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Consiglio di Stato, Sez. V, 10/4/2018 n. 2168
Sulla distinzione in presenza di vizi accertati dell'atto presupposto tra invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante.

In presenza di vizi accertati dell'atto presupposto deve distinguersi tra invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante, nel senso che nel primo caso l'annullamento dell'atto presupposto si estende automaticamente all'atto consequenziale, anche quando questo non sia stato impugnato, mentre nel secondo caso l'atto conseguenziale è affetto solo da illegittimità derivata, e pertanto resta efficace ove non impugnato nel termine di rito. Però la prima ipotesi, quella appunto dell'effetto caducante, ricorre nella sola evenienza in cui l'atto successivo venga a porsi nell'ambito della medesima sequenza procedimentale quale inevitabile conseguenza dell'atto anteriore, senza necessità di ulteriori valutazioni, il che comporta, dunque, la necessità di verificare l'intensità del rapporto di conseguenzialità tra l'atto presupposto e l'atto successivo, con riconoscimento dell'effetto caducante solo qualora tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l'atto successivo si ponga, nell'ambito dello stesso contesto procedimentale, come conseguenza ineluttabile rispetto all'atto precedente, senza necessità di nuove valutazioni di interessi.

Materia: giustizia amministrativa / processo

Pubblicato il 10/04/2018

N. 02168/2018REG.PROV.COLL.

N. 04827/2017 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4827 del 2017, proposto da: 
Amsa s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Angelo Clarizia e Alberto Salvadori, con domicilio eletto presso lo studio Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2; 

contro

Comune di Basiglio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Romanenghi, Alberto Fossati, Giovanni Corbyons, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone 44; 

nei confronti

Società Ambiente del Sud Ovest Milanese S.A.S.O.M. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Anna Laura Ferrario, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone 44; 

per la riforma della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, SEZ. IV, n. 694/2017, resa tra le parti, concernente PROVVEDIMENTO DI AFFIDAMENTO IN HOUSE E ATTI CONNESSI


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Basiglio e della Società Ambiente del Sud Ovest Milanese S.A.S.O.M. S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 marzo 2018 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Clarizia, Corbyons e Ferrario;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza impugnata il Tar per la Lombardia, sezione quarta, ha dichiarato inammissibili il ricorso principale ed il primo ricorso per motivi aggiunti ed ha respinto il secondo ricorso per motivi aggiunti, proposti dall’A.M.S.A. s.p.a. nei confronti del Comune di Basiglio e della S.A.S.O.M. S.r.l. per l’annullamento della delibera di Giunta del 28 ottobre 2015, n. 136, avente ad oggetto l’affidamento del servizio di raccolta rifiuti del Comune in favore della controinteressata (ricorso principale), nonché di una serie di atti frattanto adottati dal Comune (primi motivi aggiunti) e della deliberazione del Consiglio Comunale di Basiglio n. 26 del 27 giugno 2016 di adesione del Comune alla società in house denominata S.A.S.O.M. S.r.l. e degli atti successivi (secondi motivi aggiunti).

1.1. Il Tar ha deciso come segue:

- ha ritenuto inammissibile il ricorso principale per difetto di interesse all’impugnazione, giacché rivolto contro un atto (delibera di Giunta n. 136/2015) avente mera finalità di indirizzo politico, ma privo di qualsivoglia contenuto provvedimentale e quindi non lesivo della situazione giuridica della società ricorrente;

- ha ritenuto inammissibili i primi motivi aggiunti perché rivolti contro quattro distinti atti comunali privi, a loro volta, di carattere provvedimentale e perciò non lesivi della posizione giuridica vantata dalla ricorrente;

- ha respinto il ricorso per motivi aggiunti contro la deliberazione del Consiglio Comunale n. 26 del 27 giugno 2016, con la quale l’amministrazione di Basiglio ha acquistato una quota del capitale sociale di S.A.S.O.M. S.r.l., provvedendo così alla gestione del servizio di igiene urbana secondo il modello c.d. in house; in particolare ha escluso la violazione delle norme procedimentali previste dalla legge per l’affidamento in house (art. 34, comma 20, del decreto legge n. 179 del 2012 e art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016).

La ricorrente società A.M.S.A. s.p.a., soccombente, è stata condannata al pagamento delle spese in favore del Comune e della controinteressata.

2. L’A.M.S.A. s.p.a. ha proposto appello per ottenere la riforma di questa sentenza, basando l’impugnazione su quattro motivi.

Il Comune di Basiglio e la Società Ambiente del Sud Ovest Milanese S.A.S.O.M. S.r.l. si sono costituiti per resistere al gravame, depositando anche memorie difensive.

L’appellante ha depositato memoria di replica.

Alla pubblica udienza del 1° marzo 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Col primo motivo (“Violazione dell’art. 41 della C.E.D. – violazione dell’art. 1, l. 241/90 e del principio di trasparenza - eccesso di potere – sviamento- violazione dell’art. 7, l. 241/90 – violazione dell’art. 1, d.lgs. 33/13- violazione dell’art. 34, comma 20, d.l. 179/12- violazione dell’art. 192, comma 2, d.lgs. 50/16 - violazione dell’art. 97 Cost.- difetto dei presupposti – difetto d’istruttoria – manifesta contraddittorietà”) l’appellante, dopo aver riportato gran parte della delibera A.N.A.C. n. 1192 del 16 novembre 2016, i principi sugli affidamenti in house ribaditi dalla Corte di Giustizia con la sentenza 8 dicembre 2016 in causa C-553/15, il contenuto del secondo comma dell’art. 192 del d.lgs. n. 50 del 2016, sostiene che: nei documenti richiamati in sentenza, ed in particolare nell’allegato D della relazione illustrativa, non si rinvengono affatto le ragioni per le quali il mancato ricorso al mercato risulterebbe comparativamente più vantaggioso rispetto alla -ordinaria- scelta di affidare la commessa pubblica con procedura competitiva (come da parere di questo Consiglio di Stato, n. 1075 del 3 maggio 2016 sull’in house providing) né tantomeno si riscontrano i benefici per la collettività, sicché assume l’appellante che tali profili non sarebbero stati presi in esame né in sede istruttoria né nella motivazione della delibera impugnata con i secondi motivi aggiunti.

3.1. L’appellante argomenta, inoltre, in punto di erroneo modus procedendi, da parte del Comune, il quale avrebbe introdotto un “procedimento del tutto fuor di luogo di richiesta di prezzi/costi a talune società […] con la presunta individuazione dell’offerta migliore […]”, senza effettuare alcuna valutazione di congruità economica delle offerte. Lamenta in proposito:

- il radicale difetto di istruttoria e la violazione dell’obbligo di motivazione in capo al provvedimento impugnato, specificamente con riguardo alle ragioni della scelta dell’Amministrazione (come richiesto, tra l’altro, dal Cons. Stato, Ad. Commissione Speciale, parere n. 855 dell’1 aprile 2016, sull’art. 192 del d.lgs. n. 50 del 2016);

- l’interpello di società che non sarebbero state in house;

- la mancata presentazione, da parte delle società interpellate, di offerte in ordine alle prestazioni oggetto del servizio, avendo proposto soltanto schede riassuntive dei costi;

- in sostanza, la mancata valutazione sulla congruità (dell’offerta, dei prezzi, dei costi), essendosi l’amministrazione limitata a constatare -sic et simpliciter- che tra i costi presi in esame risultavano “più bassi” quelli di S.A.S.O.M.

4. Sia il Comune di Basiglio che la controinteressata S.A.S.O.M. hanno eccepito l’inammissibilità del motivo, ai sensi dell’art. 104, comma 1, Cod. proc. amm., perché contenente censure nuove, diverse da quelle avanzate in primo grado sulle quali entrambi si erano difesi ed il Tar si è pronunciato.

L’eccezione è fondata.

4.1. Col secondo ricorso per motivi aggiunti la società qui appellante aveva dedotto che:

a) il Comune di Basiglio avrebbe dovuto far partecipare la ricorrente al procedimento di market test, invitandola, come fatto con le due società interpellate, a presentare una propria offerta (pagg.9-11 del ricorso in primo grado);

b) illegittime sono state le specifiche modalità di conduzione dell’istruttoria in quanto il Comune: non ha interpellato le ditte operanti nel settore ed ha chiesto solo a due società pubbliche di formulare un’offerta che nemmeno è stata presentata in busta chiusa; l’indagine ha avuto come metro di paragone i prezzi praticati da A.M.S.A. in forza di un contratto del 2004; dopo la presentazione del ricorso introduttivo è stata svolta un’istruttoria finalizzata soltanto a confermare l’affidamento già deciso nei confronti di S.A.S.O.M.; i servizi offerti da quest’ultima e quelli offerti da A.M.S.A. sono incomparabili (pagg. 11-13 del ricorso in primo grado);

c) vi è trasgressione del modello in house perché i prezzi sarebbero nella unilaterale disponibilità della società S.A.S.O.M. (pag. 13 del ricorso in primo grado).

4.2. La sentenza impugnata puntualmente risponde a ciascuna di tali censure. Il primo giudice ha ritenuto infatti che: le norme in tema di affidamenti a società in house non impongono alcuna gara fra operatori del mercato, sicché la ricorrente non poteva lamentare “un presunto omesso invito ad una procedura concorsuale giacché la valutazione della congruità delle offerte dei soggetti in house prevista dal nuovo codice dei contratti pubblici non può essere confusa con una sorta di gara, alla quale l’ente affidante dovrebbe invitare le imprese di settore, fra le quali il gestore uscente del servizio”; quanto al raffronto fra i costi indicati dai soggetti in house e quelli praticati da A.M.S.A., il Comune aveva preso in esame i costi di quest’ultima rivalutati e applicati nel 2015, dal momento che il contratto di servizio prevedeva la revisione dei prezzi; quanto al prezzo praticato, invece, dalla S.A.S.O.M., l’art. 3 del contratto di servizio concluso tra quest’ultima e il Comune non attribuiva affatto alla società in house la facoltà di variare unilateralmente il prezzo, ma prevedeva un adeguamento automatico rispetto alla quota di inflazione ISTAT, oltre alla quantificazione sulla base del consuntivo per le prestazioni effettivamente eseguite.

4.3. Palesi sono le divergenze tra i motivi di appello ed i motivi aggiunti avanzati in primo grado, nonché l’inammissibilità dei motivi di gravame, in quanto del tutto mancanti di critiche rivolte alle puntuali e circostanziate statuizioni del giudice di primo grado appena sintetizzate ed, invece, finalizzati ad evidenziare vizi della deliberazione impugnata e degli atti allegati, che non erano stati dedotti in primo grado.

Ai sensi dell’art. 104, comma 1, Cod. proc. amm. non è possibile introdurre per la prima volta nel giudizio di secondo grado censure, in fatto o in diritto, ulteriori o diverse rispetto a quelle contenuti negli atti ritualmente notificati in primo grado (cfr., tra le altre, Cons. Stato, V, 16 gennaio 2017, n. 94).

Il generale onere di specificità della domanda di parte si traduce, in un giudizio impugnatorio quale è il giudizio amministrativo di legittimità, nell’onere di specificità, in primo grado, dei motivi di impugnazione del provvedimento amministrativo e comporta, quale conseguenza logico-giuridica, il divieto dei nova in appello, da riferirsi sia agli atti impugnati che alle doglianze proposte.

In sintesi, il thema decidendum dell’intero giudizio è circoscritto dai motivi di impugnazione tempestivamente proposti col ricorso introduttivo o per motivi aggiunti (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, 23 marzo 2018, n. 1859).

4.4. In senso contrario non rileva che nella motivazione della sentenza impugnata si legga, oltre a quanto sopra, e sempre in riferimento all’impugnazione della delibera del Consiglio Comunale n. 26/2016, che “le ragioni di carattere economico ed organizzativo di preferenza del modello in house erano esposte sia nella relazione illustrativa allegata alla delibera consiliare impugnata sia nella delibera stessa, con motivazione né illogica né arbitraria”.

Il motivo d’appello prende le mosse da tale argomentazione del primo giudice, ma la isola dal contesto motivazionale nel quale si inserisce e soprattutto la slega dalle censure della stessa ricorrente A.M.S.A. alle quali era destinata a rispondere.

Ed invero, il vizio di motivazione della deliberazione impugnata era stato dedotto in primo grado, non con riferimento alla mancata indicazione delle ragioni per le quali il ricorso alla gestione in house sarebbe stato più vantaggioso per gli interessi del Comune dello svolgimento di una procedura competitiva, bensì con riferimento alla valutazione della congruità delle proposte economiche giunte all’esito di una procedura reputata illegittima.

Parimenti il vizio di istruttoria dedotto non atteneva ai profili di illegittimità esposti invece in appello, bensì al mancato svolgimento di una gara, secondo procedura competitiva o con altre modalità, senza che comunque fosse stata coinvolta la ricorrente A.M.S.A., gestore uscente, nonché alle altre irregolarità sopra dette.

La sentenza conclusiva del primo grado è tenuta ad attenersi ai motivi; ove ciò non accada, è censurabile per ultra o extra-petizione, ma non può costituire lo strumento per un ampliamento (od un radicale mutamento, come nella specie) del thema decidendum consentendo alle parti di introdurre censure contro il provvedimento impugnato che non siano mai state oggetto del dibattito processuale.

D’altronde, nel caso di specie, la sentenza di primo grado ha scrutinato con precisione le censure della ricorrente ed ha fornito le dettagliate argomentazioni di rigetto sopra sintetizzate; a queste ha aggiunto la chiosa finale della completezza della motivazione della relazione allegata alla delibera impugnata, perché su questa relazione ha fondato la decisione.

4.5. Nel resistere all’eccezione di controparte, l’appellante, nella memoria di replica, sostiene che non sarebbe incorsa nel divieto dei novain appello perché non sarebbe affatto vero che il motivo in primo grado fosse incentrato esclusivamente sulla omessa partecipazione al c.d. market test, in quanto era stato affermato espressamente che “[…] illegittime sono state le specifiche modalità di conduzione dell’istruttoria”. Deduce, quindi, che anche in primo grado, così come nel presente, il motivo era basato sulla violazione degli artt. 34, comma 20, d.l. n. 179 del 2012 e 192 d.lgs. n. 50 del 2016, sul difetto dei presupposti di legge e sulla assenza di un’adeguata istruttoria (come si evincerebbe dai contenuti delle pagine 8-9-10-11 del ricorso in primo grado, parzialmente trascritti alle pagine 2-4 del ricorso in appello).

Gli argomenti difensivi dell’appellata non convincono.

Non è significativo che il titolo del motivo d’appello riproduca testualmente la rubrica del ricorso per motivi aggiunti (“Violazione dell’art. 41 della C.E.D. – violazione dell’art. 1, l. 241/90 e del principio di trasparenza - eccesso di potere – sviamento- violazione dell’art. 7, l. 241/90 – violazione dell’art. 1, d.lgs. 33/13- violazione dell’art. 34, comma 20, d.l. 179/12- violazione dell’art. 192, comma 2, d.lgs. 50/16 - violazione dell’art. 97 Cost.- difetto dei presupposti – difetto d’istruttoria – manifesta contraddittorietà”). Ai fini dell’individuazione delle domande rilevano l’illustrazione del motivo e le prospettazioni, in fatto ed in diritto, ivi contenute, non essendo decisiva la sommaria indicazione delle norme di legge e dei principi violati contenuta nell’intitolazione, se ed in quanto astrattamente compatibile con molteplici ragioni di impugnazione.

Queste ultime, d’altronde, non vanno certo desunte -come pretende di fare l’appellante- da frasi ed incisi di frasi del tutto parziali, estrapolati da diversi punti del ricorso in primo grado, la cui combinazione ex post finisce per attribuire a quest’ultimo un significato palesemente difforme da quello desumibile dalla piana ed inequivocabile esposizione in esso contenuta.

Il precedente della sentenza di questo Consiglio di Stato, V, 22 maggio 2013, n. 2781, citato nella memoria di replica, infine, non giova alle ragioni dell’appellante perché riferito ad un caso in cui, con l’atto di appello, la ricorrente in primo grado aveva svolto ulteriori argomenti difensivi (mere difese, appunto) a sostegno dei motivi già proposti in primo grado, per censurare ragioni della motivazione della sentenza impugnata, a loro volta, ulteriori rispetto a quelle oggetto del contraddittorio in primo grado.

Differente è, invece, la situazione processuale fin qui esaminata. L’ampliamento del thema decidendum, non consentito dal primo comma dell’art. 104 Cod. proc. amm., si ha non soltanto quando vengano impugnati in appello atti amministrativi non impugnati in primo grado, ma anche quando avverso i medesimi atti già impugnati in primo grado vengano prospettate differenti ragioni di illegittimità, come accaduto nella specie.

In conclusione, il primo motivo d’appello è inammissibile per violazione dell’art. 104, comma 1, Cod. proc. amm.

5. Col secondo motivo A.M.S.A. critica la dichiarazione di inammissibilità delle censure articolate nella seconda parte del secondo ricorso per motivi aggiunti, con le quali era stata dedotta l’insussistenza di un “controllo analogo congiunto” da parte degli enti affidanti -ed in particolare del Comune di Basiglio- sulla società in house, affidataria del servizio.

Il primo giudice ha constatato che le ragioni della ricorrente erano riferite alla disciplina societaria pregressa, basata sull’art. 22 del vecchio statuto societario del 2012 e sul regolamento del 2013 e che questi sono stati abrogati dal nuovo statuto allegato alla delibera consiliare impugnata.

Dato ciò, i motivi sono stati giudicati privi della specificità richiesta dall’art. 40, comma 1, lett. d), Cod. proc. amm. e comunque inammissibili o nulli ai sensi di questa norma e dell’art. 44 Cod. proc. amm., essendo basati “sul richiamo ad una normativa palesemente inapplicabile al provvedimento impugnato”.

5.1. L’appellante sostiene che sarebbe stato rispettato l’art. 40, comma 1, lett. c), e che non vi sarebbe stata alcuna incertezza, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. b), Cod. proc. amm., perché l’oggetto della domanda era stato perfettamente identificato e compreso dalle controparti, senza alcuna compromissione del diritto di difesa. Precisa, al riguardo, che nel ricorso erano stati citati norme e principi che devono essere osservati in tema di “controllo analogo”, così come delineato dalla giurisprudenza amministrativa e della Corte di Giustizia, sicché la circostanza che “fossero stati richiamati lo statuto del 2012, il regolamento del 2013 e non espressamente lo statuto del 2016” non cambierebbe “la sostanza delle cose”.

5.2. Il motivo è infondato.

Per come è dato evincere dalla lettura del secondo ricorso per motivi aggiunti, questi sono fondati sulle pregresse vicende societarie della S.A.S.O.M., nonché sullo statuto del 2012 e sul “regolamento per il controllo analogo”, in particolare su: compiti e poteri attribuiti al “Comitato di indirizzo e di controllo”; artt. 1,4 e 5 del regolamento; poteri del Consiglio di Amministrazione della società (pagg. 16- 21).

Orbene, il nuovo statuto, approvato nel 2016 ed allegato alla delibera consiliare impugnata, è intervenuto a modificare gli organi previsti nel precedente statuto, abolendo -come rilevato dal Tar- il Comitato di indirizzo e di controllo ed i rinvii al Regolamento per il controllo analogo, in quanto ha istituito un Comitato degli enti pubblici soci (i quali, con voto paritario, rendono pareri preventivi vincolanti ed obbligatori); inoltre, ha sostituito al Consiglio di amministrazione con un amministratore unico.

La sovrapponibilità delle due discipline statutarie va esclusa con conseguente impossibilità di riferire alla disciplina vigente le censure mosse alla disciplina attualmente in vigore, per come dimostrato per tabulas dalle censure mosse in appello nella parte in cui riguardano le modalità di funzionamento del Comitato degli enti pubblici soci, di nuova istituzione. Queste, totalmente assenti nel ricorso in primo grado - e perciò inammissibili in appello- confermano la novità della governance degli enti socie dei sistemi di controllo societari (oltre che di numerosi altri aspetti attinenti alla composizione del capitale, alle maggioranze assembleari, ai limiti del potere dell’amministratore unico, su cui non merita soffermarsi), determinata dall’approvazione del nuovo statuto nell’aprile 2016, per adeguamento al d.lgs. n. 175 del 2016.

5.3. Resta perciò da verificare se, malgrado le censure del primo grado avessero come punto di riferimento un diverso assetto societario, esse fossero, come sostenuto dall’appellante nella memoria di replica, specifiche, tali cioè da consentire comunque al giudice una pronuncia in merito alla doglianza di insussistenza di “controllo analogo”.

A questo scopo non è sufficiente il richiamo delle norme e dei principi violati, nonché delle relative interpretazioni giurisprudenziali, delle quali effettivamente il ricorso in primo grado è ampiamente munito.

Ancora, non è sufficiente la mera affermazione del ricorrente che dette norme e principi siano stati violati perché la situazione concreta non corrisponderebbe a quella astratta delineata da dette norme e principi.

Occorre che agli elementi di diritto posti a fondamento dell’impugnazione di determinati atti amministrativi, il ricorrente accompagni l’allegazione e la dimostrazione di circostanze concrete, desumibili anche da atti o documenti, specificamente individuati, che definiscano, nella loro combinazione con gli elementi di diritto, i motivi specifici della domanda di annullamento.

Non si tratta dell’elemento di cui alla lettera c) dell’art. 40 Cod. proc. amm. –esposizione sommaria dei fatti- sul quale si intrattiene l’appellante.

Si tratta piuttosto dell’indicazione degli elementi di fatto, anche documentali, sui quali i motivi di diritto si fondano; in mancanza di tale indicazione, questi risultano privi della specificità richiesta dalla lett. d) dell’art. 40.

La società ricorrente in primo grado, in effetti, ha “specificato” le proprie censure, riferendole tuttavia ad una disciplina societaria non applicabile nel caso concreto, poiché diversa da quella vigente ed espressamente presupposta nella delibera consiliare impugnata, in quanto risultante dal nuovo statuto a questa allegato.

Ne è conseguito che, venendo meno tale specifico riferimento, il motivo è risultato generico, necessitante quindi di completamento tramite il riferimento alla disciplina vigente. Il disposto del secondo comma dell’art. 40 Cod. proc. amm. impedisce, come rilevato dal Tar, un siffatto intervento correttivo-integrativo da parte del giudice, tanto più in un caso, quale quello di specie, in cui, come detto, la disciplina sopravvenuta non è affatto coincidente con quella sulla quale erano fondati i motivi di ricorso.

La sentenza impugnata va confermata nella parte in cui, ritenendo questi motivi privi di specificità perché riferiti ad una disciplina societaria abrogata e comunque non posta a base della delibera impugnata, ha escluso che la dichiarazione di inammissibilità potesse essere evitata mediante un intervento correttivo del giudice, che si porrebbe in contrasto, tra l’altro, con i principi di cui all’art. 2 Cod. proc. amm.

Il secondo motivo d’appello va perciò respinto.

6. Col terzo motivo l’appellante impugna la dichiarazione di inammissibilità per carenza di interesse del ricorso introduttivo avverso la delibera di Giunta n. 136/15, reputata dal primo giudice atto di indirizzo politico.

Col quarto motivo impugna la dichiarazione di inammissibilità dei primi motivi aggiunti avverso diversi atti comunali, reputati non lesivi della posizione giuridica della ricorrente.

6.1. Entrambi i motivi sono improcedibili per carenza di interesse, in quanto anche se fossero accolti, resterebbero validi ed efficaci -in conseguenza del mancato accoglimento dei primi due motivi d’appello- la deliberazione del Consiglio Comunale n. 27/16 e gli atti allegati e successivi, con i quali il Comune di Basiglio ha affidato alla società in house S.A.S.O.M. S.r.l. la gestione del servizio rivendicata dall’appellante.

E’ qui sufficiente richiamare il consolidato insegnamento giurisprudenziale, per il quale in presenza di vizi accertati dell'atto presupposto deve distinguersi tra invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante, nel senso che nel primo caso l'annullamento dell'atto presupposto si estende automaticamente all'atto consequenziale, anche quando questo non sia stato impugnato, mentre nel secondo caso l'atto conseguenziale è affetto solo da illegittimità derivata, e pertanto resta efficace ove non impugnato nel termine di rito. Però la prima ipotesi, quella appunto dell’effetto caducante, ricorre nella sola evenienza in cui l'atto successivo venga a porsi nell'ambito della medesima sequenza procedimentale quale inevitabile conseguenza dell'atto anteriore, senza necessità di ulteriori valutazioni, il che comporta, dunque, la necessità di verificare l'intensità del rapporto di conseguenzialità tra l'atto presupposto e l'atto successivo, con riconoscimento dell'effetto caducante solo qualora tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l'atto successivo si ponga, nell'ambito dello stesso contesto procedimentale, come conseguenza ineluttabile rispetto all'atto precedente, senza necessità di nuove valutazioni di interessi (cfr., tra le tante: Cons. Stato, V, 26 maggio 2015, n. 2611 e 20 gennaio 2015, n. 163; IV, 6 dicembre 2013, n. 5813, 13 giugno 2013, n. 3272 e 24 maggio 2013, n. 2823; VI, 27 novembre 2012, n. 5986 e 5 settembre 2011, n. 4998; V, 25 novembre 2010, n. 8243). Siffatta situazione procedimentale è da escludere nel caso della successione tra l’atto di competenza della Giunta Comunale (oggetto del terzo motivo) e l’atto adottato dal Consiglio Comunale (oggetto dei primi due motivi), previo esperimento di istruttoria e previa approvazione della relazione di cui all’art. 34, comma 20, d.l. n. 179 del 2012; a maggior ragione, è da escludere tra gli atti impugnati con i primi motivi aggiunti, riguardanti sostanzialmente la proroga della gestione nei confronti di A.M.S.A., in attesa dell’affidamento del servizio a società in house, e gli atti impugnati con i secondi motivi aggiunti, concernenti tale ultimo affidamento, oramai incontrovertibile.

In conclusione, l’appello va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in favore di ciascuna delle due parti appellate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado, che liquida, in favore di ciascuna delle parti appellate nell’importo complessivo di € 4.400,00 (quattromilaquattrocento/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2018 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Fabio Franconiero, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppina Luciana Barreca Francesco Caringella
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO



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