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TAR Lazio, sez. I, 1/7/2021 n. 7795
Il termine decadenziale di cui all'art. 14 l. n. 689/1981 non si applica nel procedimento antitrust in relazione alla durata della fase istruttoria.

Il termine decadenziale di cui all'art. 14 L. 689/1981 non trova diretta applicazione nei procedimenti antitrust in relazione alla durata della fase istruttoria. Ciò in quanto il richiamo operato dall'art. 31 della L. 287/1990, vale ai soli fini delle sanzioni amministrative pecuniarie, ma non per la disciplina della fase istruttoria del procedimento, in relazione alla quale la fattispecie è distintamente e autonomamente regolata. Quanto alla durata della fase preistruttoria, né nell'art. 14 L. 287/1990 né nel Regolamento dell'Autorità in materia di procedure istruttorie viene individuato un termine massimo per la sua durata. Tuttavia, la non applicabilità diretta del termine di cui all'art. 14 cit. non può giustificare il compimento di una attività preistruttoria che si prolunghi entro un lasso di tempo totalmente libero da qualsiasi vincolo e ingiustificatamente prolungato, poiché un simile modus operandi sarebbe in aperto contrasto con i principi positivizzati nella l. n. 241/90 e, più in generale, con l'esigenza di efficienza dell'agire amministrativo e di certezza del professionista sottoposto al procedimento. In proposito, è opportuno ricordare, quali riferimenti interpretativi, anche i principi generali di cui all'art. 6 CEDU e all'art. 41 della Carta Fondamentale dei diritti UE, che costituiscono parametri imprescindibili. Ebbene, dalla lettura di questi non può che desumersi l'obbligo per l'Autorità competente di accertare una violazione del diritto antitrust e di applicare le relative sanzioni, procedendo all'avvio della fase istruttoria entro un termine ragionevolmente congruo, in relazione alla complessità della fattispecie sottoposta, a pena di violazione dei principi di legalità e buon andamento che devono sempre comunque contraddistinguerne l'operato. Resta fermo, che, ai fini della valutazione della congruità del tempo di accertamento dell'infrazione, ciò che rileva, quale termine iniziale, non è la notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità, ma l'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita; conoscenza a sua volta implicante il riscontro, anche ai fini di una corretta formulazione della contestazione, dell'esistenza e della consistenza dell'infrazione e dei suoi effetti. Ne discende la non computabilità del tempo ragionevolmente occorso, in relazione alla complessità delle singole fattispecie, ai fini dell'acquisizione e della delibazione degli elementi necessari allo scopo di una matura e legittima formulazione della contestazione.

Materia: concorrenza / antitrust
Pubblicato il 01/07/2021

N. 07795/2021 REG.PROV.COLL.

N. 07041/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7041 del 2017, proposto da
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cristoforo Osti, Francesco Scanzano, Alfredo Vitale e Patrick Actis Perinetto, con domicilio eletto presso lo studio Cristoforo Osti in Roma, via XXIV Maggio 43;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Hera S.p.A. non costituita in giudizio;

per l'annullamento

del provvedimento n. 26565 (prot. n. 40900) dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“Autorità” o “AGCM”), adottato nell'adunanza del 28.4.2017 (“Provvedimento”) a conclusione del procedimento n. I794 – ABI/SEDA, notificato alla ricorrente il 15.5.2017, con il quale l'Autorità ha deliberato che Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. avrebbe posto in essere, congiuntamente con ABI e altri istituti bancari, “un'intesa restrittiva della concorrenza, contraria all'articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), consistente nella concertazione delle strategie commerciali in occasione della determinazione del modello di remunerazione del servizio SEDA”;

della nota dell'Autorità, n. prot. 53448 dell'8.8.2017 con la quale è stato comunicato a MPS il rigetto degli impegni presentati il 20.12.2017;

nonché di ogni altro atto presupposto, successivo o comunque connesso ai provvedimenti appena richiamati.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 9 giugno 2021 la dott.ssa Lucia Maria Brancatelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso in epigrafe la società Banca Monte dei Paschi di Siena Spa, (di seguito, “MPS”) ha impugnato, unitamente agli atti presupposti, il provvedimento del 28 aprile 2017, adottato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“Autorità” o “Agcm”) a conclusione del procedimento n. I794, che ha accertato l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, in violazione dell’art. 101 TFUE, posta in essere dalle principali banche nazionali, inclusa MPS, insieme con l’Associazione bancaria Italiana (ABI), consistente nella concertazione delle strategie commerciali in occasione della determinazione del modello di remunerazione del servizio SEDA.

Con lo stesso provvedimento è stato ingiunto a tutte le suddette società, nonché ad ABI, di cessare il comportamento in atto e presentare una relazione in cui dar conto delle misure adottate per far cessare l'infrazione entro il 1° gennaio 2018; è stato altresì ordinato di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell'infrazione accertata.

L’Autorità decideva infine, in ragione della non gravità dell'infrazione, anche alla luce del contesto normativo e economico in cui le condotte si erano svolte, di non applicare sanzioni.

2. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

“I - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 101 TFUE E 14 DELLA L. N. 689/1981, ECCESSO DI POTERE – LEGITTIMO AFFIDAMENTO”.

L’accertamento contenuto nel provvedimento sarebbe in contrasto con la sussistenza di un legittimo affidamento delle parti circa la correttezza delle condotte contestate, ingenerato dall’approvazione del SEDA – e, in particolare, del suo sistema di remunerazione – da parte dalla Banca d’Italia, nonché dalla acquiescenza prestata dall’Agcm in relazione alle presunte caratteristiche lesive del sistema stesso, comunicate dalle parti alla stessa Autorità prima dell’apertura del procedimento. Secondo MPS, inoltre, poiché la “caratteristica essenziale” dell’intesa (ovvero la struttura del sistema di remunerazione SEDA), indice della sua illiceità, era nota all’Agcm sin dall’ottobre 2012, ovvero tre anni prima della data di apertura del procedimento, l’agire dell’Autorità sarebbe viziato per contrasto con l’art. 14 della l. n. 689/1981, secondo cui la violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente al trasgressore ovvero comunque notificata agli interessati entro il termine di novanta giorni.

“II - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 101 TFUE E 14-TER DELLA L. 287/1990; ECCESSO DI POTERE; CONTRADDITTORIETÀ, ILLOGICITÀ – IMPEGNI”.

MPS ritiene illegittimo il rigetto degli impegni sostenendo che essi erano idonei a far venir meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria. La stessa Autorità avrebbe contraddittoriamente imposto alle parti a conclusione del procedimento di attuare alcune delle misure che già figuravano negli impegni e ritenuto non gravi le medesime condotte definite “di rilevante gravità” nel provvedimento di rigetto.

“III - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 24 COSTITUZIONE ITALIANA, 7 E 8 D.P.R 217/1998, 1 E 10 DELLA L. 241/1990; ECCESSO DI POTERE - LUNGHISSIMA PRE-ISTRUTTORIA”.

La durata della fase preistruttoria avrebbe comportato una lesione dei diritti di difesa, in quanto, sostiene MPS, la totalità dell’attività istruttoria si sarebbe svolta al di fuori delle garanzie procedimentali e in assenza delle parti.

“IV - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 101 TFUE; ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO E CARENZA DEI PRESUPPOSTI DI FATTO, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CONTRADDITTORIETÀ E ILLOGICITÀ - ASSENZA DI RESTRIZIONI DELLA CONCORRENZA”.

I tasselli del presunto “disegno collusivo unico” delle parti individuati dall’Autorità - la volontà di aumentare la redditività e di sfuggire al controllo dell’Agcm, la restrizione derivante dal modello di remunerazione del SEDA, il carattere anticoncorrenziale dell’accordo sulle vecchie deleghe

RID - non avrebbero secondo MPS alcuna valenza anticoncorrenziale ovvero sarebbero inesistenti.

“V - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 101 TFUE; ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO E CARENZA DEI PRESUPPOSTI DI FATTO, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CONTRADDITTORIETÀ – ASSENZA DI RESTRIZIONE PER OGGETTO E DI EFFETTI ANTICONCORRENZIALI”.

I comportamenti posti in essere dalle parti non avrebbero comunque potuto essere ricondotti alla categoria delle restrizioni per oggetto, non avendo l’Autorità valutato gli elementi indicati dalla giurisprudenza per escludere la sussistenza di una restrizione per oggetto, salvo poi valorizzarli per

escluderne la gravità. per oggetto. Parimenti viziata sarebbe la parte del provvedimento relativa ai presunti effetti anticoncorrenziali.

“VI - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 101 TFUE. ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO E CARENZA DEI PRESUPPOSTI, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CONTRADDITTORIETÀ E ILLOGICITÀ – ASSENZA ESCLUSIONE BANCHE ESTERE”.

L’affermazione dell’Autorità secondo cui l’intesa avrebbe dato luogo a un “effetto escludente delle

banche estere sul mercato del SDD come conseguenza del legame negoziale tra l’erogazione del sevizio di pagamento SDD e la riduzione dei canoni del servizio informativo SEDA” sarebbe smentita tanto dalle dichiarazioni rilasciate dalle due banche estere interpellate quanto da una analisi fattuale.

“VII - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 101 TFUE E 3 DELLA L. 689/1981. ECCESSO DI POTERE IN TUTTE LE SUE FIGURE SINTOMATICHE – ASSENZA DELL’ELEMENTO SOGGETTIVO”.

Infine, la ricorrente deduce l’impossibilità di imputare a MPS una violazione delle regole a tutela della concorrenza, per assenza dell’elemento soggettivo rispetto alla violazione contestata.

3. L’Agcm si è costituita in giudizio per resistere al gravame.

4. All’udienza del 9 giugno 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. La controversia concerne una intesa restrittiva della concorrenza per oggetto ai sensi dell’art. 101 TFUE, accertata dall’Agcm volta alla definizione del sistema di remunerazione del Sepa Compliant Electronic Database Alignment (in avanti, “SEDA”) e all'applicazione delle commissioni alle preesistenti deleghe RID, con finalità anticompetitive tese a mantenere elevato il prezzo del servizio SEDA. Tale servizio è stato messo a disposizione dalle banche nell’ambito del processo di creazione del mercato comune dei pagamenti (Single Euro Payments Area – “SEPA”) e della relativa cornice normativa (tra cui il Regolamento UE n. 260/2012), che ha portato alla progressiva sostituzione in Italia del sistema di pagamento denominato “RID” con il SEPA Direct Debit (“SEPA DD”). Il servizio SEDA costituisce un servizio opzionale aggiuntivo (“AOS”) al SEPA DD, implementato allo scopo di rendere disponibili anche per gli strumenti di addebito diretto SEPA le funzionalità della procedura di allineamento elettronico archivi già previste dallo schema nazionale RID.

2. L’oggetto dell’intesa è stato individuato nella “elaborazione di un accordo interbancario che prevede un modello di definizione del prezzo del servizio SEDA che, attraverso un sistema che elimina (o limita fortemente) la pressione competitiva sul soggetto che definisce il prezzo, consente alle banche di aumentare i prezzi e la redditività rispetto al precedente sistema RID ovvero di evitare che il prezzo del servizio si riduca con l'introduzione della SEPA, impedendo la diminuzione delle commissioni bancarie auspicata dalla direttiva PSD e dal Regolamento UE 260/2012” (par. 281). L’Autorità ha osservato in particolare che “il sistema di definizione del prezzo del servizio SEDA elaborato dalle Parti ha come caratteristica essenziale il fatto che il soggetto che definisce il prezzo del servizio (PSP del pagatore) viene scelto da un soggetto diverso (utente) da quello che paga il servizio (beneficiario): ciò limita fortemente la pressione concorrenziale. L'accordo adottato invece di attenuare gli effetti di tale caratteristica del servizio, la accentua prevedendo il sistema "1 a molti". Il sistema di remunerazione, inoltre, definisce a livello interbancario una serie di variabili competitive strategiche (quali la scelta di prezzare i mandati ex RID acquisiti dalla banca come SEDA Avanzato) che avrebbero dovuto esser lasciate alla libera definizione delle Parti e non concertate in un'ottica di aumento generalizzato della remunerazione complessiva” (par. 284). Aggiungeva l’Autorità che dalla documentazione in atti emergeva che l’obiettivo delle parti era quello di aumentare i profitti rispetto al previgente sistema RID e che la concertazione aveva avuto ad oggetto anche il trattamento dello stock dei mandati acquisiti nel previgente sistema RID (par. 285).

3. Parte ricorrente censura in primo luogo l’avvenuta decadenza dall’esercizio del potere sanzionatorio, deducendo che l’Autorità ha avviato il procedimento il 21 gennaio 2016 nei confronti di ABI (estendendola il 13 aprile 2016 alle altre parti del procedimento), mentre la condotta sanzionata doveva ritenersi conosciuta fin dal 2012, tenuto conto che nell’audizione del 30 ottobre 2012 ABI aveva descritto ad Agcm il modello SEDA, che era stato anche illustrato in dettaglio dall’Associazione all’Autorità in risposta alla richiesta di informazioni del giorno 11 gennaio 2013.

In proposito, l’Autorità replica che il termine decadenziale di cui all’art. 14 l. n. 689/1981 non trova applicazione nel procedimento antitrust e che, comunque, come osservato anche al par. 226 del provvedimento, quanto comunicato da ABI, da ultimo nel dicembre 2013, era solo una parte della più ampia concertazione posta in essere, di cui l’Autorità aveva avuto contezza solo in occasione dell’acquisizione di documentazione ispettiva, dalla quale era emerso l’obiettivo di pervenire, attraverso la concertazione, ad un sistema che consentisse un incremento della remuneratività del servizio, rispetto al previgente servizio RID.

4. La censura relativa alla tardività dell’avvio dell’istruttoria in ragione dell’ingiustificato protrarsi di quella preistruttoria merita accoglimento.

5. Deve rammentarsi, quanto all’art. 14 l. n. 689/81, che la norma prevede quanto segue: “La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa. Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all'estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall'accertamento”.

La Sezione ha avuto modo di chiarire che il termine decadenziale di cui all’art. 14 L. 689/1981 non trova diretta applicazione nei procedimenti antitrust in relazione alla durata della fase istruttoria. Ciò in quanto il richiamo operato dall’art. 31 della L. 287/1990, pur nei termini dell’applicabilità delle disposizioni del Capo I, Sez. I e II, L. 689/1981, vale ai soli fini delle sanzioni amministrative pecuniarie, ma non per la disciplina della fase istruttoria del procedimento, in relazione alla quale la fattispecie è distintamente e autonomamente regolata (TAR Lazio, Sez. I, 28 luglio 2017, n. 9048).

Quanto alla durata della fase preistruttoria, né nell’art. 14 L. 287/1990 né nel Regolamento dell’Autorità in materia di procedure istruttorie viene individuato un termine massimo per la sua durata.

La Sezione, tuttavia, ha già affermato che la non applicabilità diretta del termine di cui all’art. 14 cit. non può giustificare il compimento di una attività preistruttoria che si prolunghi entro un lasso di tempo totalmente libero da qualsiasi vincolo e ingiustificatamente prolungato, poiché un simile modus operandi sarebbe in aperto contrasto con i principi positivizzati nella legge n. 241/90 e, più in generale, con l’esigenza di efficienza dell’agire amministrativo e di certezza del professionista sottoposto al procedimento (cfr., tra le pronunce più recenti in tal senso, Tar Lazio, sez. I, 24 novembre 2020 n. 12532).

In proposito, è opportuno ricordare, quali riferimenti interpretativi, anche i principi generali di cui all’art. 6 CEDU e all’art. 41 della Carta Fondamentale dei diritti UE, che costituiscono parametri imprescindibili. Ebbene, dalla lettura di questi non può che desumersi l’obbligo per l’Autorità competente di accertare una violazione del diritto antitrust e di applicare le relative sanzioni, procedendo all’avvio della fase istruttoria entro un termine ragionevolmente congruo, in relazione alla complessità della fattispecie sottoposta, a pena di violazione dei principi di legalità e buon andamento che devono sempre comunque contraddistinguerne l’operato (in termini, Tar Lazio, sez. I, 12 giugno 2018, n. 6525, conf. da Cons. Stato, sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 512). Resta fermo, come più volte rammentato dalla giurisprudenza di questa Sezione, che, ai fini della valutazione della congruità del tempo di accertamento dell’infrazione, ciò che rileva, quale termine iniziale, non è la notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità, ma l'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita; conoscenza a sua volta implicante il riscontro, anche ai fini di una corretta formulazione della contestazione, dell'esistenza e della consistenza dell'infrazione e dei suoi effetti. Ne discende la non computabilità del tempo ragionevolmente occorso, in relazione alla complessità delle singole fattispecie, ai fini dell’acquisizione e della delibazione degli elementi necessari allo scopo di una matura e legittima formulazione della contestazione (Tar Lazio, n. 6525/2018 cit.).

Come rilevato anche dal giudice amministrativo di secondo grado, pertanto, in linea generale si può convenire sulla legittimità della condotta dell’Autorità antitrust che deliberi l’avvio dell'istruttoria a distanza di vari mesi – ma non di vari anni - dalla segnalazione della possibile infrazione, a condizione che la stessa valutazione dell'esigenza di avviare o meno l'istruttoria si presenti complessa (Cons. Stato n. 512/2020 cit.).

6. Nel caso in esame, dalla documentazione versata in giudizio emerge che il servizio SEDA e il relativo modello di remunerazione erano noti fin nei dettagli all’Autorità almeno fino dal 30 ottobre 2012, data in cui l’ABI ha partecipato ad un’audizione presso l’Agcm, volta proprio a “descrivere il nuovo modello di riferimento in ambito SEPA che si immagina di introdurre come servizio opzionale aggiuntivo in vista della migrazione dal RID al Direct Debit”.

Nel gennaio 2012 l’ABI ha ulteriormente chiarito alcune caratteristiche del servizio in risposta alle richieste di informazioni dell’Autorità, che riguardavano nel dettaglio: la circostanza che il PSP di Allineamento era libero di concordare con il Beneficiario il prezzo per il servizio reso in ambito SEDA; la necessità di remunerare la banca che svolge il doppio ruolo di banca di Allineamento e PSP del Pagatore per entrambi i servizi resi.

Nel marzo del 2013 l’Agcm comunicava all’ABI di riservarsi “ogni valutazione aisensi della legge n. 287/90 anche alla luce delle concrete modalità di erogazione del servizio SEDA e dei conseguenti effetti prodotti sul mercato” osservando come lo stesso fosse “allo stato, ancora in progettazione”.

Nel dicembre del 2013 l’ABI illustrava nuovamente in audizione all’Agcm le caratteristiche del servizio SEDA, depositando anche una copia della “proposta contrattuale servizio SEDA” e dell’“accordo interbancario per l’offerta del servizio AOS”. In tale contesto l’ABI, oltre a descrivere nuovamente all’Autorità le caratteristiche del modello SEDA già in precedenza illustrate, specificava anche il trattamento applicabile alle deleghe ex RID (cfr. il verbale di audizione ABI del dicembre 2013 depositato in giudizio dall’Autorità il 17 maggio 2021 e, segnatamente la pag. 10 della presentazione di ABI denominata “AOS SEDA – Modello di remunerazione e schema contrattuale”).

L’istruttoria veniva avviata circa due anni dopo, il 21 gennaio 2016, e nel provvedimento si afferma in proposito che: anche successivamente al 2013 ABI è stata più volte sentita in audizione e che sono state chieste informazioni nel corso del 2014 e 2015, oltre a talune banche, anche a numerose imprese fatturatrici e associazioni; quanto comunicato da ABI fino al 2013 costituiva “solo una parte della più ampia concertazione posta in essere dalle parti” che non si era limitata alla definizione dell’architettura del sistema di remunerazione del servizio SEDA ma era “entrata nel dettaglio delle modalità di applicazione del modello” ed era anche emerso che le parti avevano “colto l’occasione dell’adozione del nuovo modello per aumentare la remunerazione”; di tali aspetti l’Autorità aveva avuto contezza solo in occasione dell’acquisizione di documentazione ispettiva, successivamente all’avvio dell’istruttoria (cfr. par. 226 e ss. del provvedimento).

Tuttavia, dall’analisi della documentazione prodotta in giudizio emerge che tutte le caratteristiche del servizio SEDA oggetto di contestazione – vale a dire l’abbandono della commissione interbancaria multilaterale (multilateral interchange fee, in avanti “MIF”) come sistema di remunerazione, la scelta del modello cd. “1 a molti”, la libertà di ciascun PSP del pagatore di determinare i canoni per il servizio offerto, la possibilità per la banca di allineamento di offrire un servizio aggiuntivo, logicamente distinto dal SEDA e separatamente remunerato - erano state già compiutamente descritte da ABI all’Agcm nel gennaio del 2013, mentre nel dicembre del 2013 era stato illustrato anche l’aspetto della gestione delle deleghe “ex RID” e la circostanza che esse avrebbero potuto essere prezzate secondo il listino previsto per il SEDA avanzato. Dunque, a partire da tale momento l’Autorità era in possesso di tutte le informazioni utili a conoscere compiutamente il modello di funzionamento e di remunerazione del servizio SEDA e a comprendere la potenziale produzione di effetti anticompetitivi sul mercato.

La documentazione richiamata nel provvedimento, acquisita successivamente al dicembre 2013 e prima dell’avvio dell’istruttoria nel gennaio 2016, nulla ha aggiunto quanto alla conoscenza della consistenza dell'infrazione e dei suoi effetti, sicché la circostanza che l’Autorità abbia deliberato l’avvio dell’istruttoria decorsi due anni della piena conoscenza della fattispecie oggetto di istruttoria si pone in contrasto con il rispetto dei principi di buon andamento ed efficienza dell’azione amministrativa, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati.

7. Deve aggiungersi che il mancato rispetto di un termine ragionevole per l’avvio del procedimento antitrust rappresenta un vulnus particolarmente grave dei surriferiti principi e dell’interesse dell’operatore che opera nel mercato alla rapidità della formulazione della contestazione, soprattutto in quelle fattispecie, come la presente, ove viene contestata l’esistenza di una intesa “per oggetto”, in cui il tempestivo avvio dell’istruttoria è di fondamentale importanza per impedire il protrarsi dell’attività ritenuta non compatibile con le regole poste a tutela della concorrenza e a correggere tempestivamente le condotte illecite degli operatori.

8. Ferma restando la fondatezza della censura procedimentale innanzi scrutinata, il ricorso merita accoglimento anche in relazione alle censure di tipo sostanziale, relative alla insussistenza per qualificare il coordinamento tra le parti in termini di accordo con finalità anticoncorrenziali e violativo dell’art. 101 TFUE.

9. L’Autorità ha ritenuto che il sistema di remunerazione prescelto fosse più restrittivo di quello basato sulla MIF, che presuppone l’applicazione di un prezzo uguale per tutti, e che la decisione di adottare il meccanismo “1 a molti” rispondesse all’obiettivo, anche nel trattamento dello stock dei mandati RID ancora in circolazione, di aumentare i profitti rispetto al previgente sistema RID ed evitare interventi al ribasso di Agcm. Il meccanismo “1 a molti”, nello specifico, comportava che il beneficiario dell’addebito diretto entrava in rapporto contrattuale diretto con ciascun PSP del pagatore, con cui negoziava direttamente il prezzo offerto per il servizio reso, ovvero, in assenza di contrattazione, pagava una commissione pari all'importo massimo determinato autonomamente da quest'ultimo e pubblicato sul sito internet di Sepa Italia.

Tuttavia, la circostanza che l’intento delle parti fosse quello di alterare la dinamica concorrenziale della fissazione dei prezzi di remunerazione del servizio SEDA risulta smentita da una serie di circostanze.

10. In primo luogo, l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui le banche si sarebbero attivate al fine di sostenere un aumento complessivo dei prezzi di remunerazione del servizio ovvero di impedirne la diminuzione rispetto all’analogo servizio offerto tramite RID prima dell’introduzione del SEPA DD, non trova conferma nella documentazione acquisita nel corso dell’istruttoria.

Le banche, consapevoli che la legislazione comunitaria vieta il ricorso alla MIF per la remunerazione del prestatore di un servizio di pagamento in relazione a operazioni di addebito diretto (art. 8 del Reg. CE n. 260/2012), e tenuto conto che il SEDA è un servizio opzionale del servizio SEPA DD, avevano accantonato l’idea di ricorrere allo strumento della MIF per “evitare interventi al ribasso di AGCM” (par. 260) sottolineando come vi fosse l’esigenza “di aumentare la remunerazione sensibilmente rispetto a oggi che lavoriamo in perdita” (par. 259), in ragione del fatto che la MIF “è ormai legata al recupero dei soli costi diretti peraltro calcolati sulla base di medie efficientanti sempre meno legate alla realtà dei costi effettivamente sostenuti (…)” (par. 262).

In sostanza, l’intento delle banche, tenuto conto che il SEDA è un servizio commerciale non obbligatorio bensì opzionale e aggiuntivo previsto dalle nuove regole e normative europee relative all’introduzione del SEPA SDD, era quello di individuare un meccanismo alternativo alla MIF - percepito come eccessivamente rigido e foriero di conseguenze negative anche in ragione della possibilità che la determinazione di una commissione unica fosse considerata dall’Autorità come una intesa tra concorrenti – e in grado di permettere una remunerazione adeguata del servizio.

Inoltre, nella individuazione del modello di remunerazione le parti avevano scartato la possibilità di prevedere un prezzo massimo di sistema unico per tutte le banche perché ritenuta problematica soprattutto da un punto di vista antitrust, richiedendo la discussione su un possibile prezzo comune del servizio.

Dunque, non trova conferma l’affermazione secondo cui l’intento delle parti era quello di realizzare un accordo anticompetitivo per mantenere artificiosamente alti i prezzi del servizio offerto (o non consentirne la diminuzione). Dalla documentazione acquisita in via istruttoria si evince, anzi, che la volontà era quella di individuare un meccanismo di remunerazione adeguato al nuovo servizio offerto, che si ponesse “al riparo” da contestazioni in termini di compatibilità con la normativa antitrust e che consentisse ai PSP di applicare un corrispettivo che, pur rimanendo sempre autonomamente deciso da ogni prestatore di servizio, ricomprendesse anche un utile.

11. Anche la scelta in merito alla modalità di gestione delle deleghe ex RID risulta improntata secondo la medesima finalità, vale a dire l’adozione di una soluzione non vincolante per le parti ma che consentisse la sola possibilità per il PSP del pagatore di diversificare il prezzo per il servizio, applicando alle deleghe raccolte presso il PSP del pagatore il prezzo più elevato.

12. Risulta, in definitiva, smentita la statuizione dell’Agcm circa la presenza di un intento anticoncorrenziale comune alle parti e sotteso alla formazione dell’accordo.

13. Conclusivamente, alla stregua di quanto suesposto, il ricorso merita accoglimento con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

14. Le spese del giudizio possono essere compensate, tenuto conto della novità e della complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio mediante collegamento da remoto del giorno 9 giugno 2021 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Laura Marzano, Consigliere

Lucia Maria Brancatelli, Primo Referendario, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Lucia Maria Brancatelli Antonino Savo Amodio
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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