HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana - sez. giurisdizionale, 31/1/2022 n. 153
Nel processo amministrativo non sussiste un diritto del ricorrente ad ottenere il rinvio della trattazione della causa

Nell'ordinamento processuale vigente non esiste norma giuridica o principio ordinamentale che attribuisca alle parti in causa il diritto al rinvio della discussione del ricorso, fuori dai casi tassativi di diritto a rinvio per usufruire dei termini a difesa previsti dalla legge. Al di fuori di tali ipotesi, le parti hanno solo la facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare un eventuale differimento dell'udienza. Ciò in quanto alle parti spetta la disponibilità delle proprie pretese sostanziali e, in funzione di esse, del diritto di difesa in giudizio, ma le stesse non hanno anche la disponibilità dell’organizzazione e dei tempi del processo, che compete al giudice, al fine di conciliare e coordinare l’esercizio del diritto di difesa di tutti coloro che si rivolgono al giudice. La decisione finale sui tempi della decisione della controversia spetta al giudice, e la domanda di rinvio deve fondarsi su “situazioni eccezionali” (come recita il comma 1-bis dell’art. 73 c.p.a.: “Il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza (…)”). Tali situazioni eccezionali possono essere integrate solo da gravi ragioni idonee a incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti.

Materia: giustizia amministrativa / processo
Pubblicato il 31/01/2022

N. 00153/2022REG.PROV.COLL.

N. 00582/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 582 del 2021, proposto dalla Autorità di sistema portuale del Mare di Sicilia Orientale (in seguito anche Adsp, o Autorità), già Autorità Portuale di Catania, dal Commissario straordinario della ex Autorità portuale di Catania e dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria per legge in Palermo, via Valerio Villareale, 6;

contro

la Europea Servizi Terminalistici s.r.l. (in seguito anche EST) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carmelo Briguglio e Nunziato Antonio Medina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del TAR Sicilia - sezione staccata di Catania - sezione terza - n. 403/2021, resa tra le parti, concernente modifica regolamento potenziamento entrate Autorità portuale – previsione onere pagamento diritti portuali concernenti operazioni di carico, scarico, movimentazione containers a carico delle imprese portuali.


Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Vista la memoria di costituzione in giudizio di EST;

Vista la memoria difensiva dell’appellata;

Vista la “istanza di acquisizione do documento nuovo e/o di differimento di udienza”, in data 10.1.2022, dell’Adsp;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 12 gennaio 2022 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti l’avv. St. L. La Rocca e l’avv. N. A. Medina;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tar di Catania ha accolto, con condanna alle spese dell’Autorità portuale (oggi, Adsp), il ricorso promosso dalla s.r.l. EST avverso e per l’annullamento:

- dell’ordinanza n. 4/2015 del 22.4.2015, emessa dal commissario straordinario dell’Autorità portuale di Catania, in conformità alla delibera n. 22/2015 adottata dal Comitato portuale in data 31.3.2015, recante integrazione all’art. 3 del “regolamento di potenziamento delle entrate dell’Ente”, adottato dall’Autorità portuale con ordinanza n. 12/2009, nella parte in cui:

- - dispone che gli oneri di imbarco, sbarco e movimentazione dei containers, considerata la complessità delle operazioni alle quali tali oneri si riferiscono, saranno addebitati al soggetto esecutore delle operazioni portuali di sbarco e/o imbarco, quando queste siano svolte in occasione degli approdi di navi portacontenitori, mentre rimangono a carico dell’agenzia marittima nel caso in cui dette operazioni ineriscano a contenitori sbarcati e/o imbarcati su navi Ro/Ro; e

- - dispone inoltre, a carico degli operatori terminalisti, l’obbligo di presentare apposita fidejussione bancaria o assicurativa, a garanzia della obbligazione suindicata;

- della menzionata delibera del Comitato portuale n. 22/2015 e

- del parere favorevole reso in data 26.2.2015 dal Comitato portuale dell’Autorità portuale.

2. Nella sentenza impugnata, sulla base degli atti e documenti di causa, si premette che:

- la s.r.l. EST è impresa portuale autorizzata, ai sensi dell’art. 16 della l. n. 84/1994, all’esercizio di operazioni portuali, tra cui quelle di carico, scarico e movimentazione di containers nel porto di Catania, oltre che concessionaria di aree nel porto medesimo;

- la società ha impugnato, con due motivi, l’ordinanza, risalente al 2015, di modifica del suindicato regolamento del 2009, a mezzo della quale è stato introdotto “ex novo”, a carico delle imprese portuali concessionarie, l’onere di pagamento dei diritti portuali inerenti alle operazioni di imbarco, sbarco e movimentazione dei containers, onere che in passato gravava esclusivamente sui vettori, o sulle agenzie marittime raccomandatarie in nome e per conto dei vettori, nonché l’obbligo di presentare apposita polizza fidejussoria a garanzia della obbligazione citata.

(Dalla corrispondenza in atti tra EST a Autorità portuale – v. nota avv. Briguglio 13.4.2015-, premesso che EST ha pagato, alla Autorità portuale prima, e all’Adsp poi, a diverso titolo, somme assai rilevanti a partire dal 2007, emerge che, “ove si (sia) inteso far gravare direttamente sulla impresa terminalista l’obbligazione del pagamento degli oneri di regolamento in questione…(si) tratta di oneri che riguardano le navi che giungono in porto, i cui rapporti vanno regolati con le Agenzie Marittime Raccomandatarie, e che giammai quindi possono essere posti a carico della impresa terminalista dedita alle operazioni di imbarco e/o sbarco dei containers, la quale per lo svolgimento della propria attività già versa il canone concessorio e sulla quale non possono farsi gravare, in mancanza di una espressa previsione di legge, oneri aggiuntivi non afferenti alla propria posizione soggettiva).

Il Tar ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato l’ordinanza, la delibera e il parere favorevole, essenzialmente per carenza di base legislativa.

Nel motivare il suo convincimento, il giudice di primo grado ha considerato fondata l'argomentazione di parte ricorrente per cui solo una espressa previsione di legge ordinaria (o atto alla stessa parificato), e non già un atto amministrativo seppur di natura regolamentare, avrebbe potuto individuare quale soggetto obbligato anche l'impresa portuale svolgente le operazioni di sbarco/imbarco, atteso che gli oneri in discussione riguardano le navi e, quindi i vettori che giungono in porto, i cui rapporti vanno regolati direttamente con questi ultimi ovvero, nei limiti della rappresentanza oltre che nel rispetto delle modalità di legge, con le Agenzie Marittime Raccomandatarie, che ne sono rappresentanti in occasione dell'arrivo delle navi. Non può infatti ammettersi che un mero provvedimento amministrativo, ancorché regolamentare, possa trasformare, in mancanza di una previsione di legge in tal senso, l'impresa portuale terminalista (come la EST) in soggetto obbligato al pagamento dei diritti portuali in questione, neanche nella veste di "sostituto di imposta". Ciò in base al principio, previsto in via generale addirittura nell'art. 23 della Costituzione, per cui "nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge": trattasi, come noto, di norma costituzionale istitutiva di riserva di legge relativa con la conseguenza, quindi, che un atto di natura regolamentare può dettare, relativamente a tutto ciò che afferisce i tributi in generale, solo gli elementi di dettaglio e non già quelli costitutivi (tra i quali vi rientra certamente il soggetto obbligato, in via diretta o indiretta, al pagamento), riservati viceversa alla legge ordinaria… .

3. L’Adsp, il commissario straordinario e il Ministero in epigrafe (in seguito, parte appellante), con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, premesso che in primo grado EST aveva rilevato l’illegittimità degli atti e dei provvedimenti suindicati sia sotto l’aspetto procedimentale, per presunta irregolarità in sede di adozione della delibera n. 22/2015 del Comitato portuale, e sia sotto il profilo sostanziale, considerando indebita la previsione, a carico delle imprese esecutrici delle operazioni di sbarco e imbarco, dell’obbligo di pagamento dei diritti e oneri portuali di cui all’art. 1, tabella a), lett. c) del regolamento del 2009; diritti e oneri che, in tesi, non potrebbero gravare –se non in base a una norma di legge di individuazione del soggetto obbligato che, nella specie, manca- a carico della impresa terminalista, dovendo tali diritti, in quanto riguardanti le navi, considerarsi gravanti “ex lege” sui vettori o sulle agenzie marittime raccomandatarie che ne assumono la rappresentanza; ciò premesso, la parte appellante ha proposto impugnazione con un unico, articolato, motivo di diritto, intitolato travisamento della normativa di riferimento – violazione dell’art. 5, comma 8, l. n. 84/1994 – sussistenza del potere di provvedere in capo alla Autorità portuale.

Le p.a. appellanti –che, in primo grado, avevano svolto una difesa di mera forma-, nel muovere dall’assunto secondo cui i diritti portuali rientrano nella categoria dei tributi –e comunque delle prestazioni patrimoniali imposte-, con conseguente ricaduta nel campo di azione di cui all’art. 23 Cost., e applicazione del principio di legalità, espongono anzitutto che l’Adsp è ente pubblico titolare essenzialmente di compiti circoscritti a funzioni di indirizzo, programmazione, coordinamento e controllo delle operazioni portuali e delle attività economiche esercitate nei porti. L’Autorità amministra le infrastrutture portuali, rilascia concessioni e autorizzazioni, fornisce servizi portuali.

Le entrate correnti dei porti sono costituite da tasse, diritti marittimi, canoni demaniali e proventi derivanti dal rilascio di concessioni e autorizzazioni, finalizzate all’espletamento di operazioni e servizi portuali, da corrispettivi di cessioni di beni, e altro.

L’Adsp non partecipa però alla gestione di operazioni portuali o di altre attività a essa connesse. Non le competono funzioni di carattere operativo.

Non svolge attività economiche.

Le attività sopraindicate –segnatamente, e per quanto qui interessa, carico, scarico e movimentazioni di containers- sono svolte soltanto da imprese private, in base ad autorizzazioni accordate dall’Autorità ai sensi dell’art. 16 della l. n. 84/1994, previa procedura concorsuale. A tali autorizzazioni si accompagna, nel caso di EST, il rilascio di concessioni demaniali.

Tali imprese, si legge nell’atto di appello, hanno la facoltà di stabilire discrezionalmente l’ammontare delle tariffe portuali, fatto salvo l’obbligo di renderle note all’Autorità portuale, e con divieto di operare discriminazioni nel trattamento dell’utenza. Sulle tariffe, l’Autorità portuale ha solo compiti di vigilanza.

È in questo quadro –prosegue l’Avvocatura dello Stato- che si inserisce l’oggetto del giudizio, attinente alle tasse portuali, di imbarco e sbarco, introdotte dall’art. 33 della l. n. 82/1963, dapprima per alcuni porti, e applicate, a partire dal 1994, con la l. n. 84/1994, alla totalità dei porti, con devoluzione per intero, alle Autorità portuali competenti, delle tasse portuali sulle merci sbarcate e imbarcate, a partire dal 2006 (art. 1, commi 982 e seguenti, l. n. 296/2006).

Parte appellante, dopo avere richiamato le “entrate diverse” delle autorità portuali, menzionate all’art. 13, comma 1, lett. e) della l. n. 84/1994, nel testo vigente alla data di adozione del provvedimento impugnato, e costituite da un insieme di proventi di varia natura nei quali non si fanno rientrare i diritti in argomento, rimarca che la l. n. 84/1994, all’art. 5, comma 8, ha introdotto la facoltà, per le autorità portuali, a copertura dei costi sostenuti per le opere da esse stesse realizzate (nell’atto di appello si fa riferimento in particolare agli elevati costi sopportati dalle Adsp per le opere di grande infrastrutturazione), di imporre soprattasse a carico delle merci imbarcate, sbarcate, o movimentate, o di aumentare l’entità dei canoni di concessione. Dal che in tesi discende:

-la insussistenza della violazione di qualsiasi principio di riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.;

-la conformità a legge della modifica al regolamento del 2009 sul potenziamento delle entrate, attuativa del precetto normativo di cui all’art. 5, comma 8, l. n. 84/1994, deliberata nel 2015 dall’Autorità in base al combinato disposto di cui agli articoli 8, comma 5, e 13 della l. n. 84/1994, disposizioni con le quali si individuano:

- le entrate dell’ente (diritti portuali, canoni, proventi, etc.);

- i soggetti obbligati al pagamento (concessionari e operatori portuali);

- le norme di salvaguardia finalizzate a garantire l’incameramento dei proventi all’Erario.

Nell’atto di appello si soggiunge che, nel citato regolamento del 2009, integrato con l’ordinanza n. 4/2015, l’Autorità enumera alcuni servizi di carattere generale i cui costi sono a carico dell’Autorità medesima (v. pag. 3 della delibera n. 33/2009, oltre al riferimento, in premessa, alla esigenza di reperire nuove entrate per circa 420.000 €).

Legittimamente, l’art. 3 del regolamento di potenziamento delle entrate dell’Ente individua anche i soggetti obbligati al pagamento dei diritti portuali, indicando tra essi i soggetti esecutori delle operazioni portuali di sbarco e/o imbarco quando queste siano svolte in occasione degli approdi di navi portacontenitori.

La modifica regolamentare del 2015, rispetto alla disciplina del 2009, trae origine, come si ricava dagli atti presupposti, dal costante grave stato di inadempimento dei soggetti obbligati –vale a dire vettori e agenzie marittime raccomandatarie, e dall’esigenza di ridefinire l’àmbito dei soggetti obbligati nei casi di carico/scarico/movimentazione dei containers dalle navi. È a questa situazione che l’impugnata ordinanza n. 4/2015 intende riferirsi là dove fa richiamo alla complessità delle operazioni alle quali l’onere si riferisce (e nella presupposta delibera del 31.3.2015 vengono richiamate la complessità delle procedure inerenti il c.d. ciclo-nave e le dinamiche del trasporto marittimo delle merci). Ciò, a differenza dei casi –come si rileva a pag. 9 dell’atto di appello- dei containers che viaggiano a bordo di traghetti, quindi di unità navali con approdi schedulati e in servizio di linea, il cui trasporto è disciplinato da un ticket, o biglietto di viaggio, il che consente in modo più agevole di individuare l’agenzia marittima quale soggetto obbligato, in quanto responsabile della emanazione del titolo di viaggio.

E, per la parte appellante, il soggetto esecutore delle operazioni portuali è da ritenersi obbligato al pagamento dei diritti portuali non quale sostituto dell’agenzia marittima o, con essa, solidale, ma come soggetto autonomo.

La modifica regolamentare, inoltre, in maniera coerente con quanto dispone l’art. 5, comma 8, della l. n. 84/1994, risulta posta in relazione con nuove opere di infrastrutturazione, all’epoca avviate dall’Autorità.

Nell’atto di appello si precisa poi che la regolamentazione contestata risulta essere stata sottoposta al vaglio del Comitato portuale, all’interno del quale era presente un rappresentante della EST, componente del CdA della impresa portuale medesima, e risulta votata alla unanimità dall’organo suddetto: dal che, il carattere pretestuoso dei profili di censura procedimentali sollevati da EST nel ricorso al Tar.

4. La società EST si è costituita per resistere.

Il controricorso in appello con riproposizione ex art. 101 c.p.a. dei motivi non esaminati e/o assorbiti, in data 10.6.2021, risulta strutturato come segue:

- da pag. 11 a pag. 27, l’appellata si sofferma sulla infondatezza delle argomentazioni sviluppate dalle p.a., sulla correttezza della sentenza e sulla mancanza di una base legislativa a sostegno della contestata previsione regolamentare integrativa;

- da pag. 27 a pag. 36, EST ripropone i profili di censura non esaminati e rimasti assorbiti in sentenza.

5. Con ordinanza n. 405/2021 questo Consiglio ha accolto l’istanza di misure cautelari ex art. 98, c.p.a., ai soli fini di una sollecita definizione del giudizio di appello nel merito.

6. In vista della udienza di discussione nel merito, EST ha depositato una succinta memoria, richiamando argomentazioni e conclusioni svolte nel controricorso e puntualizzando, in relazione a quanto rilevato dalla parte appellante a pag. 10 dell’atto di appello, che nel 2015 M. N. partecipò alla seduta del Comitato portuale non quale membro del CdA di EST (lo sarebbe divenuto soltanto nel 2019), ma semplicemente quale dipendente di EST e rappresentante della categoria dei lavoratori portuali.

7. Con istanza depositata il 10.1.2022, l’Avvocatura dello Stato ha chiesto di essere autorizzata a presentare un documento sopravvenuto, ritenuto di essenziale rilievo ai fini del decidere e ha chiesto rinvio della discussione della causa.

Si tratta del decreto pres. Adsp del Mare di Sicilia occidentale n. 374 dell’11.12.2021, con il quale si è proceduto alla revisione dei diritti portuali, ponendoli a carico delle imprese portuali anche per ogni contenitore lo-lo imbarcato-sbarcato.

8. Alla udienza del 12.1.2022 il Collegio, ritenuta a verbale la non ricorrenza dei presupposti per concedere il chiesto rinvio, ha invitato le parti a discutere.

Il ricorso è stato discusso e quindi trattenuto in decisione.

9. Il deposito del documento di cui al p. 7. è tardivo (arg. ex art. 73, comma 1, c.p.a.), sì che il documento medesimo va espunto dal fascicolo.

Né si ritiene che ricorrano le condizioni per differire l’udienza a un’altra data.

Nell'ordinamento processuale vigente non esiste norma giuridica o principio ordinamentale che attribuisca alle parti in causa il diritto al rinvio della discussione del ricorso, fuori dai casi tassativi di diritto a rinvio per usufruire dei termini a difesa previsti dalla legge. Al di fuori di tali ipotesi, le parti hanno solo la facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare un eventuale differimento dell'udienza. Ciò in quanto alle parti spetta la disponibilità delle proprie pretese sostanziali e, in funzione di esse, del diritto di difesa in giudizio, ma le stesse non hanno anche la disponibilità dell’organizzazione e dei tempi del processo, che compete al giudice, al fine di conciliare e coordinare l’esercizio del diritto di difesa di tutti coloro che si rivolgono al giudice. La decisione finale sui tempi della decisione della controversia spetta al giudice, e la domanda di rinvio deve fondarsi su “situazioni eccezionali” (come recita il comma 1-bis dell’art. 73 c.p.a.: “Il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza (…)”). Tali situazioni eccezionali possono essere integrate solo da gravi ragioni idonee a incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti.

Nella specie, la motivazione indicata nella istanza di rinvio non rientra tra quelle che potrebbero giustificare un eventuale differimento.

10. Ciò posto, la sentenza appellata va riformata per quanto di ragione, in accoglimento del motivo basato sulla violazione dell’art. 5, comma 8, della l. n. 84/1994, ma il ricorso di primo grado va pur sempre accolto, in accoglimento di uno dei profili del primo motivo di gravame assorbito in primo grado e tempestivamente ripresentato nel controricorso di EST.

Preliminarmente, appare corretta, e viene condivisa dalle parti, e da questo Collegio, la considerazione dei diritti (e tasse) portuali in discorso, come rientranti nella categoria dei tributi interni (conf. Cass. civ., sez. trib., nn. 19638/2020, 25505/2019 e 20018/2017, sentenze che, pure, fanno riferimento a controversie che esulano dai confini della vicenda odierna; sulla qualificazione di fattispecie come “di natura tributaria”, v., “ex plurimis”, Corte cost., nn. 269 e 236 del 2017, 167 e 89 del 2018).

Nella fattispecie si fa questione di una tassa di scopo, di una prestazione doverosa, collegata, diversamente dalla imposta, al soddisfacimento di un servizio o di una funzione differenziata e determinabile, così da essere dovuta non dalla generalità dei contribuenti in ragione del loro status economico, ma solo dai fruitori, attuali o potenziali, di tale servizio o di tale funzione; nello specifico, di una prestazione stabilita per fare fronte a spese volte a realizzare opere, specialmente, di infrastrutturazione.

Si ricade, pertanto, entro il campo di operatività di cui all’art. 23 Cost.

10.1. Ancora in via preliminare pare opportuno una succinta ricognizione del quadro normativo di riferimento in materia.

Tale ricognizione passa in particolare attraverso le disposizioni che seguono:

- l’art. 33 della l. n. 82/1963, il quale stabiliva che sulle merci, sbarcate, imbarcate e in transito in alcuni porti, si applica una tassa, per ogni tonnellata metrica, nelle misure stabilite dalla disposizione stessa;

- il d.l. n. 47/1974, conv. in l. n. 117/1974, recante istituzione di una tassa di sbarco e imbarco sulle merci trasportate per via aerea e per via marittima, il cui art. 2 disponeva che in tutti i porti, rade e spiagge dello Stato è dovuta una tassa erariale, sulle merci sbarcate ed imbarcate, in misura direttamente fissata dal legislatore, e al comma 2 precisava che resta ferma la tassa sulle merci sbarcate ed imbarcate nei porti indicati nelle disposizioni di cui al capo III del titolo II della legge 9 febbraio 1963, n. 82 (nel quale rientra anche il citato art. 33) e successive modificazioni.

Il riepilogo del quadro normativo di riferimento prosegue con la menzione, in particolare, di alcune norme, tuttora vigenti, della l. n. 84/1994, dei commi da 982 della l. n. 296/2006, e del d.P.R. n. 107/2009.

La l. n. 84/1994, recante riordino della legislazione in materia portuale, per quanto qui più di interesse e con riferimento al testo vigente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato (22.4.2015):

- dispone, all’art. 5, comma 8, che le autorità portuali, a copertura dei costi sostenuti per le opere da esse stesse realizzate, possono imporre soprattasse a carico delle merci imbarcate o sbarcate, oppure aumentare l'entità dei canoni di concessione. Segue, al comma 9, la qualificazione delle opere di grande infrastrutturazione;

- all’art. 6, indica i compiti delle autorità portuali (oggi, Adsp) e all’art. 13 –risorse finanziarie delle autorità portuali, stabilisce (sempre nel testo del 2015) che le entrate delle autorità portuali sono costituite:

“a) dai canoni di concessione delle aree demaniali e delle banchine comprese nell'ambito portuale, di cui all'articolo 18, e delle aree demaniali comprese nelle circoscrizioni territoriali di cui all'articolo 6, comma 7, nonché dai proventi di autorizzazioni per operazioni portuali di cui all'articolo 16. Le autorità portuali non possono determinare canoni di concessione demaniale marittima per scopi turistico-ricreativi, fatta eccezione per i canoni di concessione di aree destinate a porti turistici, in misura più elevata di quanto stabilito dalle autorità marittime per aree contigue e concesse allo stesso fine;

b) dagli eventuali proventi derivanti dalle cessioni di impianti di cui all'articolo 18, comma 1, lettere a e b) ;

c) salvo quanto previsto all'articolo 28, comma 6, dal gettito delle tasse sulle merci sbarcate ed imbarcate di cui al capo III del titolo II della legge 9 febbraio 1963, n. 82, e all'articolo 1 della legge 5 maggio 1976, n. 355 e successive modificazioni e integrazioni;

d) dai contributi delle regioni, degli enti locali e di altri enti ed organismi pubblici;

e) da entrate diverse (…);

- infine, all’art. 28, comma 6, si dispone che la tassa sulle merci sbarcate ed imbarcate di cui al capo III del titolo II della legge 9 febbraio 1963, n. 82 (in cui rientra anche il sopra menzionato art. 33) e all'articolo 1 della legge 5 maggio 1976, n. 355, e successive modificazioni e integrazioni, viene estesa a tutti i porti a decorrere dal 1° gennaio 1994.

In tema di revisione della disciplina delle tasse e dei diritti marittimi, con l’art. 1, commi 982 e seguenti, della l. n. 296/2006, è stato stabilito tra l’altro quanto segue:

- comma 982. Per assicurare l'autonomia finanziaria alle autorità portuali nazionali e promuovere l'autofinanziamento delle attività e la razionalizzazione della spesa, anche al fine di finanziare gli interventi di manutenzioni ordinaria e straordinaria delle parti comuni nell'ambito portuale, con priorità per quelli previsti nei piani triennali già approvati, ivi compresa quella per il mantenimento dei fondali, sono attribuiti a ciascuna autorità portuale, a decorrere dall'anno 2007, per la circoscrizione territoriale di competenza:

a) il gettito della tassa erariale di cui all'articolo 2, primo comma, del decreto-legge 28 febbraio 1974, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 aprile 1974, n. 117, e successive modificazioni;

b) il gettito della tassa di ancoraggio…;

- comma 984. Le autorità portuali sono autorizzate all'applicazione di una addizionale su tasse, canoni e diritti per l'espletamento dei compiti di vigilanza e per la fornitura di servizi di sicurezza previsti nei piani di sicurezza portuali;

- comma 985. Resta ferma l'attribuzione a ciascuna autorità portuale del gettito della tassa sulle merci sbarcate e imbarcate di cui al capo III del titolo II della legge 9 febbraio 1963, n. 82 (capo III del titolo II in cui rientra anche il sopra trascritto art. 33-tassa sulle merci nei porti di Genova, Venezia e Napoli) e successive modificazioni, e all'articolo 1 della legge 5 maggio 1976, n. 355;

- comma 986. Le disposizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 982, nonché quelle di cui al comma 985 si interpretano nel senso che le navi che compiono operazioni commerciali e le merci imbarcate e sbarcate nell'ambito di porti, rade o spiagge dello Stato, in zone o presso strutture di ormeggio, quali banchine, moli, pontili, piattaforme, boe, torri e punti di attracco, in qualsiasi modo realizzati, sono soggette alla tassa di ancoraggio e alle tasse sulle merci.

Ancora, in base a quanto dispone l’art. 2 del d.P.R. n. 107/2009 -Regolamento concernente la revisione della disciplina delle tasse e dei diritti marittimi, a norma dell'articolo 1, comma 989, della legge 27 dicembre 2006, n. 296:

Nei porti, nelle rade e spiagge dello Stato, nonché negli ambiti richiamati all'articolo 3, comma 1, è dovuta una tassa portuale sulle merci sbarcate ed imbarcate, commisurata alle tonnellate metriche di merce secondo le aliquote riportate, in relazione a ciascuna categoria merceologica ed alla tipologia di traffico, nella tabella allegata al presente regolamento. La frazione di tonnellata superiore ad un quintale è considerata come tonnellata intera.

2. La tassa di cui al comma 1 sostituisce la tassa erariale di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 28 febbraio 1974, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 aprile 1974, n. 117, e successive modificazioni e la tassa sulle merci sbarcate e imbarcate di cui al capo III del titolo II della legge 9 febbraio 1963, n. 82, e successive modificazioni, e all'articolo 1 della legge 5 maggio 1976, n. 355(…).

E all’art. 3 si dispone che Le tasse di cui al presente regolamento, il cui gettito è attribuito alle autorità portuali in virtu' di quanto previsto dall'articolo 1, comma 982, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dall'articolo 1, comma 6, del presente regolamento, sono applicate con riferimento alle operazioni commerciali che si svolgono negli ambiti spaziali di cui all'articolo 1, comma 986, della medesima legge 27 dicembre 2006, n. 296 (…).

10.2. Così ricostruito, sia pure per sommi capi, il quadro normativo di riferimento, pare il caso di precisare che tra i proventi di autorizzazioni per operazioni portuali di cui all’art. 16 della l. n. 84/1994, sulla base del tenore letterale e logico della norma, rientrano i canoni dovuti dalle imprese portuali in ragione dell’autorizzazione a esse rilasciata (e a tale riguardo, EST precisa che l’Autorità portuale percepisce dalla ricorrente canoni e proventi derivanti dal rilascio della concessione demaniale marittima e contestuale autorizzazione all’esercizio dell’attività di impresa portuale, e canoni di occupazione di aree portuali, in misura significativa), e che nel caso odierno risulta “fuori campo” qualsiasi incremento del canone di concessione a carico di EST.

Ciò posto, va rammentato che la riserva di legge ex art. 23 Cost. ha carattere relativo, e non esige che la prestazione sia imposta "per legge" (da cui risultino espressamente individuati tutti i presupposti e gli elementi), ma richiede soltanto che essa sia istituita "in base alla legge" (v. sentenze nn. 236 e 90 del 1994). Sicché la norma costituzionale deve ritenersi rispettata anche in assenza di un'espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a circoscrivere l'àmbito di discrezionalità della pubblica amministrazione, purché gli stessi siano desumibili dalla destinazione della prestazione, ovvero dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinarne la misura (v. sentenze n. 182 del 1994 e n. 507 del 1988), secondo un modulo procedimentale idoneo ad evitare possibili arbitri (Corte cost., sent. n. 180/1996).

Ancora, la Corte costituzionale, nel delimitare la necessità di una previa definizione di criteri e limiti, anche nei casi di materia sottoposta a riserva relativa di legge, con la sentenza n. 157/1996, in riferimento alle prestazioni imposte di cui all'art. 23 Cost., afferma che secondo la giurisprudenza costituzionale, il principio della riserva di legge di cui al menzionato precetto della Costituzione, in tema di prestazioni imposte, va inteso in senso relativo, ponendo l'obbligo per il legislatore di determinare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa, tanto che la Corte ha già avuto occasione di affermare che non contrasta con tale principio l'assegnazione ad organi amministrativi non solo di compiti meramente esecutivi, bensì anche di quello di determinare elementi, presupposti o limiti, variamente individuabili, della prestazione stessa, sulla base di dati e valutazioni di ordine tecnico (sentenze n. 129 del 1969 e n. 27 del 1979). Né tale principio può ritenersi violato, anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, dei limiti e dei controlli che delimitano l'ambito di discrezionalità della pubblica amministrazione, quando gli stessi siano desumibili dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinare la misura della prestazione di cui trattasi (sentenze n. 4 del 1957; n. 51 del 1960; n. 5 del 1963; n. 21 del 1969; e n. 67 del 1973) ovvero quando esista, per l'emanazione dei provvedimenti amministrativi concernenti la prestazione medesima, un modulo procedimentale con il quale venga a realizzarsi la collaborazione di una pluralità di organi al fine di escludere eventuali arbitrii dell'amministrazione (sentenza n. 507 del 1988). Si può aggiungere che l’eventuale indeterminatezza dei contenuti sostanziali della legge può ritenersi in certa misura compensata dalla previsione di talune forme procedurali (sentenza n. 83 del 2015) aperte alla partecipazione di soggetti interessati e di organi tecnici. In questa logica, è stato dato rilievo alla previsione di determinati «elementi o moduli procedimentali» (sentenza n. 435 del 2001) che consentano la collaborazione di più enti o organi (sentenze n. 157 del 1996 e n. 182 del 1994) - specie se connotati da competenze specialistiche e chiamati a operare secondo criteri tecnici, anche di ordine economico (sentenze n. 215 del 1998, n. 90 del 1994 e n. 34 del 1986) - o anche la partecipazione delle categorie interessate (sentenza n. 180 del 1996) (…) (così Corte cost., n. 69/2017, p. 7.1., in tema di contributi dovuti alla Autorità per la regolazione dei trasporti-ART).

Ora, la previsione di cui al citato art. 5, comma 8, in combinato disposto con gli articoli 2 e 3 del d.P.R. n. 107/2009, regolamento “di delegificazione” emanato sulla base dell’art. 1, comma 989 l. n. 296/2006, concernenti l’applicazione delle tasse portuali con riferimento alle operazioni commerciali che si svolgono nell’ambito portuale, nel consentire alle autorità, a copertura dei costi sostenuti –o programmati- per le opere, la imposizione di soprattasse a carico delle merci imbarcate e sbarcate, attribuisce alla Autorità medesima, con il coinvolgimento del comitato portuale, anche la individuazione dei soggetti obbligati, ferma la necessaria correlazione, e commisurazione, tra entità dei diritti aggiuntivi da versare alla Autorità, costi sostenuti o anche solo programmati da quest’ultima per opere specie di infrastrutturazione, e “tipologia” del soggetto obbligato al versamento del tributo aggiuntivo.

L’applicazione di tasse con riferimento a operazioni commerciali che si svolgono negli àmbiti spaziali portuali comporta, implicitamente, ma non meno univocamente, la facoltà di individuare le imprese terminaliste quali operatori economici in àmbito portuale obbligati al pagamento.

Ferma rimanendo dunque la connessione tra poste finanziarie in entrata e “costi per opere”, sostenuti o programmati; dal punto di vista del soggetto passivo, come le opere di infrastrutturazione vanno a vantaggio degli utilizzatori dei servizi portuali “ad ampio spettro”, così, in maniera corrispondente, dal contesto normativo che regola la materia emerge come, tra i soggetti tenuti al versamento di tale tributo aggiuntivo, in relazione ad operazioni svolte in ambito portuale, possano farsi rientrare, oltre ai vettori e alle agenzie marittime raccomandatarie, anche le imprese terminaliste. Appare cioè legittimo e corretto che il potere regolamentare dell’Adsp di individuare, tra i soggetti obbligati al pagamento dei diritti portuali, da applicarsi sull’imbarco, sbarco e movimentazione dei containers, anche gli operatori terminalisti, trovi una sua base legislativa nella disposizione di cui all’art. 5, comma 8, della l. n. 84/1994.

10.3. Nella delibera del 2015 manca, però, qualsiasi specificazione di infrastrutture od opere da realizzare, o in corso di realizzazione o di cui sia pianificata la realizzazione, con i costi relativi, almeno presumibili.

Ora è vero che, in linea di principio, l’art. 3, comma 2, l. n. 241/1990 esclude dall'obbligo di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale.

Nondimeno, in primo luogo è da ritenere sussistente un onere motivazionale, ancorché attenuato, ricavabile dalle norme attributive del potere in argomento, che ne individuino lo scopo e introducano previsioni rilevanti sul piano economico-finanziario.

Inoltre, nella specie, va considerato che la previsione “regolamentare” impugnata appare rivolta nella sostanza a EST che, come si rimarca nel ricorso di primo grado e nell’atto di appello, senza contestazioni specifiche da parte dell’Adsp, all’epoca della adozione della delibera impugnata era rimasta ormai l’unica impresa portuale del porto di Catania operativa nel settore del traffico containers, sì che anche per questa ragione è da considerarsi richiesto un maggiore livello di “specificità motivazionale”.

E nel caso di specie la impugnata delibera del 2015, a sostegno della decisione di addebitare l’onere in discorso a EST, quale impresa esecutrice di operazioni portuali di sbarco, imbarco e movimentazione, si limita a considerare la complessità delle procedure inerenti al ciclo-nave e delle operazioni alle quali l’onere medesimo si riferisce, e le dinamiche del trasporto marittimo delle merci, vale a dire, sul piano pratico, la difficoltà di richiedere e ottenere il pagamento di tali diritti portuali dai vettori (e dalle agenzie raccomandatarie marittime per conto dei vettori), in grave stato di inadempienza.

Persuasivamente, EST parla di una delibera finalizzata a uno scopo di contenimento dei crediti vantati nei confronti dei vettori.

Con ogni evidenza manca qualunque adeguata –e necessaria- correlazione tra la indicazione delle somme oggetto di prelievo e la specificazione o, perlomeno, la pianificazione delle opere di infrastrutturazione realizzate o da realizzare, ancorché programmate, con riferimento alla presumibile entità delle risorse da reperire.

Sulla necessità, per legittimare la imposizione di soprattasse a carico delle merci imbarcate o sbarcate, che si tratti di opere esattamente identificate nella loro consistenza, con precisa quantificazione dei costi sostenuti o da sostenersi, si può fare rinvio a CGARS, sent. n. 686/2002.

Nel riferimento di legge alla copertura dei costi sostenuti per le opere realizzate, o la cui realizzazione risulti programmata nel piano operativo triennale di cui all’art. 5, comma 10, della l. n. 84/1994, tale correlazione appare necessaria.

D’altra parte, un riferimento soltanto generico a investimenti dell’Autorità o a miglioramenti infrastrutturali rischierebbe di tradursi in una clausola di stile, tale da non permettere una verifica effettiva del perseguimento degli scopi indicati dalla norma.

Né può ammettersi in alcun modo una integrazione postuma in sede giudiziale della motivazione della delibera –che, come detto, è circoscritta alla considerazione della complessità delle procedure del ciclo-nave e delle dinamiche del trasporto marittimo delle merci-, come invece è avvenuto nella specie (v. specialmente pag. 9 ric. app.): sulla inammissibilità di una integrazione postuma della motivazione del provvedimento impugnato, ove effettuata in sede giudiziale, si può rinviare, “ex multis”, a CGARS, sent. n. 612/2020 e, ivi, a riferimenti ulteriori.

Appaiono dunque evidenti la incongruità e irragionevolezza della motivazione posta a sostegno della deliberazione impugnata.

10.4. Il ricorso odierno presenta peculiarità tali per cui, la ragione appena indicata, al p. 10.3., a fondamento dell’annullamento della ordinanza n. 4/2015, risulta sostanzialmente satisfattiva della pretesa azionata da EST il che, per ragioni di economia, consente di assorbire i profili di censura ulteriormente riproposti dalla società appellata.

10.5.L’esito complessivo della controversia (accoglimento del motivo di appello formulato dall’Adsp; accoglimento di uno dei profili del primo motivo di ricorso, riproposto dalla ricorrente in primo grado e attuale appellata; conferma, pertanto, del dispositivo di accoglimento del ricorso di primo grado della società e annullamento, entro i limiti dell’interesse fatto valere, della ordinanza n. 4/2015, e atti presupposti), e le particolarità della causa trattata, specie sul piano interpretativo, giustificano in via eccezionale la compensazione per la metà, delle spese e dei compensi del doppio grado, tra le parti costituite.

Per la restante metà, spese e compensi seguono la soccombenza come di regola, e si liquidano nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, previo accoglimento del motivo di impugnazione dell’Autorità (v. sopra, p. 10.2.) e previo, inoltre, accoglimento di uno dei profili del primo motivo di ricorso, riproposto dalla ricorrente in primo grado (v. sopra, p. 10.3.), in riforma, per quanto di ragione, della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado e, per l’effetto, annulla l’ordinanza n. 4/2015 e gli atti presupposti.

Spese del doppio grado compensate per la metà.

Per la restante metà condanna l’Adsp appellante a rimborsare alla società appellata EST le spese e i compensi del doppio grado del giudizio, che si liquidano in € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre agli accessori di legge.

Si dispone che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del 12 gennaio 2022 con l'intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Raffaele Prosperi, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

Giovanni Ardizzone, Consigliere

Antonino Caleca, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Marco Buricelli Rosanna De Nictolis
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici