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Consiglio di Stato, Sez. III, 10/6/2022 n. 4735
Gli accordi internazionali di cooperazione rientrano nell'ambito di operatività dell'accesso civico

Ove si ravvisi l'obbligo di pubblicazione ai sensi degli artt. 1 e 4 della l. n. 839 del 1984, il suo inadempimento comporta che gli accordi internazionali (nel caso di specie, gli accordi internazionali di cooperazione conclusi tra Italia e Gambia)possano essere oggetto di accesso civico semplice, poiché l'art. 5, c. 1, del d.lgs. n. 33 del 2013 attribuisce a chiunque il diritto di accedere ai documenti, alle informazioni o ai dati oggetto di pubblicazione obbligatoria "ai sensi della normativa vigente" e non solo, quindi, in forza degli obblighi specificamente posti dal d.lgs. n. 33 del 2013. L'attrazione degli accordi in questione all'ambito di operatività dell'accesso civico semplice comporta, altresì, che non possono rilevare le cause di esclusione indicate dall'art. 5-bis del medesimo decreto legislativo, perché esso, ai commi 1, 2 e 3, espressamente delimita la sua operatività in relazione al solo accesso civico generalizzato di cui all'art. 5, c. 2, avente ad oggetto gli atti diversi da quelli per cui il legislatore ha dettato la regola della necessaria pubblicità.

Materia: pubblica amministrazione / attività
Pubblicato il 10/06/2022

N. 04735/2022REG.PROV.COLL.

N. 09186/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 9186 del 2021, proposto dall’Avvocato Giulia Crescini, rappresentata e difesa dall’Avvocato Salvatore Fachile, con domicilio digitale come da pec nei registri di giustizia;

contro

il Ministero dell’interno, non costituito in giudizio;

nei confronti

del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sezione prima, n. 8838 del 2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti tutti gli atti della causa;

visto l’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;

relatore, nella camera di consiglio del 5 maggio 2022, il Cons. Pier Luigi Tomaiuoli e udito per l’appellante l’Avvocato Salvatore Fachile


FATTO e DIRITTO

1.- L’Avvocato Giulia Crescini, in data 17 febbraio 2021, presentava istanza di accesso civico, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), ai testi dell’Accordo internazionale di cooperazione concluso tra Italia e Gambia il 29 luglio 2010 e del Memorandum of understanding sottoscritto a Roma il 6 giugno 2015, così come modificato il 26 ottobre 2017, sul presupposto che essi, in quanto accordi internazionali, sarebbero oggetto di pubblicazione obbligatoria, ai sensi dell’art. 4 della legge 11 dicembre 1984, n. 839 (Norme sulla Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana).

In subordine, l’accesso veniva richiesto in base all’art. 5, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 33 del 2013 e in relazione alle sole parti relative alla cooperazione in materia di rimpatri.

In data 8 marzo 2021, il Ministero dell’interno - dipartimento della pubblica sicurezza - direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere rigettava l’istanza, ai sensi dell’art. 5-bis, comma 1, lettere a) e d), del d.lgs. n. 33 del 2013, poiché «la pubblicazione dell’accordo di cui sopra andrebbe a minare l’integrità dei rapporti internazionali intrattenuti dal nostro Paese con il Gambia, su quello che è il tema del contrasto all’immigrazione illegale, la lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata ed al traffico di esseri umani».

Avverso tale diniego l’Avvocato Crescini presentava istanza di riesame indirizzata al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, con cui sosteneva l’inapplicabilità delle cause di esclusione dall’accesso civico fatte valere dall’Amministrazione, trattandosi di atti soggetti a pubblicazione obbligatoria in forza dell’art. 4 della legge n. 839 del 1984, in base al quale il Governo ha l’obbligo di comunicare al Parlamento e di pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale tutti gli atti internazionali con i quali la Repubblica si obbliga nelle relazioni estere.

Anche l’istanza di riesame veniva respinta, in ragione dell’affermata natura di intesa intergovernativa – non internazionalmente vincolante – di entrambi gli atti oggetto della richiesta di accesso, dal che la conseguente applicabilità delle cause di esclusione previste dai commi 1, lettere a) e d), e 3, del citato art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013.

2.- Avverso i dinieghi di ostensione e per l’accertamento del suo diritto di accesso agli atti in parola, l’istante proponeva ricorso innanzi al Tar Lazio, deducendo la loro natura di accordi internazionali, la conseguente obbligatorietà della loro pubblicazione e quindi l’operatività dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013.

Si costituivano il Ministero dell’interno e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, eccependo la natura meramente tecnico-amministrativa e di intesa intergovernativa degli accordi stipulati con il Gambia, «non internazionalmente vincolanti» perché sottoscritti «da un organo della Pubblica amministrazione che non rappresenta un soggetto di diritto internazionale» e non ostensibili per evitare un pregiudizio concreto alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico e alle relazioni internazionali «che l’Italia intrattiene con paesi terzi».

Con la sentenza in epigrafe indicata, il Tar Lazio respingeva il ricorso, ritenendo che la ricorrente avesse agito per interessi personali e non «della collettività generale dei cittadini» e che fosse corretta la qualificazione, operata dall’Amministrazione, degli accordi in questione come accordi intergovernativi, di natura tecnico-amministrativa e non internazionalmente vincolanti, donde la non necessità della loro pubblicazione e la operatività delle cause di esclusione dall’accesso civico di cui all’art. 5-bis, comma 1, lettere a) e d), del d.lgs. n. 33 del 2013, legittimamente poste alla base dei dinieghi di ostensione.

3.- L’Avvocato Crescini ha impugnato la decisione di primo grado, premettendo in punto di fatto che:

a) come emerge da una interrogazione parlamentare dell’8 giugno 2016, nonché dal dossier n. 187 del Senato della Repubblica – XVII Legislatura («Risposte scritte ad interrogazioni»), il 29 luglio 2010 è stato firmato a Banjul l’accordo tra il Ministero dell’interno italiano e quello gambiano per il rafforzamento della cooperazione di polizia nella lotta contro il traffico di migranti e l’immigrazione irregolare, «volto a prevedere forme di assistenza tecnica e di fornitura di materiali, corsi di formazione, nonché lo scambio di funzionari»;

b) il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, nel rispondere alla richiesta di chiarimenti in sede di interrogazione parlamentare del 9 giugno 2016, ha confermato che con l’Accordo del 2010 Italia e Gambia si vincolano «reciprocamente rispetto ad obblighi precisi, riguardanti da un lato l’impegno al sostegno economico, formativo e logistico delle autorità di polizia gambiane, dall’altro la facilitazione e la collaborazione nelle attività di rimpatrio dei cittadini gambiani in Italia», e che sia possibile estendere la cooperazione «a specifici aspetti economici e sociali connessi con l’immigrazione, coinvolgendo a tal fine le competenti amministrazioni dei due Paesi e avvalendosi del supporto dell’Unione Europea»;

c) il contenuto dell’Accordo e del Memorandum e la volontà delle parti di impegnarsi in forme di collaborazione future, anche tramite l’impiego di risorse economiche, sono altresì conosciuti dai membri del Parlamento italiano, come si evince dal resoconto stenografico della seduta del Senato n. 613 del 21 aprile 2016;

d) per come riferito dal Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale nella cennata risposta al Parlamento e per come risulta dalla relazione ministeriale sulla performance del 2016, in forza degli accordi in esame, è stato possibile autorizzare il soggiorno stabile presso locali delle forze di polizia italiana di personale appartenente a forze di polizia straniere e sono state impiegate risorse economiche volte al rafforzamento della capacità di controllo della frontiera tra Gambia e Senegal (in particolare, il Gambia ha beneficiato «anche della fornitura di 2 minibus da 30 posti, 20 autovetture fuoristrada, 20 metal detector portatili e 20 computer notebook» e di «2 veicoli Toyota Land Cruiser», e sono state «avviate le procedure per la fornitura di 40 veicoli fuoristrada»;

e) come riporta la circolare del 29 settembre 2020 del Ministero dell’interno sulle procedure di identificazione, agenti di polizia gambiani hanno partecipato a corsi di formazione organizzati in Italia e sono stati impiegati nei controlli alle frontiere, al pari di quanto accaduto per agenti di polizia di Niger e Nigeria in forza di omologhi accordi internazionali.

Tali circostanze, ad avviso dell’appellante, dimostrerebbero la natura politica e non meramente amministrativa degli accordi in esame, con cui lo Stato italiano si sarebbe fatto carico del finanziamento e dell’organizzazione dell’attività dei membri delle forze di polizia gambiane nel territorio nazionale, ossia avrebbe esercitato «un potere economico e politico che impegna l’Italia nelle relazioni esterne».

Da un lato, infatti, il governo gambiano si sarebbe impegnato «a collaborare con le autorità di pubblica sicurezza italiane nell’attività di riconoscimento e rimpatrio di presunti cittadini gambiani che si trovano in Italia», e, dall’altro, il Governo italiano «si sarebbe impegnato a fornire, in cambio dei rimpatri, assistenza tecnica, fornitura di materiali ed equipaggiamento, corsi di formazione».

Aggiunge l’appellante che negli ultimi due decenni l’Italia avrebbe concluso numerosi accordi bilaterali in forma semplificata, volti a regolare i flussi migratori tra gli Stati e incentrati principalmente sulla riammissione nei paesi di origine dei migranti irregolari.

Tra questi, rileverebbero l’Accordo Italia -Tunisia del 2011, il Memorandum of Understanding Italia - Sudan del 2017 e l’Accordo Italia - Ghana, «dal contenuto pressoché identico all’accordo di cui si chiede la disclosure» e tutti regolarmente pubblicati.

In particolare, l’Accordo Italia - Ghana «per il rafforzamento della cooperazione di polizia nella lotta contro il traffico di migranti, la tratta di esseri umani, l’immigrazione illegale e il terrorismo» sarebbe stato sottoscritto nello stesso periodo dell’accordo Italia - Gambia dal dipartimento della pubblica sicurezza italiano e dal Ministero dell’interno del Ghana, e successivamente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 254 del 29 ottobre 2010, supplemento ordinario n. 238.

Anche l’Accordo con il Ghana farebbe riferimento al «diritto di presenza permanente di ufficiali stranieri sul territorio italiano» e affiderebbe al dipartimento di pubblica sicurezza l’onere di organizzare corsi di formazione e training di tale personale.

3.1.- Ciò premesso in punto di fatto, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado: 1) per avere ritenuto il suo difetto di legittimazione attiva, dal momento che per l’accesso civico la legge non impone che l’istante si faccia portatore di un interesse pubblico ulteriore a quello immanente all’ostensione degli atti, specie ove si tratti di accesso civico «ordinario»; 2) per avere ritenuto che si tratti di accordi amministrativi di cooperazione di polizia e non di accordi internazionali in forma semplificata, aventi natura politica e soggetti a pubblicazione perché impegnano lo Stato nelle relazioni internazionali, senza che possano essere fatte valere le cause di esclusione dall’accesso di cui all’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013 (e salva, comunque, l’apposizione del segreto di Stato); 3) per non avere compensato le spese di lite, stante la novità della questione.

4.- Le Amministrazioni resistenti in primo grado non si sono costituite in appello.

5.- Alla camera di consiglio del 5 maggio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

6.- Pur non essendo stato un tema discusso dalle parti nei due gradi di giudizio, è opportuno, in via pregiudiziale, osservare che l’eventuale natura politica e non amministrativa degli accordi oggetto di causa, dedotta dall’appellante a sostegno della loro natura di accordi internazionali in forma semplificata, non può rilevare ai sensi dell’art. 7 cod. proc. amm., primo comma, seconda parte, perché la sottrazione alla giurisdizione amministrativa ivi prevista con riferimento agli atti politici riguarda la loro impugnazione, ossia il sindacato sull’esercizio del potere politico e, specularmente, sul suo mancato esercizio (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 29 ottobre 2021, n. 7250), sindacato che ovviamente non è esercitabile nell’ipotesi dell’azione volta alla tutela del diritto di accesso civico.

7.- Sgombrato il campo da tale possibile profilo pregiudiziale e con riserva di riaffrontare nel prosieguo (paragrafi 8.1. e 8.2.), sotto diverse angolazioni, la questione della rilevanza o meno della natura politica o amministrativa degli accordi in esame, può passarsi all’esame del primo motivo di gravame, con cui l’appellante lamenta che erroneamente il Tar Lazio l’abbia ritenuta portatrice di un interesse personale e non della collettività, inidoneo a sorreggere l’istanza di accesso civico.

Il motivo è fondato.

7.1.- Il primo giudice – dopo avere osservato che la ricorrente «giustifica il proprio interesse all’accesso ai documenti richiesti con la sua attività di avvocato che difende cittadini gambiani trattenuti presso i centri di rimpatrio e che, in forza dell’accordo di cui chiede l’accesso, sarebbero trattenuti con priorità rispetto ad altri, alla luce del disposto di cui all’art. 14 comma 1 d.lgs. 286/98» – ha ritenuto che quello della ricorrente sia, «per sua stessa ammissione», «un interesse legato alla sua attività professionale di difensore di cittadini gambiani trattenuti presso i centri di rimpatrio», dal che il ritenuto difetto di allegazione, prima ancora che di prova, del necessario «interesse proprio della generalità dei cittadini al riguardo».

7.2.- L’art. 1 del d.lgs. n. 33 del 2013 afferma, al comma 1, che «[l]a trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche»; e, al comma 2, che «[l]a trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino».

Quanto all’accesso civico, che insieme agli obblighi di pubblicazione è strumento fondamentale dell’attuazione del principio di trasparenza, l’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013, dispone che «[l]’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione».

Ai sensi del successivo comma 2, «[a]llo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis».

Il comma 3, poi, prevede che «[l]’esercizio del diritto di cui ai commi 1 e 2 non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L’istanza di accesso civico identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede motivazione».

7.3.- Sulla base dei riferiti dati normativi, che hanno completato l’evoluzione, nel nostro ordinamento, «della visibilità del potere» pubblico, segnando il «passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere», l’Adunanza plenaria di questo Consiglio – con affermazioni relative all’accesso civico “generalizzato” di cui all’art. 5, comma 2, citato, ma valevoli, a fortiori, per quello “semplice” di cui all’art. 5, comma 1 – ha chiarito che esso «non è sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza» (Adunanza plenaria, sentenza 2 aprile 2020, n. 10, punti 22.1 e seguenti).

L’impugnata sentenza del Tar Lazio, che ha ritenuto necessarie l’allegazione e la prova di un interesse «proprio della generalità dei cittadini», non essendo in linea con il dato normativo e con la riferita interpretazione dell’Adunanza plenaria, va pertanto riformata in parte qua.

8.- Con il secondo motivo di gravame l’appellante critica il ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice, là dove il medesimo, sulla base della premessa secondo cui gli accordi oggetto di istanza di accesso civico non sarebbero atti di natura politica, bensì atti di cooperazione tecnico-amministrativa, e indi ritenendo che non possano essere qualificati come accordi internazionali in forma semplificata e, per tale motivo, non siano soggetti a pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, giunge alla conclusione che gli stessi non sarebbero oggetto di accesso civico semplice, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013, ma di accesso civico generalizzato, non esercitabile nelle ipotesi di cui all’art. 5-bis del medesimo decreto.

8.1.- È necessario precisare che l’eventuale natura politica degli accordi in esame, già ritenuta ininfluente in punto di giurisdizione, neanche potrebbe rilevare nel senso di escludere la loro assoggettabilità all’accesso civico, che, in tesi, potrebbe sostenersi riguardi solo gli atti amministrativi.

Gli artt. 1, 2, 3 e 5 del d.lgs. n. 33 del 2013, nell’enucleare i principi di trasparenza e conoscibilità sottesi all’intero decreto, strumentali «ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione» (così l’art. 1, comma 1), e nel definire l’ambito oggettivo e soggettivo dell’accesso civico, fanno riferimento non già agli atti amministrativi ma ai dati, alle informazioni e ai documenti detenuti dalla pubblica amministrazione.

Anche le più (per lo meno apparentemente) ristrette formule utilizzate dal legislatore con riferimento alla nozione di documento amministrativo oggetto di accesso difensivo riguardano, del resto, «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale» (così l’art. 22, comma 1, lettera d, della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»), ovvero «ogni rappresentazione, comunque formata, del contenuto di atti, anche interni, delle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa» (così l’art. 1, lettera a, del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa»).

Da tanto consegue che, anche ai fini dell’accesso difensivo, «la nozione normativa di “documento amministrativo” suscettibile di formare oggetto di istanza di accesso documentale è ampia e può riguardare ogni documento detenuto dalla pubblica amministrazione […], purché lo stesso concerna un’attività di pubblico interesse o sia utilizzato o sia detenuto o risulti significativamente collegato con lo svolgimento dell’attività amministrativa, nel perseguimento di finalità di interesse generale» (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 25 settembre 2020, n. 20).

Nel caso di specie, gli accordi internazionali con il Gambia, per come affermato dallo stesso Ministero dell’interno, trattando «delle modalità tecniche finalizzate alla cooperazione dei due Paesi in materia di gestione delle frontiere e lotta al traffico di migranti» (così il diniego dell’8 marzo 2021), sono accordi «di natura operativa per la collaborazione istituzionale di polizia finalizzata ai controlli di prevenzione e contrasto all’immigrazione clandestina» (così il diniego del 9 aprile 2021) e di prevenzione e contrasto «alla criminalità nelle sue varie forme» (così, ancora, il citato diniego del 9 aprile 2021).

Si tratta, cioè, di documenti detenuti dalla pubblica amministrazione e riguardanti un’attività di pubblico interesse, nonché, in ogni caso, di documenti detenuti ed utilizzati dalla pubblica amministrazione, oltre che significativamente collegati con lo svolgimento dell’attività amministrativa di polizia, nel perseguimento di chiare finalità di interesse generale.

8.2.- Fatte queste precisazioni, può passarsi all’esame del criticato assunto da cui muove il Tar Lazio, secondo cui la ritenuta natura tecnico-amministrativa degli accordi in esame escluderebbe la loro natura di accordi internazionali in forma semplificata (e, quindi, l’obbligo di pubblicazione).

Tale assunto, in effetti, non è condivisibile.

L’art. 1, comma 1, lettera f), della legge n. 839 del 1984 prevede che nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana «si inseriscono e si pubblicano nel testo integrale» «gli accordi ai quali la Repubblica si obbliga nelle relazioni internazionali, ivi compresi quelli in forma semplificata, e che non necessitano di pubblicazione ai sensi delle precedenti lettere b) e d)» (ossia quelli che sono già soggetti a pubblicazione perché recepiti con leggi ordinarie dello Stato o con gli altri decreti, del Presidente della Repubblica, del Presidente del Consiglio dei ministri e ministeriali, nonché con le delibere e gli altri atti di Comitati di ministri che siano strettamente necessari per l’applicazione di atti aventi forza di legge).

Ai sensi dell’art. 4 della medesima legge, poi, «[a] cura del Servizio del contenzioso diplomatico, trattati e affari legislativi del Ministero degli affari esteri, sono trasmessi, per la pubblicazione trimestrale in apposito supplemento della Gazzetta Ufficiale, tutti gli atti internazionali ai quali la Repubblica si obbliga nelle relazioni estere, trattati, convenzioni, scambi di note, accordi ed altri atti comunque denominati, che sono altresì comunicati alle Presidenze delle Assemblee parlamentari. La trasmissione avviene non oltre un mese dalla sottoscrizione dell’atto con cui la Repubblica si obbliga».

Come emerge dal tenore letterale di tali disposizioni, ciò che rileva ai fini dell’obbligo di pubblicazione degli accordi internazionali, compresi quelli in forma semplificata, non è dunque la loro natura amministrativa o politica, quanto piuttosto l’assunzione, da parte dello Stato italiano, di impegni nei confronti di uno Stato estero.

A conferma di tale interpretazione concorre la ratio di garanzia degli artt. 1 e 4 sopra citati, con cui il legislatore, nel prevedere l’obbligo di pubblicazione (e di comunicazione al Parlamento) non solo dei trattati ma anche degli accordi internazionali in forma semplificata, ha inteso perseguire il duplice obiettivo di consentire il controllo democratico, dei cittadini e delle Camere, sulla politica estera del Governo e, per tale via, di contrastare il fenomeno, ben noto alla dottrina costituzionalistica, della “fuga” dall’autorizzazione parlamentare alla ratifica prevista dall’art. 80 della Costituzione per il caso di trattati «di natura politica» (o che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi).

Da ultimo, proprio la stessa necessaria distinzione rispetto ai trattati, aventi natura politica ed assoggettati, nel disegno del Costituente, all’autorizzazione parlamentare e alla ratifica del Presidente della Repubblica (art. 87, comma 8, Cost.), impone di ritenere che negli accordi in forma semplificata rientrino anche, se non esclusivamente, quelli tecnico-amministrativi, pur sempre a condizione che con essi la Repubblica «si obbligh[i] nelle relazioni internazionali», ossia che lo Stato italiano assuma degli impegni nei confronti di uno Stato estero.

Prima di verificare l’esistenza, nel caso di specie, dell’assunzione di obblighi internazionali da parte dello Stato italiano (su cui infra, al punto 8.4), è però necessario verificare che non sussistano altre ragioni ostative all’accoglimento della domanda di accesso e ciò impone di considerare i rapporti tra gli obblighi di pubblicazione degli accordi internazionali, l’accesso civico semplice e quello generalizzato, e le cause di esclusione da quest’ultimo.

8.3.- È opinione del Collegio (ma, più o meno esplicitamente, anche del primo giudice e delle parti) che, ove si ravvisi l’obbligo di pubblicazione ai sensi degli artt. 1 e 4 della legge n. 839 del 1984, il suo inadempimento comporti che gli accordi in questione possano essere oggetto di accesso civico semplice, poiché il più volte menzionato art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013 attribuisce a chiunque il diritto di accedere ai documenti, alle informazioni o ai dati oggetto di pubblicazione obbligatoria «ai sensi della normativa vigente» e non solo, quindi, in forza degli obblighi specificamente posti dal d.lgs. n. 33 del 2013.

L’attrazione degli accordi in questione all’ambito di operatività dell’accesso civico semplice comporta, altresì, che non possono rilevare le cause di esclusione indicate dall’art. 5-bis del medesimo decreto legislativo, perché esso, ai commi 1, 2 e 3, espressamente delimita la sua operatività in relazione al solo accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, avente ad oggetto gli atti diversi da quelli per cui il legislatore ha dettato la regola della necessaria pubblicità.

Non può invece ritenersi condivisibile l’opzione ermeneutica che riconduce all’area di operatività dell’accesso civico generalizzato, per come introdotto dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 (Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), non solo gli atti non oggetto di pubblicazione obbligatoria, ma anche quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria in forza di norme esterne al citato decreto e, in particolare e per quanto qui rileva, gli atti assoggettati a pubblicazione dalla legge n. 839 del 1984.

Tale tesi poggia le sue basi sul rilievo che il comma 2 dell’art. 5, nel delimitare l’ambito di applicazione dell’accesso civico generalizzato, fa riferimento ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni «ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto» (e non «ai sensi della normativa vigente»), così apparendo parzialmente antinomico rispetto al comma 1, proprio con riferimento al segmento degli atti oggetto di pubblicazione obbligatoria in forza di norme esterne al d.lgs. n. 33 del 2013.

L’approccio interpretativo in esame non può essere seguito, sia perché si porrebbe in insanabile contrasto con la chiara lettera del comma 1, che fa riferimento a tutti gli obblighi di pubblicazione imposti dalla legislazione vigente, sia perché colliderebbe con la stessa ratio ispiratrice della riforma operata dal d.lgs. n. 97 del 2016, che ha introdotto, sul modello del FOIA (Freedom of Information Act), l’accesso civico generalizzato per ampliare e non per ridurre la trasparenza dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni.

Una simile riduzione della portata applicativa dell’accesso civico semplice ad opera di una legge che aveva la finalità opposta di innalzare il livello di trasparenza avrebbe piuttosto dovuto essere oggetto di una espressa previsione normativa, la cui sede naturale sarebbe stata proprio il comma 1 dell’art. 5.

Non solo il d.lgs. n. 97 del 2016 non ha modificato quest’ultima disposizione, ma tra i principi e i criteri direttivi che l’art. 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), ha imposto al legislatore delegato (anche attraverso il richiamo all’art. 1, comma 35, della legge 6 novembre 2012, n. 190, recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione») non ve n’è alcuno che lo autorizzi alla modifica della portata degli obblighi già previsti dalla disciplina vigente (ed anzi, alla lettera h, vi è la espressa menzione della loro salvezza) e, soprattutto, del connesso ambito di operatività dell’accesso civico semplice.

Il “verso accrescitivo” e non riduttivo della trasparenza è del resto confermato anche in relazione agli atti normativi e generali, se è vero che la modifica dell’art. 12 del d.lgs. n. 33 del 2012, recata dall’art. 12, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 97 del 2016, da un lato, nuovamente conferma gli obblighi di pubblicità recati dalla legge n. 839 del 1984 e quello, da attuarsi tramite i siti istituzionali, relativo ai «riferimenti normativi con i relativi link alle norme di legge statale pubblicate nella banca dati “Normattiva” che ne regolano l’istituzione, l’organizzazione e l’attività», nonché alle «direttive, le circolari, i programmi e le istruzioni emanati dall’amministrazione e ogni atto che dispone in generale sulla organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi, sui procedimenti ovvero nei quali si determina l’interpretazione di norme giuridiche che le riguardano o si dettano disposizioni per l’applicazione di esse, ivi compresi i codici di condotta»; e, dall’altro, aggiunge a quest’ultimo elenco «le misure integrative di prevenzione della corruzione individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 2-bis, della legge n. 190 del 2012, i documenti di programmazione strategico-gestionale e gli atti degli organismi indipendenti di valutazione».

Da ultimo, che l’inadempimento agli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente continui a trovare la sua reazione nell’istituto dell’accesso civico semplice e resti fuori dall’ambito dell’accesso civico generalizzato lo si ricava anche dal comma 4 dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013, che, dopo avere passato in rassegna le cause di esclusione dal secondo, ribadisce che «[r]estano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente».

Tale disposizione, cioè, per quanto di dubbia collocazione sistematica, ha l’unica funzione logica di ulteriormente segnalare all’interprete che le cause di esclusione dall’accesso civico generalizzato – e quindi lo stesso accesso civico generalizzato – riguardano atti e documenti non oggetto di pubblicazione obbligatoria.

8.4.- Esclusa la sussistenza di altre ragioni ostative all’accoglimento della domanda di accesso, resta dunque da appurare, come si è detto al punto 8.2 che precede, se con gli accordi internazionali in questione lo Stato italiano si sia impegnato nei confronti del Gambia, come dedotto dalla parte appellante.

Con i dinieghi impugnati e con la memoria difensiva depositata nel corso del giudizio di primo grado, il Ministero dell’interno ha affermato che gli accordi sarebbero stati stipulati da un organo della pubblica amministrazione «che non rappresenta un soggetto di diritto internazionale (così, il diniego del 9 aprile 2021)»; quanto all’assunzione o meno di impegni nei confronti del Gambia, invece, il Ministero non ha preso specifica posizione, coerentemente, del resto, con le dedotte esigenze di tutela della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico e delle relazioni internazionali con la controparte gambiana.

Sussistono, tuttavia, diversi indici che potrebbero deporre per l’assunzione di specifici obblighi da parte dello Stato italiano nei confronti del Gambia.

8.4.1.- Quanto alla possibile riconducibilità alla Repubblica, può osservarsi, infatti, che gli accordi aventi ad oggetto la politica migratoria, il controllo delle frontiere e la lotta alla criminalità organizzata – per la evidente delicatezza degli interessi politici sottesi e degli stessi rapporti internazionali cui afferiscono – normalmente vengono adottati dagli organi del potere esecutivo comunemente riconosciuti come autorizzati ad impegnare lo Stato italiano nelle relazioni con i paesi esteri (id est, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale) ovvero da soggetti “plenipotenziari”, a tanto autorizzati dai primi o dal Governo.

Tanto, ad esempio, è accaduto con riferimento al pubblicato Accordo Italia - Ghana, avente le medesime finalità di cooperazione di polizia internazionale «nella lotta contro il traffico di migranti, la tratta di esseri umani, l’immigrazione illegale e il terrorismo», stipulato l’8 febbraio 2010 (quindi poco prima dell’Accordo tra Italia e Gambia) e sottoscritto dal vice Ministro dell’interno del Ghana (per conto del Ministro) e, per quanto riguarda la parte italiana, dal Capo della Polizia, entrambi «debitamente autorizzati dai rispettivi governi» (nel primo «Considerato» di quell’Accordo si dà atto che «la Repubblica Italiana e la Repubblica del Ghana desiderano rafforzare la loro cooperazione di polizia nei settori del traffico di migranti, tratta di esseri umani, immigrazione illegale e terrorismo»).

8.4.2.- Quanto, invece, alla possibile presenza di specifici obblighi nelle relazioni con il Gambia, vi sono le risultanze degli atti parlamentari riportate dalla parte appellante (e ricordate al punto 3 che precede), tra cui spiccano le dichiarazioni del Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale rese il 9 giugno 2016 in sede di risposta scritta ad interrogazione: «[i]l 29 luglio 2010 è stato firmato a Banjul tra i rispettivi Ministeri dell’interno un accordo fra Italia e Gambia per il rafforzamento della cooperazione di polizia nella lotta contro il traffico di migranti e l’immigrazione irregolare, che prevede forme di assistenza tecnica e di fornitura di materiali, corsi di formazione, nonché lo scambio di funzionari. Tale accordo è stato sostituito il 6 giugno 2015 da un memorandum d’intesa, sottoscritto dal Capo della Polizia e il suo omologo della Gambia, che ricalca e aggiorna i contenuti del precedente. Esso prevede che all’impegno italiano nel settore dell’assistenza tecnica e della formazione in favore delle autorità gambiane corrisponda l’impegno di queste ultime a rilasciare, entro 48 ore dal riconoscimento della nazionalità sulla base dell’intervista a cura degli esperti di polizia gambiani già presenti in Italia, il lasciapassare necessario per eseguire il rimpatrio. Nel memorandum si prevede anche la possibilità di estendere la cooperazione a specifici aspetti economici e sociali connessi con l’immigrazione, coinvolgendo a tal fine le competenti amministrazioni dei due Paesi e avvalendosi del supporto dell’Unione Europea».

8.5.- In presenza dei ricordati indici, il Collegio ritiene indispensabile, per decidere il secondo motivo di appello, acquisire, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione della presente sentenza non definitiva, una documentata relazione, a firma congiunta del Presidente del Consiglio dei ministri (o di soggetto da esso delegato) e del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (o di soggetto da esso delegato), con la quale si chiarisca:

a) se l’Accordo internazionale di cooperazione concluso tra Italia e Gambia il 29 luglio 2010 e il Memorandum of understanding sottoscritto a Roma il 6 giugno 2015, così come modificato il 26 ottobre 2017, siano stati stipulati dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ovvero da soggetti a tanto autorizzati dai primi o dal Governo;

b) se l’Accordo internazionale di cooperazione di cui alla lettera a) contenga impegni dello Stato italiano nei confronti della parte gambiana e, in particolare, se preveda impegni a forme di assistenza tecnica, alla fornitura di mezzi e materiale, allo scambio di funzionari, alla formazione e/o all’impiego di personale gambiano;

c) se il Memorandum of understanding di cui alla lettera a) contenga nuovi impegni o rinnovi o modifichi gli impegni di cui alla lettera b), ovvero sia meramente attuativo ed esecutivo di quelli assunti con l’Accordo di cui pure alla lettera a).

8.6.- Il Collegio è consapevole che il Ministero dell’interno ha motivato i suoi dinieghi di ostensione adducendo l’esigenza di «salvaguardare la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali» e rappresentando, in particolare, che «l’ostensione degli atti richiesti […], oltre a minare la sicurezza di un’attività operativa di cooperazione di polizia, produrrebbe un concreto e diretto pregiudizio all’integrità dei rapporti con un paese, che rappresenta uno snodo fondamentale per gli equilibri euro-mediterranei, anche in ragione dei flussi migratori all’interno del continente africano» (così il diniego del 9 aprile 2021).

È vero, in generale, che esigenze di questo tipo, fondamentali in qualsiasi Stato di diritto, si manifestano con più frequenza rispetto ai dati, ai documenti e alle informazioni posti a valle di accordi internazionali di cooperazione di polizia o di contrasto all’immigrazione clandestina, ossia rispetto a dati, documenti e informazioni relativi ad aspetti attuativi ed esecutivi degli stessi ed idonei a disvelare, ad esempio, la localizzazione dei mezzi e del personale utilizzato per quelle finalità: rispetto ad essi, non sussistendo un obbligo legale di pubblicazione, l’Amministrazione può senz’altro fare valere le cause di esclusione di cui all’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013 (come nei casi affrontati da Consiglio di Stato, sezione terza, sentenze 18 marzo 2022, n. 1989, e 2 settembre 2019, n. 602).

Ove, tuttavia, le cennate esigenze effettivamente sussistano anche con riferimento agli accordi internazionali per cui è causa, esse – pur non potendo rilevare, per le ragioni già dette, al fine di invocare le esclusioni di cui all’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013 – potrebbero giustificare, sussistendo i presupposti di cui all’art. 39 della legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), e del d.P.c.m. 8 aprile 2008 (Criteri per l’individuazione delle notizie, delle informazioni, dei documenti, degli atti, delle attività, delle cose e dei luoghi suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato), l’apposizione del vincolo del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, vincolo che farebbe venire meno l’obbligo di pubblicazione e quindi l’operatività dell’accesso civico di cui all’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013.

Nonostante, infatti, il d.lgs. n. 33 del 2013 non indichi espressamente il segreto di Stato quale clausola d’esclusione dall’accesso civico semplice (a differenza di quanto avviene per quello generalizzato), il principio di trasparenza, sotteso ad entrambe le forme di accesso, non può certamente rendere inoperante l’istituto del segreto, che resta strumento irrinunciabile per tutelare supremi ed insopprimibili interessi dello Stato (Corte costituzionale, sentenze n. 40 del 2012, n. 106 del 2009, n. 86 del 1977 e n. 82 del 1976), quali la «integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali», «la difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento», la «indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi» e «la preparazione» e «la difesa militare dello Stato» (art. 39, comma 1, citato), come si evince, peraltro, dallo stesso art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013 (restando ovviamente riservato alle Camere, ed eventualmente al sindacato del giudice costituzionale, su iniziativa delle stesse, il controllo sul rispetto delle loro attribuzioni in ipotesi di segretazione di trattati che abbiano natura politica).

9.- In conclusione, il primo motivo di appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, deve affermarsi la legittimazione soggettiva dell’odierna appellante a proporre l’istanza di accesso civico per cui è causa.

L’esame del secondo e del terzo motivo (quest’ultimo relativo alla statuizione sulle spese del primo grado) sono invece riservati all’esito dell’istruttoria, al pari della regolamentazione complessiva delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione terza), non definitivamente pronunciando sull’appello n. 9186 del 2021 in epigrafe indicato:

1) lo accoglie in relazione al primo motivo e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accerta la legittimazione soggettiva dell’appellante a proporre l’istanza di accesso civico di cui in parte motiva;

2) dispone gli adempimenti istruttori di cui al punto 8.5. della motivazione, entro il termine di sessanta giorni ivi previsto, impregiudicata la decisione su ogni altra questione di rito, nel merito e sulle spese, che verranno liquidate al definitivo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 maggio 2022, con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Giovanni Pescatore, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere

Ezio Fedullo, Consigliere

Pier Luigi Tomaiuoli, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Pier Luigi Tomaiuoli Luigi Maruotti
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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