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Consiglio di Stato, Sez. V, 6/10/2018 n. 5751
Le prerogative di autonomia e indipendenza dell'avvocato dipendente di un ente pubblico non comportano il riconoscimento della qualifica dirigenziale.

Nessuna disposizione di legge o di regolamento stabilisce che le prerogative di autonomia e indipendenza dell'avvocato dipendente di un ente pubblico comportino in via necessaria il riconoscimento della qualifica dirigenziale. Il riconoscimento o meno della qualifica dirigenziale rientra comunque nell'ambito delle competenze organizzative della Giunta la quale, nell'adottare le relative determinazioni, si rapporterà secondo il principio di proporzionalità alle concrete circostanze del caso, ivi compresa la dimensione organizzativa del singolo ente.

E' lo stesso Testo unico degli enti locali (d.lgs n. 267/200) ad ammettere che nei comuni privi di dirigenza le funzioni di cui all'art. 107 possano essere demandate ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla qualifica funzionale formalmente posseduta (in tal senso, l'art. 109, c. 2, del medesimo Testo unico).


Materia: enti locali / ordinamento
Pubblicato il 06/10/2018

N. 05751/2018REG.PROV.COLL.

N. 04457/2008 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4457 del 2008, proposto da: 
Molini Tosca, rappresentata e difesa dall'avvocato Evaristo Petrocchi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Salvatore Napolitano in Roma, via Zara 16

contro

Comune di Assisi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Caforio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Enrico Tonelli in Roma, piazza Barberini, 12 

nei confronti

Gentili Antonio, non costituito in giudizio

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, n. 941/2007


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Assisi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 settembre 2018 il Cons. Claudio Contessa e udito l’avvocato Petrocchi per l’appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso recante n. 224/2007 l’avvocato dipendente del Comune di Assisi, Tosca Molini, impugnava, innanzi al Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, la Delibera di Giunta Municipale n. 110 del 9 Maggio 2007 recante la riorganizzazione degli uffici e dei servizi comunali, censurandone la violazione dei principi dell’azione amministrativa, la violazione di legge e l’eccesso di potere per sviamento, illogicità, disparità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e travisamento di fatti e presupposti.

Con sentenza n. 941 del 7 novembre 2007, il giudice dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per le questioni inerenti al rapporto di lavoro ed accoglieva parzialmente il ricorso annullando le disposizioni di ricollocazione dell’Ufficio legale di cui al provvedimento gravato.

Il ricorso veniva respinto sotto ogni altro profilo.

Avverso siffatta decisione ha proposto appello l’avvocato Tosca Molini la quale ne ha chiesto l’annullamento e la riforma per errori in procedendo e in iudicando riconducibili alle statuizioni circa la giurisdizione, alla violazione dell’art. 3 r.d.-l. 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore), alla mancata assegnazione dell’ufficio legale alla responsabilità di un avvocato dirigente, alla soppressione dell’orario flessibile e alla declaratoria dei compiti dell’Ufficio legale.

L’appellante ha altresì riproposto puntualmente i primi quattro motivi del ricorso di primo grado.

I motivi di appello risultano così rubricati:

I) Sulla giurisdizione – 1. Sul quarto motivo del ricorso di primo grado, in relazione al quale il T.A.R. ha affermato il proprio difetto di giurisdizione;

2. Sul settimo motivo del ricorso di primo grado, in relazione al quale il T.A.R. ha affermato il proprio difetto di giurisdizione;

.II) Nel merito – 3. Sulla violazione dell’art. 3 del R.D. 1578/1933;

4. Sulla reiezione della domanda riguardante l’assegnazione dell’ufficio legale alla responsabilità di un Dirigente – Avvocato;

5. Sulla reiezione delle domande riguardanti la soppressione del preesistente riconoscimento istituzionale dell’orario flessibile nonché la irrazionalità della declaratoria dei compiti dell’ufficio legale;

6. Riproposizione dei primi quattro motivi del ricorso di primo grado;

7. Riproposizione del settimo motivo di gravame del ricorso di primo grado.

Nell’ambito di tale giudizio è costituito il Comune di Assisi il quale, precisando di aver già proposto autonomo appello avverso sentenza epigrafata, ha concluso per la reiezione dell’avversa impugnazione.

All’udienza pubblica del 20 settembre 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dall’avvocato Tosca Molini, avvocato dipendente del Comune di Assisi (PG) avverso la sentenza Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria con cui è stato accolto (ma solo in parte) il ricorso avverso gli atti con cui è stata disposta la nuova collocazione funzionale dell’Ufficio legale del Comune e sono state adottate disposizioni organizzative concernenti (fra l’altro) l’ufficio in questione.

2. Va in primo luogo osservato che l’autonomo ricorso proposto dal Comune di Assisi avverso la rubricata sentenza n. 941/2007 per le parti a sé sfavorevoli (si tratta del ricorso iscritto al n. 2581/2008) è stato dichiarato perento con decreto decisorio n. 683/2014.

Si è quindi formato il giudicato sulle statuizioni di annullamento del nuovo assetto organizzativo comunale per le parti relative alla disposta collocazione dell’Ufficio legale nell’ambito del Settore Polizia municipale.

3. Come anticipato in narrativa, il primo giudice ha dichiarato il difetto di giurisdizione in relazione a molteplici profili del ricorso introduttivo e ha accolto lo stesso in relazione all’incongruità della collocazione funzionale dell’ufficio legale alle dipendenze del coordinatore del Settore Polizia Municipale, respingendolo per il resto.

Con l’appello in epigrafe l’avvocato Molini contesta sia la statuizione in punto di giurisdizione, sia la reiezione nel merito del ricorso introduttivo.

4. Con un primo motivo l’appellante contesta la sentenza in epigrafe per avere dichiarato il difetto di giurisdizione in relazione ai ‘comportamenti meri’ attraverso i quali il Comune appellato avrebbe ignorato – con un contegno univoco e concludente – le necessità operative del Servizio affari giuridici.

L’appellante osserva al riguardo che il complesso delle richiamate condotte (concretatesi – inter alia – nel diniego di apertura di una porta di comunicazione, nel diniego di usufruire di una collaborazione temporanea a costo modesto, nonché ai richiami ripetuti all’eccessiva onerosità delle richieste del Servizio) non assumerebbe la configurazione di un mero contegno materiale, ma rileverebbe quale comportamento amministrativamente qualificato in relazione al quale sussisterebbe la giurisdizione del giudice amministrativo e può essere pronunciato un giudizio in relazione a possibili profili di eccesso di potere.

4.1. Il motivo è infondato.

4.1.1. Esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo i profili della vicenda aventi conseguenze meramente fattuali (come la richiamata, mancata apertura di una porta di comunicazione), restando pertanto confinati nell’ambito del ‘comportamenti amministrativi meri’ sottratti in quanto tali alla giurisdizione del G.A..

4.1.2. Esulano altresì da questa giurisdizione le questioni che, pur palesando risvolti organizzativi, si esauriscono nell’ambito della c.d. ‘micro-organizzazione’ di cui è menzione all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (come il lamentato diniego di riconoscere all’appellante l’ausilio di una collaborazione temporanea) e che, ai sensi dell’articolo 63 del medesimo decreto legislativo, restano anch’esse sottratte alla giurisdizione del G.A..

4.1.3. Per quanto riguarda, infine, le conseguenze pregiudizievoli in termini di trattamento economico derivanti dal mancato riconoscimento delle funzioni dirigenziali o dell’invocata posizione organizzativa, si tratta (a ben vedere) di questioni in toto connesse alla legittimità degli atti con cui è stata stabilita nel corso del tempo la collocazione organizzativa dell’Ufficio legale.

Tuttavia, per le ragioni che di seguito saranno esposte, gli atti con cui è stata fissata la richiamata collocazione risultano esenti dalle rubricate censure, non palesano i lamentati profili di eccesso di potere (nelle sue diverse figure sintomatiche) e resistono conseguentemente al dispiegato appello.

Osserva comunque il Collegio che l’appellante non ha addotto elementi dirimenti atti a suffragare la tesi per cui “la penalizzazione economica [costituirebbe] la ragione primaria delle illegittime misure organizzative attuali e pregresse”.

La prospettiva richiamata comporta invero un’inconferente inversione logica, postulando l’esistenza di un vero e proprio fumus persecutionis nei confronti dell’appellante che, comunque, non risulta adeguatamente dimostrato né nella sua ragione, né nei suoi elementi costitutivi.

Ad avviso del Collegio, al contrario, sono le scelte organizzative dell’ente (che risultano, per le ragioni che si esporranno, legittime) ad aver determinato altrettanto legittime – pur se sgradite – conseguenze economiche. Non è stato invece addotto alcun elemento che dimostri l’opposta prospettiva secondo cui l’intento di penalizzare l’appellante sotto il profilo economico avrebbe rappresentato la ratio di fondo (e lo stesso ubi consistam) delle scelte organizzative adottate nel corso del tempo dal Comune.

4.1.4. Neppure può essere accolto l’ulteriore motivo di appello con cui si è lamentata l’erroneità della sentenza per avere il primo giudice dichiarato il difetto di giurisdizione in relazione alla mancata attribuzione all’appellante delle cc.dd. ‘posizioni organizzative’ di cui del C.C.N.L. 31 marzo 1999.

Anche in questo caso, infatti, ciò che rileva in punto di giurisdizione è la circostanza per cui l’attribuzione o meno delle cc.dd. ‘posizioni organizzative’ in favore dei singoli dipendenti rappresenti espressione tipica del potere di ‘micro-organizzazione’ (i.e.: di quel complesso di poteri e facoltà che, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, cit., si traduce nell’adozione di misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro).

Non viene infatti in rilievo la scelta (di carattere generale) di istituire o meno l’area delle posizioni organizzative di cui all’articolo 8 del CCNL in data 31 marzo 1999 per il comparto Regioni – enti locali, quanto piuttosto la scelta di non attribuire individualmente tale posizione all’appellante in relazione alle peculiarità della prestazione lavorativa svolta.

Le valutazioni da ultimo richiamate, quindi, esulano dall’ambito della c.d. ‘macro-organizzazione’ ed afferiscono ai profili di gestione del singolo rapporto lavorativo, la cui cognitio resta demandata al giudice ordinario.

5. Con il primo motivo del merito (pagine da 10 a 15 del ricorso in appello) l’appellante lamenta che erroneamente il primo giudice abbia respinto il motivo con il quale si era lamentato che la concreta configurazione organizzativa adottata dal Comune si ponesse in contrasto con le prerogative di autonomia e indipendenza sancite dall’articolo 3 della legge professionale (r.d. 27 novembre 1933, n. 1578).

In particolare, nel rendere la sentenza avrebbe erroneamente omesso di considerare:

- che le prerogative di autonomia e indipendenza non possono restare confinate entro un ambito meramente formale, ma richiedono l’adozione di concrete misure idonee a garantirne la realizzazione;

- che, in particolare, l’effettività delle prerogative richiede che l’esercizio dell’avvocatura in un ente pubblico (quale il Comune) sia organizzato nell’ambito di una struttura funzionalmente autonoma (i.e.: attraverso l’istituzione di un ufficio legale dotato di un effettivo grado di autonomia rispetto agli altri uffici del Comune);

- che non sarebbe sufficiente ad assicurare le ridette prerogative la sola previsione di un ufficio legale, ovvero il richiamo al rispetto delle pertinenti norme deontologiche (richiamo il quale, a ben vedere, vincolerebbe il professionista piuttosto che l’ente);

- che, riguardando la concreta configurazione organizzativa del Comune, emerge un assetto fortemente gerarchizzato, inidoneo a garantire il rispetto delle necessarie garanzie di autonomia e indipendenza dell’avvocatura civica.

5.1. Il motivo è nel complesso infondato.

5.1.1. Va premesso che, a seguito dell’accoglimento in primo grado del motivo di ricorso con il quale si era lamentata la disposta subordinazione dell’Ufficio legale al Settore Polizia Municipale, vengono meno a ben vedere le ragioni originarie che avevano supportato l’articolazione dell’originario motivo di ricorso.

Va qui ribadito che (come già anticipato in narrativa) il ricorso in appello proposto dal Comune avverso il capo della sentenza che aveva annullato de determinazioni organizzative in punto di subordinazione dell’ufficio legale al Settore Polizia municipale, è stato dichiarato perento con decreto n. 683/2014.

La sentenza impugnata è pertanto passata, per quanto riguarda tale aspetto, in cosa giudicata.

Ne consegue che non permanga in capo all’avvocato Molini un interesse diretto e attuale a coltivare ulteriormente l’impugnativa avverso la concreta configurazione organizzativa dell’ente (in punto di collocazione dell’ufficio legale) una volta che quella configurazione è stata annullata in sede giurisdizionale con decisione passata in giudicato.

5.1.2. Si osserva in secondo luogo (e per quanto riguarda le questioni inerenti i presupposti processuali e le condizioni dell’azione, che possono essere sollevate d’ufficio anche in grado di appello) che non sussistere la legittimazione e l’interesse in capo all’odierna appellante ad articolare uti singula motivi di ricorso inerenti la configurazione organizzativa dell’ufficio legale.

Invero, mentre è pacifico che l’appellante abbia buon titolo per contestare in giudizio le lamentate violazioni delle prerogative inerenti il proprio status professionale e lavorativo, al contrario la stessa non risulta legittimata ad agire a tutela delle prerogative organizzative dell’ufficio presso il quale risulta incidentalmente inserita, non disponendo ad alcun titolo della rappresentanza legale dello stesso, ed essendo l’ufficio pubblico, per principio generale dello Stato di diritto, impersonale.

Il ricorso originario si prestava quindi, sotto tale aspetto, ad essere dichiarato inammissibile prima ancora che infondato.

5.1.3. Venendo ora al merito delle prerogative inerenti lo status dell’avvocato dipendente di un ente pubblico (e dopo aver superato le improprie commistioni fra le censure finalizzate alla tutela di tale status e quelle finalizzate alla tutela del posizionamento organizzativo dell’ufficio in quanto tale), osserva il Collegio che le censure articolate non risultano fondate.

Al riguardo l’appellante bene ha richiamato i consolidati orientamenti che garantiscono all’avvocato dipendente di un ente pubblico adeguati profili di indipendenza e autonomia nell’esercizio della propria attività professionale (cfr. Corte cost.,, 28 luglio 1988, n. 928 e 21 novembre 2006, n. 390.; Cass.,SS.UU.., 19 ottobre1998, n. 10367 e 15 dicembre 2000, n. 1268).

Ma l’appellante non ha indicato concreti elementi atti a dimostrare che, nell’attuale assetto organizzativo e nella concreta gestione funzionale della propria attività lavorativa, risultino violazioni effettive del proprio statusprofessionale (non potendosi evidentemente considerare tali le sole conseguenze derivanti dalla sua oggettiva qualificazione come dipendente del Comune).

Le ragioni della domanda appaiono connotate da un equivoco di fondo: quello secondo cui l’unico legittimo (e quindi possibile) assetto dello status professionale dell’avvocato dipendente (e della struttura presso la quale lo stesso è inserito) comporterebbe in modo necessario:

i) la più totale autonomia funzionale rispetto agli altri Uffici e servizi (non ammettendo forma alcuna di coordinamento organizzativo o operativo);

ii) il riconoscimento di una collocazione di carattere apicale (e quindi – in via altrettanto necessaria – dello status dirigenziale).

Si osserva in primo luogo che, ancora una volta la richiamata impostazione sembra derivare da una sorta di impropria commistione fra le prerogative proprie del professionista dipendente in quanto tale e quelle dell’ufficio presso cui lo stesso presta servizio (commistione che probabilmente nel caso in esame deriva dall’essere l’odierna appellante l’unico addetto all’ufficio legale).

Si osserva in secondo luogo (ricollegandosi a quanto già anticipato sub 5.1.1.) che le decisioni inerenti la collocazione organizzativa e funzionale dell’ufficio legale (come di qualunque altra articolazione dell’apparato comunale) rientrano fra le prerogative della Giunta comunale ai sensi dell’articolo 48, comma 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e che le relative determinazioni – in quanto connotate dalla spendita di lata discrezionalità - non possono essere censurate in giudizio se non in caso di macroscopici profili di irragionevolezza o abnormità (nel caso di specie non sussistenti).

Si rammenta poi che questa Sezione ha recentemente rilevato che nessuna lesione delle prerogative di «piena indipendenza ed autonomia», previste dalla legge di ordinamento professionale in favore degli avvocati alle dipendenze di enti pubblici, è configurabile per effetto dell'attribuzione al segretario generale del comune di poteri di indirizzo, coordinamento e controllo e della nomina di legali esterni all'ente, dal momento che l’autonomia riconosciuta agli avvocati degli enti pubblici concerne ex art. 23, comma 1, l. 31 dicembre 2012 n. 247 la «trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente» e non attiene invece a aspetti di carattere organizzativo. L’ufficio del servizio legale è comunque solo una componente rispetto alla complessiva organizzazione amministrativa comunale, pur se va ricoperto da figure professionali dotate di una particolare condizione correlata alla caratterizzazione dei relativi compiti (Cons. Stato, V, 7 giugno 2016, n. 2434).

La questione è patentemente analoga a quella qui oggi al vaglio, e la conseguenza in punto di valutazione non può che essere la medesima.

Del resto, anche a tutto concedere, vale osservare che il primo giudice ha censurato il carattere incongruo della disposta collocazione dell’Ufficio legale alle dipendenze del Settore Polizia Municipale, lasciando – per il resto – intatta l’espressione del potere di autorganizzazione del Comune in sede di nuova definizione dell’assetto organizzativo.

5.2. Occorre a questo punto svolgere alcune considerazioni per ciò che riguarda gli ulteriori elementi addotti dall’appellante (e dai quali emergerebbe il contegno lato sensu sviatorio del Comune).

Ci si riferisce (fra l’altro): i) alle lamentate interferenze organizzative; ii) ai lamentati dinieghi opposti a fronte di “semplici richieste di miglioramento del servizio”; iii) alla mancata partecipazione alla formazione del PEG; iv) alla mancata possibilità di avvalersi di collaboratori; v) al lamentato – ed eccessivo – ricorso al patrocinio esterno.

5.2.1. Si osserva nondimeno che osta all’accoglimento delle doglianze il duplice rilievo per cui: i) l’appellante uti singula non ha legittimazione e interesse a contestare il complesso delle condotte che determinerebbero la violazione delle prerogative dell’ufficio nel suo complesso; ii) la sentenza ha comunque disposto l’annullamento dell’assetto organizzativo impresso nel corso del 2007 (Delibera di Giunta n. 110 del 2007) per la parte in cui comportava la sottoposizione gerarchica dell’ufficio legale al Settore Polizia Municipale.

Una volta intervenuto tale annullamento, l’eventuale valorizzazione delle prerogative dell’ufficio non potrebbe che intervenire all’esito della definizione di un nuovo assetto organizzativo (evidentemente diverso da quello nel cui ambito sarebbero maturate le condotte contestate).

5.2.2. Laddove, invece, si intenda riguardare le richiamate circostanze sotto il diverso angolo visuale dell’asserita violazione dei diritti del lavoratore dipendente, osta al loro vaglio la circostanza che ineriscono alla gestione del rapporto lavorativo, la cui cognizione è sottratta al giudice amministrativo (sotto tale aspetto è qui sufficiente richiamare quanto esposto retro, sub 4.1.1, 4.1.2, 4.1.3 e 4.1.4).

Anche per tale ragione il ricorso in appello non può trovare accoglimento.

5.3. Non può poi essere accolto il motivo di ricorso con cui si chiede la riforma della sentenza in punto di mancato riconoscimento della qualifica dirigenziale al coordinatore dell’Ufficio legale.

Si osserva al riguardo:

- che nessuna disposizione di legge o di regolamento stabilisce che le prerogative di autonomia e indipendenza dell’avvocato dipendente di un ente pubblico comportino in via necessaria il riconoscimento della qualifica dirigenziale;

- che il riconoscimento o meno della qualifica dirigenziale rientra comunque nell’ambito delle competenze organizzative della Giunta (la quale, nell’adottare le relative determinazioni, si rapporterà secondo il principio di proporzionalità alle concrete circostanze del caso, ivi compresa la dimensione organizzativa del singolo ente). Ebbene, anche sotto tale profilo non emergono in atti palesi profili di abnormità connessi alla scelta di non attribuire la qualifica dirigenziale al coordinatore dell’Ufficio legale del Comune di Assisi;

- che, secondo quanto riferito dalla stessa appellante, la stessa è il solo dipendente addetto all’Ufficio legale, il che conferma la complessiva congruità della scelta di non riconoscere la qualifica dirigenziale al coordinatore di un Ufficio di ridottissime dimensioni (e, di fatto, unipersonale);

5.4. Ed ancora, non può essere condivisa la tesi riportata a pag. 17 dell’atto di appello secondo cui solo con l’attribuzione della qualifica dirigenziale sarebbe possibile riconoscere piena e adeguata autonomia tecnico-gestionale ai coordinatori degli uffici e dei servizi comunali.

Si osserva in contrario – oltre la richiamata giurisprudenza della Sezione - che è lo stesso Testo unico degli enti locali ad ammettere che (nei comuni privi di dirigenza) le funzioni di cui all’articolo 107 possano essere demandate ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla qualifica funzionale formalmente posseduta (in tal senso, l’articolo 109, comma 2, del medesimo Testo unico).

5.5. Non può poi trovare accoglimento il motivo di ricorso con cui si è lamentata l’erroneità della sentenza per avere respinto il motivo articolato avverso il mancato riconoscimento dell’orario flessibile (quale prerogativa ‘istituzionale’ del munus di avvocato dipendente).

Va premesso al riguardo che dalla concreta articolazione del motivo non è del tutto chiaro se la censura riguardi “lo svilimento della autonomia del servizio” (in tal senso la pagina 20 dell’atto di appello) ovvero concrete difficoltà frapposte all’ottimale espletamento delle attività d’ufficio.

In ambo i casi ostano all’accoglimento della censura: i) il fatto che la stessa appellante ammetta di avere ottenuto misure di flessibilizzazione dell’orario; ii) il fatto che l’appellante non alleghi fatti e circostanze puntuali idonee a dimostrare che la mancata concessione ‘a regìme’ dell’orario flessibile abbia ostacolato l’esercizio delle attività di competenza.

Al riguardo ci si limita ad osservare che il rispetto dell’orario di servizio (sia pure temperato attraverso forme di flessibilizzazione volte a tener conto delle peculiarità delle funzioni svolte) non rappresenta una sorta di prerogativa professionale indefettibile dell’avvocato dipendente (nel senso – ad esempio - che il rispetto di un certo monte ore lavorativo rappresenti di per sé una misura idonea a svilire il munus dell’avvocato).

Le richiamate forme di flessibilizzazione, in definitiva, non costituiscono una prerogativa individuale finalizzata a preservare lo status dell’avvocato dipendente (nell’esclusivo interesse di quest’ultimo), ma costituiscono – piuttosto – misure volte a migliorare e funzionalizzare l’attività professionale svolta (nell’interesse generale dell’ottimale organizzazione dell’attività lavorativa).

5.6. Non può poi trovare accoglimento il motivo di appello con cui si è chiesta la riforma della sentenza per la parte in cui ha respinto il motivo relativo al carattere “irrazionale e sovrabbondante” di alcune fra le funzioni attribuite all’Ufficio legale.

L’appellante sottolinea nella presente sede di appello l’irragionevolezza delle numerose clausole organizzative che risulterebbero idonee ad innestare in capo all’avvocato dipendente funzioni e compiti di carattere pressoché indefinito (vengono all’uopo richiamate locuzioni del tipo “(…) ogni altra attività affidatagli dal segretario generale nell’esercizio di ogni altra funzione conferitagli dal Sindaco”).

Si osserva in primo luogo che il motivo non può trovare accoglimento in quanto – ancora una volta – l’appellante risulta priva di legittimazione e interesse ad impugnare le prerogative generali dell’ufficio presso il quale risulta incidentalmente incardinata e del quale non ha comunque la rappresentanza legale.

Si osserva in secondo luogo che le richiamate clausole (alcune delle quali sono riportate de extenso alla pag. 21 dell’atto di appello) non comportando di per sé alcun irrazionale o indefinito ampliamento delle funzioni demandate all’Ufficio legale.

Infatti (come bene osservato dall’appellata sentenza) le richiamate previsioni organizzative rappresentano ‘clausole di chiusura’ di carattere usuale nella pratica organizzativa e non possono che essere intese nel senso di limitare il possibile ampliamento di competenze a quanto strettamente inerente le funzioni tipiche dell’Ufficio legale.

E’ evidente che, a fronte di due possibili interpretazioni delle richiamate clausole (una volta ad ammettere un irragionevole ampliamento delle funzioni dell’ufficio e un’atra volta ad ammettere ampliamento di carattere limitato, settoriale e coerente con il suo assetto di fondo), l’interprete debba senz’altro aderire alla seconda impostazione, non aderendo a percorsi interpretativi in malam partem di carattere meramente potenziale.

6. Per ragioni del tutto connesse a quelle sin qui illustrate, neppure possono trovare accoglimento i primi quattro motivi di ricorso già articolati in primo grado e qui puntualmente riproposti.

6.1. In particolare – e per le ragioni già illustrate in precedenza - non possono trovare accoglimento:

- i motivi con cui si è lamentata la violazione delle prerogative dell’avvocato sancite dall’articolo 3 del r.d. n. 1578 del 1933;

- i motivi con cui si è lamentata l’illegittimità della presunta dipendenza dell’avvocato dipendente all’autorità di un dirigente;

- i motivi con cui si è affermato che le misure organizzative impugnate in primo grado risponderebbero a una precisa “volontà di penalizzazione dell’ufficio” (pag. 25 del ricorso in appello) o dalla volontà “di penalizzare il ruolo della ricorrente dal punto di vista economico” (ivi, pag. 26).

6.1. Per le medesime ragioni già esaminate in precedenza, non può infine trovare accoglimento il settimo dei motivi di primo grado (qui riproposto) con il quale si era lamentato il carattere incongruo ed illegittimo delle determinazioni adottate dal Comune in sede di attribuzione delle posizioni organizzative e dei benefìci economici che alla medesime sono connessi).

7. Per le ragioni esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.

Il Collegio ravvisa nondimeno giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Claudio Contessa Giuseppe Severini
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

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