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Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 24/3/2021 n. 240
Sulla necessità di due distinti codici univoci, in capo allo stesso soggetto, per l’esercizio dell’attività di farmacista e di grossista

Il titolare della farmacia che dispone, a seguito dell'abrogazione del regime di incompatibilità, anche di una autorizzazione alla distribuzione all'ingrosso di farmaci non può, per ciò stesso, ridistribuire come grossista i medicinali acquistati come farmacista, dovendo operare con un codice identificativo distinto da quello della farmacia. Ciò in quanto, ogni operazione effettuata dal distributore all'ingrosso dei medicinali deve essere "tracciata" mediante l'utilizzo da parte del distributore medesimo del codice attribuitogli dal Ministero e deve essere documentata così come richiesto nel dettaglio dal d.lgs. 24 aprile 2006, n. 219 (art. 5-bis, d.lgs. n. 540/1992 e d.m. 15 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 2 del 4 gennaio 2005, artt. 104, comma 1, lett. e) e 105, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 219 del 2006).

Materia: servizio farmaceutico / disciplina
Pubblicato il 24/03/2021

N. 00240/2021REG.PROV.COLL.

N. 00726/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 726 del 2017, proposto dall’ Azienda Sanitaria Provinciale di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonino Ravì, con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso lo studio dell’ avv. Carlo Comandè in Palermo, via Caltanissetta 2/D;

contro

Farmacia Dr. Sergio De Lorenzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alfredo Contieri e Giovanni Immordino, con rispettivi domicili digitali come da pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo in Palermo, viale Libertà n. 171;

nei confronti

Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, presso la cui sede distrettuale è domiciliata ex lege in Palermo, via Villareale 6;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - sezione staccata di Catania - (Sezione Quarta) n. 143/2017 del 15 dicembre 2016 e depositata il 24 gennaio 2017


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’articolo 4 del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70;

Visto l’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Farmacia del Dr. Sergio De Lorenzo e del Ministero della Salute;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 23 febbraio 2021, svoltasi mediante collegamento da remoto, il Cons. Giovanni Ardizzone;

Considerati presenti, ex art. 4 comma 1 penultimo periodo d.l. n. 28/2020 e art. 25 d.l. n. 137/2020, gli avvocati Antonino Ravì e Alfredo Contieri;

Vista la richiesta di passaggio in decisione senza discussione presentata dall'Avvocatura dello Stato con nota di carattere generale a firma dell’Avvocato distrettuale del 2 febbraio 2021;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’Azienda Sanitaria Provinciale di Messina (d’ora in poi Asp) ricorre in appello per chiedere l’annullamento e/ o la revoca della sentenza in epigrafe indicata, con la quale il Tar ha accolto l’originario ricorso del dr. Sergio De Lorenzo, annullando la nota n. 137 del 12 gennaio 2016 avente ad oggetto la «diffida» a carico della Ditta De Lorenzo Sergio dal «vendere medicinali acquistati con il codice identificativo della farmacia a distributori all'ingrosso o ad altre farmacie».

2. L’appellato, nel giudizio di primo grado, avendo premesso che, nella qualità di titolare di farmacia, era stato autorizzato, con apposito provvedimento regionale, DDG n. 401 del 10 marzo 2015, alla distribuzione all’ingrosso di medicinali ad uso umano ai sensi e per gli effetti del d.lgs. 219/2006, esponeva che l’Asp di Messina, acquisita la nota prot. 1/212-1 del 28 dicembre 2015 dei Nas di Catania, ha inoltrato la citata diffida n. 137 del 12 gennaio 2016, oggetto principale del giudizio, prescrivendogli «di non vendere medicinali acquisiti con il codice identificativo della farmacia ad altri distributori all’ingrosso o ad altre farmacie […] per quanto espresso in premessa i medicinali acquistati con il codice identificativo della farmacia devono essere conservati nei locali autorizzati della farmacia stessa e destinati esclusivamente alla vendita al pubblico al fine di garantire l’assistenza farmaceutica sul territorio».

2.1. L’appellato, con l’originario ricorso, lamentava che la diffida dell’Asp si fondasse sulle conclusioni rassegnate nel parere n. 46884 del 2 ottobre 2015 del Ministero della Salute, Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico, reso su richiesta dell’Asl di Mantova, in ordine alla corretta interpretazione della normativa disciplinante la distribuzione all’ingrosso di medicinali ad uso umano ed impugnava, pertanto, oltre alla nota n. 137 del 12 gennaio 2016, anche il parere del 2 ottobre 2015 del Ministero della Salute, e la nota prot. n. 1/212-1 del 28 dicembre 2015 di comunicazione dell'ispezione effettuata dai Nas di Catania. Chiedeva, altresì, il risarcimento dei danni patiti e patiendi per effetto dell’esecuzione degli stessi.

2.2. Affidava il ricorso a diversi motivi di illegittimità, articolati in due distinti titoli: a) l’Asp non avrebbe tenuto conto delle intervenute modifiche apportate al d.lgs. 219/2006, consistenti: i) nella soppressione della incompatibilità fra l’attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali e quella di fornitura al pubblico in farmacia; ii) nella introduzione del comma 1 bis dell’art. 100, che abilita i farmacisti a svolgere attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali; b) la violazione dell’art. 1, comma 2, della legge 27/2012 nella parte in cui introduce il principio della tassatività e della interpretazione restrittiva di tutte le disposizioni di legge che introducono divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche, nonché per violazione dei principi costituzionali contenuti negli artt. 2,3,4 e 41 della Costituzione e del principio dell’affidamento.

3. Nel giudizio di prime cure si costituivano sia il Ministero della salute sia l’Asp di Messina.

4. Il Tar, dopo avere rigettato l’istanza cautelare, ha fissato prontamente l’udienza di trattazione del merito, ai sensi dell’art. 55 comma 10 del c.p.a., come statuito dal Cgars con ordinanza n. 43/2016, che, senza sospendere l’efficacia dell’atto impugnato, aveva evidenziato la sussistenza di «profili favorevolmente apprezzabili e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio di merito».

5. La sentenza di prime cure dichiarava inammissibile il ricorso nella parte in cui impugnava un mero parere, non vincolante, espresso dal Ministero della salute in data 2 dicembre 2015, mentre lo accoglieva con riferimento alla richiesta di annullamento dell’atto di diffida emesso dall’Asp di Messina e rigettava la domanda risarcitoria.

5.1. Il Tar, richiamando la sentenza n. 11240/2016 del Tar Lazio-Roma, sez. III quater, ha affermato che l’attività inibita non sarebbe vietata dall’ordinamento né che «l’esigenza di natura pubblicistica[…] risulti in concreto compromessa dall’esercizio dell’attività poste in essere dal ricorrente, dal momento che non può ritenersi automaticamente comprovato che la fornitura di un prodotto medicinale da una farmacia ad un grossista, o addirittura ad altra farmacia, incida negativamente sulla sua distribuzione capillare a favore del pubblico».

6. La sentenza è stata, appunto, appellata con l’odierno gravame, affidato a due motivi: I. «erroneità della sentenza gravata per vizio di manifesta illogicità ed incongruenza e di carenza motivazionale»; II «erroneità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del d.lgs. 216/2006, dell’art. 5 bis e art. 8, comma 2, lett. a) del d. lgs n. 540/1992, del d. m. 15 luglio 2004 e del r.d. n. 1265/1934».

7. Si sono costituiti la Farmacia dr. Sergio De Lorenzo, con memoria depositata il 29 gennaio 2018 e il controinteressato Ministero della salute che ha depositato un atto di mero stile il 24 agosto 2017, integrato con successiva memoria del 16 novembre 2017. In prossimità dell’udienza di discussione l’Asp e l’appellata Farmacia hanno ritualmente depositato, in data 22 gennaio 2021, memorie ex art. 73 c.p.a., insistendo nelle rispettive conclusioni. L’appellata Farmacia, in data 1° febbraio 2021, ha depositato due distinte note di replica e, con successiva nota del 4 febbraio 2021, ha invitato questo Consiglio alla lettura della seconda memoria, depositata per «incompletezza della prima». L’Asp e la Farmacia, in data 19 febbraio 2021, hanno depositato note di udienza.

8. All’udienza del 23 febbraio 2021, tenutasi da remoto ed in modalità telematica ai sensi del d.l. n. 137/2020 e normativa ivi richiamata la causa, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

9. L’appello è fondato e va accolto.

9.1. Esigenze di economia motivazionale suggeriscono di iniziare dall’esame delle doglianze dedotte con il secondo mezzo di gravame.

L’Asp appellante, lamenta, in particolare, che si sarebbe consentito alla farmacia appellata «di esplicare la vendita al dettaglio e all’ingrosso con le medesime modalità protocollari ed in primis con un unico codice identificativo». Orbene, nella fattispecie, risulta incontestato che il dott. Sergio De Lorenzo sia in possesso del solo codice identificativo univoco rilasciato per l’attività di farmacista e non anche di quello necessario per l’attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali. L’appellato, difatti, con l’impugnata nota prot. 137 del 12 gennaio 2016, «nella sua qualità di titolare della omonima Farmacia, sede rurale unica del Comune di San Pier Niceto sita in Corso Italia n. 248», viene diffidato dal «vendere medicinali acquistati con il codice identificativo della farmacia a distributori all’ingrosso e/o ad altre farmacie». Il presupposto giuridico della diffida è dato, dunque, dalla constatazione che l’appellato, sebbene fosse in possesso dell’autorizzazione n. 401 del 10 marzo 2015, rilasciata con decreto del dirigente generale dell’Assessorato della salute, alla distribuzione all’ingrosso di specialità medicinali per uso umano, esercitava tale attività con il codice identificativo della farmacia e non con quello dell’attività all’ingrosso del quale era sprovvisto. Né può ritenersi fondata la sottintesa ragione esposta dall’appellato, nella memoria depositata il 22 gennaio 2021, secondo cui, nel caso in esame, non necessiterebbe un codice univoco distinto per l’attività all’ingrosso poiché «la Regione rilascia l’autorizzazione alla distribuzione all’ingrosso una volta accertata l’esistenza di tutti i requisiti organizzativi, strutturali e amministrativi richiesti dalla normativa vigente ed il farmacista divenuto anche grossista viene individuato attraverso la stessa unica partita iva, precisando l’atto autorizzativo, ai sensi dell’art. 100 “ i locali per i quali tale autorizzazione (all’ingrosso) è valida”». Il codice univoco viene infatti attribuito dal Ministero al soggetto richiedente che sia già in possesso dell’autorizzazione all’esercizio della relativa attività, sia essa di vendita al pubblico o all’ingrosso.

9.2. Dalla ricostruzione normativa, come dettagliatamente spiegato infra, emerge che la necessità di due distinti codici univoci, in capo allo stesso soggetto, per l’esercizio dell’attività di farmacista e di grossista, non solo è prevista espressamente dalla legge (comma 5 art. 105 del d.lgs. n. 219/2006) ma è assolutamente funzionale ad alimentare la Banca dati centrale, istituita presso il Ministero della salute (art. 5 bis del d.lgs. n. 540/1992) alla quale affluiscono gli aggiornamenti sulla movimentazione dei farmaci.

9.2.1. A tal fine, preliminarmente, occorre evidenziare che l’attività di distribuzione all’ingrosso dei medicinali è disciplinata:

- dal d.lgs. n. 219 del 24 aprile 2006 recante «l’Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE», ed in particolare dalle norme contenute nel titolo VII, artt. 99-112;

- dal d.m. 6 luglio 1999, contenente le «linee direttrici in materia di buona pratica di distribuzione dei medicinali per uso umano»;

- dal d.m. 15 luglio 2004, relativo alla «istituzione presso l’Agenzia italiana del farmaco di una banca dati centrale finalizzata a monitorare le confezioni dei medicinali all’interno del sistema distributivo».

L’eliminazione dell’incompatibilità tra la distribuzione all’ingrosso e fornitura al pubblico dei farmaci, è dovuta all’ art. 5, comma 7, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, che ha abrogato il comma 2 dell’art. 100, rubricato con il titolo di «autorizzazione alla distribuzione all'ingrosso dei medicinali» del d.lgs. 219/2006, citato, secondo cui «le attività di distribuzione all'ingrosso di medicinali e quella di fornitura al pubblico di medicinali in farmacia sono fra loro incompatibili»; l'art. 2, comma 16, d.lgs. 29 dicembre 2007, n. 274, ha, poi, inserito, nel medesimo art. 100, il comma 1 bis, a tenore del quale: «i farmacisti e le società di farmacisti, titolari di farmacia ai sensi dell'articolo 7 della legge 8 novembre 1991, n. 362, nonché le società che gestiscono farmacie comunali possono svolgere attività di distribuzione all'ingrosso dei medicinali, nel rispetto delle disposizioni del presente titolo. Parimenti le società che svolgono attività di distribuzione all'ingrosso di medicinali possono svolgere attività di vendita al pubblico di medicinali attraverso la gestione di farmacie comunali».

9.2.2. Fatte queste premesse, quanto alla necessità, per chi esercita l’attività di vendita all’ingrosso di farmaci, di munirsi del relativo codice univoco, va evidenziato, con estremo vigore, che il comma 5 dell’art. 105, del d.lgs. n. 219/2006, testualmente dispone che «per ogni operazione, il distributore all'ingrosso deve consegnare al destinatario un documento da cui risultano, oltre al proprio nome e indirizzo e al codice identificativo univoco assegnato dal Ministero della Salute ai sensi dell'art. 3, comma 1, del decreto del Ministro della salute in data 15 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n.2 del 4 gennaio 2005: la data; la denominazione, forma farmaceutica e il numero dell'A.I.C. del medicinale; il quantitativo fornito al destinatario; il numero di lotto dei medicinali almeno per i prodotti che presentano il nome e l'indirizzo del destinatario». Secondo l’art. 3 del d. m. 15 luglio 2004, richiamato appunto dal citato comma 5 dell’art. 105 del d. lgs. n. 219/2006, il Ministero della salute attribuisce un codice identificativo univoco «a ciascuno dei soggetti di cui all’art. 5 bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 540», indicati specificamente come: depositari, grossisti, farmacie aperte al pubblico centri sanitari autorizzati all’impiego dei farmaci, aziende sanitarie locali.

9.3. Il Collegio, pertanto, fissato il quadro normativo di riferimento, reputa priva di pregio l’asserzione dell’appellante secondo cui «l’unico riferimento ai menzionati codici univoci è rinvenibile nel d.m. del 15 luglio 2004», e quindi, «il documento accompagnatorio, anche una fattura di vendita, una volta in possesso di tutti gli elementi richiesti ai sensi dall’art. 104 del d.lgs. 219 norma speciale rispetto alla previsione di cui al d.m. del 2004, costituisce documentazione sufficiente a descrivere il passaggio interno farmacia/deposito, con successiva annotazione dell’operazione nei registri obbligatori di entrambe le attività sopraindicate ai fini fiscali». È di solare evidenza, infatti che, secondo il combinato disposto del comma 5 dell’art. 105 del d.lgs. n. 219/2006 e dell’art. 3 del d.m. 15 luglio 2004, l’attività di farmacista e di grossista, anche se svolte da un medesimo soggetto, magari con un'unica partita iva, debbano restare separate tra loro per la diversa finalità che, nella filiera del farmaco, sono chiamati a svolgere. Distinzione che viene garantita con l’attribuzione al medesimo soggetto di un codice univoco diverso, in ragione dell’attività svolta, e ciò al fine della tracciabilità del farmaco i cui movimenti vengono trasmessi alla Banca dati centrale prevista dal citato art. 5 bis del d.lgs. 540/1992 e regolamentata dal d.m. 15 luglio 2004. In giurisprudenza si è opportunamente sottolineato come «la normativa identifica gli attori in un flusso a senso unico che, originando dal produttore, inteso come industria farmaceutica che immette sul mercato il farmaco in quanto titolare di autorizzazione all’immissione in commercio (A.I.C.), passa per il distributore all'ingrosso, che ha il compito della distribuzione secondaria, intermedia, fino ad arrivare agli esercizi deputati alla vendita al dettaglio, all’utenza ovvero le farmacie, anello terminale della distribuzione» (T.a.r. Campania, sez. V, Napoli 16 novembre 2016, n. 5285).

Quindi ogni operazione effettuata dal distributore all'ingrosso dei medicinali deve essere:

- «tracciata» mediante l'utilizzo da parte del distributore medesimo del codice e deve essere documentata così come richiesto nel dettaglio dal decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 (art. 5-bis del d.lgs. n. 540/1992 e D.M. 15 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 2 del 4 gennaio 2005, artt. 104, comma 1, lett. e) e 105, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 219/2006);

- i medicinali acquistati in tale qualità debbono essere stoccati esclusivamente nei magazzini oggetto dell'autorizzazione all'ingrosso, con la precisazione che tali medicinali non possono essere venduti al pubblico (artt. 101, 102 e 103 del d.lgs. n. 219/2006) mentre possono essere venduti, ai sensi di quanto previsto dal successivo art. 104 del medesimo d.lgs. n. 219/2006, solo a persone, società, enti che possiedono essi stessi l'autorizzazione alla distribuzione, ovvero sono autorizzati o abilitati ad altro titolo ad approvvigionarsene.

Le farmacie pubbliche e private, invece, ai sensi dell'art. 122 del regio decreto 27 luglio 1934, n.1265, della legge 833/1978 e del d.lgs. n. 502/1992, vendono farmaci al pubblico ed erogano l'assistenza farmaceutica.

9.4. Il Collegio ritiene, altresì, che il superiore assetto normativo sia immediatamente riscontrabile nelle «linee guida per la predisposizione e la trasmissione dei file alla Banca dati centrale», secondo cui il Ministero della salute, che guida il progetto della tracciabilità del farmaco, avviato con il d.m. 15 luglio 2004, con il compito di monitorare le confezioni di medicinali lungo tutta la filiera distributiva, è tenuto ad attribuire un codice identificativo univoco distinto in ragione della diversa attività svolta ovvero:

a) ai produttori di medicinali a uso umano (art.50 del d.lgs. n. 219/2006 e s.m.);

b) ai distributori all'ingrosso di medicinali a uso umano sulla base di contratti di deposito (artt.100 e 108 del d.lgs. n. 219/2006 e s.m.);

c) ai distributori all'ingrosso di medicinali a uso umano (artt.100, 105 e 106 del d.lgs. n. 219/2006 e s.m.);

d) ai distributori all’ingrosso di medicinali a uso umano presso Paesi UE che distribuiscono direttamente in Italia;

e) ai produttori di medicinali veterinari (art. 46, comma 1 del d.lgs. n.193/2006 e s.m.);

f) ai grossisti di medicinali veterinari (art. 66 del d.lgs. n.193/2006 e s.m.) anche se autorizzati alla vendita diretta (art. 70 del d. lgs. n. 193/2006 e s.m.) ;

g) ai depositari di farmaci veterinari (ai sensi dell'art. 73 del d.lgs. n. 193/2006 e s.m.);

h) alle farmacie aperte al pubblico, incluse le succursali, i dispensari e i dispensari stagionali;

i) agli esercizi commerciali che vendono medicinali a uso umano e veterinario ai sensi dell’art. 5 d.l. n. 223/2006;

j) agli smaltitori di medicinali (ai sensi del d.lgs. n. 152/2006 e s.m.).

Il Ministero, anche nel recentissimo aggiornamento delle linee guida (febbraio 2021) ha precisato che «qualora un soggetto, pur rientrando in una delle tipologie soprariportate, non risulti presente nell’elenco, può richiederne l’iscrizione oppure può richiedere l’aggiornamento di dati già pubblicati», evidenziando che l’art. 40 della legge 1 marzo 2002, n. 39, con l’inserimento dell’art. 5 bis nel decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 540, prevede l’istituzione presso il Ministero della salute di una Banca dati centrale che, partendo dai dati di produzione e fornitura dei bollini numerati dei prodotti medicinali, raccolga e registri i movimenti delle singole confezioni, prevedendo che tutti gli attori della filiera (produttori, depositari, grossisti, farmacie aperte al pubblico, centri sanitari autorizzati all’impiego di medicinali, aziende sanitarie locali e smaltitori) sono tenuti ad archiviare e trasmettere a tale Banca dati il codice prodotto ed il numero identificativo (numerazione progressiva del bollino) di ciascun pezzo uscito e la relativa destinazione, mentre coloro che ricevono sono tenuti ad archiviare il codice prodotto ed il numero identificativo di ciascun pezzo ricevuto.

Per il Ministero l’attribuzione del codice univoco «ai fini del sistema di tracciabilità del farmaco, deve mantenersi nel tempo, indipendentemente dalla variazione che può intervenire sul soggetto giuridico che ne è titolare», e per tale ragione tutti i soggetti della filiera del farmaco «sono tenuti alla registrazione alla Banca dati centrale sia ai fini dell’ottenimento del codice univoco, sia ai fini del relativo aggiornamento». Precisando, ancora, che «non tutti i soggetti sono comunque tenuti alla trasmissione dei dati alla Banca Dati Centrale: infatti, il Ministero della salute alimenta la Banca Dati Centrale, anche attraverso l’integrazione che con altri flussi di dati. Pertanto, i soggetti riportati alle lettere h), i) e j) devono solo provvedere alla registrazione e all’aggiornamento della propria posizione anagrafica e non anche all’alimentazione alla Banca Dati Centrale».

9.5. Quindi, sulla base del delineato regime giuridico, può affermarsi che il titolare della farmacia che dispone, a seguito dell’abrogazione del regime di incompatibilità, anche di una autorizzazione alla distribuzione all’ingrosso di farmaci non può, per ciò stesso, ridistribuire come grossista i medicinali acquistati come farmacista, dovendo operare con un codice identificativo distinto da quello della farmacia. Ciò in quanto, ogni operazione effettuata dal distributore all'ingrosso dei medicinali deve essere «tracciata» mediante l'utilizzo da parte del distributore medesimo del codice attribuitogli dal Ministero e deve essere documentata così come richiesto nel dettaglio dal decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 (art. 5-bis del d.lgs. n. 540/1992 e d.m. 15 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 2 del 4 gennaio 2005, artt. 104, comma 1, lett. e) e 105, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 219/2006).

Sul punto il Collegio condivide l’approdo giurisprudenziale cui è pervenuto il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5486 del 21 settembre 2018, secondo cui «la necessità di codici differenti per lo svolgimento delle diverse attività di vendita al dettaglio e vendita all’ingrosso risulta, dunque preordinato al fine di assicurare la tracciabilità dei farmaci […] infatti i codici differenti inerenti all’attività di grossista e di farmacista venditore al dettaglio, consentono il flusso di dati presso la Banca dato dalla tracciabilità del farmaco costituita con d.m. salute 15 luglio 2004, tesa a garantire l’autenticità dei medicinali in commercio in Italia ed a rafforzare il contrasto alle frodi».

Peraltro nel «testo condiviso dell’accordo sottoscritto in data 8 settembre 2016 tra associazioni del settore farmaceutico ed autorità pubbliche, tra cui il Ministero della salute», depositato nel giudizio di primo grado dalla difesa erariale, e richiamato nell’impugnata sentenza, si evince che «nei magazzini della farmacia […] non possono essere stoccati medicinali acquistati in qualità di distributore all’ingrosso. Alla luce di quanto sopra, il passaggio dei medicinali dal distributore al titolare di farmacia, ancorché le due figure coincidano in un’unica persona, deve risultare formalmente attraverso l’uso dei distinti codici identificativi che tracciano il cambiamento del titolo di possesso […]».

9.6. Per le suesposte ragioni il provvedimento di diffida risulta, pertanto, immune da vizi di legittimità poiché il divieto imposto al dr. Sergio De Lorenzo di vendere medicinali acquistati con il codice identificativo della farmacia a distributori all’ingrosso e/o ad altre farmacie, discende dalla constatazione della violazione delle regole (in particolare dalla mancanza di distinti codici univoci) che attengono alla non commistione della vendita all’ingrosso e della vendita al dettaglio e non da «indebite misure restrittive del diritto di iniziativa economica», dirette a limitare l’attività di commercializzazione all’ingrosso del farmacista a ciò autorizzato.

9.7. Il Collegio per completezza osserva che l’impugnato provvedimento di diffida dal «vendere medicinali acquistati con il codice identificativo della farmacia a distributori all’ingrosso e/o altre farmacie» contiene il corollario dell’avvertimento che «i medicinali acquistati con il codice identificativo della farmacia devono essere conservati nei locali autorizzati della farmacia stessa, e destinati esclusivamente alla vendita al pubblico al fine di garantire l’assistenza farmaceutica sul territorio». Ciò è da reputarsi in ossequio al principio della assoluta separazione delle due attività, come previsto dall’art. 104 del d.lgs.219/2006. Il titolare della farmacia, in possesso anche di una autorizzazione alla distribuzione, infatti, può esercitarle entrambe, a condizione che la persona fisica o giuridica, per l’esercizio delle distinte attività utilizzi locali distinti, come indicati nell’autorizzazione, e codice univoci differenti successivamente attribuiti dal Ministero della salute. Ciò al fine di consentire la tracciatura dell’attività di magazzino per «la rapida identificazione dei farmaci in entrata, in deposito, in uscita, in restituzione (in quanto danneggiati, falsificati o ritrovati), ovvero oggetto di immediato ritiro dal mercato» (T.a.r. Campania sez. V. Napoli 16 novembre 2016, n. 5285).

9.8. È assorbito il primo motivo di impugnazione.

10. Il Collegio, in conclusione, ritiene che l’appello debba essere accolto e per l’effetto, ferma restando la definitiva declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione del parere del Ministero della salute, vada respinto il ricorso di primo grado, con conseguente conferma della nota n. 137 del 12 gennaio 2016, emessa dall’Asp di Messina, con la quale il Dr. Sergio De Lorenzo è stato diffidato dal vendere medicinali acquistati con il codice identificativo della farmacia a distributori all’ingrosso e ad altre farmacie.

11. L’oggettiva complessità ed il carattere eminentemente interpretativo delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese giudiziali relative ad entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, ferma restando la definitiva declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione del parere del Ministero della salute, respinge il ricorso di primo grado e dichiara legittima la nota n. 137 del 12 gennaio 2016 emessa dall’Asp di Messina.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2021 con l'intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Marco Buricelli, Consigliere

Carlo Modica de Mohac, Consigliere

Giovanni Ardizzone, Consigliere, Estensore

Antonino Caleca, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giovanni Ardizzone Rosanna De Nictolis
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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