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Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana - sez. giurisdizionale, 15/2/2021 n. 107
La Casa famiglia Livatino e le cose mobili in essa custodita, rivestono un interesse culturale particolarmente importante e a fronte dell'assenza di famil. diretti è dovere dello Stato di cui Livatino è stato un servit. eccez. riconoscerne il valore

E' legittimo il decreto dell'Assessorato dei beni culturali della Regione siciliana che ha posto il vincolo culturale sulla "Casa famiglia Livatino" e le cose mobili in essa custodita, in quanto rivestono un interesse culturale "particolarmente importante".
Il valore culturale si identifica nel rimando all'impegno etico e morale del giovane magistrato che, con la normalità della sua vita, ha indicato ai giovani, non solo siciliani, la via del riscatto e della liberazione del predominio mafioso.
"La dimora del giudice Livatino, con i suoi ricordi, scritti autografi, foto ed effetti personali, preservata nel tempo nella sua immobile integrità dai genitori, custodi e artefici degli insegnamenti che costituiscono i capisaldi della figura umana ed istituzionale dell'uomo Livatino, rappresentano oggi la memoria storica su cui incentrare una azione di sensibilizzazione e divulgazione di valori fondanti come il perseguimento della legalità, la ricerca della giustizia, il compimento del proprio dovere, tutti valori che concorrono alla costruzione di una società migliore. Costituisce già un avamposto della lotta per la legalità essendo punto di incontro di molti giovani provenienti da tutta Italia, delle associazioni "Tecnopolis" e "Amici del Giudice Rosario Angelo Livatino" di Canicattì nonché di Libera ed Arci".
I manoscritti del giudice, anche in seguito alle scelte operate dalla Chiesa (la beatificazione), hanno certamente i requisiti richiesti dal c. 4 dell'art. 10 del Codice: lo scritto autografo di un martire della giustizia e di un beato è certamente raro e di pregio. Il valore storico-simbolico dell'immobile e delle cose conservate è, infatti, ancora maggiore oggi dopo che la Chiesa ha portato a termine il procedimento di beatificazione del giovane giudice.
A fronte dell'assenza di familiari diretti che possano mantenerne viva la memoria, è dovere dello Stato, di cui Livatino è stato un "servitore eccezionale", riconoscere lo straordinario valore culturale della casa del Giudice ed il suo forte valore simbolico a ricordo di chi ha pagato con la vita la "normale" rettitudine che non si piega alle minacce o alle lusinghe della mafia.


Materia: beni culturali / disciplina
Pubblicato il 15/02/2021

N. 00107/2021REG.PROV.COLL.

N. 00561/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 561 del 2017, proposto dalla signora
Giuseppa Profita, rappresentata e difesa dall'avvocato Vincenzo Avanzato, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via Selinunte, 1;

contro

Regione siciliana - Assessorato regionale dei beni culturali e dell'identità' siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato domiciliato per legge presso la sede distrettuale in Palermo, via Villareale 6;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima) n. 02887/2016, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’art. 4 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70; Visto l’art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione siciliana - Assessorato regionale dei beni culturali e dell'identità' siciliana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 febbraio 2021tenutasi da remoto ed in modalità telematica il Cons. Antonino Caleca, vista la richiesta di passaggio in decisione senza discussione presentata dall'Avvocatura dello Stato con nota di carattere generale a firma dell’Avvocato distrettuale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Oggetto del presente procedimento è l'immobile denominato "Casa di Famiglia del Giudice Rosario Livatino", sito nel Comune di Canicattì (Ag) in Viale Regina Margherita n. 166, e i beni mobili in esso custoditi.

La signora Giuseppa Profita ricorre avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Palermo, n. 288 emessa il 12 dicembre 2016.

I fatti di causa rilevanti ai fini del decidere possono essere ricostruiti, succintamente, nei termini che seguono.

La Casa Famiglia del Giudice Rosario Livatino e i beni mobili ivi costuditi sono stati dichiarati di “interesse storico, artistico, architettonico e etnoantropologico particolarmente importante, in quanto individuato fra i beni elencati all'art.10, comma 3, lett a) e lett.d) del D.lgs. medesimo ed all'art. 2 della L.R. n. 80/77, e restano pertanto sottoposti a tutte le prescrizioni di tutela contenute nelle predetti leggi" con il Decreto del Dirigente generale dell’Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana della Regione siciliana del 9 settembre 2015 n. 2589.

E’ fatto notorio che Rosario Livatino è da tutti ricordato come “il giudice ragazzino”.

Quando venne ucciso, il 21 settembre del 1990, da quattro killer per ordine della “Stidda”, la mafia agrigentina, lungo la statale che ogni mattina percorreva con la sua auto da Canicattì ad Agrigento aveva 38 anni: il più giovane dei 27 magistrati uccisi in ragione del loro servizio.

In quel periodo svolgeva le funzioni di giudice di Tribunale in servizio ad Agrigento e si occupava di misure di prevenzione.

Prima, come Sostituto procuratore della repubblica di Agrigento, si era occupato di importanti indagini che riguardavano il potere mafioso e la nefasta capacità dello stesso di corrompere ed inquinare l’economia legale.

I processi penali celebrati a carico degli autori e mandanti dell’omicidio hanno accertato che il giudice è stato ucciso per il suo impegno di magistrato corretto ed integro.

La morte di quel giovane magistrato, fino a quel momento conosciuto solo nel suo ambiente di lavoro a motivo della sua estrema riservatezza, aveva avuto in Sicilia una forte eco mediatica e, nel nome del magistrato ucciso, si erano moltiplicate le iniziative volte a sollecitare il risveglio delle coscienze e l’impegno di tutti contro la violenza mafiosa.

L’impegno morale ed etico coltivato esclusivamente nel lavoro e nella riservatezza assumeva valenze ulteriori a confronto delle deviazioni cui era andato incontro un certo modo di intendere e praticare l’iniziativa contro la mafia nella regione siciliana.

Anche la Chiesa aveva contribuito a rendere viva la lezione di impegno, rettitudine e riservatezza del giovane magistrato: Il 19 luglio del 2011 veniva firmato dall'arcivescovo di Agrigento il decreto per l'avvio del processo diocesano di beatificazione di Rosario Livatino ed il 21 dicembre 2020 Papa Francesco con un decreto ne riconosceva il martirio in odium fidei, avviando la parte conclusiva del procedimento per riconoscerlo quale beato.

La breve vita del magistrato si è consumata all’interno della dimensione familiare con frequentazioni limitate al proprio ambito lavorativo.

All’interno dell’immobile oggetto del presente procedimento viveva, in riservatezza e solitudine, il giovane giudice.

L’immobile "Casa di Famiglia del Giudice Rosario Livatino" è sito nel Comune di Canicatti' (Ag) in Viale Regina Margherita nr. 166.

Si tratta di un palazzetto formato da tre piani fuori terra pervenuto alla signora Giuseppa Profita in seguito ad eredità dal dottor Vincenzo Livatino deceduto il 5 maggio 2010, ed in assenza di ulteriori eredi che della famiglia Livatino conservassero il nome.

Il palazzetto è compiutamente descritto nella “relazione tecnico-scientifica” che accompagna il provvedimento impugnato.

La residenza del giudice ucciso è posta al primo livello del palazzetto.

Si legge nella relazione che “l'arredamento risulta sobrio e semplice, tutti gli oggetti, le suppellettili, i libri e gli arredi, amorevolmente preservati dalla famiglia, trasmettono al visitatore un'atmosfera emotiva di casa Livatino”

E ancora: “Tra gli oggetti personali si annoverano: il vangelo, la macchina da scrivere, il telefono, materiale di documentazione e riviste giuridiche, un quadretto di Paolo VI (richiamato in una delle sue agendine quando muore il Sommo Pontefice), una vecchia radio assieme ad una nutrita videoteca in VHS. Presenti anche la copia della tesi. di specializzazione in Diritto regionale nonché alcuni capi di abbigliamento compresa la toga posta sulla bara il giorno dei funerali”.

La relazione si conclude affermando che “La dimora del giudice Livatino, con i suoi ricordi, scritti autografi, foto ed effetti personali, preservata nel tempo nella sua immobile integrità dai genitori, custodi e artefici degli insegnamenti che costituiscono i capisaldi della figura umana ed istituzionale dell'uomo Livatino, rappresentano oggi la memoria storica su cui incentrare una azione di sensibilizzazione e divulgazione di valori fondanti come il perseguimento della legalità, la ricerca della giustizia, il compimento del proprio dovere, tutti valori che concorrono alla costruzione di una società migliore. Costituisce già un avamposto della lotta per la legalità essendo punto di incontro di molti giovani provenienti da tutta Italia, delle associazioni "Tecnopolis" e "Amici del Giudice Rosario Angelo Livatino" di Canicattì nonché di Libera ed Arci.”

La relazione è posta a fondamento del decreto assessoriale che dichiara l’interesse storico.

Il citato Decreto del Dirigente generale dell’Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana della Regione siciliana del 9 settembre 2015 n. 2589 veniva impugnato innanzi il competente Tribunale amministrativo.

L’odierna parte appellante deduceva vizi sia di natura procedimentale che di merito del provvedimento.

In modo particolare deduceva:

-relativamente al vizio di natura procedimentale la violazione degli obblighi partecipativi previsti dall’art. 11 della L.R. 10/91, in quanto l’Assessorato non avrebbe tenuto in considerazione le osservazioni ritualmente trasmesse dalla ricorrente;

-nel merito la violazione di legge sotto il profilo della violazione artt. 10, comma 3 lett. a e d) e 13 D. lgs. 42/2004 – eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità manifesta e del travisamento dei fatti, in quanto l’immobile non presenterebbe alcuno dei requisiti richiesti dalla normativa vigente per la dichiarazione di interesse storico, artistico, architettonico ed etnoantropologico particolarmente importante, sia sotto il profilo del valore culturale, sia con riferimento all’assenza di pregio dei beni mobili presenti all’interno dell’immobile.

Si costituiva in primo grado l’Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana della Regione siciliana,

Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso ritenendo infondati i motivi dedotti.

Ricorre in appello la signora Giuseppa Profita affidando le proprie doglianze ad articolati motivi che ripropongono, di fatto, le stesse problematiche affrontate nel giudizio di primo grado.

Anche nel presente grado di giudizio si è costituito l’Assessorato regionale chiedendo il rigetto dell’appello.

Il perdurare dell’interesse alla decisione del ricorso è stato confermato da parte appellante in data 30 settembre 2020.

In vista dell’udienza le parti hanno scambiato memoria e memoria di replica.

All’udienza del 3 febbraio 2020 la causa è stata assunta in decisione.

L’appello deve essere respinto vista l’infondatezza dei motivi.

Con il primo motivo parte appellante deduce:” Error in judicando — Error in procedendo. Violazione dell'art. 11 L.R. 10/91 e dell'art. 64, comma 2, cod. proc. amm. Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti e dello sviamento della causa tipica”.

Risulterebbe violata la norma che regola la partecipazione del privato al procedimento in quanto l’Assessorato nell’adottare il provvedimento definitivo non avrebbe adeguatamente apprezzato le osservazioni prospettate con gli scritti difensivi: in ossequio all'art. 11 L.R. 10/91 sussisterebbe, contrariamente da quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, l’obbligo dell’esame specifico delle singole doglianze da parte della P.A.

Il motivo non è fondato.

Osserva il Collegio che la partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo, alla stregua della normativa regionale e nazionale, ha la funzione di far emergere gli interessi spiccatamente privati che impattano con l’azione amministrativa, in modo da orientare le scelte della P.A. attraverso una ponderata valutazione di tutti interessi (pubblici e privati) in gioco.

La partecipazione al procedimento nel caso di specie viene declinata quale partecipazione difensiva (e non collaborativa).

La giurisprudenza ha sempre optato per una lettura sostanziale e non formale delle norme che regolano la partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo.

Conducenti anche nel caso di specie, ove si rimanda alla legge regionale, sono i principi ribaditi dal Consiglio di Stato per definire il contenuto ed i limiti della partecipazione del privato alla formazione del provvedimento amministrativo.

E’ stato ribadito che “La parziale incompletezza della valutazione espressa dall’amministrazione, seppure dimostrata, non determinerebbe, automaticamente, l’illegittimità del provvedimento. Infatti, non è esatto affermare che la previsione contenuta nell’articolo 10-bis della legge n. 241/1990 imporrebbe una totale aderenza ad ognuna delle singole argomentazioni esposte dal soggetto istante. Seguendo questa errata impostazione, il nuovo istituto introdotto dalla legge n. 15/2005 diventerebbe mero espediente per appesantire il fisiologico obbligo di motivazione gravante sulle amministrazioni, senza alcuna garanzia di effettiva giustizia sostanziale.

19. Al riguardo, occorre distinguere due diverse eventualità. La prima consiste nella totale assenza di valutazione delle osservazioni svolte dalla parte istante. In tal caso, il provvedimento finale potrebbe evidenziare una palese illegittimità, per la carenza di un elemento strutturale della motivazione, salva la questione riguardante l’incerta applicabilità dell’articolo 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990. La seconda eventualità riguarda la mera incompletezza, o inadeguatezza, della valutazione operata dall’amministrazione. In tale circostanza, il giudizio di legittimità deve connettersi alla puntuale verifica dell’incidenza dell’omissione sulla congruenza della motivazione dell’atto finale” (Consiglio di stato, sez. V. n. 3655/2007).

La sentenza appena citata è stata poi rafforzata dagli ulteriori arresti giurisprudenziali sia del Consiglio di Stato che di questo Consiglio citati dal primo giudice.

Giova appena ricordare che per imporre all’Amministrazione di esaminare e rispondere alle singole osservazioni formulate negli scritti difensivi nei procedimenti ad istanza di parte (non quindi, comunque, in quello oggetto della presente fattispecie che rimane estranea alla novella) è stato ritenuto indispensabile apportare modifiche testuali con l’art. 12, c. 1, lett e) del d.l. 16 luglio 2020 n. 76 convertito dalla L. 11 settembre 2020 n. 120 che ha inciso profondamente sull’art. 10 bis, L. 241/90.

Ciò a riprova del fatto che prima della detta legge un obbligo in tal senso non si riteneva sussistere.

In applicazione della norma applicabile nel caso di specie occorrerà verificare se il privato è stato messo nelle condizioni di predisporre una effettiva difesa all’interno del procedimento amministrativo e se le sue osservazioni sono state, in generale, vagliate dall’Amministrazione procedente.

Nel caso oggetto del presente scrutinio sono state rispettate entrambe le condizioni.

Rileva la difesa erariale che “l’odierna appellante (cui era stato comunicato l’avvio del procedimento) ha avuto modo di partecipare al procedimento amministrativo, esponendo le proprie ragioni anche in occasione dei numerosi sopralluoghi congiunti effettuati prima e dopo l’avvio del procedimento.

I rilievi della Sig.ra Profita, inoltre, sono stati compiutamente apprezzati e valutati dall’Amministrazione, tanto da indurla ad escludere dalla dichiarazione dell’interesse culturale una parte dell’immobile (attualmente ceduta in affitto ad un’attività commerciale)”.

Le successive osservazioni formulate all’interno dell’iter procedimentale attenevano al merito intrinseco del provvedimento finale e cioè alla esistenza o meno delle ragioni che avrebbero giustificato il provvedimento finale poi adottato.

Le osservazioni trovano una sostanziale risposta proprio nelle motivazioni che sorreggono il provvedimento finale che costituiscono una sostanziale ed implicita risposta alle osservazioni stesse.

Non sono fondati i motivi rubricati sub numeri 2 e 3 che possono essere trattati congiuntamente per la stretta contiguità delle problematiche che vengono poste all’esame del Collegio.

Ritiene il Collegio che non sussiste la violazione dell’art. 10, comma 3, lett. a) e d) del d.lgs. n. 42/2004.

L’articolo 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di seguito Codice, elenca le tipologie di beni culturali sottoposti a tutela integrando la definizione generale di cui all’art. 2, comma 2.

Nell’elencare i beni si tengono in considerazione tre aspetti: l’appartenenza del bene (pubblica o privata), il carattere delle cose, il livello di interesse culturale.

In modo più specifico, l’interesse culturale può essere:

- “semplice” ex art. 10, comma 1;

- “presunto” ex art. 10 comma 2;

- “particolarmente importante” ex art. 10 comma 3 lett. a), b) e d).

Seguono poi i beni il cui interesse culturale è definito “eccezionale” e “rarità e/o pregio”.

Il decreto oggetto dell’attuale disamina giurisdizionale accerta che

l'immobile, così come evidenziato con perimetrazione in colore giallo nell' allegata planimetria, il tutto identificato in catasto al F. M. nr. 55 con part. nr. 3887 sub 1 (q.p.), per i motivi illustrati nell'allegata relazione tecnica riveste particolare interesse storico, artistico, architettonico, ed etnoantropologico particolarmente importante ai sensi dell'art. 10 comma 3, lett. a) e lett. d) del menzionato D. Lgs. n. 42 del 22.01.2004 e dell'art. 2 della L. R. n. 80 del 01.08.1977 in quanto connubio tra valenza architettonica e preziosa testimonianza di memoria storica e di avvenimenti socio politici caratterizzanti il territorio di Agrigento e della sua provincia”;

Esplicito è il richiamo al dato normativo che prevede la sussistenza di un interesse culturale “particolarmente importante” sia con riferimento al bene immobile che ai beni mobili in esso contenuti.

Fondamentale, ai fini del decidere è, quindi, calibrare i l valore semantico del termine “bene culturale”.

Occorre premettere che la nozione di “patrimonio culturale” è una delle più rilevanti novità introdotte dal Codice: compongono il patrimonio culturale i beni culturali e i beni paesaggistici.

La nozione di bene culturale risente, ora, delle definizioni che della stessa hanno dato gli atti normativi internazionali.

In modo particolare si tratta della Convenzione Unesco sulla protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale del 1972, la Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003 e la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società del 2005 (c.d. Convenzione di Faro, sottoscritta dall’Italia nel 2013 non ancora ratificata).

In Italia la nozione di “bene culturale” è stata utilizzata per la prima volta dalla c.d. Commissione Franceschini nel 1964.

Il “bene culturale” è stato definito come “testimonianza materiale avente valore di civiltà”.

Tenendo conto dell’evoluzione normativa culminata con l’approvazione del Codice dei beni culturali, la giurisprudenza, in accordo con la dottrina più attenta, ha definito i caratteri comuni a tutti i beni culturali.

Tra questi rileva, nella presente fattispecie, il carattere dell’immaterialità.

Con “immaterialità” si intende l’attitudine del bene ad essere testimonianza di superiori valori di civiltà.

I valori si incardinano inscindibilmente nel bene materiale, ed il bene diventa radice ed espressione di una significazione altra che non si identifica con il supporto materiale ma rimanda ai valori ed ai principi che in dato momento storico guidano l’evoluzione della società.

Rileva la migliore dottrina che il bene materiale è oggetto di diritti patrimoniali, il valore culturale immateriale è oggetto di situazioni soggettive attive da parte dei poteri pubblici.

Nota è la decisione Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2003, n. 6344, ove appunto si sottolineava come il bene culturale sia ormai «protetto per ragioni non solo e non tanto estetiche, quanto per ragioni storiche, sottolineandosi l’importanza dell’opera o del bene per la storia dell’uomo e per il progresso della scienza».

Tenendo conto di questa evoluzione normativa e dello sforzo interpretativo della giurisprudenza deve leggersi l’art. 2, comma 2 del Codice:

Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”.

Osserva la difesa erariale che i beni culturali “sono funzionali a preservare la memoria della comunità nazionale ed a promuovere lo sviluppo della cultura.

Proprio attraverso la loro fruizione, il cittadino si riconosce nella storia del proprio Paese e percepisce immediatamente di essere parte di uno Stato - comunità, da intendersi nel senso di una dimensione di massima partecipazione che realizza la sovranità popolare (ex art. 1, co. 1 Cost.)”.

E’ stato definitivamente accantonato il criterio estetizzante privilegiando il profilo storicistico.

Alla stregua di questa lettura del complessivo quadro normativo non può revocarsi in dubbio che la “Casa famiglia Livatino” e le cose mobili in essa custodita rivestono un interesse culturale “particolarmente importante”.

Il valore culturale si identifica nel rimando all’ impegno etico e morale del giovane magistrato che, con la normalità della sua vita, ha indicato ai giovani, non solo siciliani, la via del riscatto e della liberazione del predominio mafioso.

La relazione tecnica, parte integrante del provvedimento impugnato, dà atto di come il valore storico dei beni oggetto del presente procedimento origina dal loro valore simbolico e si colora di indubbi significati etici.

In quell’appartamento si è formato un ragazzo che con adamantina riservatezza ha interpretato i valori di rettitudine ed indipendenza che devono caratterizzare il lavoro del magistrato.

Nella memoria del giovane Livatino si radica la volontà di non cedere di fronte alle pressioni ed alle intimidazioni del potere mafioso.

Si ribadisce quanto si legge nella relazione tecnica che motiva il provvedimento oggi impugnato:

La dimora del giudice Livatino, con i suoi ricordi, scritti autografi, foto ed effetti personali, preservata nel tempo nella sua immobile integrità dai genitori, custodi e artefici degli insegnamenti che costituiscono i capisaldi della figura umana ed istituzionale dell'uomo Livatino, rappresentano oggi la memoria storica su cui incentrare una azione di sensibilizzazione e divulgazione di valori fondanti come il perseguimento della legalità, la ricerca della giustizia, il compimento del proprio dovere, tutti valori che concorrono alla costruzione di una società migliore. Costituisce già un avamposto della lotta per la legalità essendo punto di incontro di molti giovani provenienti da tutta Italia, delle associazioni "Tecnopolis" e "Amici del Giudice Rosario Angelo Livatino" di Canicattì nonché di Libera ed Arci”.

I manoscritti del giudice, anche in seguito alle scelte operate dalla Chiesa (la beatificazione), hanno certamente i requisiti richiesti dal comma 4 dell’articolo 10 del Codice: lo scritto autografo di un martire della giustizia e di un beato è certamente raro e di pregio.

Il valore storico-simbolico dell’immobile e delle cose conservate è, infatti, ancora maggiore oggi dopo che la Chiesa ha quasi portato a termine il procedimento di beatificazione del giovane giudice.

Congruamente la relazione evidenzia anche le modalità della pubblica fruizione del bene, ulteriore requisito imposto dalla norma primaria di riferimento.

A fronte dell’assenza di familiari diretti che possano mantenerne viva la memoria, è dovere dello Stato, di cui Livatino è stato un “servitore eccezionale”, riconoscere lo straordinario valore culturale della casa del Giudice ed il suo forte valore simbolico a ricordo di chi ha pagato con la vita la “normale” rettitudine che non si piega alle minacce o alle lusinghe della mafia.

Per ultimo il Collegio ribadisce come, comunque, il giudizio circa la sussistenza dei requisiti che legittimano l’emissione del provvedimento impugnato è certamente discrezionale e lo stesso meriterebbe censura solo nelle ipotesi in cui debba ritenersi illogico o irrazionale.

Consiglio di Stato, sent. n. 4747/2015 “In linea di diritto, si osserva che il giudizio, che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale, è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecnico - scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell’arte e dell’architettura) caratterizzati da ampi margini di opinabilità.

Ne consegue che l’apprezzamento compiuto dall’Amministrazione preposta alla tutela – da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 Cost. – è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile. In altri termini, la valutazione in ordine all’esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l’imposizione del relativo vincolo ai sensi degli artt. 13, comma 1, e 10, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004, è prerogativa esclusiva dell’Amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta”.

Consiglio di Stato sent. n. 4564/2018: “n linea generale, va ribadito che le valutazioni tecniche propedeutiche all'apposizione del vincolo sono basate su apprezzamenti sì rigorosi, ma con un certo grado di opinabilità, essendo soggette anche ad aggiornamenti man mano che evolve la consapevolezza storica sui beni e sul loro contesto urbano;

- da ciò ne consegue che l'apprezzamento compiuto dalla P.A. preposta alla tutela, da esercitare in rapporto al principio fondamentale dell' art. 9 della Costituzione, è sindacabile, in sede giurisdizionale, solo sotto i profili di logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, fermo, però, restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 2 gennaio 2018 n. 17);

- in termini di maggior dettaglio, la sezione ha già evidenziato come la stessa eventuale relazione tecnica di parte sul pregio storico-architettonico del bene non possa impingere nel merito della valutazione tecnica espressa dalla Soprintendenza senza essere in grado di evidenziare eventuali errori decisivi sui presupposti di fatto o sui criteri tecnico-scientifici applicati dall'Amministrazione, tali da inficiare, sub specie di illogicità ed incongruità, l'accertamento della sussistenza dell'interesse culturale di un bene”.

Consiglio di Stato ent. N. 2061/2020: il “merito della valutazione (e che,) pertanto, non può essere sindacato da questo Giudice, il cui controllo, come già evidenziato, è limitato al vaglio di ragionevolezza e logicità della motivazione”.

La stessa sentenza specifica che: “dalla sistematica del Titolo I del D. lgs. 42/2004, non emerge alcuno spazio all’interno del quale, ai fini della dichiarazione del pregio culturale di un bene, affiorino anche gli interessi secondari del privato proprietario. Nella logica seguita dal legislatore, trattasi infatti di un procedimento volto all’accertamento (e si noti come il legislatore utilizzi proprio tale termine) di una qualità che il bene possiede e che non può certo venire meno in considerazione di eventuali interessi secondari riconducibili all’utilizzazione e agli oneri di conservazione del bene.”

Concorde la più attenta giurisprudenza di primo grado.

T.A.R. Toscana, n. 860/2013:

“La scelta di porre un vincolo esercitata dall'Amministrazione costituisce espressione di discrezionalità tecnica, suscettibile di sindacato giurisdizionale di legittimità solo in ipotesi di illogicità manifesta, di difetto di motivazione, ovvero di conclamato errore di fatto. La sistematica delle disposizioni normative del codice dei beni culturali (in tal senso, gli artt. 2, 13 e 10, comma 3, del d. lgs. n. 42/2004) pare orientata nel senso che il potere esercitato dall'Amministrazione in sede di imposizione del vincolo di tutela sia vincolato, o connotato solo da una discrezionalità tecnica, con sensibile riduzione dei margini per l'applicazione del principio di proporzionalità quale misura del potere esercitato dall'Amministrazione e, parimenti, non è possibile introdurre elementi di valutazione esterni rispetto a quello prettamente collegato al pregio culturale dell'immobile”

Nel caso che ci occupa il Decreto del dirigente l’Assessorato regionale è ben lungi dal manifestare vizi di irragionevolezza o illogicità.

Il Decreto impugnato, con il richiamo alla relazione tecnico-scientifica, è sorretto da adeguata e sufficiente motivazione e la sentenza del primo giudice non merita censura.

I motivi a sostegno del gravame non sono fondati e l’appello deve essere respinto.

Le spese del secondo grado del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte appellante alle spese del secondo grado di giudizio in favore della parte costituita che liquida in euro 2.500//00 (€ duemilacinquecento) oltre oneri accessori, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso dal C.G.A.R.S. con sede in Palermo nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2021 tenutasi da remoto in videoconferenza con la partecipazione costante e contemporanea dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere

Maria Stella Boscarino, Consigliere

Maria Immordino, Consigliere

Antonino Caleca, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonino Caleca Fabio Taormina
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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