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Consiglio di Stato, Sez. V, 6/12/2021 n. 8072
L'Asmel non può essere qualificata “centrale di committenza” o “soggetto aggregatore

Materia: appalti / disciplina
Pubblicato il 06/12/2021

N. 08072/2021REG.PROV.COLL.

N. 02863/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2863 del 2016, proposto da
Asmel Società Consortile a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Pilade Chiti, Lorenzo Lentini, Aldo Sandulli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Aldo Sandulli in Roma, via F. Paulucci de' Calboli n. 9;

contro

Autorità Nazionale Anticorruzione- ANAC, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Associazione Nazionale Aziende Concessionarie e Pubblicità (ANACAP), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Di Benedetto, Giuseppe Dicuonzo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pietro Di Benedetto in Roma, via Cicerone, 28;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma, Sezione III, 22 febbraio 2016, n. 2339, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) e dell’Associazione Nazionale Aziende Concessionrie e Pubblicità (Anacap);

Viste le memorie e tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2021, tenuta in collegamento da remoto secondo quanto stabilito dall’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, modificato dall’art. 1, comma 17, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 2021, n. 21, il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti, sempre in collegamento da remoto, gli avvocati Chiti, Lentini, Sandulli, Di Benedetto e dello Stato Pluchino, in collegamento da remoto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il presente giudizio ha ad oggetto l’attività di centrale di committenza a favore di vari enti locali svolta nel tempo da Asmel società consortile a r.l. (di seguito anche “Asmel”), costituita il 23 gennaio 2013 e composta dal Consorzio Asmez (costituito da imprese private a Napoli il 25 marzo 1994), dall’associazione privata Asmel (costituita il 26 maggio 2010, nella forma di associazione non riconosciuta ai sensi dell’art. 14 Cod. civ., tra gli altri enti dall’A.N.C.P.I.- associazione nazionale piccoli comuni italiani, nata nel 1996, su iniziativa di piccoli comuni della provincia di Cuneo) e dal Comune di Caggiano, rispettivamente detentori del 24%, del 25% e del 51% delle quote sociali.

1.1. In particolare, in base al suo funzionamento, gli enti locali, dopo aver aderito all’associazione Asmel, affidavano, mediante deliberazione di giunta comunale, le loro funzioni di acquisto alla società consortile Asmel, la quale riceveva, per i servizi prestati da una piattaforma telematica, un corrispettivo pari all’1,5% dell’importo di aggiudicazione, posto a carico dell’aggiudicatario. Nella detta qualità di “centrale di committenza”, Asmel s.c.a.r.l. indiceva una procedura per la stipula di convenzioni quadro per l’affidamento del servizio di accertamento dell’imposta comunale/municipale sugli immobili e di riscossione coattiva delle entrate, nonché 152 procedure per l’aggiudicazione, mediante gara telematica, di appalti di varia natura.

2. A seguito di esposti l’Autorità Nazionale Anticorruzione (di seguito “A.N.A.C.”) avviava un’attività di indagine e, all’esito, adottava la deliberazione 30 aprile 2015, n. 32, con cui dichiarava la non corrispondenza di Asmel s.c.a.r.l. e del Consorzio Asmez ai modelli organizzativi indicati dall’art. 33, comma 3- bis, d.lg.s 12 aprile 2016, n. 163 per la costituzione delle centrali di committenza (ovvero “l’unione dei comuni”, già esistente, di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 Testo Unico degli Enti Locali, o la costituzione di un “apposito accordo consortile tra i comuni medesimi”), poiché: la partecipazione degli enti locali alla società consortile era solo indiretta (in quanto essi aderivano in un primo tempo all’associazione Asmel e solo successivamente incaricavano l’Asmel di procedere ad acquisti); anche Asmel s.c.a.r.l. aveva natura privatistica (trattandosi di società di diritto privato costituita a sua volta da altre associazioni), mentre per le centrali di committenza l’ordinamento italiano ha fatto sempre riferimento ad enti pubblici (province o città metropolitane) o alle suddette forme associative di enti locali; anche a voler ammettere il ricorso a soggetti privati, questi ultimi avrebbero comunque dovuto essere organismi interni (in house), esercenti attività limitata al territorio dei comuni fondatori, laddove, nel caso di specie, non erano soddisfatti i presupposti relativi al controllo analogo e alla delimitazione territoriale dell’attività esercitata, mancando altresì la previsione di una legittimazione a svolgere funzione di centrale di committenza a livello nazionale. La delibera di ANAC negava altresì ad Asmel s.c.a.r.l. la qualificazione di “organismo di diritto pubblico” (per assenza di attività diretta a soddisfare bisogni di interesse generale irrinunciabili per la collettività, svolgendo essa un’attività solamente strumentale rispetto alle esigenze - di acquisto di beni- degli enti locali aderenti, nonché a causa della carente esternalizzazione diretta di funzioni, vista la preliminare necessità per i Comuni di aderire all’associazione Asmel) e la possibilità di essere inclusa tra i «soggetti aggregatori» di cui all’art. 9 d.-l. 24 aprile 2014 n. 66 conv. dalla l. 23 giugno 2014, n. 89; alla luce del conseguente divieto allo svolgimento di attività di intermediazione negli acquisti pubblici, dichiarava quindi prive del presupposto di legittimazione le gare poste in essere dalla società consortile.

3. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Asmel s.c.a.r.l. impugnava il provvedimento dell’ANAC, contestando in primo luogo l’applicazione al caso in esame dell’art. 33, comma 3bis, d.lgs. 163/06, e ne sosteneva l’illegittimità, domandandone quindi l’annullamento: a) per averle erroneamente negato la qualificazione di “organismo di diritto pubblico” (benché, a suo avviso, essa rispondesse ai tre requisiti richiesti dalla giurisprudenza per la sua configurazione, in quanto disponeva di personalità giuridica, soddisfaceva esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, era finanziata dagli enti locali aderenti e operava sotto la loro influenza dominante), rientrante pertanto tra le «amministrazioni aggiudicatrici» di cui all’art. 3, comma 25, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e, per questa via, qualificabile come “centrale di committenza” ai sensi del medesimo art. 3, comma 34, (che definisce le centrali di committenza «amministrazioni aggiudicatrici», anche a prescindere dai diversi modelli organizzativi stabiliti per le centrali di committenza degli enti locali dall’art. 33, comma 3-bis, cit.); b) per aver ritenuto contrastante con il dato normativo lo svolgimento dell’attività di centrale di committenza oltre il territorio dei comuni fondatori, benché il comma 3 bis dell’art. 33 (tanto nella sua versione originaria, che prevedeva l’obbligo per i comuni con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti di affidare l’attività di acquisto ad una centrale di committenza, quanto in quella successiva, che pone l’obbligo a carico di tutti i comuni non capoluogo) non facesse riferimento ad un ambito infra- regionale di operatività; c) per aver erroneamente interpretato l’art. 33, comma 3 bis, nel senso secondo cui il legislatore- ove ha imposto quale modello organizzativo per la costituzione di una centrale di committenza, oltre l’«unione dei comuni», l’«accordo consortile» fra i comuni- avrebbe in questo modo inteso richiamare accordi come quelli previsti dall’art. 30 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 [T.U.E.L. – Testo unico degli enti locali per il quale «Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni»], anziché una qualunque delle modalità con le quali è possibile realizzare in forma cooperativa attività di interesse degli enti locali, ivi compresa la forma del consorzio privatistico.

4. Con la sentenza in epigrafe, nella resistenza di ANAC, il Tribunale amministrativo per il Lazio ha respinto il ricorso di Asmel s.c.a.r.l.

4.1. In sintesi la sentenza ha ritenuto il “sistema Asmel” non rispondente al modello legale della “centrale di committenza” previsto dal combinato disposto degli artt. 3, commi 25 e 34 e 33, commi 1, 2, 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, non risultando in particolare conforme ad alcuno dei modelli organizzativi delle centrali di committenza enucleabili dall’art. 33, comma 3-bis, nell’originaria formulazione vigente al tempo dell’adozione del provvedimento impugnato (così come introdotta dall’art. 23, comma 4, d.-l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214), per la presenza nella compagine consortile dell’associazione di diritto privato Asmel ed in quanto l’ “accordo consortile” non interviene tra “comuni”, essendo la partecipazione di questi ultimi alla centrale di committenza solo indiretta, perché mediata dall’adesione all’associazione privata (a sua volta consorziata Asmel) e realizzata mediante una delega di funzioni di committenza alla Asmel consortile da parte del singolo Comune.

4.2. La sentenza ha poi escluso che, in base alla normativa vigente al tempo dell’adozione del provvedimento impugnato (come pure in base alla successiva formulazione), la centrale di committenza possa estendere la propria operatività a tutti i comuni dell’intero territorio nazionale, dovendo, invece, limitare la propria attività al territorio dei comuni fondatori ovvero all’ambito provinciale.

4.3. La sentenza ha altresì ritenuto che Asmel s.c.a.r.l. non possa essere qualificata “organismo di diritto pubblico” per l’assenza del requisito della “influenza pubblica dominante”, considerate le modalità di finanziamento (che la società consortile pone a carico delle imprese aggiudicatarie delle commesse pubbliche) e il controllo sulla gestione (che non spetta ai piccoli comuni associati, i quali, anche a superare la circostanza della gestione indiretta mediante iscrizione all’associazione Asmel, detengono, in ogni caso, una partecipazione che assomma al 49% e, dunque, non maggioritaria a fronte della partecipazione del 51% detenuta dal solo Comune di Caggiano, senza considerare che l’elevato numero di comuni associati determina che il singolo piccolo comune abbia un potere ben limitato sulla vita associativa, e tale, comunque, da escludere una vera incidenza sulle scelte gestionali).

5. Contro la sentenza Asmel società consortile a r.l. ha proposto appello per i seguenti motivi di diritto:

“I. Violazione del principio del “tempus regit actum”- violazione di legge (art. 23 co. IV D.l. 201/2011 conv. in l. 241/11; art. 29 d.l. 216/2011 conv. n l. 14/12, art. 5ter l. 71/2013, art. 1 co. 343 l. 147/2013, art. 23 l. 90/2014, modificato l. 11/2014, art. 1 co. 163 l. 107/2015);

II. “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 33 d.lgs. n. 163/2016 a causa della mancata interpretazione conforme al nuovo diritto europeo (Direttiva 2014/24/UE)”;

III. “Violazione degli artt. 3, co. 25-26 e 33 d.lgs. 163/2006 – violazione dei principi comunitari in tema di organismo di diritto pubblico”;

IV. “Violazione di legge (art. 33 co. 3bis d.lgs. 163/06)”

V. “Error in iudicando: assenza del vincolo di territorialità – violazione di legge (art. 1, co. 343 l. 147/2013)”.

5.1. Si è costituita ANAC, argomentando l’infondatezza dell’appello e insistendo per il rigetto.

5.2. Con sentenza del 4 giugno 2020 (C.3/19) la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunziata sui quesiti pregiudiziali sottoposti da questa V Sezione nell’ambito del presente giudizio con ordinanza n. 68 del 3 gennaio 2019. Successivamente a tale pronunzia le parti hanno ulteriormente illustrato con memorie e repliche le rispettive tesi difensive, insistendo entrambe per l’accoglimento delle conclusioni e domande formulate, richiamando precedenti decisioni di questa Sezione in materia.

5.3. All’udienza del 6 maggio 2021, udita la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con l’appello proposto la società consortile Asmel critica la sentenza di primo grado in epigrafe di reiezione del suo ricorso contro la delibera n. 32 del 30 aprile 2015 di ANAC che le ha vietato lo svolgimento di attività di intermediazione negli acquisti pubblici e ha dichiarato prive del presupposto di legittimazione le gare poste in essere da tale società, a causa dell’inosservanza da parte di quest’ultima dei modelli organizzativi per le centrali di committenza previsti dalla normativa applicabile in materia di contratti pubblici. L’appellante sostiene infatti che, da un lato, è errato ritenere che il modello organizzativo consistente in un consorzio di diritto privato in forma societaria sia incompatibile con le menzionate disposizioni del decreto legislativo n. 163/2006 sulle centrali di committenza e, dall’altro, che la legge non impone alcuna limitazione territoriale all’operatività delle centrali di committenza.

1.1. In particolare, con il primo motivo Asmel assume che erroneamente il giudice di primo grado ha ritenuto vigente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato la prima formulazione dell’art. 33, comma 3-bis, così come introdotta nel corpo del codice dei contratti pubblici dall’art. 23, comma 4, d.-l. 6 dicembre 2011, n. 201 conv. dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214 («I Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia affidano obbligatoriamente ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture nell'ambito delle unioni dei comuni, di cui all'articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici»), piuttosto che la più recente formulazione introdotta dall’art. 1, comma 343, l. 27 dicembre 2013, n. 147 («I Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 15 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A.o da altro soggetto aggregatore di riferimento»). Per l’appellante, infatti, la prima formulazione non ha mai prodotto i suoi effetti (pur essendo formalmente entrata in vigore) avendo la norma stabilito che dovesse trovare applicazione «alle gare bandite successivamente al 31 marzo 2012», termine poi prorogato fino al 30 giugno 2014, quando, ormai la disposizione era già stata modificata dagli interventi normativi successivi.

1.2. Con il secondo motivo la società appellante lamenta che la decisione avrebbe erroneamente ritenuto non immediatamente applicabile la disposizione, contenuta nella direttiva sui contratti pubblici 2014/24/UE, che definisce le “centrali di committenza”, in quanto non ancora recepita al tempo dell’adozione del provvedimento impugnato: il mancato recepimento, sostiene l’appellante, rileva solo in caso di nuova direttiva che intervenga in una materia da tempo disciplinata dall’ordinamento (anche con disposizioni di derivazione comunitaria) e per la quale si sia formata una giurisprudenza stratificata, non già nel caso, come quello delle centrali di committenza, di materia non ancora adeguatamente disciplinata, ove il giudice è obbligato ad una interpretazione conforme alla direttiva sebbene non ancora recepita.

1.3. Con il terzo motivo l’appellante sostiene, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, di essere in possesso dei requisiti per essere qualificato organismo di diritto pubblico e di poter, per questa via, svolgere attività di centrale di committenza, a prescindere dalle più stringenti previsioni del più volte citato art. 33, comma 3-bis.

1.4. Con il quarto motivo Asmel contesta la sentenza impugnata per aver ritenuto il modello organizzativo della società consortile incompatibile con quelli previsti dall’art. 33, comma 3-bis, per lo svolgimento dell’attività di centrale di committenza; in particolare, per l’appellante, la sentenza avrebbe errato nel ritenere che l’«accordo consortile tra i comuni» di cui alla disposizione sia solo quello previsto dall’art. 30 T.u.e.l. e non anche un contratto di diritto privato volto a costituire un consorzio secondo le disposizioni di diritto comune, vista la generale capacità di diritto privato degli enti pubblici. Allo stesso modo non potrebbe dirsi solo indiretta la partecipazione dei comuni all’accordo consortile considerato per aver affidato ad Asmel le funzioni di centrale di committenza con delibera di Giunta. Aggiunge l’appellante che, da ultimo, e dopo la delibera di ANAC, l’associazione Asmel ha dismesso le quote di partecipazione all’interno del consorzio.

1.5. Con un ultimo motivo di ricorso, la società appellante censura la sentenza di primo grado per non aver considerato che le disposizioni in materia di centrali di committenza (né nell’originaria formulazione, né in quella più recente) non conterrebbero in realtà alcun limite territoriale di operatività; il richiamo ai piccoli comuni solo servirebbe a circoscrivere l’obbligo di affidamento alle centrali di committenza.

2. I motivi così sintetizzati, che per la loro connessione possono essere oggetto di trattazione unitaria, sono infondati.

3. Correttamente l’appellata sentenza ha ritenuto esente dai contestati profili di illegittimità il provvedimento impugnato con cui l’ANAC- individuato nell’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 inserito dall’art. 23, comma 4, d.-l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214 il dato normativo di raffronto della legittimità della forma giuridica adoperata (per essere ivi disposto l’obbligo per i «Comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia» di affidare «ad un’unica centrale di committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture nell’ambito delle unioni dei comuni, di cui all’articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici») e precisate le modalità di funzionamento del “sistema Asmel” (caratterizzato da una partecipazione solo indiretta degli enti locali alla centrale di committenza siccome realizzata mediante l’intermediazione dell’associazione Asmel cui essi, in prima battuta, hanno aderito) – ha negato ad Asmel s.c.a.r.l. la qualificazione di centrale di committenza a ragione della non corrispondenza ai tipi legali previsti dall’art. 33, comma 3bis, d.lgs. 12 aprile 2006, 163 per assumere la veste di “centrale di committenza”, vale a dire l’unione di comuni e l’accordo consortile, escludendone altresì la qualificazione di “organismo di diritto pubblico”.

4. Giova anzitutto richiamare il quadro normativo di riferimento, così come già ricostruito dalla Sezione nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 68 del 3 gennaio 2019.

La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture 2004/18/CE, individuava, all’art. 1, comma 9 le “amministrazioni aggiudicatrici” ne “lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le associazioni costituite da uno o più di tali enti pubblici territoriali o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico”, mentre per il comma 10, una “centrale di committenza” era “un’amministrazione aggiudicatrice che: - acquista forniture e/o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici, o – aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici”.

L’art. 11 (Appalti pubblici e accordi quadro stipulati da centrali di committenza) chiariva: “1. Gli Stati membri possono prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di acquistare lavori, forniture e/o servizi facendo ricorso ad una centrale di committenza. 2. Le amministrazioni aggiudicatrici che acquistano lavori, forniture e/o servizi facendo ricorso ad una centrale di committenza nei casi di cui all’articolo 1, paragrafo 10, sono considerate in linea con la presente direttiva a condizione che detta centrale l’abbia rispettata”.

L’art. 3, comma 34, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ratione temporis vigente, forniva la definizione di centrale di committenza, in perfetta coerenza con la direttiva comunitaria, come di «un’amministrazione aggiudicatrice che: - acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori, o - aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori».

L’«amministrazione aggiudicatrice» era, invece, identificata al comma 25, come «le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti».

L’art. 33, comma 3-bis nella sua ultima formulazione specificava infine: «I Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all'acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma. Per i Comuni istituiti a seguito di fusione l'obbligo di cui al primo periodo decorre dal terzo anno successivo a quello di istituzione».

L’art. 32 (Unioni di comuni) del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico enti locali) prescrive: «L’unione di comuni è l’ente locale costituito da due o più comuni, di norma contermini, finalizzato all’esercizio associato di funzioni e servizi»; l’art. 31 (Consorzi) prevede, invece, che: «Gli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi e per l’esercizio associato di funzioni possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all’articolo 114, in quanto compatibili. Al consorzio possono partecipare altri enti pubblici, quando siano a ciò autorizzati, secondo le leggi alle quali sono soggetti».

4.1. Come rilevato dalla Sezione nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale, la disciplina nazionale, sopra trascritta, va letta nel senso che le amministrazioni aggiudicatrici previste dal Codice dei contratti pubblici del 2006, vale a dire le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da siffatti soggetti, possono assumere la funzione di centrale di committenza, con obbligo, però, per i Comuni (dapprima con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e, poi, non capoluogo di provincia) di rivolgersi a centrali di committenza configurate secondo un preciso modello organizzativo, ovvero quello dell’unione dei comuni di cui all’art. 32 del Testo unico degli enti locali (qualora sia già esistente) o quello del consorzio tra i comuni che si avvale degli uffici delle province (nonché nell’ultima formulazione anche ad un soggetto aggregatore o alle province ai sensi della l. 7 aprile 2014, n. 56).

5. Su queste premesse, la Sezione, considerato che “una centrale di committenza è dunque, per il diritto euro-unitario, un’impresa che offre il servizio dell’acquisto di beni e servizi a favore delle amministrazioni aggiudicatrici” e rilevato che la disposizione nazionale sulle centrali di committenza che operano per i piccoli comuni “appare derogatoria rispetto alla regola generale, limitando il modello organizzativo utilizzabile a due soli schemi rispetto al più ampio novero di soggetti che, nella qualità di amministrazioni aggiudicatrici, potenzialmente possono assumere la veste di centrale di committenza”, che inoltre “il modello organizzativo del consorzio tra i comuni – tenuto conto della definizione di “amministrazione aggiudicatrice” dell’art. 3, comma 25, in cui il riferimento è ai “consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti” ovvero ai consorzi costituiti solamente tra soggetti pubblici – sembra richiamare una forma di cooperazione tra comuni di tipo pubblicistico, come quella prevista dall’art. 31 del Testo unico degli enti locali, che esclude la partecipazione di soggetti privati” ed infine che “l’espresso riferimento ai comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti nell’originaria formulazione dell’art. 33, comma 3-bis, come pure ai comuni non capoluogo di provincia, nella formulazione più recente, ossia ad una connotazione territoriale degli enti aderenti, induce a ritenere che l’ordinamento interno si sia riferito a una corrispondenza tra il territorio dei comuni ricorrenti alla centrale di committenza e l’ambito di operatività della stessa …limitato al territorio dei comuni compresi nell’unione dei comuni ovvero costituenti il consorzio”, ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunziarsi sulla compatibilità di tale disciplina interna con il diritto eurounitario (tenuto conto, in particolare, della possibilità di un più ampio ricorso all’istituto delle centrali di acquisto, prevista dalla direttiva 2004/18/CE) e con i principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi.

5.1. In particolare, l’ordinanza di rinvio ha posto i seguenti quesiti pregiudiziali: “se osta al diritto comunitario, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che limita l’autonomia dei comuni nell’affidamento ad una centrale di committenza a due soli modelli organizzativi quali l’unione dei comuni se già esistente ovvero il consorzio tra comuni da costituire”; e, in ogni caso “se osta al diritto comunitario, e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale come l’art. 33, comma 3bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che, letto in combinato disposto con l’art. 3, comma 25, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in relazione al modello organizzativo dei consorzi di comuni, esclude la possibilità di costituire figure di diritto privato quali, ad esempio il consorzio di diritto comune con la partecipazione anche di soggetti privati”; e, infine, “se osta al diritto comunitario e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3bis, che, ove interpretato nel senso di consentire ai consorzi di comuni che siano centrali di committenza di operare in un territorio corrispondente a quello dei comuni aderenti unitariamente considerato, e, dunque, al massimo, all’ambito provinciale, limita l’ambito di operatività delle predette centrali di committenza”.

6. Con la sentenza del 4 giugno 2020 (C.3/19), la Corte di Giustizia ha anzitutto chiarito che, al fine di garantire la libera prestazione dei servizi e l’apertura ad una concorrenza non falsata, non può essere riconosciuta da una normativa nazionale la qualità di «centrale di committenza» ad un soggetto privo della qualità di amministrazione aggiudicatrice, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2004/18. La Corte ha poi aggiunto che “Tenuto conto dell’ampio margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri, nulla nella direttiva 2004/18 né nei principi ad essa sottesi osta neppure a che gli Stati membri possano adattare i modelli di organizzazione di tali centrali di committenza sulla base delle proprie esigenze e delle circostanze particolari prevalenti in uno Stato membro, prescrivendo a tal fine modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di persone o di imprese private”.

6.1. La Corte, premesso che “il legislatore italiano, anzitutto incoraggiando il ricorso degli enti locali a centrali di committenza, create secondo modelli organizzativi definiti, poi imponendo ai piccoli enti locali l’obbligo di ricorrere a tali centrali, ha cercato non solo di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose, ma anche di prevedere uno strumento di controllo delle spese” e considerato anche che, “tenuto conto dello stretto legame esistente tra la nozione di “amministrazione aggiudicatrice” e quella di “centrale di acquisto (…) non si può ritenere che le centrali di committenza offrano servizi su un mercato aperto alla concorrenza delle imprese private”, ha concluso che “una normativa nazionale che limiti la libertà di scelta dei piccoli enti locali di ricorrere a una centrale di committenza, prescrivendo a tal fine due modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di persone o di imprese private, non viola l’obiettivo di libera prestazione dei servizi e di apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, perseguito dalla direttiva 2004/18, dal momento che essa non colloca alcuna impresa privata in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti”.

Secondo la Corte di Giustizia, dunque, detta normativa nazionale non accorda alcuna preferenza ad un’impresa offerente nazionale, ma concorre alla realizzazione dei su indicati obiettivi “in quanto pone i piccoli enti locali al riparo dal rischio di un’intesa tra una centrale di committenza e un’impresa privata che detenga una partecipazione in tale centrale di committenza”.

6.2. Tanto premesso, la Corte di Giustizia si è quindi pronunziata sui quesiti pregiudiziali dichiarando che: “L’articolo 1, paragrafo 10, e l’articolo 11 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (UE) n. 1336/2013 della Commissione, del 13 dicembre 2013, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione di diritto nazionale che limita l’autonomia organizzativa dei piccoli enti locali di fare ricorso a una centrale di committenza a soli due modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di soggetti o di imprese private. L’articolo 1, paragrafo 10, e l’articolo 11 della direttiva 2004/18, come modificata dal regolamento n. 1336/2013, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione di diritto nazionale che limita l’ambito di operatività delle centrali di committenza istituite da enti locali al territorio di tali enti locali”.

7. Acclarata dunque l’insussistenza di profili di incompatibilità della disciplina sulle centrali di committenza recata dall’art. 33 bis del d.lgs. 163/2006, vigente ratione temporis, con il diritto comunitario, quanto alla scelta di consentire ai piccoli comuni il ricorso a soli due modelli organizzativi di centrali di committenza (le unioni di comuni se esistenti o la costituzione di un consorzio di comuni), esclusivamente pubblicistici e con ambito di operatività limitata al territorio degli enti locali che hanno costituito la centrale di committenza, sono infondate le doglianze di Asmel contro la sentenza appellata che bene ha ritenuto legittima la sua esclusione dal perimetro delle amministrazioni aggiudicatrici. Asmel associa infatti un soggetto privato ed ha essa stessa natura privatistica, oltre ad aver operato al di fuori del territorio degli enti locali fondatori: tanto comporta, in base alla disciplina di legge regolante la fattispecie, l’impossibilità di svolgimento da parte della stessa delle funzioni di centrale di committenza.

7.1. La giurisprudenza si è recentemente espressa in tal senso in due recenti decisioni, successive alla citata sentenza della Corte di Giustizia, richiamando i principi ivi affermati (oltre ad essersi occupata di doglianze concernenti la carenza dei requisiti della centrale unica di committenza in capo ad Asmel e delle clausole di gara che imponevano il versamento di un corrispettivo, in una percentuale dell’importo di aggiudicazione, a suo favore e a carico dell’aggiudicatario, prima della stipula del contratto, in virtù di un atto unilaterale d’obbligo compilato e sottoscritto dai concorrenti al momento della partecipazione, nelle sentenze di cui a Cons. Stato, V, 19 maggio 2020, n. 3173, e 17 marzo 2021, n. 2276: sebbene nei relativi giudizi solo per dichiarare inammissibili i ricorsi per difetto di interesse e legittimazione ad agire, a causa della mancata partecipazione alla gara delle imprese ricorrenti e della non ricorrenza nella specie di clausole del bando c.d. escludenti e perciò immediatamente impugnabili).

7.2. In particolare, per quanto di interesse, la sentenza del Consiglio di Stato, V, 12 novembre 2020, n. 6975 ha accolto le censure sollevate da un operatore economico avverso gli atti di indizione di una gara, con cui si è lamentato che “non poteva essere delegato l’espletamento di procedure concorsuali ad Asmel consortile S.c.a.r.l., in quanto priva dei requisiti di legge per poter essere considerata una centrale di committenza” e che parimenti illegittima doveva considerarsi la richiesta contenuta in tutti i propri bandi di versamento a suo favore da parte dell’aggiudicataria dei costi di gestione della sua piattaforma perché in violazione dell’art.41, comma 2 bis, del d.lgs. 50/2016, in base al quale “E’ fatto divieto di porre a carico dei concorrenti, nonché dell’aggiudicatario, i costi di gestione delle piattaforme di cui all’art.58”.

La sentenza da ultimo citata ha dunque annullato l’intera procedura di gara, ritenendo che Asmel non potesse rivestire la posizione di centrale di committenza: e ciò nonostante i correttivi adottati a valle dell’impugnata deliberazione ANAC n. 32/2015 per il fatto che Asmel “continuerebbe a non possedere neppure le caratteristiche del modello organizzativo previsto dall’art. 37, comma 4, d.lgs. n. 50/2016 per la costituzione di centrali di committenza da parte dei comuni, continuando ad avere (nonostante l’intervenuta estromissione dei soci privati) una sostanziale natura privatistica, in quanto società di diritto privato costituita da altre associazioni (Asmel Campania ed Asmel Calabria)”.

7.3. La pressoché coeva sentenza di questa Sezione, 3 novembre 2020, n. 6787 ha invece respinto l’appello dell’associazione Asmel (la quale detiene il 25% delle quote sociali della Asmel Consortile s.c.a.r.l.) e confermato la decisione di prime cure di accoglimento di un ricorso proposto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione - nell’esercizio della legittimazione ad agire in giudizio riconosciuta dall’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti pubblici (al fine di “prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici, con particolare riferimento all’impugnazione dei bandi e degli altri atti generali, in relazione a «gravi violazioni» del Codice dei contratti pubblici”) - e incentrato sull’illegittimità degli atti della procedura di gara indetta da Asmel s.c.a.r.l., per conto di vari enti locali, proprio per il difetto della qualifica di centrale di committenza attribuibile a quest’ultima, che non avrebbe potuto essere considerata come amministrazione aggiudicatrice, non essendo in possesso dei requisiti per bandire una gara per la stipula di convenzioni quadro per l’acquisizione di forniture a favore di pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. i) [che contiene la definizione di «centrale di committenza»] e lett. m) [definizione di «attività di committenza ausiliarie»] e dell’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici.

7.3.1. In particolare, nella richiamata decisione, da cui non vi è ragione di discostarsi, la Sezione (richiamata la pronunzia della Corte di Giustizia sui quesiti pregiudiziali posti da questo Consiglio di Stato con ordinanza n. 68 del 3 gennaio 2019 e alla luce dei principi ivi affermati) non ha condiviso la tesi dell’appellante secondo cui la qualifica di centrale di committenza in capo ad Asmel e la sua legittimazione alla indizione della procedura di gara per conto degli enti locali associati sarebbero derivate dall’essere un’associazione tra amministrazioni aggiudicatrici (rappresentate dai piccoli comuni associati) e, a sua volta, amministrazione aggiudicatrice per l’art. 3, comma 1, lett. a), del Codice dei contratti pubblici (che definisce «amministrazioni aggiudicatrici», le «amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti»); ed ha altresì escluso che l’Asmel associazione, costituendo “lo strumento per consentire ai medesimi enti soci di raggiungere l’obiettivo della centralizzazione delle commesse pubbliche degli enti locali di minor dimensione” (senza che ciò implicasse alcun conferimento di funzioni pubblicistiche, dagli enti pubblici soci alla stessa Asmel), avrebbe avuto tutti i requisiti dell’organismo di diritto pubblico (e dovesse, perciò, anche sotto questo profilo, essere qualificata come amministrazione aggiudicatrice).

7.3.2. Si trascrivono di seguito le motivazioni della decisione.

“13. - Le censure così sintetizzate sono infondate.

13.1. - In punto di fatto occorre precisare che la procedura di gara per cui è controversia è stata indetta da Asmel Consortile S.C. a r.l. nella asserita qualità di centrale di committenza.

13.2. - Secondo l’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici, «se la stazione appaltante è un comune non capoluogo di provincia», come nel caso di specie, tra le diverse modalità consentite per l’acquisizione di beni, servizi o lavori, è previsto il ricorso a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati.

13.3. - Peraltro, come ben rilevato dall’Anac, per poter acquisire la qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore, occorre che il soggetto sia non solo iscritto all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita dall’art. 33-ter del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ma anche all’elenco dei soggetti aggregatori (inizialmente istituito presso l’AVCP e attualmente compreso nelle competenze dell’Anac, per effetto dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti pubblici, secondo cui «E' istituito, presso l'Autorità, nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, l'elenco dei soggetti aggregatori»).

L’iscrizione a detto elenco è disciplinata dall’articolo 9 (Acquisizione di beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e prezzi di riferimento) del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, il quale prevede, al comma 2, che i soggetti che intendono operare come soggetti aggregatori o centrali di committenza, diversi dalla Consip e dalle centrali di committenza istituite dalle singole regioni, devono richiedere all’Anac l’iscrizione nell’elenco; l’iscrizione è condizione necessaria per «stipulare, per gli ambiti territoriali di competenza, le convenzioni di cui all'articolo 26, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 […]» (comma 2, secondo periodo, dell’art. 9 cit.); vale a dire, per stipulare le convenzioni quadro che sono oggetto del bando di gara indetto da Asmel Consortile (quale centrale di committenza) e impugnato dall’Anac col ricorso in primo grado.

13.4. - Che le qualificazioni come stazione appaltante o come centrale di committenza siano diverse, lo si ricava, anzitutto, dalla lettera dell’art. 9 del citato decreto-legge n. 66 del 2014, che separa l’elenco dei soggetti aggregatori dall’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (il comma 1 dell’art. 9 istituisce l’elenco «nell’ambito dell’Anagrafe unica […]»).

In secondo luogo, la distinzione è sottesa alla disciplina sostanziale prevista per i soggetti (diversi da Consip e dalle centrali di committenza regionali, iscritti di diritto) che chiedono l’iscrizione nell’elenco, i quali debbono dimostrare il possesso dei requisiti delineati dal comma 2 dell’art. 9 cit. («il carattere di stabilità dell'attività di centralizzazione, nonché i valori di spesa ritenuti significativi per le acquisizioni di beni e di servizi con riferimento ad ambiti, anche territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell'aggregazione e della centralizzazione della domanda»), come precisati nel d.P.C.M. 11 novembre 2014 (adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 9 cit.); requisiti, la cui verifica è riservata all’Anac.

13.5. - La soluzione trova conferma anche nell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, che ha introdotto un nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, non ancora entrato in vigore, basato sull’istituzione di «un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza», cui possono accedere gli operatori economici in possesso dei requisiti descritti ai commi 3 e 4 dell’art. 38. Anche secondo quest’ultima disposizione, dell’elenco fanno distintamente parte le stazioni appaltanti, le centrali di committenza e i soggetti aggregatori che conseguano la qualificazione rilasciata dall’Autorità.

13.6.- Il trattamento normativo differenziato opera, infine, anche nell’ambito della disciplina transitoria dettata dall’art. 216, comma 10, del Codice dei contratti pubblici, il quale prevede che «[f]ino alla data di entrata in vigore del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti di cui all'articolo 38, i requisiti di qualificazione sono soddisfatti mediante l'iscrizione all'anagrafe di cui all'articolo 33-ter del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221». Gli effetti (provvisori) della qualificazione (e in particolare la possibilità di pretendere dall’Anac il rilascio del «codice identificativo della gara (CIG)» necessario per l’effettuazione delle procedure di gara: art. 38, comma 8) si producono, infatti, solo per le stazioni appaltanti, in quanto siano iscritte all’anagrafe unica; non per le centrali di committenza e i soggetti aggregatori (per i quali, come si è veduto, è necessario – sulla base dell’art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014 cit. – anche l’inserimento nell’elenco dei soggetti aggregatori).

13.7. In conclusione, né la Asmel Consortile s.c. a r.l. (che, come veduto, ha indetto la procedura di gara spendendo la qualifica di centrale di committenza), né Asmel Associazione (indicata nel bando come stazione appaltante), possono essere qualificate come centrali di committenza o soggetti aggregatori, non risultando iscritte all’anzidetto elenco ed essendo insufficiente, a tali fini, la loro iscrizione all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti.

(…) Nella pendenza della vicenda contenziosa riferita, ai fini della controversia in esame, è rilevante rimarcare, nondimeno, che Asmel Consortile mai ha acquisito l’iscrizione nell’elenco dei soggetti aggregatori o delle centrali di committenza”.

7.3.3. La sentenza ha poi ulteriormente precisato che, essendo oggetto dell’accertamento svolto il difetto in capo ad Asmel Associazione della sua qualificazione come centrale di committenza o soggetto aggregatore e conseguentemente la sua incapacità a svolgere le relative funzioni, costituente “uno specifico vizio della procedura di gara avviata da Asmel (attraverso Asmel Consortile), maturato in un ambito pubblico”, per avere il soggetto (in astratto tenuto all’applicazione dell’evidenza pubblica) illegittimamente esercitato il potere in relazione alla concreta vicenda in esame, risulta pertanto “irrilevante stabilire se Asmel Associazione rientri nella definizione legale di organismo di diritto pubblico (questione diffusamente trattata nella sentenza impugnata e nell’appello)”, dovendo per analoghe ragioni escludersi la ricorrenza dei “presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (richiesto dall’appellante al fine di stabilire se Asmel debba essere qualificata come organismo di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), del Codice dei contratti pubblici e delle direttive europee in materia di appalti e concessioni).

7.3.4. La menzionata sentenza ha ritenuto poi fondate anche le doglianze concernenti l’illegittimità del bando di gara nella parte in cui imponeva ai concorrenti, per poter partecipare alla procedura, di corredare l’offerta con un atto unilaterale d’obbligo, impegnandosi, nell’ipotesi di aggiudicazione della gara, al pagamento del costo del servizio svolto da Asmel s.c.a.r.l. quale centrale di committenza per conto degli enti locali, in violazione dell’art. 41, comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici (ai cui sensi: «[è] fatto divieto di porre a carico dei concorrenti, nonché dell'aggiudicatario, eventuali costi connessi alla gestione delle piattaforme di cui all'articolo 58», inserito dall'art. 28, comma 1, del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56), norma che preclude alle stazioni appaltanti di riversare i costi derivanti dall’utilizzo delle piattaforme telematiche di negoziazione, non solo nei confronti dei concorrenti ma anche dell’eventuale aggiudicatario (ritenendo quindi erroneo il riferimento dell’appellante all’art. 16-bis del r.d. n. 2440 del 1923, avente un oggetto diverso e specificamente riferito alle spese per la stipula e la registrazione dei contratti).

7.4. Alla luce delle considerazioni che precedono e dei principi affermati dalla giurisprudenza nelle su indicate decisioni, deve dunque ritenersi che la sentenza appellata, sia pure incentrata essenzialmente sulla mancata qualificabilità di organismo di diritto pubblico (che, invece, nel provvedimento dell’ANAC solo costituiva un elemento aggiuntivo alla decisione di escludere la qualificazione di centrale di committenza per mancanza dell’appartenenza ad uno dei tipi legali), sia corretta e immune dalle censure formulate.

7.5. Né sussiste la lamentata disparità di trattamento con riguardo all’inserimento da parte di ANAC nell’elenco dei soggetti aggregatori del Consorzio CEV (in tesi analogo nella forma giuridica e operatività ad Asmel consortile), per la non ricorrenza di situazioni identiche e sovrapponibili.

7.5.1. Con delibera n. 58 del 22 luglio 2015, il Consorzio CEV era stato infatti iscritto da Anac con riserva (“a condizione che venga effettuata la modifica statutaria volta ad eliminare la possibilità, anche solo in linea teorica, della partecipazione di privati nella compagine sociale e di qualsiasi vocazione commerciale dello stesso”); tuttavia successivamente ANAC ha dapprima sospeso (con effetto immediato a far data dal 15 ottobre 2015) la detta iscrizione e poi (con delibera n. 125 del 10 febbraio 2016) ha espunto il Consorzio CEV dall’elenco dei soggetti aggregatori, per mancato possesso dei requisiti di cui all’art. 2, comma 1, del d.P.C.M. 11 novembre 2014 (ovvero “il carattere di stabilità mediante un’organizzazione dedicata allo svolgimento dell’attività di centrale di committenza”).

7.6. Né risulta ricorrente la censurata violazione del principio del “tempus regit actum” (per avere il provvedimento dell’ANAC prima e l’appellata sentenza poi preso in considerazione una formulazione non vigente della norma di cui all’art. 33, comma 3-bis del d. lgs. n. 163/2006 al tempo della sua adozione, il 30 aprile 2015).

7.6.1. In primo luogo, come bene evidenziato dalla difesa erariale, la stessa società Asmel consortile è stata costituita allo scopo di dare applicazione alle nuove disposizioni di cui all’art. 33, comma 3 bis, del d.lgs. 163/2006 (aggiunto dall'art. 23, comma 4, legge n. 214 del 2011 che ne ha previsto la decorrenza al 1° gennaio 2014) ed ha in effetti fondato la propria legittimazione sulla norma che oggi assume non essere in vigore per effetto delle sopravvenute modifiche normative (cfr. art. 23 ter del d.l. 24 giugno 2014, n. 90 che, per effetto delle modifiche che esso stesso ha subito, ha spostato il termine di entrata in vigore al 1° novembre 2015); tant’è che, come osserva l’Avvocatura, tra le varie deliberazioni dei Comuni che hanno fatto ricorso ai servizi di committenza della centrale Asmel (peraltro, tutte predisposte secondo modelli diffusi dall’Asmel stessa) vi sono quelle con le quali si approva l’ “accordo consortile ai sensi e per gli effetti dell’art. 33 comma 3-bis del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 e ss.mm.ii.”.

7.6.2. In ogni caso, a prescindere dalle formulazioni assunte dalla norma nel tempo o dalla sua successiva abrogazione, rileva che quest’ultima rechi in effetti un’identica disciplina sostanziale quanto alle limitazioni imposte alla costituzione delle centrali di committenza da parte degli enti locali di piccole dimensioni, sia con riferimento ai modelli organizzativi applicabili sia con riguardo alla relativa compagine e all’ambito territoriale di operatività, risiedendo la differente formulazione solo nel porre tale obbligo prima a carico dei Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e poi a carico dei Comuni non capoluogo.

7.6.3. Ne segue che l’Autorità ha correttamente esaminato la fattispecie con riferimento alla disciplina del tempo (a ragione non rinvenendo in essa alcun aggancio normativo per fondare il presupposto di legittimazione alle gare svolte dalla società consortile per conto di vari enti locali), ed abbia motivato quindi l’esclusione di Asmel dal novero delle centrali di committenza sulla non rispondenza ai modelli organizzativi legali e in ragione delle su indicate limitazioni previste dal diritto interno, ritenute conformi al diritto dell’Unione dalla Corte di Giustizia (cfr. anche al riguardo paragrafo 41 della sentenza del 4 giugno 2020, in cui, nell’esaminare in limine la ricevibilità della questione pregiudiziale, si afferma che “il governo italiano ha precisato, in udienza, che la nuova normativa sulle centrali di committenza, che abroga e sostituisce l’articolo 33, comma 3 bis, del decreto legislativo n. 163/2006, non avrà effetto prima del 31 dicembre 2020, ragion per cui il procedimento principale resta disciplinato da tale disposizione”).

7.6.4. Per completezza va evidenziato che l’ANAC (con delibera n. 780/2019) ha ritenuto che, anche alla luce dell’attuale assetto societario e pur nel mutato quadro normativo, Asmel Consortile non è legittimata ad affidare servizi in qualità di centrale di committenza, né tantomeno si giustifica l’imposizione di un contributo di carattere finanziario a carico dell’aggiudicatario (cfr. al riguardo anche la citata sentenza di Cons. Stato, V, n. 6787/2020).

7.7. Non sono neanche suscettibili di favorevole considerazione le doglianze con cui l’appellante lamenta il mancato riconoscimento della qualifica di organismo di diritto pubblico e, per tale via di “amministrazione aggiudicatrice”, configurabile quindi quale centrale di committenza.

7.7.1. L’attribuzione ad Asmel della qualificazione di organismo pubblico di suo comunque non comporterebbe la possibilità di svolgere attività di acquisizione di beni e servizi sul mercato per conto di altre amministrazioni (gli enti locali associati): rileva infatti, a monte e in via assorbente, l’impossibilità per Asmel consortile di essere qualificata per le ragioni anzidette come centrale di committenza e amministrazione aggiudicatrice sulla base della disciplina nazionale (che è espressione dell’ “ampio margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri”), riconosciuta compatibile col diritto euro-unitario dalla più volte richiamata sentenza della Corte di Giustizia. Ed infatti quest’ultima ha statuito che: “Dall’articolo 11 della direttiva 2004/18, in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafi 9 e 10, della direttiva 2004/18 e con il considerando 16 di quest’ultima, risulta che l’unico limite che tale direttiva impone rispetto alla scelta di una centrale di committenza è quello secondo cui tale centrale deve avere la qualità di «amministrazione aggiudicatrice». Tale ampio margine discrezionale si estende altresì alla definizione dei modelli organizzativi delle centrali di committenza, purché le misure adottate dagli Stati membri per l’attuazione dell’articolo 11 della direttiva 2004/18 rispettino il limite stabilito da tale direttiva, relativo alla qualità di amministrazione aggiudicatrice del soggetto al quale le amministrazioni aggiudicatrici intendono rivolgersi in quanto centrale di committenza. Pertanto, a un soggetto privo della qualità di amministrazione aggiudicatrice, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2004/18, non può essere riconosciuta, da parte di una normativa nazionale, la qualità di «centrale di committenza», ai fini dell’applicazione di tale direttiva”

Come detto, il modello proposto da Asmel consortile non può rientrare tra i modelli organizzativi delle centrali di committenza definiti dall’ordinamento nazionale.

7.7.2. In ogni caso, per quanto rileva, non può riconoscersi ad Asmel consortile neppure la qualificazione di organismo di diritto pubblico, a ciò ostando l’assenza tanto del requisito teleologico (lo svolgimento di attività volte a soddisfare esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale e commerciale), stante la previsione dell’obbligo in capo agli operatori commerciali aggiudicatari del pagamento di una commissione per i servizi di committenza espletati dalla stessa, quanto quello dell’influenza dominante, difettando il c.d. controllo analogo da parte degli enti locali aderenti.

7.7.3. Al riguardo, con riferimento al primo profilo, giova richiamare quanto statuito dalla la sentenza della Corte di Giustizia C-3/19 secondo cui: «Una centrale di committenza agisce infatti in qualità di amministrazione aggiudicatrice, al fine di provvedere ai bisogni di quest’ultima, e non in quanto operatore economico, nel proprio interesse commerciale.» (cfr. par. 64); conformemente all’art. 1, paragrafo 9, di tale direttiva, deve ritenersi che un’amministrazione aggiudicatrice “è un ente che soddisfa una funzione di interesse generale, avente carattere non industriale o commerciale” e che “non esercita, a titolo principale, un’attività lucrativa sul mercato” (cfr. paragrafo 70 della sentenza).

7.7.4. Quanto al secondo aspetto, per le corrette motivazioni della sentenza di prime cure, non può poi condividersi la tesi di parte appellante secondo cui il controllo analogo risulterebbe dall’accordo consortile (nel quale sarebbe descritto ogni adempimento legato all’espletamento delle diverse fasi procedimentali degli appalti e ciascuno dei comuni eserciterebbe sulla centrale di committenza un controllo analogo a quello svolto nei riguardi dei propri uffici e servizi).

7.8. Peraltro, risulta dagli atti che, nell’ambito delle proprie competenze in relazione alla tenuta e gestione dell’elenco c.d. in house di cui all’articolo 192 d.lgs. 50/2016, ANAC ha comunicato le risultanze istruttorie, all’esito della domanda di iscrizione nel predetto elenco del comune di Caggiano e degli altri enti locali che partecipano ad Asmel consortile, ravvisando la carenza dei requisiti dell’in house providing di cui all’articolo 5 del Codice dei contratti pubblici, di fatto confermando, sotto altro aspetto, l’assenza del requisito soggettivo di “amministrazione aggiudicatrice” in capo ad Asmel, necessario per vedersi qualificare centrale di committenza abilitata ai sensi e per gli effetti dell’articolo 9 del d.l. 66/2014.

7.8.1. Inoltre, difetta, come bene rilevato dal primo giudice, anche la delimitazione territoriale dell’attività esercitata da Asmel, condizione anch’essa ritenuta rispettosa dei limiti del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri nell’attuazione della direttiva 2004/2018. Al riguardo, la Corte di Giustizia ha infatti affermato che “Una misura con cui uno Stato membro limiti l’ambito di operatività territoriale delle centrali di committenza ai rispettivi territori degli enti locali che le hanno istituite, al fine di assicurarsi che tali centrali di committenza agiscano nell’interesse pubblico di tali enti, e non nel loro proprio interesse commerciale, al di là di tali territori, deve essere considerata coerente con l’articolo 1, paragrafo 10, della direttiva 2004/18, il quale prevede che una centrale di committenza deve avere la qualità di amministrazione aggiudicatrice e deve, a tale titolo, soddisfare i requisiti previsti all’articolo 1, paragrafo 9, di tale direttiva” (cfr. paragrafo sentenza C-3/19).

7.9. Come evidenziato poi dal Consiglio di Stato (nella citata sentenza n. 6787/2020) per poter acquisire la qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore, occorre che il soggetto sia non solo iscritto all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita dall’art.33-ter del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ma anche all’elenco dei soggetti aggregatori (inizialmente istituito presso l’AVCP e attualmente compreso nelle competenze dell’ANAC, per effetto dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti pubblici, secondo cui «E' istituito, presso l'Autorità, nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, l'elenco dei soggetti aggregatori»).

7.9.1. L’iscrizione a detto elenco è disciplinata dall’articolo 9 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014,n. 89, il quale prevede, al comma 2, che i soggetti che intendono operare come soggetti aggregatori o centrali di committenza, diversi dalla Consip e dalle centrali di committenza istituite dalle singole regioni, devono richiedere all’ANAC l’iscrizione nell’elenco; l’iscrizione è condizione necessaria per «stipulare, per gli ambiti territoriali di competenza, le convenzioni di cui all'articolo 26,comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 […]» (comma 2, secondo periodo, dell’art. 9 cit.).

7.9.2. Come chiarito dalla giurisprudenza di questo Consiglio nella sentenza su indicata le qualificazioni come stazione appaltante o come centrale di committenza sono diverse: tale conclusione si ricava, anzitutto, dalla lettera dell’art. 9 del citato decreto-legge n. 66 del 2014, che separa l’elenco dei soggetti aggregatori dall’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (il comma 1 dell’art. 9 istituisce l’elenco «nell’ambito dell’Anagrafe unica […]»). In secondo luogo, la distinzione è sottesa alla disciplina sostanziale prevista per i soggetti (diversi da Consip e dalle centrali di committenza regionali, iscritti di diritto) che chiedono l’iscrizione nell’elenco, i quali debbono dimostrare il possesso dei requisiti delineati dal comma 2 dell’art. 9 cit. («il carattere di stabilità dell'attività di centralizzazione, nonché i valori di spesa ritenuti significativi per le acquisizioni di beni e di servizi con riferimento ad ambiti, anche territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell'aggregazione e della centralizzazione della domanda»), come precisati nel d.P.C.M. 11 novembre 2014 (adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 9 cit.); requisiti la cui verifica è riservata all’ANAC che ne ha accertato la carenza in capo ad Asmel, la quale non può essere anche per ciò qualificata “centrale di committenza” o “soggetto aggregatore”, in quanto non iscritta all’albo tenuto dall’Autorità ai sensi dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti pubblici, insufficiente essendo, a tali fini, l’iscrizione all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti.

8. In conclusione, l’appello va respinto.

9. Le spese di lite possono essere compensate tra le parti, in ragione della novità e complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2021, tenuta da remoto secondo quanto stabilito dall’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, modificato dall’art. 1, comma 17, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 2021, n. 21, con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Valerio Perotti, Consigliere

Angela Rotondano, Consigliere, Estensore

Alberto Urso, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Angela Rotondano Francesco Caringella
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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