7, comma ottavo, della legge 6 giugno 2003, n. 131, norma in forza della quale Regioni, Province e Comuni possono chiedere a dette Sezioni pareri in materia di contabilità pubblica, e altre forme di collaborazione ai fini della regolare gestione finanziaria, dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa. In proposito, questa Sezione ha precisato, in più occasioni, che la funzione di cui al comma ottavo dell’art. 7 della legge n. 131 del 2003 si connota come facoltà conferita agli amministratori di Regioni, Comuni e Province di avvalersi di un organo neutrale e professionalmente qualificato per acquisire elementi necessari ad assicurare la legalità della loro attività amministrativa. I pareri e le altre forme di collaborazione si inseriscono nei procedimenti amministrativi degli enti territoriali consentendo, nei temi sui quali la collaborazione è esercitata, scelte adeguate e ponderate nello svolgimento dei poteri che appartengono agli amministratori pubblici, restando peraltro esclusa qualsiasi forma di cogestione o co-amministrazione dell’ente con l’organo di controllo esterno (per tutte: parere sez. Lombardia, 11 febbraio 2009, n. 36).

1.2.            Infatti, deve essere messo in luce che il parere della Sezione attiene a profili di carattere generale, anche se, ovviamente, la richiesta proveniente dall'ente pubblico è motivata, generalmente, dalla necessità di assumere specifiche decisioni in relazione ad una particolare situazione. L'esame e l'analisi svolti nel parere si limitano a individuare l'interpretazione di disposizioni di legge e di principi generali dell'ordinamento sulla materia prospettata dal richiedente, spettando, ovviamente, a quest'ultimo la decisione sui modi applicativi di detta interpretazione riguardo alla situazione che ha originato la domanda.

1.3.            Il parere è ammissibile sotto il profilo soggettivo poiché richiesto dal Sindaco del comune di Milano.

1.4.            Con riferimento alla verifica del profilo oggettivo, occorre rilevare come la disposizione, contenuta nel comma 8 dell’art. 7 della legge 131 del 2003, attribuisca agli enti locali la facoltà di chiedere pareri in materia di contabilità pubblica. Appare conseguentemente chiaro che le Sezioni regionali della Corte dei conti non svolgono una funzione consultiva a carattere generale in favore degli enti locali. La Sezione delle Autonomie, nell’adunanza del 27 aprile 2004, ha fissato principi e modalità per l’esercizio dell’attività consultiva, modificati ed integrati con le successive delibere n. 5/AUT/2006 e n. 9/SEZAUT/2009, precisando che la funzione consultiva va ristretta alla materia della contabilità pubblica, quindi ai bilanci ed alle norme e principi che disciplinano la gestione finanziaria e del patrimonio. In seguito, le Sezioni riunite della Corte dei conti, con una pronuncia di coordinamento, emanata ai sensi dell’art. 17, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009 (delibera n. 54/CONTR/2010), hanno nuovamente definito, esprimendo principi vincolanti per le Sezioni regionali, l’ampiezza della funzione consultiva attribuita dalla legge. In particolare, è stato affermato “che non è da condividere qualsivoglia interpretazione dell’espressione “in materia di contabilità pubblica”, che, vanificando lo stesso limite posto dal legislatore, conduca al risultato di estendere l’attività consultiva in discorso a tutti i settori dell’azione amministrativa, in tal guisa realizzando l’inaccettabile risultato di immettere questa Corte nei processi decisionali degli Enti territoriali”. Ma soprattutto, che non “sono parimenti condivisibili linee interpretative che ricomprendano nel concetto di contabilità pubblica qualsivoglia attività degli Enti che abbia, comunque, riflessi di natura finanziaria, comportando, direttamente o indirettamente, una spesa, con susseguente fase contabile attinente all’amministrazione della stessa ed alle connesse scritture di bilancio”. I riferiti principi di diritto sono stati ripresi, dalle medesime Sezioni riunite, in successive pronunce (si rinvia, per esempio, alle deliberazioni n. 60/CONTR del 7 dicembre 2010 e n. 1/CONTR del 13 gennaio 2011), nonché dalla Sezione delle Autonomie nella deliberazione 3/QMIG del 19 febbraio 2014.

1.5.            Con riferimento alla fattispecie in esame si rileva che la materia oggetto del quesito riguarda la problematica della vendita di partecipazioni dismesse da parte di un ente pubblico locale. Per tali ragioni la richiesta è ammissibile sotto il profilo oggettivo, “prescindendo naturalmente da valutazioni su eventuali posizioni giuridiche soggettive e senza entrare nel merito di procedimenti amministrativi già adottati o da adottarsi dall’ente (che attengono a scelte discrezionali proprie esclusivamente di quest’ultimo), dovendo principalmente aversi riguardo all’interpretazione di norme concernenti il mantenimento di organismi partecipati ovvero la loro razionalizzazione, anche al fine della loro migliore valorizzazione” (deliberazione 158/2015/FVG/PAR). In ordine alla sussistenza degli altri requisiti di ammissibilità oggettiva la Sezione, in accordo con la richiamata deliberazione 158/2015 rileva che la richiesta di parere presenta il carattere della generalità e non astrattezza nei limiti in cui la stessa potrà pronunciarsi mediante l’indicazione di principi di carattere generale ai quali potranno conformarsi anche altri enti, qualora insorgesse la medesima questione interpretativa. Inoltre sussiste la “non pendenza di richiesta di analogo parere ad altra autorità od organismo pubblico” e la richiesta non interferisce, allo stato degli atti, con funzioni di controllo o funzioni giurisdizionali svolte da altre magistrature, né con giudizi civili o amministrativi pendenti. La sezione ribadisce, in ordine alla propria competenza consultiva, anche qui in accordo con una costante giurisprudenza, che il suo compito si esaurisce nell’esclusiva funzione “di fornire un supporto allo svolgimento dell’azione amministrativa senza, per converso, esprimere valutazioni sugli effetti che fatti gestionali specifici e concreti possano provocare sul versante della responsabilità amministrativo- contabile”. 

 

2.      Analisi di merito.

2.1.            Il Consiglio comunale di Milano ha deciso di non autorizzare il mantenimento della partecipazione nella società Milano Serravalle – Milano Tangenziali SPA, di cui detiene il 18,60% del capitale. Tale risalente decisione (nella richiesta di parere non sono indicati gli estremi della deliberazione) è stata assunta in base all’art. 3, commi da 27 a 29 della legge 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008). La questione è stata oggetto di attenzione da parte di questa Sezione (Lombardia 419/2016/VSG del 21 dicembre), in cui si prendeva atto del processo di alienazione delle quote della società partecipata, “ritenuta non inerente alla missione istituzionale del comune”.

2.2.            Le società a partecipazione pubblica sono oggetto di attenta analisi da parte di questa Corte (vedi, da ultimo, la deliberazione della Sezione Autonomie sugli organismi partecipati dagli enti territoriali 27/SEZAUT/2017/FRG del 24 novembre), che ne ha seguito il lungo processo di riorganizzazione approdato, dopo molte disposizioni legislative asistematiche, al Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica (TUSPP).  Dalla richiamata deliberazione si evince che “la crescente attenzione sul sistema delle partecipazioni pubbliche, a livello centrale e territoriale, è conseguente al pregresso utilizzo dello strumento societario come modalità di elusione dei vincoli di finanza pubblica” (nella triplice declinazione dell’equilibrio di bilancio, del rispetto delle procedure e dei contingentamenti per nuove assunzioni, dell’osservanza dei procedimenti previsti per l’assegnazione di lavori esterni, cui va aggiunto il peso degli organi societari). Oltre a “rimuovere rendite di posizione e conflitti di interesse” gli interventi del legislatore sono finalizzati al “restringimento del perimetro dell’intervento pubblico nelle attività economiche” (deliberazione FVG/158/2015/PAR). La questione è stata oggetto del vaglio del giudice delle leggi, il quale nel ribadire che “la creazione di enti e società per lo svolgimento di compiti di rilevanza pubblica è e rimane uno strumento utilissimo per perseguire maggiore efficienza a vantaggio della collettività” ha precisato la necessità “di evitare forme di abuso (la cui esistenza è verosimile tenuto conto che sono circa tremila [dato rivisto in aumento dalle più recenti statistiche], ad esempio, le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni, che sottraggono l’agire amministrativo ai canoni della trasparenza e del controllo da parte degli enti pubblici e della stessa opinione pubblica)” (sentenza 148 del 2009).

2.3.            La richiamata legge del 2007 disponeva, “al fine di tutelare la concorrenza e il mercato” il divieto delle pubbliche amministrazioni di “costituire società aventi, per oggetto, attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società”. Si aggiungeva, inoltre, che era “sempre ammessa” la costituzione di società per produrre servizi d’interesse generale (e l'assunzione di partecipazioni in società che producevano tali servizi); infine si prevedeva l’autorizzazione da parte dell’organo competente (nella fattispecie il consiglio comunale) per motivare la sussistenza dei presupposti (entro 18 mesi prorogati fino alla data del 31 dicembre 2010 indicata nella richiesta di parere).

2.4.            La richiamata disposizione è sostanzialmente transitata nell’art. 4 del Testo unico sulle società partecipate (rectius Lombardia/335/2017/PAR) che dispone, al comma 1, che le “amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società”. Nel comma seguente sono indicati i settori ammissibili (servizio d’interesse generale, opera pubblica in conformità ad accordo di programma, opera o servizio in regime di partenariato, beni o servizi strumentali all’ente, servizi di committenza a supporto di enti pubblici).

2.5.            Il termine è stato ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2014 dalla legge 147 del 2013, comma 569 dell’articolo 1, (legge di stabilità per il 2014), che stabilisce altresì: “decorsi i quali la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto; entro dodici mesi successivi alla cessazione la società liquida in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, del codice civile”.

2.6.            L’articolo 2437-ter del codice civile prevede che il socio “abbia diritto alla liquidazione delle azioni per le quali esercita il recesso”; che i soci “hanno diritto di conoscere la determinazione del valore …. nei quindici giorni precedenti alla data fissata per l'assemblea”; e che, “in caso di contestazione, da proporre contestualmente alla dichiarazione di recesso il valore di liquidazione è determinato, entro novanta giorni dall'esercizio del diritto di recesso, tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente”. Rispetto al valore delle azioni il richiamato articolo del codice civile prescrive che sia determinato “dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni”.

2.7.            Il richiamato comma 569, è stato integrato dall’articolo 8-bis del decreto legge 78/2015 convertito nella legge 125 del 2015. Nella nuova disposizione (il comma 569-bis) si fornisce un’interpretazione autentica, in merito alla cessazione della partecipazione societaria non alienata entro il termine fissato (31 dicembre 2014). Tale cessazione non va considerata automatica per quegli enti che, ai sensi dell'articolo 1, commi 611 e 612, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, la abbiano mantenuta, mediante approvazione di apposito piano operativo di razionalizzazione, ritenendola indispensabile al perseguimento  delle finalità  istituzionali. Il comma 569-bis dispone inoltre che “la competenza relativa all'approvazione del provvedimento di cessazione della   partecipazione   societaria   appartiene, in   ogni   caso, all'assemblea   dei   soci” e che  “qualunque   delibera    degli    organi amministrativi e  di  controllo  interni  alle  società  oggetto  di partecipazione che  si  ponga  in  contrasto  con  le  determinazioni assunte e contenute nel piano operativo di razionalizzazione è nulla ed inefficace”.

2.8.            I richiamati commi 611 e 612 della legge di stabilità per il 2015 riaffermano l’efficacia delle citate disposizioni del 2007 (punto 2.3) e, nel tentativo di dare nuovo impulso al processo di razionalizzazione, a decorrere dal  1º gennaio 2015, in modo da conseguire la riduzione delle stesse  entro  il 31 dicembre 2015, formulano alcuni criteri guida (a) eliminazione delle società e delle partecipazioni  societarie non  indispensabili  al   perseguimento   delle   proprie   finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione;  b) soppressione delle società che  risultino  composte  da  soli amministratori o da un numero di amministratori  superiore  a  quello dei dipendenti; c) eliminazione delle partecipazioni  detenute  in  società  che svolgono attività analoghe o  similari  a  quelle  svolte  da  altre società partecipate o da enti pubblici strumentali,  anche  mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni;  d)  aggregazione  di  società  di  servizi  pubblici  locali  di rilevanza economica;  e)  contenimento  dei  costi  di  funzionamento,  anche  mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo  e  delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione  delle  relative remunerazioni).   I sindaci sui rispettivi  ambiti  di   competenza,   definiscono   e approvano,  entro  il  31  marzo  2015,   un   piano   operativo   di razionalizzazione delle società e  delle  partecipazioni  societarie direttamente o indirettamente possedute, le modalità e  i  tempi  di attuazione,  nonché l'esposizione  in  dettaglio  dei  risparmi  da conseguire. Tale piano, corredato di relazione  tecnica, è trasmesso alla competente sezione regionale  di  controllo  della Corte  dei  conti  e  pubblicato  nel  sito  internet   istituzionale dell'amministrazione interessata. Entro il 31 marzo 2016, è prevista la predisposizione di una relazione sui risultati conseguiti (anch’essa trasmessa alla Corte  dei  conti  e  pubblicata  nel  sito  internet).

2.9.            Limitando la ricognizione ai profili di carattere generale e interpretativo, che rientrano nella sfera d’azione della Sezione, si rileva, con riferimento al quesito, la necessità di ragionare sulla procedura liquidatoria applicabile in base alla vigente normativa. In altre parole la questione consiste nel valutare se il richiamato comma 569 introduca una forma di liquidazione peculiare, distinta rispetto a quella indicata nell’art. 2437-quater.

2.10.        Secondo tale ragionamento la società liquida in denaro il valore della quota del socio cessato entro i dodici mesi successivi alla cessazione tenendo conto solo dei criteri stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, del codice civile (dove si stabilisce che “il valore di liquidazione delle azioni è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni”).

2.11.        L’articolo 2437 quater, invece, dispone che gli amministratori offrano in opzione le azioni del socio recedente agli altri soci in proporzione al numero delle azioni possedute. L'offerta di opzione è depositata presso il registro delle imprese entro quindici giorni dalla determinazione definitiva del valore di liquidazione e per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a trenta giorni dal deposito dell'offerta (coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell'acquisto delle azioni che siano rimaste non optate). Qualora i soci non acquistino in tutto o in parte le azioni del recedente, gli amministratori possono collocarle presso terzi. Solo in caso di mancato collocamento entro centottanta giorni dalla comunicazione del recesso, le azioni del recedente sono rimborsate mediante acquisto da parte della società utilizzando riserve disponibili (in assenza deve essere convocata l'assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società).

2.12.        Per la ricostruzione di un profilo sistematico è utile considerare l’articolo 24, comma 5, del testo unico sulle società partecipate (TUSPP) che riprende la stessa formulazione del richiamato comma 569, apportando però alcune modifiche, che rimuovono alcuni dubbi interpretativi della previgente disposizione. In primo luogo non è utilizzata la locuzione “cessa ad ogni effetto”, che aveva dato luogo a molte incertezze sul piano ricostruttivo.

2.13.        L’espressione “cessa” si configurava in senso atecnico, poiché la partecipazione rappresenta una posizione contrattuale nella società, reca un insieme di posizioni giuridiche soggettive nel soggetto titolare ed è anche un bene giuridico. Per questo il dettato normativo si sarebbe potuto interpretare come una sorta di recesso ex-lege. In questo senso il Consiglio di Stato (CDS, Sez. V, 7 luglio 2015, n. 3344) afferma che “non si tratta, esplicitamente di un diritto di recesso, dal momento che il legislatore non qualifica come tale lo strumento innovativo introdotto: del resto vi sono alcune differenze significative, come emerge considerando che l’esercizio del diritto di recesso comporta e presuppone l’espressione di una volontà, legata all’interruzione del rapporto societario”. Anche il TAR della Liguria (TAR, sez. II 4 aprile 2016, sentenze 333 e 334) interpreta la norma come “un’ipotesi eccezionale di cessazione ope legis della qualità di socio, con conseguente diritto dell’amministrazione alla liquidazione del valore della partecipazione azionaria e corrispondente obbligo, per la società partecipata, di corrispondere il valore secondo le modalità di cui all’art. 2437 ter del codice civile”. Infine la richiamata deliberazione della sezione FVG della Corte dei conti n.158 del 2015 parla di recesso extra ordinem e sui generis”. In questi profili interpretativi, peraltro superati dal nuovo TUSPP, emergeva comunque sul piano sistematico, la sussistenza della partecipazione fino a liquidazione avvenuta. E le norme dettate dal legislatore esprimevano la chiara finalità di forzare (con la fissazione di termini, procedure e sanzioni) la volontà del soggetto pubblico alla dismissione delle partecipazioni non indispensabili. Le modalità della liquidazione, quindi, anche nel regime precedente il testo unico, non escludevano affatto l’applicazione del richiamato articolo 2437 quater, che si configurava, allora come ora, come il normale procedimento per la disciplina del recesso, con il suo ordine graduale, che prevede l’offerta della partecipazione in prelazione agli altri soci; in subordine a terzi e, solo in assenza di interessati, alla società stessa (attingendo da riserve disponibili e capitale sociale). La tesi appare convincente anche dal punto di vista sistematico, poiché concilia interessi specifici (dell’ente pubblico) con quelli generali (la disciplina del recesso) e costuzionalmente orientata, nel senso di evitare lesioni del principio di uguaglianza, libera iniziativa economica e tutela del risparmio.

2.14.        Il concetto è chiarito in modo inconfutabile in un altro passaggio della richiamata norma del TUPSS in cui si afferma che la partecipazione non alienata “è liquidata in denaro in base ai criteri stabiliti dall’articolo 2437 ter, secondo comma, e seguendo il procedimento di cui all’articolo 2437 quater del codice civile”. Il superamento della locuzione “cessazione a tutti gli effetti” conferma l’interpretazione per cui la partecipazione resti qualificata come tale in bilancio e solo in seguito alla liquidazione si trasformi, fino all’incasso, in un credito da liquidazione. In altre parole proprio l’applicazione della modalità di liquidazione prevista dal 2437 quater indica che il mutamento di regime si ha solo con il trasferimento e l’annullamento delle partecipazioni (fino al caso estremo della liquidazione della società, che determina il mantenimento della partecipazione fino al completamento del processo di liquidazione). La sola deroga che il richiamato articolo 24 del TUPSS mantiene rispetto alla procedura di recesso disposta dal codice civile attiene i casi di cui al sesto e al settimo comma dell'articolo 2437-quater (e al caso di estinzione della partecipazione in una società unipersonale, in cui si dispone ex-lege  la “liquidazione” della società). In altre parole in assenza di utili e riserve disponibili (o nel caso di società unipersonale) non sarebbe consentita la riduzione del capitale sociale per evitare lo scioglimento. Ma se questo percorso è ragionevole nei casi di società con partecipazione interamente o quasi totalitaria, o di controllo (in altri termini dominante com’è, in re ipsa, quello della società unipersonale), non si capirebbe nel caso di una partecipazione minoritaria. In sintesi non avrebbe alcun senso non consentire al socio (o ai soci) di maggioranza di deliberare la riduzione del capitale sociale evitando la liquidazione della società.

2.15.        La cessione della partecipazione non “strettamente necessaria” trascende quindi il rapporto tra ente pubblico socio e società partecipata e si configura come potere-dovere della pubblica amministrazione. Anche sotto questo profilo il richiamo dell’articolo 24 del TUSPP all’articolo 2347 quater del codice civile è dirimente poiché la disposizione prevede esplicitamente al quarto comma che in caso di mancato collocamento (presso altri soci o terzi), “le azioni del recedente veng[a]no rimborsate mediante acquisto da parte della società utilizzando riserve disponibili anche in deroga a quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 2357”.

2.16.        La partecipazione è “liquidata in denaro in base ai criteri stabiliti all’articolo 2437-ter, secondo comma”, (punto 2.6). Così recita l’articolo 24, quinto comma, ripetendo la disposizione della richiamata norma del 2013 (comma 569). Ciò va inteso nel senso che il valore deve essere stabilito in conformità a un’attenta ponderazione (“tenuto conto”) della “consistenza patrimoniale della società”, delle sue “prospettive reddituali” e del “valore di mercato”, da intendersi con riferimento al patrimonio sociale della società e non limitato alla specifica quota (Sezione Marche, numero 25/2014/PAR del 16 aprile 2014).

 

PQM

Sulla base delle considerazioni esposte la Sezione esprime il seguente principio diritto:

“Il procedimento di liquidazione della partecipazione societaria dichiarata non strettamente necessaria alle proprie finalità istituzionali da parte di ente pubblico, avviato ai sensi dell’art. 1, commi 27 e seguenti, della legge n. 244/2007, come integrato dall’art. 1, comma 569, della legge n. 147/2013, è regolato anche dall’articolo 2437 quater del codice civile, ora, peraltro, espressamente richiamato dall’articolo 24, comma 5, del TUSPP”.

 

 

 

 Il Relatore

(Marcello Degni)

Il Presidente

(Simonetta Rosa)

 

 

 

Depositata in Segreteria il

9 marzo 2018

Il Direttore della Segreteria

(Daniela Parisini)

 

 

 

 

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