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Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, 26/7/2018 n. 223
Sulla possibilità, per le società in controllo pubblico, di compiere atti donativi.

Le società cc.dd. pubbliche, fra cui le cc.dd. in house, al pari di tutte le altre società, possono propriamente disporre negozi gratuiti, ovvero caratterizzati dall'assenza di controprestazione, in quanto volti alla realizzazione di un proprio interesse, patrimonialmente valutabile, comunque rientrante nell'oggetto sociale. Più difficilmente configurabile in evenienze siffatte è invece, in considerazione dei dubbi sulla stessa compatibilità strutturale fra contratto di società e donazione, l'atto donativo propriamente inteso, caratterizzato, secondo il disposto di cui all'art. 769 c.c., da liberalità, ovvero dalla coscienza, da parte del donante, di compiere, in favore del donatario, un'attribuzione patrimoniale nullo jure cogente. Tuttavia, al riguardo, la Cassazione ha di recente affermato, che le società di capitali hanno una capacità giuridica generale, che permette la stipula di qualsiasi atto o rapporto giuridico anche non rientrante nell'oggetto sociale, e che l'oggetto sociale dunque non costituisce propriamente "un limite alla capacità della società, ma piuttosto un limite al potere deliberativo e rappresentativo degli organi sociali". È dunque evidente che l'eventuale atto liberale o gratuito, estraneo all'oggetto sociale, pur rimanendo valido (arg. anche ex art. 2384 c.c.), sia di per sé suscettibile d'essere eventualmente sanzionato tramite le azioni civilistiche poste a presidio delle prerogative della società, dei soci e dei creditori sociali (artt. 2393, 2394 e 2395 c.c.). Tali fattispecie, con riferimento specifico alle società in controllo pubblico, paiono in astratto idonee, di conseguenza, ad intersecare diminuzioni patrimoniali qualificabili, ricorrendone le condizioni, in termini di danno erariale, secondo la nozione ora accolta dall'art. 12, c. 2, del TUSP; ciò anche in riferimento alla funzione di vigilanza che l'ente pubblico socio istituzionalmente svolge nei confronti delle proprie partecipate (arg. anche ex art. 147-quater del TUEL).

Materia: società / partecipazione pubblica

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA LOMBARDIA

 

composta dai magistrati:

dott.ssa Simonetta Rosa                                Presidente

dott. Giampiero Maria Gallo                         Consigliere

dott. Luigi Burti                                             Consigliere

dott. Donato Centrone                                  I Referendario

dott. Paolo Bertozzi                                       I Referendario

dott. Cristian Pettinari                                  I Referendario

dott. Sara Raffaella Molinaro                        I Referendario

nella camera di consiglio del 24 luglio 2018

visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;

vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;

vista la nota acquisita al protocollo di questa Sezione al n. 0007004 del 3 luglio 2018, con la quale il Sindaco del Comune di Milano (MI) ha chiesto un parere;

vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per deliberare sulla sopra indicata richiesta;

udito il relatore, dott. Cristian Pettinari.

PREMESSO

1.- Il Sindaco del Comune di Milano, con l’istanza indicata in epigrafe, dà atto della necessità per l'Amministrazione comunale di svolgere un approfondimento in riferimento alla tematica dell'erogazione di contributi, sovvenzioni, sussidi ed ausili finanziari da parte delle società detenute – dall’Ente medesimo – in via totalitaria e/o operanti in regime di in house providing. Al riguardo, l’Ente richiama il vigente quadro normativo (prima l'art. 18 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, e successivamente abrogato dall'art. 53 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, e, poi, gli artt. 2-bis e 26 del suddetto decreto legislativo n. 33 del 2013, nonché la deliberazione dell'ANAC n. 1134 del 8 novembre 2017, specialmente l'allegato n. 1, “Sezione Società Trasparente”, che annovera le società a controllo pubblico fra i soggetti tenuti alle pubblicazioni previste dall’art. 26 del decreto legislativo n. 33 del 2013, in relazione all’erogazione di contributi) e rileva, in particolare, che l'art. 1, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, conferma che, per quanto non espressamente derogato dalle disposizioni in esso contenute, si applicano alle società in argomento, comprese quelle in house, le disposizioni previste nel codice civile e quelle generali di diritto privato, che riconoscono la piena capacità giuridica delle società; rileva altresì che nell'attuale quadro normativo e giurisprudenziale non emergono specifici divieti in merito alla facoltà delle società a controllo pubblico di erogare contributi a soggetti terzi.

Alla luce della riportata ricostruzione, il Comune di Milano ritiene che non sussistano incertezze circa la facoltà, per le società interamente partecipate dalle pubbliche amministrazioni e per quelle operanti in regime di in house providing, di procedere alla concessione di contributi; ciò presupposto, l’Ente ritiene tuttavia che sussistano dubbi in ordine all'ambito di esercizio di tale capacità, ovvero “se, oltre all'erogazione di contributi finalizzati al sostegno di iniziative ed attività connesse e coerenti con la mission e l'oggetto della società erogante, siano egualmente legittime erogazioni finalizzate a fronteggiare situazioni di particolare emergenza sociale, quali calamità naturali o ambientali, o volte a favorire iniziative benefiche di rilevanza generale o, comunque, (…) coerenti con quelle istituzionali del Socio Comune”; ciò, “nel rispetto dei principi di trasparenza, equità ed imparzialità delle procedure di erogazione e dei relativi e conseguenti provvedimenti”, nonché di tipizzazione astratta, in un documento formale, delle condizioni e delle circostanze facoltizzanti la concessione del contributo e l’erogazione dello stesso.

Il Comune – qualora “sia condivisa e confermata” da questa Corte “la capacità giuridica delle società in house in materia di concessione di contributi” – formula dunque, ai sensi dell'art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2013, n. 131, i seguenti quesiti:

1)  «se i contributi a favore di terzi da parte di società detenute al 100% dal Comune di Milano e/o operanti in regime di in house providing debbano essere rivolti al solo sostegno di iniziative ed attività connesse e coerenti con la mission e l'oggetto della società erogante, fermo restando che l'erogazione debba avvenire secondo criteri e modalità previsti in apposite disposizioni aventi natura regolamentare, adottate dalle singole società nel rispetto dei principi di trasparenza, equità e imparzialità»;

2)  «se i suddetti contributi possano anche essere finalizzati a favorire iniziative benefiche di rilevanza generale o a fronteggiare situazioni di particolare emergenza sociale, quali calamità naturali o ambientali o, comunque, essere erogati per finalità coerenti con quelle istituzionali del Socio Comune»;

3)  se, per tali ultime erogazioni, «sia necessario e/o ammissibile un preventivo nulla osta da parte dell'Ente controllante, in un'ottica di coordinamento dei contributi erogati nell'ambito più esteso del “Gruppo Comune”, senza che ciò si configuri come un'ingerenza nell'autonomia decisionale che il Codice civile e le norme di diritto privato riconoscono a tali Organismi».

CONSIDERATO

1.- Il primo punto da esaminare concerne la verifica in ordine alla riconducibilità della richiesta proveniente dal Comune di Milano all’ambito delle funzioni attribuite alle Sezioni regionali della Corte dei conti dall’art. 7, comma ottavo, della legge 6 giugno 2003, n. 131, norma in forza della quale Regioni, Province e Comuni possono chiedere a dette Sezioni pareri in materia di contabilità pubblica, nonché ulteriori forme di collaborazione ai fini della regolare gestione finanziaria, dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.

In proposito, questa Sezione ha precisato, in più occasioni, che la funzione di cui al comma ottavo dell’art. 7 della legge n. 131 del 2003 si connota come facoltà conferita agli amministratori di Regioni, Comuni e Province di avvalersi di un organo neutrale e professionalmente qualificato per acquisire elementi necessari ad assicurare la legalità della propria attività amministrativa. I pareri e le altre forme di collaborazione si inseriscono nei procedimenti amministrativi degli enti territoriali consentendo, nelle tematiche in relazione alle quali la collaborazione viene esercitata, scelte adeguate e ponderate nello svolgimento dei poteri che appartengono agli amministratori pubblici, restando peraltro esclusa qualsiasi forma di cogestione o coamministrazione dell’ente con l’organo di controllo esterno (per tutte, v. la deliberazione di questa Sezione n. 36 del 2009).

2.- Quanto alla legittimazione ad inoltrare le istanze di parere sotto il profilo soggettivo, nel caso di specie si osserva che il Comune rientra nel novero degli enti contemplati dall’art. 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003 e che il Sindaco del Comune, attuale istante, è l’organo istituzionalmente legittimato a richiedere detto parere in quanto rappresentante legale dell’ente territoriale (cfr. gli artt. 50 e 53 del T.U.E.L.); la richiesta è dunque soggettivamente ammissibile (cfr. Sezione delle Autonomie, deliberazione n. 13 del 17 dicembre 2007; deliberazione n. 347/2015/PAR di questa Sezione).

3.- Con riferimento alla verifica del profilo oggettivo, occorre preliminarmente rilevare che la disposizione, contenuta nell’ottavo comma dell’art. 7 della legge 131 del 2003, deve essere raccordata con il precedente settimo comma, norma che attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare: a) il rispetto degli equilibri di bilancio; b) il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma; c) la sana gestione finanziaria degli enti locali.

Lo svolgimento delle funzioni è qualificato dallo stesso legislatore come una forma di controllo collaborativo.

Il raccordo tra le due disposizioni opera nel senso che l’ottavo comma prevede forme di collaborazione ulteriori rispetto a quelle del precedente settimo comma, rese esplicite, in particolare, dall’attribuzione agli enti della facoltà di chiedere pareri in materia di contabilità pubblica.

Appare conseguentemente chiaro che le Sezioni regionali della Corte dei conti non svolgono una funzione consultiva a carattere generale in favore degli enti locali e che, anzi, le attribuzioni consultive si connotano per l’intrinseca connessione con le funzioni sostanziali di controllo collaborativo a dette Sezioni conferite dalla legislazione positiva.

3.1.- Al riguardo, le Sezioni riunite della Corte dei conti, intervenendo con una pronuncia in sede di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 17, comma 31, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, hanno delineato una nozione unitaria di contabilità pubblica incentrata sul sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici, da intendersi in senso dinamico anche in relazione alle materie che incidono sulla gestione del bilancio e sui suoi equilibri (delibera n. 54 del 2010).

Il limite della funzione consultiva, come sopra delineato, esclude qualsiasi possibilità di intervento della Corte dei conti nella concreta attività gestionale ed amministrativa, che ricade nell’esclusiva competenza dell’ente che la svolge; esclude, altresì, che la funzione consultiva possa interferire in concreto con competenze di altri organi giurisdizionali, ovvero con altre competenze della stessa Corte dei conti o di altri organi.

3.2.- Con riferimento alla richiesta oggetto della presente pronuncia, la Sezione rileva che essa attiene, intesa in termini generali, al corretto impiego dello strumento societario per la realizzazione dei fini istituzionali dell’ente pubblico socio, aspetto, questo, suscettibile d’essere  analizzato in questa sede (cfr. ex multis la deliberazione di questa Sezione n. 184/2017/PAR; la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Regione Liguria n. 48/2015/PAR e la deliberazione della Sezione regionale di controllo della Regione Abruzzo n. 252/2016/PAR). Il Collegio ritiene, pertanto, che la richiesta, intesa in tali termini generali, debba essere conseguentemente scrutinata nel merito; al contempo, verranno di seguito indicati gli specifici profili dei quesiti posti ritenuti invece inammissibili.

MERITO

4.- In via preliminare, la Sezione precisa che le scelte espresse dall’Ente nell’esercizio del proprio potere di socio nei confronti delle società interamente partecipate o in house rientrano, in concreto, nella discrezionalità dell’Ente medesimo, quali scelte di amministrazione attiva; su di esse questa Corte non può dunque nemmeno indirettamente pronunciarsi.

5.- Ciò presupposto, si deve rilevare che il c.d. testo unico delle società partecipate (decreto legislativo n. 175 del 2016) ha accolto una più marcata prospettiva di omogeneizzazione delle società in controllo pubblico, fra cui le cc.dd. in house, e le società civilistiche, come si evince, in linea generale, dal rinvio operato dall’art. 1, comma 3, del TUSP allo statuto di queste ultime e dall’assoggettamento delle prime alla disciplina fallimentare (art. 14, comma 1, TUSP); ciò, con evidenza, anche rispetto agli elementi essenziali del contratto di società, salve le deroghe recate dal testo unico medesimo, e, in particolare, rispetto all’obbligo di osservanza – se non di una vera e propria “causa lucrativa” – (quantomeno) dell’equilibrio economico della gestione, inteso come tendenziale ed astratta equivalenza dei costi e ricavi degli esercizi (v. i pareri di questa Sezione nn. 122/2013/PAR; 636/2011/PAR).

È dunque evidente che, intesi in tal modo i termini del problema, si deve ritenere che le società cc.dd. pubbliche, al pari di tutte le altre società, possano propriamente disporre negozi gratuiti, ovvero caratterizzati dall’assenza di controprestazione, in quanto volti alla realizzazione di un proprio interesse, patrimonialmente valutabile, comunque rientrante nell’oggetto sociale.

Più difficilmente configurabile in evenienze siffatte è invece, in considerazione dei dubbi sulla stessa compatibilità strutturale fra contratto di società e donazione, l’atto donativo propriamente inteso, caratterizzato, secondo il disposto di cui all’art. 769 c.c., da liberalità, ovvero dalla coscienza, da parte del donante, di compiere, in favore del donatario, un’attribuzione patrimoniale nullo jure cogente (v. sul punto, per tutte, Cassazione 2 dicembre 1974, n. 3929). Tuttavia, al riguardo, la Cassazione ha di recente affermato, proprio con riferimento ad una fattispecie per certi versi analoga, che le società di capitali hanno una capacità giuridica generale, che permette la stipula di qualsiasi atto o rapporto giuridico anche non rientrante nell'oggetto sociale, e che l’oggetto sociale dunque non costituisce propriamente “un limite alla capacità della società, ma piuttosto un limite al potere deliberativo e rappresentativo degli organi sociali” (Cassazione, sez. III civile, 21 settembre 2015, n. 18449).

È dunque evidente che l’eventuale atto liberale o gratuito, estraneo all’oggetto sociale, pur rimanendo valido (arg. anche ex art. 2384 c.c.), sia di per sé suscettibile d’essere eventualmente sanzionato tramite le azioni civilistiche poste a presidio delle prerogative della società, dei soci e dei creditori sociali (artt. 2393, 2394 e 2395 c.c.). Tali fattispecie, con riferimento specifico alle società in controllo pubblico, paiono in astratto idonee, di conseguenza, ad intersecare diminuzioni patrimoniali qualificabili, ricorrendone le condizioni, in termini di danno erariale, secondo la nozione ora accolta dall’art. 12, comma 2, del TUSP; ciò anche in riferimento alla funzione di vigilanza che l’ente pubblico socio istituzionalmente svolge nei confronti delle proprie partecipate (arg. anche ex art. 147-quater del TUEL). È quindi chiaro che, in materia, questa Sezione non possa spingersi oltre – anche in considerazione del portato dell’art. 69, comma 2, del decreto legislativo n. 174 del 2016 – dato che in tal modo potrebbe incidere sulle funzioni dell’Ufficio di Procura e su valutazioni che spetta alle Sezioni giurisdizionali di questa Corte compiere, con riferimento alle specifiche evenienze; interferenza questa che determina, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’inammissibilità degli ulteriori profili delle richieste di parere (da ultimo, v. le deliberazioni di questa Sezione nn. 42/2018/PAR; 234/2017/PAR).

6.- Deve peraltro rilevarsi che l’ordinamento permette all’Ente locale di avvalersi, per la realizzazione delle proprie finalità, di un vasto novero di soggetti, anche aventi natura non societaria (ad es., istituzioni, aziende speciali, associazioni e fondazioni, secondo l’elencazione dell’art. 113-bis del TUEL).  Orbene, spetta all’ente individuare il corretto tramite giuridico per il proprio intervento nelle diverse ipotesi senza, tuttavia, che tale discrezionalità possa ridondare in forzature nell’impiego dello strumento societario e della sua causa a fini non intrinsecamente propri, dato che in tali evenienze, nello scegliere la forma societaria, è il pubblico potere, secondo l’indicazione contenuta nella Relazione al Codice civile, «che si assoggetta alla legge della società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici», di modo che «la disciplina comune della società per azioni deve (…) applicarsi anche alle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici senza eccezioni, salvo che norme speciali non dispongano diversamente» (Relazione al Codice civile, § 998).

7.- Spetta al Comune richiedente, sulla base dei principi così espressi, valutare attentamente le possibili fattispecie prospettate, nell’ambito dei controlli ad esso intestati sugli organismi partecipati, al fine di addivenire ad una corretta applicazione dei principi stessi in riferimento alle specifiche situazioni descritte. In particolare, non può non rilevarsi come l’Ente socio, nella fattispecie, possa svolgere tali controlli sia, in via “preventiva”, inserendo nello statuto sociale un’eventuale apposita clausola di coinvolgimento dell’Assemblea dei soci nell’attività amministrativa ex art. 2369, n. 5, c.c. (nella misura in cui ciò rimanga oggi possibile), sia nella definizione del contenuto della convenzione di servizio che regola i rapporti fra Ente pubblico socio e società, sia infine, in via “successiva”,  nell’ambito dell’esercizio dei poteri di monitoraggio periodico di cui all’art. 147-quater del TUEL.

 

P.Q.M.

Nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione.

           Il Relatore                                                                            Il Presidente

(dott. Cristian Pettinari)                                                   (dott.ssa Simonetta Rosa)

 

 

Depositata in Segreteria il

26 Luglio 2018

Il Direttore della Segreteria

(dott.ssa Daniela Parisini)

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