HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Consiglio di Stato, Sez. III, 11/2/2022 n. 1016
Sulla richiesta di accesso agli atti di un procedimento ispettivo per il contrasto al lavoro in nero

Il diritto d'accesso è un principio cardine di carattere generale del diritto amministrativo, nella prospettiva di una piena attuazione dei principi costituzionali d'imparzialità e buon andamento, e quindi di trasparenza, della pubblica amministrazione, con il conseguente dovere di ostensibilità totale degli atti ed il correlativo diritto di esaminare i documenti e di estrarne copia (art. 25, c. 1 l. 90/241) fatta eccezione per le ipotesi di esclusione normativamente previste. Nel caso di specie, l'accesso agli atti riguarda una procedura ispettiva di contrasto al lavoro in nero concerne, invece, la tutela che la Repubblica democratica, fondata sul lavoro (art. 1 Cost.) deve garantire al "lavoro in tutte le sue forme" (art. 35 Cost.) e quindi al lavoratore, nel momento in cui, ai sensi dell'art. 2 Cost., "garantisce i diritti inviolabili dell'uomo (…) nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità" e quindi anche nell'azienda, tutelando anche la riservatezza del lavoratore (formalmente dipendente o meno) nei confronti del datore di lavoro (considerata l'asimmetria del rapporto), anche, come nel caso a quo, con specifico riferimento alle dichiarazioni rese dai lavoratori ai funzionari pubblici preposti alle attività ispettive previste dalla legge ai sensi dell'art. 41 Cost. Si impone, quindi, un bilanciamento "mobile", ovvero riferito alla specifica fattispecie (che in questo caso vede un'indagine per lavoro in nero) fra i predetti diversi principi costituzionali coinvolti, bilanciamento che in questo caso preclude l'accesso del datore di lavoro ai documenti ancora non rilasciati dall'Amministrazione a tutela dei lavoratori coinvolti.



Materia: pubblica amministrazione / lavoro
Pubblicato il 11/02/2022

N. 01016/2022REG.PROV.COLL.

N. 07744/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7744 del 2021, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Raffaella Multedo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ispettorato Territoriale del Lavoro di Genova, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Genova;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2022 il Cons. Raffaello Sestini e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 – Viene all’esame del Collegio, con il rito per l’accesso agli atti di cui all’art.116 c.p.a., l’appello proposto dall’imprenditore meglio individuato in epigrafe, quale legale rappresentante duna società di gestione di una palestra, avverso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Genova per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. -OMISSIS-, che ha respinto il ricorso dell’appellante avverso il parziale diniego di accesso agli atti, in quanto riferiti ad una procedura ispettiva di contrasto al lavoro in nero che ha visto sanzionare la società e in solido il medesimo appellante.

2 – In particolare, con ricorso davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, l’odierno appellante chiedeva l’annullamento del provvedimento del -OMISSIS-, con il quale l’Ispettorato del Lavoro di Genova aveva rigettato l’istanza di accesso agli atti relativi al procedimento ispettivo conclusosi con il Verbale di accertamento del -OMISSIS-, relativo all’impiego di lavoratori in nero.

3 - Il TAR confermava la legittimità del diniego, in quanto opposto, dopo aver sentito gli interessati e in solo parziale accoglimento della loro opposizione, limitatamente alle denunce fatte da lavoratori dell’azienda.

4 - L’appellante impugna la predetta sentenza, deducendo i vizi di violazione di legge (artt. 1, 2, 7, 22, 25 della legge n. 241 del 1990, artt. 3 e 6, comma 4 del DPR n. 184del 2006), nonché di eccesso di potere per difetto, illogicità e contraddittorietà della motivazione, difetto dei presupposti, travisamento dei fatti ed ingiustizia manifesta.

5 – Sostiene l’appellante che la propria richiesta di accesso a tuti gli atti del procedimento ispettivo non era affatto generica ed era stata espressamente motivata dalle esigenze di azionare il proprio diritto di difesa avverso l’irrogazione delle sanzioni previste per le infrazioni contestate nel verbale unico di accertamento, vanificate invece dal comportamento ostruttivo e contraddittorio dell’Amministrazione. La conoscenza dei verbali e degli atti del procedimento era quindi funzionale all’esercizio del diritto di difesa sia in sede amministrativa ex art. 18 legge 81/689, che ex art. 12, co 4, 13, co. 2 e d.gs 124/2004 alla direzione regionale del Lavoro, nonché giurisdizionale perché incideva su diritti soggettivi degli amministratori e della società (c.d. accesso difensivo ).

6 - L’appellante evidenzia altresì la ritenuta sussistenza di una serie di contraddizioni nella procedura seguita e nelle memorie prodotte dall’Amministrazione, dove si affermerebbe, fra l’altro, che le denuncianti la situazione di lavoro in nero non sarebbero state dipendenti dell’azienda, che non vi sarebbero stati controinteressati e che tutta la documentazione utile sarebbe stata comunque consegnata al richiedente, evidenziando la mancanza di valide ragioni per opposti all’azionato accesso difensivo.

7 - L’Amministrazione avrebbe inoltre serbato un comportamento fumoso e dilatorio, non rispettoso del previsto termine di 30 giorni entro i quali acquisire l’avviso degli eventuali controinteressati e rispondere al richiedente.

8 - Il Tar avrebbe quindi errato perché doveva dichiarare la sussistenza del diritto di accesso difensivo, nella mancanza di cause di esclusione e di reali e concreti interessi oppositivi di riservatezza e di tutela, esclusi dalle risultanze istruttorie alla luce delle stesse dichiarazioni dell’Ispettorato del Lavoro e dell’atto di costituzione dell’Avvocatura.

9 – L’appellante chiede quindi di annullare la sentenza del Tar appellata e, previo accoglimento del ricorso di primo grado, annullare l’atto del -OMISSIS- dell’Ispettorato del lavoro di Genova e tutti gli atti presupposti, consequenziali, anche sconosciuti, per poi ordinare all’amministrazione la visione del fascicolo e l’esibizione di tutti i verbali, gli accertamenti e i documenti contenuti nello stesso fascicolo, ritualmente richiesti, e di estrarne copia, così come prevede l’art. 25 c. 1 legge 90/241. Chiede, infine, di condannare l’amministrazione resistente al risarcimento dei danni subiti per aver aggravato il procedimento con motivazioni generiche, elusive, dilatorie, pretestuose, contrarie ai principi di buona fede ed ostacolato il diritto di difesa e di contraddittorio ex art. 18 l. 689/81 entro i termini già scaduti, nonché il diritto di difesa in sede giurisdizionale, essendo il danno in re ipsa.

10 – L’appello è infondato.

11 – Infatti col provvedimento impugnato, emesso nel rispetto del termine di 30 giorni stabilito dalla L. 241/1990, l’Ispettorato ha debitamente riscontrato la domanda, consentendo l’accesso agli atti per la parte in cui ciò era dovuto per fini difensivi (quanto all’istanza di acquisizione della dichiarazione resa dallo stesso interessato), negandolo motivatamente per la parte in cui, per ampiezza e genericità, configurava la volontà di sottoporre a controllo l’intera attività ispettiva, fattispecie non contemplata dalla vigente normativa (quanto alla domanda di accesso all’intero fascicolo istruttorio) e riscontrando la richiesta di accesso per la parte in cui la stessa coinvolgeva il diritto alla riservatezza di tre lavoratrici, che andava garantito–indipendentemente dalla loro attuale qualifica o meno di dipendenti (occorre ricordare anche che la vicenda concerne l’esistenza di rapporti di lavoro in nero)- mediante la prevista previa acquisizione di un loro parere, non vincolante ma obbligatorio ai sensi della L. 241/1990.

12 – Dunque, una volta acquisito e valutato il predetto parere, l’Ispettorato ha emesso in data 26 marzo 2021 il provvedimento definitivo sull’istanza di accesso agli atti, concedendo l’accesso alle dichiarazioni rilasciate dalle tre lavoratrici in quanto non più dipendenti della società, non essendo stati allegati profili di concreto pregiudizio e dovendo quindi prevalere l’interesse difensivo del richiedente secondo quanto stabilito dal Regolamento adottato dal Ministero del Lavoro

con D.M. 757/1994.

13 – Pertanto il contenzioso residua esclusivamente quanto al persistente diniego di accesso generalizzato al fascicolo ispettivo, che peraltro, evidenza l’Amministrazione, contiene solo documenti già in possesso dell’interessato, fatta eccezione per le dichiarazioni rese da tre lavoratori in forza all’azienda al momento dell’accesso, neppure fatte oggetto della richiesta di accesso.

14 – A tale riguardo evidenzia l’Amministrazione che la legge attribuisce al personale ispettivo il potere, tra l’altro, di “assumere informazioni” (art. 13 legge n. 689/1981). Tale facoltà si estrinseca nella possibilità di interrogare il datore di lavoro, i dipendenti, le rappresentanze sindacali e tutti coloro che possono fornire elementi utili ai fini dell’ispezione, ed il codice di comportamento del personale ispettivo emanato in data 15.01.2014, cui l’organo di vigilanza dell’Ente si è rigorosamente attenuto, prescrive all’art. 12, comma 9, che “nessuna copia delle dichiarazioni deve essere rilasciata al lavoratore e/o al soggetto ispezionato in sede di ispezione e sino alla conclusione degli accertamenti” ovvero fino alla conclusione del procedimento di accertamento ispettivo delle eventuali irregolarità (concernenti nella fattispecie plurimi rapporti di lavoro in nero).

Tale previsione, dunque, conferma e rinnova, nel vigore della nuova disciplina sull’accesso, la precedente disciplina del DM 04.11.1994 n. 757, che, agli artt. 1 e 3, vietava la visione e l’estrazione di copia delle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori nel corso del procedimento ispettivo per tutta la durata del rapporto di lavoro e, comunque, vietava l’accesso a tutti i documenti “contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi

15 – La predetta ricostruzione della vigente disciplina in caso di accesso del datore di lavoro agli atti di accertamento ispettivo disposte a tutela dei lavoratori è stata altresì fatta propria dalla giurisprudenza amministrativa, che ha ritenuto prevalente l’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione a tutela della sicurezza e della regolarità dei rapporti di lavoro rispetto al diritto di difesa delle imprese oggetto di ispezione, che resta comunque garantito dalla documentazione che ogni datore è tenuto a possedere, nonché dalla possibilità di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria (in tal senso, da ultimo, Cons. Stato, III Sezione, n. n. 2019/2345).

16 – D’altro canto, la genericità della domanda di accesso all’intero fascicolo ispettivo non consente di ricostruire quale sia il concreto interesse difensivo connesso alla necessità di acquisire nel loro testo originale dichiarazioni di soggetti all’epoca dipendenti dell’azienda, che sono già state acquisite e valutate dal personale ispettivo ed il cui contenuto, per la parte potenzialmente lesiva per il datore di lavoro, pertanto è già stato trasalto nei verbali e negli altri atti del procedimento già da tempo in possesso del datore di lavoro.

17 – In ogni caso, appare opportuno chiarire un possibile fraintendimento: l’appellante richiama l’univoca giurisprudenza amministrativa, del tutto condivisa dal Collegio, secondo la quale il diritto d’accesso è un principio cardine di carattere generale del diritto amministrativo, nella prospettiva di una piena attuazione dei principi costituzionali d’imparzialità e buon andamento, e quindi di trasparenza, della pubblica amministrazione, con il conseguente dovere di ostensibilità totale degli atti ed il correlativo diritto di esaminare i documenti e di estrarne copia (art. 25, c. 1 legge 90/241) fatta eccezione per le ipotesi di esclusione normativamente previste.

La specifica fattispecie oggetto del giudizio concerne, invece, la tutela che la Repubblica democratica, fondata sul lavoro (art. 1 Cost.) deve garantire al “lavoro in tutte le sue forme” (art. 35 Cost.) e quindi al lavoratore, nel momento in cui, ai sensi dell’art. 2 Cost., “garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (…) nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e quindi anche nell’azienda, tutelando anche la riservatezza del lavoratore (formalmente dipendente o meno) nei confronti del datore di lavoro (considerata l’asimmetria del rapporto) , anche, come nel caso a quo, con specifico riferimento alle dichiarazioni rese dai lavoratori ai funzionari pubblici preposti alle attività ispettive previste dalla legge ai sensi dell’art. 41 Cost.

18 - Si impone, quindi, un bilanciamento “mobile”, ovvero riferito alla specifica fattispecie (che in questo caso vede un’indagine per lavoro in nero) fra i predetti diversi principi costituzionali coinvolti, bilanciamento che, secondo il Collegio, in questo caso preclude l’accesso del datore di lavoro ai documenti ancora non rilasciati dall’Amministrazione a tutela dei lavoratori coinvolti.

19 – Alla stregua delle pregresse considerazioni, deve essere respinta anche la domanda di risarcimento, mancando un qualunque comportamento illecito suscettibile di creare un danno all’appellante e risultando, quindi, non dirimenti le prospettazioni delle parti circa il profilo, solo accessivo a quello indicato, del danno difensivo ipotizzabile.

20 – Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, delle spese del presente grado di giudizio, liquidiate in Euro 3.000,00 (tremila) oltre ad IVA, CPA ed accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità di tutte le persone fisiche indicate dagli atti del presente giudizio.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2022 con l'intervento dei magistrati:

Michele Corradino, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore

Solveig Cogliani, Consigliere

Umberto Maiello, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Raffaello Sestini Michele Corradino
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici