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Consiglio di Stato, Sez. IV, 28/1/2022 n. 624
Sulla nozione di paesaggio ai fini della sua tutela

La nozione accolta dalla Convenzione europea del paesaggio, stipulata dagli Stati membri del Consiglio d'Europa a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata dall'Italia con la l. 9 gennaio 2006, n. 14, in tema di tutela del paesaggio, introduce un concetto certamente ampio di "paesaggio", non più riconducibile al solo ambiente naturale statico, ma concepibile quale frutto dell'interazione tra uomo e ambiente, valorizzando anche gli aspetti identitari e culturali, di modo che è pertanto la sintesi dell'azione di fattori naturali, umani e delle loro interrelazioni a contribuire a delineare la nozione, complessa e plurivoca, di "paesaggio".

Materia: ambiente / disciplina
Pubblicato il 28/01/2022

N. 00624/2022REG.PROV.COLL.

N. 05343/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5343 del 2019, proposto dai signori Luigi Di Giulio e Carla Limido, rappresentati e difesi dagli avvocati Giancarlo Tanzarella, Elena Tanzarella e Giovanni Corbyons, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone, n. 44,

contro

il Comune di Milano, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Paola Cozzi, Giuseppe Lepore, Antonello Mandarano e Maria Lodovica Bognetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Lepore in Roma, via Polibio, n. 15,

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 932/2019, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 9 dicembre 2021, il consigliere Alessandro Verrico;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. Lombardia (r.g. n. 80/2018), gli odierni appellanti impugnavano il provvedimento del Comune di Milano del 15 novembre 2017 P.G. n. 546897/17, recante il rigetto dell’istanza di permesso di costruire per recupero per fini abitativi del sottotetto dello stabile di via Ciro Menotti n. 4, nonché i presupposti pareri negativi della Commissione del paesaggio in data 4 maggio 2017 e in data 26 ottobre 2017 e il cosiddetto “Manifesto degli indirizzi e delle linee guida della Commissione per il paesaggio del comune di Milano (I° aggiornamento)”, approvato dalla predetta Commissione nella seduta del 21 luglio 2016.

In sostanza gli istanti chiedevano, ai sensi degli artt. 63 e 64 della l.r. n. 12/2005, di poter realizzare appartamenti (3 unità, oltre ad ampliamento di unità preesistente), in tal modo recuperando il sottotetto, su due corpi di fabbrica appartenenti ad unico plesso immobiliare di proprietà indivisa della signora Limido. Il diniego si fondava sui pareri negativi resi dalla Commissione paesaggio, in applicazione dell’art. 64, c. 8, l.r. n. 12/2005 sul preventivo esame dell’impatto paesistico dei progetti di recupero ad uso abitativo dei sottotetti incidenti sull’aspetto esteriore dei luoghi e degli edifici. In particolare secondo la Commissione, l’intervento avrebbe un impatto negativo sulla sobria qualità architettonica dell’impianto architettonico unitario e ciò in quanto il progetto non interesserebbe l’intero complesso ma solo parte di esso (invero, non sarebbe stato presentato identico progetto di modifica dei sottotetti anche per il civico n. 2).

1.1. Con successivo atto di motivi aggiunti, i ricorrenti impugnavano il provvedimento dirigenziale 17 aprile 2018, P.G. n. 175897/2018, comportante la conferma del diniego di cui al pregresso provvedimento del 15 novembre 2017, e il nuovo parere di inammissibilità espresso in data 5 aprile 2018 dalla Commissione paesaggio in seguito alla ordinanza n. 243 del 2018, con cui il T.a.r. adito chiedeva all’Amministrazione un approfondimento istruttorio, al fine di verificare l’alterazione dell’equilibrio di contesto “mediante una valutazione di tipo complesso”.

1.2. Con un secondo atto di motivi aggiunti, i ricorrenti infine impugnavano il nuovo parere negativo, espresso in sede di richiesta di verifica preliminare, della Commissione per il paesaggio in data 17 settembre 2018 relativo al nuovo progetto depositato, recante una diversa soluzione architettonica.

2. Il T.a.r. Lombardia, sede di Milano, Sezione II, dopo aver disposto (come detto), con ordinanza cautelare n. 243 del 2018, un approfondimento istruttorio al Comune volto a verificare l’alterazione dell’equilibrio di contesto “mediante una valutazione di tipo complesso”, ad esito del quale, il Comune, acquisito un nuovo parere negativo della Commissione per il paesaggio, ha confermato il rigetto della richiesta di permesso di costruire, con la sentenza n. 932 del 26 aprile 2019:

a) ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il primo ricorso avente ad oggetto il primo diniego, in quanto sostituito dal successivo diniego;

b) ha ritenuto infondato il primo ricorso per motivi aggiunti, escludendo che sussista il dedotto difetto di motivazione e che il parere della Commissione sia stato reso ultra limes, ritenendo che questa abbia correttamente applicato una nozione ampia di paesaggio, in linea con la Convenzione europea del paesaggio del 2000 (ratificata con l. n. 14/2006). Infatti l’intervento finirebbe per alterare la linea architettonica unitaria degli immobili finitimi (in cui assume rilevanza la corte interna, in quanto risorsa identitaria), considerato che, secondo la Commissione, ai fini del paesaggio rilevano sia gli spazi privati che la visione dall’alto;

c) ha dichiarato inammissibile il secondo ricorso per motivi aggiunti, in quanto tramite esso è stato impugnato solo il parere della Commissione e non anche il successivo provvedimento di rigetto del Comune.

3. Gli originari ricorrenti hanno proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario. In particolare, la parte appellante:

a) ha dichiarato di prestare acquiescenza ai capi della impugnata pronuncia aventi ad oggetto l’improcedibilità del ricorso originario e l’inammissibilità del secondo ricorso per motivi aggiunti;

b) ha riproposto i due motivi di cui al primo atto di motivi aggiunti, attinenti, il primo, al difetto di motivazione del diniego, il secondo, alla carenza di attribuzione della Commissione per il paesaggio;

c) articolando un’unica complessa censura, ha rilevato l’illegittimità del diniego in quanto reso in contrasto con una concezione di paesaggio quale insieme estetico godibile dalla collettività, quale risultante dalla Convenzione europea del paesaggio del 2000, dal d.lgs. n. 42/2004 (artt. 131 e 136), dalla l.r. n. 12 del 2005 e dal regolamento edilizio del Comune di Milano (art. 5, comma 1).

3.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Milano, il quale, depositando memoria difensiva, si è opposto all’appello e ne ha chiesto l’integrale rigetto. In particolare l’Ente ha eccepito l’inammissibilità e comunque l’infondatezza dei due motivi di cui al primo atto di motivi aggiunti riproposti con l’appello e l’infondatezza del motivo di appello, alla luce della nozione di paesaggio contenuta nella Convenzione europea del paesaggio del 2000, nelle “linee guida per l’esame paesistico dei progetti” approvate dalla Regione Lombardia con d.G.R. dell’8 novembre 2002 e nel “Manifesto degli indirizzi e delle linee guida della Commissione per il paesaggio” del Comune di Milano.

3.2. Con ulteriori memorie difensive le parti hanno replicato alle avverse deduzioni, insistendo nelle proprie difese, osservando in particolare:

a) quanto al Comune, che in data 18 giugno 2020 l’appellante signor Di Giulio ha presentato una nuova istanza avente ad oggetto il medesimo intervento, in seguito respinta con provvedimento dell’8 novembre 2020 sulla base del parere negativo della Commissione per il paesaggio n. 37 del 29 ottobre 2020, entrambi oggetto di autonomo ricorso dinanzi al T.a.r. Lombardia (r.g. n. 2259/2020); l’Ente ha, pertanto, eccepito l’improcedibilità del presente ricorso in appello per sopravvenuta carenza di interesse;

b) quanto agli appellanti, l’infondatezza dell’eccezione di improcedibilità persistendo il proprio interesse all’appello, anche alla luce delle motivazioni del nuovo rigetto incentrate sulla medesima concezione estensiva di paesaggio.

4. All’udienza del 9 dicembre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

5. In via preliminare, il Collegio rileva:

a) l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità della riproposizione in appello dei due motivi di cui al primo atto di motivi aggiunti, in quanto ciò è avvenuto da parte degli appellanti al solo fine di ricostruire la fattispecie da esaminare, mentre l’impugnazione della sentenza di primo grado è avvenuta con la censura di cui alle pagine da 25 a 31 dell’atto di appello;

b) l’infondatezza dell’eccezione di improcedibilità dell’appello in ragione della sopraggiunta adozione di un nuovo provvedimento di diniego relativo a nuova istanza, autonomamente impugnato in primo grado, in quanto:

b.1) secondo la pacifica giurisprudenza, l’acquiescenza, come presupposto d’inammissibilità o di improcedibilità del gravame giurisdizionale, deve concretarsi in un comportamento (espresso o tacito) di adesione all’operato dell’Amministrazione (cfr., da ultimo, ex multis Cons. Stato, sez. VI, 13 gennaio 2020, n. 323; con riguardo alla condotta dell’Amministrazione, cfr. Cons. Stato, sez. II, 12 maggio 2021, n. 3756; id., sez. IV, 3 giugno 2020, n. 3465);

b.2) in applicazione di tale principio deve essere escluso che la condotta posta a fondamento dell’eccezione possa essere qualificata in modo univoco come comportante rinuncia all’intento di “coltivare” il presente appello, né può assumersi un carattere “sostitutivo” del nuovo diniego rispetto a quello impugnato, tale da privare di ogni utilità l’eventuale annullamento dello stesso, per la semplice ragione che la nuova istanza ha riguardato un progetto di intervento – ancorché relativo al medesimo edificio – diverso da quello per cui qui si procede (circostanza non contestata);

b.3) peraltro, sul piano sostanziale, la reiterazione della domanda di permesso di costruire (e la proposizione di ricorso giurisdizionale avverso il relativo provvedimento di rigetto), piuttosto che far venir meno l’interesse alla coltivazione del presente appello, dimostra la persistenza di esso, particolarmente in ragione del fatto che anche tale nuovo rigetto si fonda sulla medesima motivazione oggetto di esame in questa sede.

6. Nel merito, l’appello è fondato e deve pertanto essere accolto.

7. Ai fini di una migliore comprensione della vicenda oggetto del presente giudizio in fatto si precisa che la domanda di permesso di costruire per recupero per fini abitativi del sottotetto aveva ad oggetto due corpi di fabbrica appartenenti all’unico plesso immobiliare di proprietà indivisa della signora Limido, sito a Milano in via Ciro Menotti, n. 4.

In particolare, l’immobile:

- ricade nell’ambito del Tessuto Urbano Consolidato (TUC) e nella porzione qualificata come ADR - “tessuti urbani compatti a cortina”, per i quali il PGT impone talune specifiche prescrizioni morfologiche e l’art. 15 delle NTA del Piano delle regole prevede, in alternativa al rispetto della “linea di altezza dell’edificio più basso adiacente alla costruzione” (comma 2, lett. a), la possibilità di una modalità diretta convenzionata, con richiamo, in tale ipotesi, all’impegno a uniformarsi al parere vincolante della Commissione per il paesaggio (art. 35 del regolamento edilizio); parere, peraltro, previsto dall’art. 64.8 della l.r. n. 12 del 2005, che impone che ogni intervento di recupero ad uso abitativo dei sottotetti che incida “sull’aspetto esteriore dei luoghi e degli edifici e da realizzarsi in ambito non sottoposto a vincolo paesaggistico, (sia) soggetto all’esame dell’impatto paesistico previsto dal piano territoriale paesistico regionale”;

- è un edificio risalente agli anni 1910-1912 (secondo quanto affermato dalla Commissione per il paesaggio nel parere del 5 aprile 2018) della tipologia edilizia definita “a corte”, con la conseguenza che l’unico numero civico individua due distinti corpi di fabbrica che si succedono con ordine longitudinale, ognuno dotato di proprio cortile;

- non è gravato da alcun vincolo, neanche di carattere paesaggistico, né quale bene individuale né quale bellezza di insieme.

Il progetto oggetto dell’istanza prevede il mantenimento della quota di colmo e riguarda esclusivamente le falde prospicienti il lato cortile, sviluppando una “modesta pendenza delle falde”, in tal modo risultando percepibile solo da chi ha titolo ad entrare nell’immobile e accedere al cortile.

8. Con un’unica complessa censura gli appellanti, nell’eccepire l’illegittimità del diniego, hanno appunto evidenziato, oltre all’assenza di vincoli sull’immobile, la non percepibilità dell’intervento dall’esterno, essendo esso visibile solo dalla corte interna, e quindi l’irrilevanza di esso ai fini dell’impatto paesaggistico, secondo la nozione accolta dalla stessa Convenzione europea del paesaggio del 2000 che condizionerebbe la rilevanza paesaggistica alla fruibilità da parte della collettività.

9. Al riguardo, il Collegio ritiene non condivisibile l’interpretazione resa dal primo giudice, che ha fondato la propria decisione su una concezione ampia e “olistica” del “paesaggio”, arrivando ad affermare - in maniera emblematica - che questa ormai ingloberebbe anche la nozione di “ambiente”.

Invero, tale approccio, sebbene possa ritenersi in ipotesi comprensibile con riferimento alle scienze tecniche quali l’urbanistica e l’ingegneria, non è attuabile sul piano giuridico, ove i concetti restano distinti e collegati a interessi diversi, seppur convergenti.

9.1. D’altro canto, la lettura data dal primo giudice non risulta necessitata dalla Convenzione europea del paesaggio, stipulata dagli Stati membri del Consiglio d’Europa a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14, che:

a) impone agli Stati parte della Convenzione (art. 5, lett. a), di “riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità”;

b) definisce il paesaggio (art 1, lett. a) come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (nozione tradotta e recepita dall’art. 131, commi 1 e 2, del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, secondo cui: “1. Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni. 2. Il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali”); coerentemente nella “Relazione esplicativa” si afferma che “Il paesaggio svolge un ruolo importante in quanto elemento dell’ambiente e del contesto di vita delle popolazioni, sia nelle aree urbane, che rurali e sia per i paesaggi con caratteristiche eccezionali, che per quelli della vita quotidiana”;

c) nell’individuare il proprio “Campo di applicazione” (art. 2) fa riferimento a “gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani”, comprendendo “sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi degradati” (al riguardo, nella “Relazione esplicativa” si precisa che “il campo di intervento delle politiche e dei provvedimenti … deve riferirsi alla totalità della dimensione paesaggistica del territorio degli Stati … Non la si potrebbe limitare unicamente agli elementi culturali od artificiali, oppure agli elementi naturali del paesaggio: si riferisce all’insieme di tali elementi e alle relazioni esistenti tra di loro”, nonché che “ogni paesaggio costituisce un ambito di vita per la popolazione che vi risiede”).

9.2. Invero, la Convenzione introduce un concetto certamente ampio di “paesaggio”, non più riconducibile al solo ambiente naturale statico, ma concepibile quale frutto dell’interazione tra uomo e ambiente, valorizzando anche gli aspetti identitari e culturali. Secondo tale prospettiva, è pertanto la sintesi dell’azione di fattori naturali, umani e delle loro interrelazioni a contribuire a delineare la nozione, complessa e plurivoca, di “paesaggio” (cfr. il citato art. 131 d.lgs. n. 42 del 2004, che appunto riprende la formulazione della Convenzione europea del 2000).

9.3. Ciò nonostante, tale approccio non giustifica l’affermazione di una concezione “olistica” del paesaggio, accolta dal primo giudice nell’impugnata sentenza, dovendo restare ferma la distinzione tra questo e le altre materie, correndosi altrimenti il rischio di cadere in inevitabili confusioni, ad esempio arrivando ad affermare la validità della macro categoria del governo del territorio ovvero una nozione onnicomprensiva di “ambiente”.

Invero, l’arricchimento in senso contenutistico voluto dalla Convenzione non può intaccare il nucleo essenziale di carattere estetico, in senso gnoseologico, del “paesaggio”, al quale è inevitabilmente attribuibile un carattere soggettivo (e non oggettivo), dal quale discende l’importanza da attribuire alla fruibilità da parte della popolazione.

Pertanto, come affermato da parte della dottrina, resta netta la distinzione tra paesaggio e ambiente, implicando - il primo - la percezione (per lo più qualitativa) e l’interpretazione da un punto di vista soggettivo e - il secondo - prevalentemente l’apprezzamento delle quantità fisico-chimiche e dei loro effetti biologici sull’ecosistema da un punto di vista oggettivo (approccio, quest’ultimo, implicito nella nozione - centrale nella legislazione ambientale - di inquinamento, cfr. art. 5, lett. i-ter) d.lgs. n. 152 del 2006).

9.4. Del resto, ad una diversa conclusione ermeneutica non conducono le ulteriori fonti normative, applicate nel caso di specie dal Comune di Milano e dalla competente Commissione per il paesaggio, che hanno recepito tale nozione ampia di paesaggio e, in particolare:

a) le “linee guida per l’esame paesistico dei progetti” approvate dalla Regione Lombardia – d.G.R. 8 novembre 2002, che riconoscono che: “Ogni intervento che opera una trasformazione del territorio è potenzialmente un intervento di trasformazione del paesaggio; L’aspetto di un intervento e il conseguente esito paesistico sono sostanzialmente valutabili solo a seguito della completa definizione progettuale dello stesso relazionata al contesto”;

b) le NTA del Piano paesistico del territorio che, per definire la nozione di paesaggio, richiamano all’art. 1 la definizione presente nella citata Convenzione europea e gli obiettivi del Piano paesistico lombardo;

c) il “Manifesto degli indirizzi e delle linee guida della Commissione per il paesaggio” che riporta i principi di particolare rilevanza ai fini della valutazione dei progetti, affermati dal Piano territoriale paesaggistico regionale, da cui si desume che “- ogni intervento che opera una trasformazione del territorio è potenzialmente un intervento di trasformazione del paesaggio; - l’aspetto di un intervento e il conseguente esito paesistico sono sostanzialmente valutabili a seguito della completa definizione progettuale dello stesso relazionata al contesto; - la valutazione sugli esiti paesistici ha per sua natura carattere discrezionale”.

Invero, tali previsioni, sebbene si conformino all’approccio estensivo che fa da sostrato alla citata Convenzione, non mutano l’essenza stessa della nozione di paesaggio, dalla quale restano estranee ulteriori valutazioni afferenti a materie diverse, che potrebbero in ipotesi portare a valorizzare elementi non connaturati al paesaggio stesso.

9.5. Peraltro, va osservato in termini generali che, ai fini dell’applicazione delle norme in materia di tutela del paesaggio, l’interesse pubblico cui questa è funzionale va bilanciato – oltre che con altri e non necessariamente coincidenti interessi pubblici – anche con corrispondenti interessi privati, in primis quelli relativi al diritto di proprietà che viene inevitabilmente limitato dalle prescrizioni di tutela dei beni paesaggistici, il che è costituzionalmente legittimo nei limiti di cui al noto articolo 42 della Costituzione.

9.6. Con specifico riferimento al caso in esame, assume pertanto rilievo dirimente la circostanza che l’intervento per cui è causa insiste su una porzione del manufatto (che di per sé, e incontestatamente, non è soggetto ad alcun vincolo) non fruibile dalla collettività in quanto prospettante su una corte interna.

Del resto, al riguardo non è condivisibile l’assunto del Comune, in qualche modo seguito dal T.a.r., secondo cui il parere negativo della Commissione per il paesaggio si giustificherebbe in quanto anche coloro che accedono alla corte interna sono parte della “popolazione” che costituisce il riferimento per la fruizione del paesaggio.

9.6.1. Al riguardo, si ravvisa in primo luogo che una tale accezione non è estrapolabile da nessuna delle fonti citate dall’Amministrazione, emergendo, per converso, indici normativi contrari, che inducono a dare rilevanza ai fini della valutazione dell’impatto paesaggistico alla sola percepibilità dell’intervento dalla collettività indistinta dei cittadini. Al riguardo, oltre alla citata Convenzione del 2000, che, come visto, fa rientrare nella nozione di paesaggio “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni”, rileva:

a) l’art. 64.8 della l.r. n. 12/05, che sottopone al giudizio di impatto paesistico previsto dal Piano territoriale paesistico regionale, da parte della Commissione per il paesaggio, ogni intervento di recupero ad uso abitativo dei sottotetti che incida “sull’aspetto esteriore dei luoghi e degli edifici e da realizzarsi in ambito non sottoposto a vincolo paesaggistico”;

b) la d.G.R. 8 novembre 2002 n. VII/11045 (“linee guida per l’esame paesistico dei progetti”) che, ai fini della valutazione dell’impatto paesaggistico, ritiene che si debbano anche considerare “le condizioni di visibilità più o meno ampia, o meglio di co-visibilità tra il luogo considerato e l’intorno” e che si debbano “privilegiare i punti di osservazione che insistono su spazi pubblici e che consentono di apprezzare l’inserimento del nuovo manufatto o complesso nel contesto”;

c) l’art. 1 delle NTA del PPR, che precisa che “per paesaggio si intende, come definito dalla Convenzione europea del paesaggio (Firenze, 20 ottobre 2000), <… una determinata parte del territorio, così come è percepita dalla popolazione, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni>;

d) l’art. 37 delle medesime NTA (recante “criteri per la determinazione della incidenza paesistica di un progetto”), secondo cui “si definisce incidenza paesistica di un progetto l’entità e la natura del condizionamento che il progetto stesso esercita sull’assetto paesaggistico del contesto”;

e) l’art. 39.5 delle stesse NTA, secondo cui il “giudizio di impatto paesistico” è modulato avendosi riguardo alle “caratteristiche dell’impatto prodotto dall’opera prevista”;

f) l’art. 5, comma 4, del regolamento edilizio del Comune di Milano, che prevede che “L’Amministrazione Comunale, secondo le competenze attribuite dalle norme vigenti, esegue, avvalendosi della Commissione Comunale per il Paesaggio, un esame dei progetti relativamente alla qualità estetica ed all’inserimento nel paesaggio”.

9.6.2. Del resto, la conclusione adottata dall’Amministrazione (e seguita dal primo giudice) tradirebbe il necessario bilanciamento tra la libera esplicazione del diritto di proprietà, di cui è espressione lo jus aedificandi, e il (preteso) interesse pubblico alla salvaguardia di un valore paesaggistico, che – ove pure in ipotesi sussistente sul piano estetico – finisce per essere recessivo ove afferente a un bene non fruibile dalla generalità indifferenziata dei consociati.

9.7. Per tale motivo, finisce per essere irragionevolmente restrittivo e non giustificato dal richiamo a una nozione di paesaggio rettamente intesa il parere negativo risolventesi nella prescrizione, per coloro che volessero intervenire sul prospetto dell’edificio per cui è causa, di dover necessariamente estendere l’intervento a tutti gli edifici limitrofi che con esso compongono una “schiera” continua, acquisendo quindi il consenso anche dei proprietari degli stessi (circostanza, peraltro, ictu oculi difficilmente realizzabile).

10. Alla luce di tali considerazioni, si deve pertanto concludere per affermare l’illegittimità dell’impugnato provvedimento di diniego, in quanto basato esclusivamente sulla valutazione ostativa della Commissione del Paesaggio espressasi, in base ad una non condivisibile concezione di “paesaggio”, su un elemento architettonico (la conformazione della falda del tetto) estraneo al paesaggio perché prospiciente solo il cortile interno e dunque non percepibile se non da chi abbia titolo particolare all’ingresso nel cortile.

11. In conclusione, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, deve essere accolto il primo atto di motivi aggiunti, depositato in data 4 maggio 2018 nel corso del primo grado di giudizio, e deve essere annullato il provvedimento dirigenziale 17 aprile 2018, P.G. n. 175897/2018, comportante la conferma del diniego di cui al pregresso provvedimento del 15 novembre 2017, e il parere di inammissibilità espresso in data 5 aprile 2018 dalla Commissione paesaggio.

12. La novità della questione e la particolarità della vicenda giustifica l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello (r.g. n. 5343/2019), come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.

Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 9 dicembre 2021, con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere, Estensore

Silvia Martino, Consigliere

Michele Pizzi, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alessandro Verrico Raffaele Greco
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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