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Consiglio di Stato, Sez. VI, 24/3/2023 n. 3028
Sulla rimessione alla Corte di giustizia dell'Ue di alcune questioni interpretative dell’art. 11, c. 5, della dir.2009/12/CE, norma relativa al settore aeroportuale

Il Consiglio di Stato solleva questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 TFUE, in relazione ai seguenti quesiti:

a) se l’art. 11, comma 5 della direttiva 2009/12/CE – norma relativa al settore aeroportuale – debba interpretarsi nel senso che il finanziamento dell’autorità debba avvenire solo attraverso l’imposizione di diritti aeroportuali o non possa avvenire anche attraverso altre forme di finanziamento come l’imposizione di un contributo;

b) se i diritti o il contributo che possono essere imposti per il finanziamento dell’autorità di vigilanza ai sensi dell’art. 11, comma 5 della direttiva 2009/12/ CE debbono essere relativi solo a prestazioni e costi specifici - comunque non indicati nella direttiva - o se non sia sufficiente la loro correlazione ai costi di funzionamento dell’autorità quali risultanti dai bilanci trasmessi e controllati da autorità di governo;

c) se l’art. 11, comma 5 della direttiva 2009/12/CE debba interpretarsi nel senso che i diritti possano essere imposti solo a carico dei soggetti residenti o costituiti secondo la legge dello stato che ha istituito l’autorità; e se ciò possa valere anche nel caso di contributi imposti per il funzionamento dell’autorità.

Materia: trasporti / disciplina
Pubblicato il 24/03/2023

N. 03028/2023 REG.PROV.COLL.

N. 07067/2020 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 7067 del 2020, proposto da


Autorità di Regolazione dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;


contro

Lufthansa Linee Aeree Germaniche, Austrian Airlines, Brussels Airlines, Swiss International Air Lines Ltd e Lufthansa Cargo, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Fabio Luigi Arrigoni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Presidenza del Consiglio dei Ministri, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Seconda, n. 381 del 15 giugno 2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Lufthansa Linee Aeree Germaniche, Austrian Airlines, Brussels Airlines, Swiss International Air Lines Ltd e Lufthansa Cargo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 2 marzo 2023, il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;


1. I vettori aerei Lufthansa Linee Aeree Germaniche, Austrian Airlines, Brussels Airlines, Swiss International Air Lines Ltd e Lufthansa Cargo hanno impugnato dinanzi al Tar per il Piemonte i seguenti atti:

- la delibera dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (di seguito ART) n. 141 del 19 dicembre 2018, recante “Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità di regolazione dei Trasporti per l’anno 2019”;

- la determinazione del Segretario generale dell’ART n. 21/2019 del 26 febbraio 2019 recante “Definizione delle modalità operative relative al versamento e alla comunicazione del contributo per il funzionamento dell’Autorità di regolazione dei Trasporti per l’anno 2019”.

Il Tar per il Piemonte, Sezione Seconda, con la sentenza 15 giugno 2020, n. 381, ha accolto il ricorso e, conseguentemente, ha annullato gli atti impugnati. In particolare, il Tar ha annullato la delibera ART n. 141 del 2018 nella parte in cui prevede l’imposizione di un contributo a carico dei soggetti che esercitano “servizi di trasporto aereo di passeggeri e/o di merci” (art. 1 comma 1 lett. g).

2. Di talché, l’ART ha proposto il presente appello, articolando i seguenti motivi di impugnativa:

Preliminarmente, premessa sul quadro normativo di riferimento.

L’ART, che opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione, annovera tra i suoi compiti la promozione della concorrenza, la rimozione degli ostacoli all’accesso nel mercato di riferimento, la tutela dei consumatori “nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori, in conformità con la disciplina europea e nel rispetto del principio di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti locali di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione”.

A seguito di modifiche normative intervenute nel corso del tempo, “l’Autorità è competente nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori, in conformità con la disciplina europea e nel rispetto del principio di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti locali di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione”, per cui ha competenza trasversale sull’intero settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture.

La disposizione di riferimento in tema di finanziamento dell’Autorità è contenuta nell’art. 37, comma 6, lettere a) e b) del decreto legge n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011.

Con riferimento al settore del trasporto aereo, l’art. 37, comma 2, lettera h), del decreto legge n. 201 del 2011 ha espressamente previsto che l’Autorità provvede “… a svolgere ai sensi degli articoli da 71 a 81 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, tutte le funzioni di Autorità di vigilanza istituita dall’articolo 71, comma 2, del predetto decreto legge n. 1 del 2012, in attuazione della direttiva 2009/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2009, concernenti i diritti aeroportuali”.

Nel merito. Violazione e falsa applicazione dell’art. 37 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214.

La posizione dell’appellante Autorità può essere sintetizzata come di seguito.

Secondo l’erroneo assunto del giudice di primo grado, l’unica attività concretamente regolata da ART, concernente la determinazione dei diritti aeroportuali, sarebbe quella del gestore dell’infrastruttura aeroportuale e non dei vettori aerei.

Il tema dell’appartenenza dei vettori aerei alla categoria dei “gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati”, però, sarebbe stato ormai travolto dalla novella legislativa introdotta dall’art. 16, comma 1, lettere a-bis) e a-ter) del decreto legge n. 109 del 2018, che ha chiarito l’estensione del perimetro dei soggetti tenuti al pagamento del contributo.

La nuova formulazione dell’art. 37, comma 6, del decreto istitutivo non lascerebbe dubbi sul fatto che i vettori aerei sarebbero certamente degli “operatori economici”, anche rilevanti, attivi nel “settore del trasporto” e tali circostanze sarebbero entrambe pacifiche e non contestabili, sicché rientrerebbero a pieno titolo nel perimetro dei soggetti tenuti al versamento del contributo per lo svolgimento delle attività e delle competenze che la legge assegna all’Autorità.

L’argomentazione del Tar sarebbe frutto dell’errata rigida distinzione tra mercato in cui operano i gestori di infrastrutture aeroportuali (che l’Autorità avrebbe regolato) e mercato in cui operano i vettori aerei (che l’Autorità non avrebbe regolato),

La novella legislativa del 2018 avrebbe superato la distinzione operata dal giudice di primo grado tra soggetto regolato e mero fruitore o beneficiario, atteso che ciò che rileverebbe è se un operatore economico operi, o meno, in un mercato dove l’Autorità abbia esercitato la sua azione.

I mercati aereo ed infrastrutturale sarebbero correlati tra loro perché condizioni economiche più o meno vantaggiose per i vettori per l’utilizzo delle infrastrutture aeroportuali porterebbero ad un aumento, o riduzione, del traffico passeggeri su quell’aeroporto che, a sua volta, genererebbe un maggiore, o minore, introito per il gestore per le attività commerciali utilizzate dal maggior flusso di passeggeri.

Un segmento di mercato, quello aereo, genererebbe un effetto su quello infrastrutturale (i gestori) e la variabile cruciale in questa interazione sarebbero proprio le condizioni economiche dei diritti aeroportuali regolati da ART con i suoi modelli.

Sussisterebbe non solo il presupposto soggettivo, ma anche il presupposto oggettivo per la riconduzione delle ricorrenti nell’ambito dei soggetti regolati.

L’Autorità avrebbe esercitato in concreto, in svariate circostanze, i poteri regolatori, di settore, ai sensi dell’art. 37, comma 6, come novellato dal decreto legge n. 109 del 2018.

Nel settore aereo, disciplinato dalla direttiva 2009/12/CE e dalle norme nazionali di recepimento, in definitiva, l’attività dell’Autorità si rivolgerebbe in via diretta ed immediata nei confronti di entrambe le parti, gestori ed utenti, per garantire che il procedimento di definizione dei diritti, di cui attori sono le parti, si svolga conformemente alle prescrizioni europee.

3. La Lufthansa Linee Aeree Germaniche, l’Austrian Airlines, la Brussels Airlines, la Swiss International Air Lines Ltd e la Lufthansa Cargo hanno contestato la fondatezza delle argomentazioni proposte, concludendo per il rigetto dell’appello.

3.1. Le parti appellate, peraltro, hanno sollevato una questione di disapplicazione della norma impositiva e, se del caso, di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea per violazione ed errata applicazione di legge comunitaria, in relazione alla Direttiva 2009/12/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2009, concernente i diritti aeroportuali (recepita dal d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27).

In particolare, hanno sostenuto che la Direttiva 2009/12/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 11 marzo 2009 concernente i diritti aeroportuali prevede, all’art. 11 comma 5, che “Gli Stati membri possono istituire un meccanismo di finanziamento dell'autorità di vigilanza indipendente, che può comprendere l'imposizione di diritti a carico degli utenti degli aeroporti e dei gestori aeroportuali”.

La norma italiana concernente il finanziamento dell’ART prevede il pagamento di un contributo (in base al fatturato) e a tale contributo sono tenuti gli operatori economici soggetti direttamente a regolazione.

Il contributo, però, sarebbe cosa altra e diversa dal diritto e ciò in quanto il diritto è il corrispettivo di un servizio, o di un insieme di servizi, e l’obbligazione al suo pagamento si rinviene nella utilizzazione di tale specifico servizio, e tali sarebbero i diritti aeroportuali, mentre il contributo ART, così come disegnato dalla norma, risulterebbe essere una imposta (di scopo) in quanto generale (per il settore dei trasporti), non connessa al rendimento di un servizio specifico, basata sul fatturato e non sulle prestazioni ricevute, per cui potrebbe definirsi una obbligazione patrimoniale imposta, sempre non connessa ad un servizio, bensì al funzionamento di un Ente.

Le parti appellate, quindi, ritengono il detto contributo estraneo ed avulso rispetto alla previsione della Direttiva europea e, per l’ipotesi in cui la disapplicazione della norma nazionale non sia ritenuta di immediata determinazione, chiedono che sia sottoposta alla Corte di Giustizia della Unione Europea, questione pregiudiziale relativa al seguente quesito, o ad altro che si riterrà:

Se l’art. 11, comma 5 della Direttiva 2009/12/CE debba interpretarsi nel senso che i diritti che possono essere imposti per il finanziamento della autorità di vigilanza debbono essere relativi solo a prestazioni e costi specifici e non genericamente al funzionamento della Autorità”.

Sotto altro profilo, emergerebbe un contrasto tra la normativa interna e quella comunitaria in ordine ai costi sostenuti dall’Autorità che possono essere coperti dalla contribuzione obbligatoria a carico delle imprese, atteso che le norme interne, prevedendo una contribuzione a copertura del complesso di tutti i costi dell’Autorità, andrebbero al di là di quanto consentito dalla Direttiva richiamata, non correlando espressamente il contributo alla effettiva spesa di funzionamento. In particolare, mentre la legislazione nazionale sarebbe orientata a coprire con il ricorso ai contributi tutti i costi dell’Autorità non coperti dal finanziamento statale, nella prospettiva del legislatore comunitario l’imposizione di diritti amministrativi agli operatori apparirebbe giustificato esclusivamente sulla base dei costi certi, effettivamente sopportati dalla autorità nazionale.

Anche sotto tale profilo, qualora la disapplicazione non sia ritenuta di immediata determinazione, le compagnie aeree appellate chiedono, ai fini della valutazione di compatibilità della norma interna, che sia sottoposta alla Corte di Giustizia della Unione Europea, questione pregiudiziale relativa al seguente quesito o ad altro che si riterrà:

Se l’art. 11, comma 5 della Direttiva 2009/12/CE debba interpretarsi nel senso che i diritti che possono essere imposti per il finanziamento della autorità di vigilanza debbano essere espressamente correlati alla effettiva spesa di funzionamento della Autorità, dimostrata sulla base dei reali costi della stessa”.

Ulteriormente, le appellate hanno evidenziato che, nel sistema della Autorità indipendenti che gli Stati devono istituire, sussiste la questione se al finanziamento generale delle stesse siano tenuti solo gli utenti residenti o costituiti secondo la legge dello Stato che ha istituito la Autorità e ciò in quanto, diversamente, un soggetto operante in diversi Stati, con sede in Stato diverso da quello che ha istituito l’Autorità, si troverebbe a finanziare plurime autorità di regolazione, con moltiplicazione dei costi, in modo abnorme ed estraneo allo spirito della Direttiva.

Anche in tal caso, qualora la disapplicazione non sia ritenuta di immediata determinazione, le appellate chiedono che sia sottoposta alla Corte di Giustizia della Unione Europea, questione pregiudiziale relativa al seguente quesito, o ad altro che si riterrà:

Se l’art. 11, comma 5 della Direttiva 2009/12/CE debba interpretarsi nel senso che i diritti possano essere imposti solo a carico dei soggetti residenti o costituiti secondo la legge dello Stato che ha istituito la Autorità; e se ciò possa valere anche nel caso di contributi imposti per il funzionamento della Autorità”.

3.2. I vettori aerei appellati, inoltre, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 6, lett. b), del d.l. n. 201 del 2011, in relazione agli articoli 3, 23, 53 e 77 Cost.

4. Le parti hanno depositato altre memorie a sostegno ed illustrazione delle rispettive difese.

5. All’udienza pubblica del 2 marzo 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione.

6. L’articolo 267, comma 1, TFUE (ex art. 234 del TCE) stabilisce che

La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:

a) sull'interpretazione dei trattati;

b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione”.

Il successivo terzo comma dispone che, “quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte”.

Di talché, il giudice nazionale di ultima istanza è obbligato a sollevare la questione di pregiudizialità comunitaria, con le sole eccezioni individuate dalla stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza c.d. Cilfit del 6 ottobre 1982, causa 283/81, e, più recentemente, nella sentenza c.d. Consorzio Italian Management/Catania Multiservizi 6 ottobre 2021, causa 561//19.

La sentenza del 2021 costituisce una lieve evoluzione rispetto a quella del 1982, atteso che le eccezioni all’obbligo di rinvio risultano modificate e precisate ma con conferma sostanziale dei presupposti per la rimessione.

Tali deroghe possono essere così riassunte:

1) la questione non è “pertinente” (secondo la dizione utilizzata nel caso Cilfit) o non è “rilevante” (secondo la dizione utilizzata nel caso Catania Multiservizi);

2) la disposizione eurounitaria di cui è causa abbia già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte di Giustizia;

3) non vi siano ragionevoli dubbi sull’interpretazione di una norma eurounitaria.

La Corte di Giustizia, nei paragrafi da 40 a 46 della sentenza Catania Multiservizi, con riferimento alla terza eccezione, ha altresì indicato i criteri interpretativi ai quali il giudice nazionale di ultima istanza deve far riferimento per concludere sull’assenza di elementi atti a far sorgere un dubbio ragionevole.

Da ultimo, la Corte di Giustizia, Sesta Sezione, con l’ordinanza del 15 dicembre 2022, causa 597/21, a seguito di un ulteriore rinvio pregiudiziale di questo Consiglio di Stato in ordine alla terza ipotesi derogatoria, ha così statuito:

L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità laddove la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio. L’esistenza di una siffatta eventualità deve essere valutata in base alle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, alle difficoltà particolari relative alla sua interpretazione e al rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione europea.

Tale giudice nazionale non è tenuto a dimostrare in maniera circostanziata che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione, ma deve aver maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei citati elementi, che la stessa evidenza si imponga anche agli altri giudici nazionali in parola e alla Corte”.

Ne consegue - premesso che le questioni proposte non risultano avere già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte di Giustizia e che non sussistono i presupposti delineati dalla stessa CGUE per ritenere accertata l’insussistenza di ragionevoli dubbi sull’interpretazione della detta norma eurounitaria – che, al fine di delibare sul richiesto rinvio pregiudiziale, occorre analizzare la rilevanza della questione sollevata nell’ambito della presente fattispecie.

Infatti, ove l’appello proposto dall’ART fosse da respingere, nessun rilievo assumerebbe la proposta questione, in considerazione del fatto che le appellate non avrebbero alcun interesse in proposito.

Viceversa, se le doglianze proposte dall’Autorità si rivelassero fondate, la questione pregiudiziale eurounitaria si presenterebbe dirimente ai fini della definizione del giudizio e sarebbe necessario sospendere lo stesso e rimettere la questione al giudice europeo.

6.1. Le censure proposte dall’ART avverso i capi della sentenza che hanno accolto il ricorso di primo grado si presentano fondate alla luce della più recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (cfr., tra le tante, Cons. Stato, VI, 4 gennaio 2021, n. 9).

La questione oggetto del giudizio attiene alla disciplina del finanziamento dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti e all’individuazione dei presupposti oggettivi che ne regolano il detto profilo in un arco temporale che ha visto il susseguirsi di più interventi normativi, giurisprudenziali e regolamentari.

In particolare, l’oggetto della controversia è costituito dal sindacato di legittimità sulla delibera n. 141/2018 dell’ART, recante misura e modalità di versamento del contributo dovuto dall’Autorità di regolazione dei trasporti per l’anno 2019.

6.2. Sul tema della contribuzione dovuta dagli operatori economici per il funzionamento delle Autorità indipendenti, la Corte Costituzionale è intervenuta con plurime pronunce.

Il giudice delle leggi, con la sentenza n. 269 del 14 dicembre 2017, nel dichiarare l’inammissibilità e la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge n 287 del 1990, norme relative al finanziamento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (c.d. Autorità Antitrust), in riferimento agli artt. 3, 23 e 53 Cost,. ha rilevato che “l’imposizione tributaria qui in esame costituisce una forma atipica di contribuzione. Essa, infatti, non è riconducibile alla categoria delle “tasse”, in quanto si tratta di prestazioni patrimoniali dovute indipendentemente dal fatto che l’attività dell’ente abbia riguardato specificamente il singolo soggetto obbligato, e dalla circostanza che tale attività si configuri come servizio divisibile, ma è correlata all’attività dell’amministrazione in termini di vantaggio goduto o di costo causato da parte del contribuente: di tal che il tributo in esame si differenzia dalle “imposte” in senso stretto”.

Con la sentenza 7 aprile 2017 n. 69, nel dichiarare non fondate, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 6, lettera b), del decreto legge n. 201 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 2011, sollevate in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 97 Cost., la Corte, con specifico riferimento alla norma di finanziamento dell’ART, aveva già richiamato il proprio orientamento sull’inquadramento del contributo quale prestazione patrimoniale imposta e come tale soggetto alla riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost.

Pertanto, considerata la natura tributaria del contributo in discorso, occorre innanzitutto evidenziare che, nella fattispecie, la giurisdizione amministrativa deve comunque continuare a spiegarsi, essendosi formato il giudicato implicito sulla stessa.

La Corte, con la sentenza n. 69 del 2017, si è sostanzialmente soffermata sulla compatibilità costituzionale delle disposizioni con l’articolo 23, per verificare il rispetto della riserva di legge e della sufficiente definizione degli elementi della contribuzione da parte della normativa primaria, e con l’art. 3, per verificare l’eguaglianza della contribuzione.

Sul tema dell’individuazione dei soggetti obbligati, la Corte costituzionale ha affermato (punto 7.3) che “la stessa disposizione fa riferimento ai ‘gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati’, ossia a coloro nei confronti dei quali l’ART abbia effettivamente posto in essere le attività (specificate al comma 3 dell’art. 37) attraverso le quali esercita le proprie competenze (enumerate dal comma 2 del medesimo articolo). Dunque, la platea degli obbligati non è individuata, come ritiene il rimettente, dal mero riferimento a un’ampia, quanto indefinita, nozione di ‘mercato dei trasporti’ (e dei ‘servizi accessori’); al contrario - come può ben essere per scelta insindacabile del legislatore tributario al quale, ovviamente, va notato in consonanza a quanto statuito dal giudice delle leggi, solo spetta l’individuazione astratta dei soggetti passivi del tributo in ossequio al principio cardine del diritto costituzionale no taxation without representation - deve ritenersi che includa solo coloro che svolgono attività nei confronti delle quali l’ART ha concretamente esercitato le proprie funzioni regolatorie istituzionali”.

In merito poi ai risvolti procedurali della quantificazione del contributo, sempre la Corte ha evidenziato l’assenza di profili critici, in quanto la dialettica tra le istituzioni interessate (ART, Presidenza del Consiglio, MEF) consente una valutazione ponderata delle delibere sul contributo in quanto “L’intervento del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’economia e delle finanze costituisce un significativo argine procedimentale alla discrezionalità dell’ART e alla sua capacità di determinare da sé le proprie risorse” e ha anche sottolineato il momento partecipativo, dato dal coinvolgimento delle associazioni di categoria.

In relazione all’entità del contributo e al suo perimetro, la Corte ha poi notato come questi siano stati determinati in modo sufficiente dalla norma primaria in senso proporzionato e ragionevole. Infatti, “Quanto alla misura delle risorse per il cui approvvigionamento l’Autorità si avvale del contributo oggetto del giudizio, essa non può ritenersi illimitata ovvero rimessa alla determinazione unilaterale dell’Autorità. La loro entità è correlata alle esigenze operative dell’ART e corrisponde al fabbisogno complessivo della medesima, risultante dai bilanci preventivi e dai rendiconti della gestione, soggetti al controllo della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale (…) Limiti più specifici sono poi stabiliti da singole disposizioni di legge, anch’essi soggetti a controllo”.

Venendo poi al presupposto della tassazione, si è infine affermato che “Per quanto, poi, riguarda l’identificazione del ‘fatturato’ come base imponibile per la determinazione del contributo da parte dei soggetti obbligati (…) si può osservare che la nozione in esame, utilizzata anche in altri luoghi dell’ordinamento, ben si presta a essere precisata, con riguardo allo specifico settore di riferimento, in base a criteri tecnici di carattere economico e contabile”.

6.3. Il d.l 28 settembre 2018 n.109, convertito con modificazioni dalla Legge 16 novembre 2018, n. 130 “Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze”, all’art. 16 “Competenze dell'Autorità di regolazione dei trasporti e disposizioni in materia di tariffe e di sicurezza autostradale”, ha modificato il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 il cui art. 37, comma 6, lettera b), primo periodo, nel seguente modo:

All’esercizio delle competenze di cui al comma 2 e alle attività di cui al comma 3, nonché all’esercizio delle altre competenze e alle altre attività attribuite dalla legge, si provvede come segue:

"mediante un contributo versato dagli operatori economici operanti nel settore del trasporto e per i quali l’Autorità abbia concretamente avviato, nel mercato in cui essi operano, l'esercizio delle competenze o il compimento delle attività previste dalla legge, in misura non superiore all'1 per mille del fatturato derivante dall'esercizio delle attività svolte percepito nell'ultimo esercizio, con la previsione di soglie di esenzione che tengano conto della dimensione del fatturato. Il computo del fatturato è effettuato in modo da evitare duplicazioni di contribuzione".

A seguito di tale modifica, l’ART ha adottato la richiamata delibera n. 141 del 19 dicembre 2018, adeguandosi alla disciplina sopravvenuta.

In merito all’inquadramento delle categorie imprenditoriali nei due diversi schemi normativi dei ‘gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati’ e degli ‘operatori economici operanti nel settore del trasporto’, va notato come l’intervento normativo del 2018 abbia dato vita ad un oggettivo ampliamento della platea delle imprese tenute alla contribuzione; infatti, mentre, fino al d.l. 28 settembre 2018, n. 109 (e quindi fino all’esercizio finanziario 2018) la contribuzione era in carico unicamente a soggetti gestori, successivamente l’onere viene a ricadere anche sui meri operatori economici.

La richiamata sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 69 del 2017, evidenziando la portata applicativa delle disposizioni censurate dall’ordinanza di rimessione e valorizzando la lettera della disposizione e la sua collocazione sistematica, ha escluso l’incostituzionalità della norma, evidenziando come il numero degli obbligati possa giungere a comprendere “coloro che svolgono attività nei confronti delle quali l’ART ha concretamente esercitato le proprie funzioni regolatorie istituzionali”, di fatto legittimando il successivo intervento ampliativo del legislatore (già seguito per altre autorità) ed affidando alla legalità procedurale il compito di etero-integrare il precetto con l’unico limite di non poter ritenere aprioristicamente esclusi soggetti ulteriori come gli operatori del mercato ma a condizione di essere destinatari (e non meri indiretti beneficiari) dell’atto di regolazione.

La Corte non vincola l’interprete nella individuazione del criterio discretivo da utilizzare per individuare i soggetti nei confronti dei quali l’Autorità abbia esercitato le proprie funzioni regolatorie istituzionali.

Resta peraltro evidente come la norma attributiva, pur potendo estendersi, come poi effettivamente avvenuto nel 2018, fino a comprendere le altre categorie imprenditoriali, fino al d.l. 109 si limitava a richiedere la contribuzione solo ai gestori, ossia a soggetti che, in possesso di un titolo abilitativo di tipo concessorio, esercitassero effettivamente queste funzioni in relazione a infrastrutture o servizi direttamente regolati.

Il contenuto vincolante, nel senso negativo sopra vagliato, della sentenza n. 69 del 2017 sta quindi nell’impedire che, anche portata ai suoi massimi confini applicativi, la disposizione contrasti con i dettati costituzionali.

Tale contrasto non si verifica quando il soggetto passivo ulteriore sia individuato con riferimento alla legalità procedurale ma non intesa come regolazione di un ambito di mercato (ossia presenza di una regolazione di cui si sia meri beneficiari) ma come concreto e diretto indirizzamento di un atto di regolazione ad un operatore o ad una categoria di operatori del vasto mercato dei trasporti.

Tale approdo, secondo la recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, costituisce il delicato punto di equilibrio raggiunto dal giudice delle leggi.

6.4. L’indirizzo interpretativo del giudice di primo grado, quindi, se può essere confermato per ragioni di certezza del diritto in ossequio ai canoni relativi al rispetto del principio di legalità in materia tributaria e parafiscale sino al contributo previsto per l’anno 2018, non può essere condiviso a partire dall’anno 2019, avendo la modifica legislativa elaborato un concetto unitario, comprendente gli “operatori economici operanti nel settore del trasporto”, facendo così risaltare la ratio centrale della disciplina stessa, che si fonda sul beneficio che le categorie imprenditoriali ricevono dalla regolazione stessa, dove quindi la preminenza del fattore di utilità rende superflua la frammentazione nelle due categorie, fermi restando gli ulteriori presupposti per l’effettiva assoggettabilità a tributo.

Pertanto, dopo la riforma del 2018, ciò che appare necessario appurare, stante la onnicomprensività della nozione soggettiva, è solo la circostanza dell’effettivo avvio nel mercato di riferimento de “l'esercizio delle competenze o il compimento delle attività previste dalla legge”, senza più alcun rilievo della posizione di soggetti regolati o di beneficiari.

L’attività di trasporto svolta dai vettori aerei deve intendersi ricompresa nell’ambito regolatorio attribuito ad ART.

Infatti, come evidenziato dalla richiamata sentenza di questa Sezione n. 9 del 2021:

Sin dalla norma istitutiva, si è esplicitamente previsto che l’ART provveda “con particolare riferimento al settore aeroportuale, a svolgere ai sensi degli articoli da 71 a 81 del decreto-legge 24 gennaio 16 2012, n. 1, tutte le funzioni di Autorità di vigilanza istituita dall'articolo 71, comma 2, del predetto decreto-legge n. 1 del 2012, in attuazione della direttiva 2009/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2009, concernente i diritti aeroportuali” (articolo 37, comma 2, lettera h), d.l. n. 201/2011), dove tale compito (come precisato da CGUE, 12 maggio 2011, causa C- 176-09) “consiste nel disciplinare la relazione tra i gestori di aeroporti e gli utenti di questi ultimi per quanto riguarda la fissazione dei diritti aeroportuali. Il legislatore dell’Unione, nell’adottare un quadro comune, ha inteso migliorare la relazione tra i gestori di aeroporti e gli utenti di questi ultimi ed evitare la violazione di taluni requisiti di base riguardanti tale relazione, quali la trasparenza dei diritti aeroportuali, la consultazione degli utenti aeroportuali e la non discriminazione tra questi ultimi, come emerge dal secondo, dal quarto e dal quindicesimo ‘considerando’ della direttiva 2009/12” (punti 39 e 40).

Pertanto, assodata la riconduzione dell’ambito regolatorio, occorre evidenziare in quale momento si sia avuta l’effettiva esplicazione dell’attività data (vicenda peraltro già scrutinata da questa Sezione con più decisioni, da ultimo Cons. Stato, VI, 23 dicembre 2019, n.8699).

In questo senso, va ricordata la delibera n. 64/2014, che ha individuato i modelli di regolazione dei diritti aeroportuali che riguardano gli aeroporti con volumi di traffico superiore ai cinque milioni di passeggeri per anno, quelli con volumi di traffico compresi tra i tre ed i cinque milioni di passeggeri per anno ed infine gli aeroporti con volumi di traffico annuo inferiore ai tre milioni di passeggeri per anno. Successivamente, con delibera 106/2016 si è dato avvio alla revisione dei Modelli di regolazione dei diritti aeroportuali, con un procedimento concluso con la delibera 92/2017, di approvazione dei nuovi modelli tariffari.

Peraltro, con delibera n. 84/2018 si è dato avvio ad un ulteriore procedimento di revisione dei Modelli di regolazione dei diritti aeroportuali vigenti.

Senza quindi proseguire oltre, appare provato come la concreta attività di regolazione sia stata avviata anche antecedentemente alla riforma di cui al d.l. 109 del 2018, momento dal quale il contributo è diventato concretamente esigibile dalle imprese di categoria”.

6.5. Le doglianze proposte dall’ART, quindi, essendo la controversia relativa alla contribuzione prevista per l’anno 2019, sono fondate e ciò determina la rilevanza della questione di pregiudizialità eurounitaria sollevata dalle parti appellate.

7. La direttiva 2009/12/CE concernente i diritti aeroportuali ha l’obiettivo di garantire una uniformità di trattamento tra i gestori aeroportuali dell’Unione e gli utenti delle infrastrutture, al fine non solo di favorire i meccanismi concorrenziali tra aeroporti, ma anche di proteggere le compagnie aeree da possibili comportamenti abusivi degli aeroporti che vantano una particolare posizione di forza.

L’art. 2, punto 2, Direttiva 2009/12/CE fa rientrare nella categoria degli utenti aeroportuali “qualsiasi persona fisica o giuridica che trasporti per via aerea passeggeri, posta e/o merci, da e per l’aeroporto considerato”, per cui sono esclusi i passeggeri che utilizzano gli impianti ed i servizi aeroportuali, sui quali piuttosto i vettori aerei ripercuotono successivamente l’importo dei diritti.

In sostanza, dinanzi alla duplice possibilità, da un lato, di lasciare ai singoli Stati membri la competenza a disciplinare la materia, dall’altro, di adottare un regime da applicarsi uniformemente in tutta l’Unione europea, sulla base del quale i diritti aeroportuali fossero fissati e riscossi secondo un unico modello di calcolo, la Commissione ha optato per una soluzione mediana, fornendo una cornice generale dotata di determinati principi comuni, tale da consentire ai singoli regolatori statali di modellare più agilmente la direttiva alle circostanze nazionali.

L’art. 3 della direttiva 2009/12 sancisce il principio di non discriminazione, attraverso il divieto di fissare tasse aeroportuali idonee a determinare qualsivoglia discriminazione tra gli utenti dell’aeroporto, sicché la norma è finalizzata a garantire condizioni concorrenziali eque tra i vettori aerei ivi operanti, al fine di escludere la pattuizione di condizioni di favore che consentano ad uno o più utenti di superare la concorrenza grazie all’offerta di servizi più attraenti sul mercato.

Il ruolo cruciale conferito dalla direttiva alle Autorità di vigilanza nazionali, in sintesi, è volto alla realizzazione di un “quadro comune” in materia di diritti aeroportuali.

L’art. 37, comma 6, lett. b), del d.l. n. 201 del 2021, come modificato dall’art. 16, comma 1, lett. a-bis), del d.l. n. 109 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 130 del 2018, come già evidenziato, prevede che:

All’esercizio delle competenze di cui al comma 2 e alle attività di cui al comma 3, nonché all’esercizio delle altre competenze e alle altre attività attribuite dalla legge, si provvede come segue … mediante un contributo versato dagli operatori economici operanti nel settore del trasporto e per i quali l’Autorità abbia concretamente avviato, nel mercato in cui essi operano, l’esercizio delle competenze o il compimento delle attività previste dalla legge, in misura non superiore all’1 per mille del fatturato derivante dall’esercizio delle attività svolte percepito nell’ultimo esercizio, con la previsione di soglie di esenzione che tengano conto della dimensione del fatturato …”.

Di talché, secondo la ricostruzione in precedenza effettuata, i vettori aerei rientrano nel perimetro di applicazione del contributo destinato all’autofinanziamento dell’Autorità di vigilanza.

L’art. 11 della direttiva 2009/12/CE del parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2009, che costituisce la disposizione eurounitaria di cui le appellanti invocano la violazione, stabilisce, al comma 3, che “Gli stati membri garantiscono l’autonomia dell’autorità di vigilanza indipendente, provvedendo affinché questa sia giuridicamente distinta e funzionalmente indipendente da qualsiasi gestore aeroportuale e vettore aereo …” e, soprattutto, al quinto comma dispone che “Gli Stati membri possono istituire un meccanismo di finanziamento dell’autorità di vigilanza indipendente, che può comprendere l’imposizione di diritti a carico degli utenti dell’aeroporto e dei gestori aeroportuali”.

Pertanto, che lo Stato nazionale sia legittimato a prevedere il finanziamento dell’Autorità di vigilanza anche attraverso l’imposizione di oneri di funzionamento del sistema a carico dei vettori aerei è indiscutibile.

Il Collegio ritiene che le argomentazioni delle parti appellate non consentano la disapplicazione della norma interna, in quanto le ragioni dell’eventuale contrasto con il diritto dell’Unione non sono immediate, né sufficientemente chiare, precise ed incondizionate.

In primo luogo, come detto, è la stessa direttiva europea che consente l’imposizione di oneri di sistema a carico dei vettori aerei.

Inoltre, se è vero, come evidenziato dalle compagnie aeree appellate che il concetto di diritto aeroportuale, in quanto corrispettivo di una controprestazione ( in particolare diritto di approdo e di partenza degli aeromobili, dal diritto per il ricovero o la sosta allo scoperto di aeromobili e dal diritto per l'imbarco passeggeri ossia diritti correlati all’uso dell’infrastruttura ), è ontologicamente diverso da quello di un contributo non connesso ad uno specifico servizio dovuto per finanziare l’Autorità che vigila sulla trasparenza e l’accessibilità dell’infrastruttura che riscuote i diritti, è altrettanto vero che la norma europea prevede l’istituzione di un meccanismo di finanziamento “che può comprendere l’imposizione di diritti” ( ossia che può assumere i diritti come strumento del finanziamento ), ma con ciò non esclude sic et simpliciter che il meccanismo di finanziamento preveda una forma di contribuzione che prescinda da una specifica controprestazione.

In altri termini, la formulazione della disposizione comunitaria induce a ritenere che gli Stati membri abbiano la facoltà non solo di istituire il meccanismo di finanziamento, ma anche di individuare le modalità di composizione del sistema, che potrebbe comprendere l’imposizione di diritti a carico dei vettori aerei e dei gestori aeroportuali specificamente diretti a finanziare l’Autorità , senza però che sia possibile prima facie escludere altre forme di finanziamento, che risultino anch’esse ragionevoli ed eque ( ed è questa seconda opzione quella seguita dalla legge italiana ).

Il Collegio, parimenti, ritiene non vi sia un contrasto con la norma europea quanto ai criteri di quantificazione poiché anche se la disposizione interna non prevede espressamente che il contributo debba essere correlato ai costi certi delle spese di funzionamento dell’Autorità da indicare analiticamente per la determinazione del contributo, la prassi nazionale non è disancorata dalla correlazione a tali costi atteso anche che la norma nazionale prevede, nello stesso art. 37, comma 6, lett. b), del d.l. n. 201 del 2011 convertito dalla legge n. 214 del 2011, un procedimento composito per la determinazione del contributo, vale a dire che l’atto dell’Autorità debba essere approvato da parte del presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, con la possibilità di formulazione di rilievi in merito senz’altro correlato ai costi di bilancio dell’Autorità poi distribuiti secondo il fatturato conseguito dalle imprese.

D’altra parte, in proposito, la richiamata sentenza della Corte Costituzione n. 69 del 2017 ha avuto modo di chiarire “Quanto alla misura delle risorse per il cui approvvigionamento l’Autorità si avvale del contributo oggetto del giudizio, essa non può ritenersi illimitata ovvero rimessa alla determinazione unilaterale dell’Autorità. La loro entità è correlata alle esigenze operative dell’ART e corrisponde al fabbisogno complessivo della medesima, risultante dai bilanci preventivi e dai rendiconti della gestione, soggetti al controllo della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale (…) Limiti più specifici sono poi stabiliti da singole disposizioni di legge, anch’essi soggetti a controllo”.

In ultimo, occorre evidenziare che se l’introduzione di una disciplina comune in materia di diritti aeroportuali ha la sua ratio nel garantire una uniformità di trattamento non solo tra i gestori aeroportuali dell’Unione, ma anche tra gli utenti aeroportuali, quali i vettori aerei, appare evidente che circoscrivere la contribuzione in capo ai solo vettori aerei che abbiano sede in ambito nazionale, possa creare un meccanismo distorsivo della concorrenza, per cui non sembra potersi condividere l’assunto di parte appellante, secondo cui dovrebbero essere esenti dal contributo i vettori aventi sede in altro Stato dell’Unione ( non potendosi negare che la regolazione delle infrastrutture aeroportuali realizzata attraverso le singole Autorità nazionali avvantaggi tutte le imprese unionali nell’ambito di ciascun territorio nazionale).

8. Tuttavia, il Collegio, pur essendo dell’avviso, alla sommaria delibazione esposta, che la norma nazionale non si presenti prima facie violativa della norma europea, ritenendo che, comunque, non sussistano i presupposti per derogare all’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267, comma 3, TFUE, rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le questioni pregiudiziali alla decisione della presente controversia rappresentate dalle parti appellate, così riformulate nella loro portata logica alla luce di quanto prima esposto:

Se l’art. 11, comma 5 della Direttiva 2009/12/CE – norma relativa al settore aeroportuale - debba interpretarsi nel senso che il finanziamento dell’Autorità debba avvenire solo attraverso l’imposizione di diritti aeroportuali o non possa avvenire anche attraverso altre forme di finanziamento come l’imposizione di un contributo (il Collegio ritiene che sia una mera facoltà dello Stato membro la riscossione delle somme destinate a finanziare l’Autorità mediante diritti aeroportuali );

Se i diritti o il contributo che possono essere imposti per il finanziamento della autorità di vigilanza ai sensi dell’art- 11 , comma 5 della Direttiva 2009/12/ CE debbono essere relativi solo a prestazioni e costi specifici - comunque non indicati nella direttiva - o se non sia sufficiente la loro correlazione ai costi di funzionamento della Autorità quali risultanti dai bilanci trasmessi e controllati da autorità di Governo ”:

Se l’art. 11, comma 5 della Direttiva 2009/12/CE debba interpretarsi nel senso che i diritti possano essere imposti solo a carico dei soggetti residenti o costituiti secondo la legge dello Stato che ha istituito la Autorità; e se ciò possa valere anche nel caso di contributi imposti per il funzionamento della Autorità”.

9. Il Collegio, tenuto conto delle Raccomandazioni della Corte medesima 2012/C 338/01, sulla presentazione di domande pregiudiziali, dispone che alla CGUE sia trasmessa, a cura della Segreteria della Sezione, oltre a copia conforme all’originale della presente ordinanza, copia dell’intero fascicolo di causa.

10. In attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a., va sospeso il presente giudizio, riservando alla sentenza definitiva ogni ulteriore decisione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, non definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe (R.G. n. 7067 del 2020), così provvede:

- rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le questioni pregiudiziali di cui in motivazione:

- ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme dell’originale della presente ordinanza, nonché copia integrale del fascicolo di causa;

- dispone, in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la sospensione del presente processo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2023, con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Alessandro Maggio, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore

Lorenzo Cordi', Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Roberto Caponigro Giancarlo Montedoro
 
 
 

IL SEGRETARIO


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