HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Consiglio di Stato, Sez. V, 26/9/2023 n. 8542
Sulla natura della società Casinò di Venezia S.p.A. e sui presupposti che devono sussistere per la configurazione di un organismo di diritto pubblico.

Perché possa parlarsi di un "organismo di diritto pubblico" ai fini dell'applicazione della normativa sui contratti pubblici devono sussistere tre condizioni: deve trattarsi, in particolare, di un soggetto 1) dotato di personalità giuridica; 2) sottoposto ad influenza pubblica dominante; 3) istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale. Si tratta di una tipologia di amministrazione fondata su parametri oggettivi, ossia sulla tipologia delle attività esercitate e sulla natura delle stesse; i requisiti in questione non sono inoltre tra loro alternativi, ma devono essere posseduti cumulativamente e sono valutati dal giudice caso per caso, in quanto l'elenco degli organismi di diritto pubblico - di cui all'allegato IV del Codice dei contratti pubblici - non ha carattere tassativo ma solo esemplificativo. Pertanto, nel caso di specie, la società Casinò di Venezia Gioco non costituisce un organismo di diritto pubblico, svolgendo un'attività eminentemente imprenditoriale. Invero, la società opera sul mercato come un soggetto di diritto privato svolgendo un'attività di impresa, che si rivolge a clientela sia nazionale che internazionale, esercitabile da qualsiasi società di diritto privato entro i limiti della normativa speciale applicabile alle case da gioco. Già la Commissione dell'Ue nel 25 novembre 1999, aveva affermato che l'attività esercitata dal Casinò di Venezia è "una attività commerciale, sottoposta al libero gioco della concorrenza e quindi rientrante nel campo dell'art. 87 del Trattato...non può essere definita come attività di servizio di interesse economico e generale non avendo le autorità pubbliche imposto obblighi di servizi pubblici di interesse generale per l'attività in questione".



Materia: appalti / disciplina
Pubblicato il 26/09/2023

N. 08542/2023REG.PROV.COLL.

N. 00410/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 410 del 2023, proposto da Iniziative Venete Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Michela Reggio D'Aci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Casinò Venezia Gioco S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lucia De Salvia, Vittorio Domenichelli, Andrea Manzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via Alberico II n. 33;

nei confronti

Papalini S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Massimiliano Brugnoletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Antonio Bertoloni n. 26/B;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) n. 1528/2022, resa tra le parti.


visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio di Casinò Venezia Gioco S.p.A. e di Papalini S.p.A.;

visti tutti gli atti della causa;

visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2023 il Cons. Gianluca Rovelli e uditi per le parti gli avvocati Reggio D'Aci, Manzi e Brugnoletti;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con lettera prot. PG/2022/595 del 6 maggio 2022, la società Casinò di Venezia Gioco S.p.A. ha invitato la Cooperativa appellante e altre imprese alla procedura per l’affidamento dei servizi di pulizia e prestazioni connesse.

2. Nella lettera d’invito la società Casinò di Venezia Gioco S.p.A. ha dichiarato di “non essere amministrazione aggiudicatrice o altro soggetto aggiudicatore ai sensi del Codice dei Contratti (D.Lgs. 50/2016)” dando atto che “la procedura di selezione di cui all’oggetto viene posta in essere dal Casinò di Venezia nell’ambito della propria libertà contrattuale e autonomia privata con riserva di modifica, sospensione o annullamento della procedura di selezione intrapresa e del presente invito e ciò senza particolare formalità, trovando applicazione la disciplina del diritto privato”.

3. Nel regolamento della procedura di selezione allegato alla lettera d’invito, la società Casinò si è così espressa “La Casinò di Venezia Gioco SpA svolge attività imprenditoriale e non è qualificabile come amministrazione aggiudicatrice o altro soggetto appaltatore ai sensi del codice dei contratti (D.Lgs. n. 50/2016). La presente procedura di selezione non è pertanto un bando di gara a evidenza pubblica, né un avviso pubblico o una procedura negoziata ai sensi della normativa sui contratti pubblici e, pertanto, non è soggetta a particolari formalità (anche derivanti da obblighi giuridici), né è regolamentata da norme di legge che la prevedano espressamente, trovando applicazione la disciplina del diritto privato” (art. 2 del Regolamento allegato alla lettera d’invito).

4. Nello stesso regolamento allegato alla lettera d’invito, la società Casinò ha omesso di indicare il valore dell’appalto, desumibile dalla moltiplicazione del numero delle ore richieste per il costo medio della prestazione così come evidenziato nelle Tabelle Ministeriali. Nel regolamento stesso la società Casinò ha dichiarato di riservarsi di selezionare i concorrenti a proprio insindacabile giudizio e di non voler ammettere la partecipazione di raggruppamenti.

5. La società appellante ha partecipato alla procedura trasmettendo l’offerta. Alla fine del mese di agosto 2022 l’appellante ha chiesto accesso ai verbali e alle valutazioni dei concorrenti. Con nota del 31 agosto 2022, la società Casinò ha negato di essere soggetta all’obbligo di consentire l’accesso sulla base della tesi per cui “la Casinò di Venezia Gioco S.p.A. svolge attività unanimemente ritenuta di natura imprenditoriale che non costituisce esercizio di funzione pubblica”.

6. Con la stessa nota la società Casinò ha comunque convocato l’appellante per un incontro e, in quella sede, ha consentito di visionare le valutazioni dei concorrenti, e di prendere atto che alla luce di tali valutazioni l’offerta migliore era quella della Papalini S.p.A.

7. Riferisce l’appellante di avere, con comunicazione del 13 settembre 2022, evidenziato i profili di incongruità dell’offerta presentata dalla Papalini S.p.A., allegando le tabelle ministeriali e altra documentazione idonea a dimostrare l’inattendibilità dell’offerta della aggiudicataria. Con due comunicazioni del 26 settembre 2022 la società Casinò di Venezia Gioco ha comunicato la congruità della offerta della Papalini S.p.a. e l’aggiudicazione a suo favore.

8. Con ricorso al TAR Veneto la Società Cooperativa Iniziative Venete ha impugnato tutti gli atti della procedura svolta dal Casinò di Venezia chiedendo l’annullamento. Il TAR, con sentenza 1528/2022, ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione.

9. Di tale sentenza, asseritamente ingiusta e illegittima, Iniziative Venete Società Cooperativa, ha chiesto la riforma con rituale e tempestivo atto di appello.

10. Hanno resistito al gravame Casinò di Venezia Gioco S.p.a. e Papalini S.p.A. chiedendone il rigetto.

11. Alla udienza pubblica del 27 aprile 2023 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

12. Viene all’esame del Collegio il ricorso in appello proposto da Iniziative Venete Società Cooperativa avverso la sentenza del TAR Veneto 1528/2022 con la quale, relativamente alla impugnazione degli atti della procedura di affidamento del contratto per i servizi di pulizia e prestazioni connesse per Casinò di Venezia Gioco S.p.A., è stata declinata la giurisdizione sul presupposto che la predetta società non costituisce un organismo di diritto pubblico svolgendo un’attività eminentemente imprenditoriale.

13. L’appellante contesta la soluzione cui è giunto il TAR argomentando con ampi svolgimenti. Le argomentazioni dell’appellante possono essere di seguito sintetizzate.

14. Il Consiglio di Stato non si sarebbe ancora pronunciato sulla natura giuridica dei Casinò né, nello specifico, del Casinò di Venezia, né tanto meno sulla riconducibilità di tale tipologia di società al 100% in mano pubblica al modello dell’organismo di diritto pubblico ovvero ad un ente commerciale, come tale esentato dal rispetto delle procedure di affidamento di cui al Codice dei contratti pubblici.

14.1. L’appellante afferma che la situazione attuale dei Casinò, e in particolare del Casinò di Venezia, si è completamente modificata rispetto al passato, atteso che da oltre 15 anni costituirebbe fatto notorio che l’attività del gioco d’azzardo ivi svolta è sistematicamente in perdita e viene sostenuta con denaro pubblico al fine di conservare la vocazione turistica del territorio in cui il Casinò si trova (in questo caso di Venezia).

14.2. L’oggetto della causa è quindi costituito dalla natura della società Casinò di Venezia S.p.A. e dalla sussistenza dei presupposti per la configurazione di una ipotesi di organismo di diritto pubblico, come tale, vincolato al rispetto della normativa eurounitaria e nazionale in materia di concorrenza.

15. Con la sentenza impugnata il TAR Veneto avrebbe espressamente aderito all’orientamento formale, e non funzionale, della giurisprudenza, dando rilevanza essenziale alla circostanza per cui l’attività del gioco d’azzardo svolta per statuto non sarebbe attività di interesse pubblico, con conseguente assenza di uno dei presupposti necessari per la configurazione di un organismo di interesse pubblico (pagina 8 ultimi due capoversi della sentenza).

15.1. Afferma l’appellante che il Casinò di Venezia ha chiuso definitivamente la sede del Lido e ha continuato a conservare la sede storica sul Canal grande in grave deficit e attraverso onerosi apporti finanziari del Comune di Venezia, il quale è intervenuto ripetutamente con sistematiche ricapitalizzazioni indirette per il tramite di CMV S.p.A. (società in house del Comune).

15.2. In questo quadro generale non sarebbe più possibile sostenere che il Casinò di Venezia persegua l’interesse imprenditoriale allo svolgimento del gioco d’azzardo che, per la sua natura di attività anche con effetti pregiudizievoli sui cittadini e le loro finanze, non può essere ritenuto attività di interesse pubblico.

15.3. Secondo l’appellante, la conservazione in vita del Casinò di Venezia e della sua attività, che allo stato risulterebbe del tutto antieconomica impone la scelta tra due contrastanti opzioni logiche:

a) o l’ente locale che si accolla il sostegno del Casinò per evitare il fallimento utilizza le risorse dei contribuenti, avventurandosi in una operazione del tutto illogica e dannosa per i conti pubblici, come tale passibile di responsabilità per gli amministratori;

b) oppure tale attività di investimento di denaro pubblico è strumentale, non tanto a conservare l’attività imprenditoriale in sé, ma a sostenere il Casinò quale strumento di valorizzazione del territorio, con ciò conservando la sede storica sul Canal Grande e favorendo lo svolgimento di funzioni e attività diverse da quelle del mero gioco d’azzardo, consentendo che nel Casinò si attragga l’interesse turistico storico vivo nell’immaginario dei visitatori, anche grazie alla presenza del ristorante dello chef Alessandro Borghese e la celebrazione di matrimoni e feste per persone di tutte le nazionalità.

15.4. Il Casinò - per l’attività svolta e le modalità non concorrenziali in cui la stessa viene svolta - rientrerebbe appieno nella nozione di organismo di diritto pubblico, presentando le stesse caratteristiche e natura dell’Ente autonomo Fiere di Foggia.

15.5. Secondo il TAR, deporrebbe a favore della natura commerciale dei Casinò (e della esclusione della natura di organismi di diritto pubblico) la previsione di cui all’art. 26, comma 12 sexies del d.lgs. n. 175/2016. Anche tale rilievo sarebbe privo di pregio, a dire dell’appellante. Il testo unico delle società a partecipazione pubblica non ha introdotto tale disposizione al fine di escludere la natura di organismi di diritto pubblico delle società che gestiscono il gioco d’azzardo nei Casinò, ma semmai per consentire la conservazione di quote che altrimenti avrebbero dovuto essere cedute. La stessa disposizione si limiterebbe quindi a dare atto che in astratto il gioco d’azzardo è una attività che non riveste interesse pubblico, senza considerare il caso specifico e concreto del Casinò di Venezia.

15.6. Infine, la sentenza impugnata – dopo aver citato risalenti precedenti - sembrerebbe aderire alla tesi formalistica per cui il fatto che il Casinò sia in perdita non esclude che lo stesso svolga attività imprenditoriale e che la perdita subita non costituisce un elemento idoneo a determinare la modifica del rischio della gestione. La natura commerciale dell’attività svolta costituisce solo un indizio presuntivo che non può escludere la natura di organismo di diritto pubblico.

15.7. La sentenza del TAR, inoltre, non avrebbe rilevato la contraddittorietà contenuta nella lex di gara e nel comportamento della società Casinò di Venezia Gioco S.p.A., la quale - dopo aver statuito di non essere in alcun modo obbligata al rispetto del codice dei contratti, ha comunque chiesto ai concorrenti di rendere le dichiarazioni di cui all’art. 80 dello stesso codice cui ha dichiaratamente escluso di volersi assoggettare e ha altresì previsto la possibilità di una verifica di anomalia.

16. Nel merito, poi, l’appellante sostiene che la società Casinò di Venezia Gioco S.p.A. ha indetto e svolto la procedura del valore di un milione di euro in violazione del codice dei contratti pubblici e della normativa eurounitaria sulla concorrenza.

16.1. La società Casinò di Venezia Gioco S.p.A. ha dedotto nella lettera di invito e nei suoi allegati di non essere assoggettata all’obbligo di svolgere procedure di gara e conseguentemente di poter liberamente individuare i contraenti più convenienti.

16.2. In realtà, diversamente da quanto affermato nella lex di gara impugnata, la società incaricata di gestire il Casinò avrebbe senza dubbio la natura di organismo di diritto pubblico e, come tale, era tenuta al rispetto della disciplina sulla concorrenza, ivi compreso il codice dei contratti. Ciò per le ragioni di seguito esposte:

a) il Casinò da oltre 15 anni sarebbe costantemente in deficit e sopravvivrebbe solo attraverso gli interventi del Comune di Venezia;

b) la società è dotata di personalità giuridica come società per azioni e risulterebbe sistematicamente finanziata dal Comune di Venezia e controllata dallo stesso per il tramite della società in house CMV S.p.A., che ne detiene il 100% delle azioni.

16.3. In violazione dell’art. 35 del Codice dei Contratti, la società Casinò di Venezia non avrebbe svolto la procedura nel rispetto della corrispondente disciplina: innanzi tutto non ha indicato nella lettera d’invito il valore dell’appalto al fine, sostiene l’appellante, di non dare conto del valore sopra soglia dell’affidamento che avrebbe imposto lo svolgimento delle procedure correlate ai sensi della normativa vigente. Tuttavia, il valore della procedura è desumibile dalla moltiplicazione del numero delle ore richieste per il costo medio della prestazione così come evidenziato nelle Tabelle ministeriali; tale conteggio porta a quantificare il valore dell’appalto nella somma di un milione di euro.

16.4. La società Casinò ha dichiarato di riservarsi di selezionare i concorrenti a proprio insindacabile giudizio e di non voler ammettere la partecipazione alla procedura di raggruppamenti, in violazione dell’art. 48 del codice dei contratti pubblici.

16.5. La società ha poi chiesto ai concorrenti invitati la allegazione di una offerta tecnica alternativa ad un unico prezzo omnicomprensivo, riservandosi di scegliere tra le diverse opzioni, con ciò rendendo impossibile un confronto concorrenziale.

16.6. In violazione dell’art. 95 del Codice dei contratti pubblici, nella lettera d’invito della procedura impugnata non è prevista la distinzione tra il peso del punteggio assegnato all’offerta economica e il peso del punteggio assegnato all’elemento economico. Inoltre, nello stesso regolamento, la società Casinò ha indicato parametri/elementi di valutazione molto diversi da quelli previsti dal citato art. 95 e del tutto generici.

16.7. La società Casinò non ha redatto verbali delle sedute e non ha poi previsto l’apertura dei plichi e delle offerte economiche in seduta pubblica. Ha quindi proceduto a tali aperture in seduta riservata senza la presenza dei concorrenti e senza redazione di verbali di gara.

16.8. Attesterebbe poi l’illegittimità della procedura anche la modalità con cui è stata svolta la verifica di anomalia, conclusa con l’aggiudicazione alla Papalini S.p.A. nonostante l’incongruità dell’offerta, superata con la sottoscrizione di un contratto recante riduzione delle attività da svolgere, rispetto a quanto previsto nel Capitolato, al fine di rendere remunerativa l’offerta.

16.9. Il comportamento dell’amministrazione sarebbe viziato anche per violazione delle norme sull’accesso agli atti negato con nota del 31 agosto 2022.

17. Con memoria depositata il 31 gennaio 2023 l’appellante ha anche sollevato questione ex art. 267 TFUE con riferimento alla interpretazione dei principi in materia di concorrenza (artt. 101-109 del TFUE) in relazione ai Casinò e ai soggetti che operano in regime di concorrenza e ai sensi dell’art. 37 TFUE in ordine alla necessaria coerenza della disciplina dei monopoli con il principio che vieta ogni discriminazione dei concorrenti, anche in relazione agli artt. 26-30 e 48- 56 della direttiva 2014/24/UE.

17.1. Ha affermato, in particolare, che nella ipotesi in cui la legge dello Stato, che ha autorizzato il comune di Venezia (RDL del 16 luglio 1936 n. 1404) a svolgere attività di gioco d’azzardo, vietata ad altri soggetti in virtù degli artt. 718 e ss. del codice penale, e la disciplina che ha autorizzato il Casinò a continuare l’attività medesima, debbano essere intese nel senso di legittimare lo stesso Casinò a non operare come un organismo di diritto pubblico, acquisendo beni e servizi senza l’applicazione della disciplina sulla concorrenza, dovrebbe essere sollevata questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE in ordine alla interpretazione dei principi in materia di concorrenza (artt. 101-109 del TFUE) e in materia di organizzazione delle attività in monopolio (art. 34 e seguenti TFUE).

18. Le complesse argomentazioni dell’appellante, così sintetizzate, possono a questo punto essere esaminate.

19. L’articolato atto di appello e gli argomenti, esposti con ampi svolgimenti, vertono, sulle seguenti questioni di fondo:

a) la natura della società Casinò di Venezia S.p.A. e la sussistenza dei presupposti per la configurazione di un organismo di diritto pubblico;

b) il conseguente obbligo del rispetto della disciplina comunitaria e nazionale sulla concorrenza, ivi compreso il codice dei contratti pubblici;

c) la questione ex art. 267 TFUE.

20. Quanto ai primi due punti, strettamente connessi, occorre prendere le mosse dalle note e ormai consolidate acquisizioni della giurisprudenza in ordine alla nozione di organismo di diritto pubblico.

20.1. Questa Sezione ha avuto modo di pronunciarsi, piuttosto recentemente, sulla nozione di organismo di diritto pubblico e sulla possibilità o meno di farvi rientrare la F.I.G.C., Federazione Italiana Giuoco Calcio statuendo che in base all’art. 3, lett. d), del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 deve ritenersi che tre sono le condizioni perché possa parlarsi di un “organismo di diritto pubblico” ai fini dell’applicazione della normativa sui contratti pubblici: deve trattarsi, in particolare, di un soggetto 1) dotato di personalità giuridica; 2) sottoposto ad influenza pubblica dominante; 3) istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale. Si tratta di una tipologia di amministrazione fondata su parametri oggettivi, ossia sulla tipologia delle attività esercitate e sulla natura delle stesse; i requisiti in questione non sono inoltre tra loro alternativi, ma devono essere posseduti cumulativamente (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 12 dicembre 2018, n. 7031) e sono valutati dal giudice caso per caso, in quanto l’elenco degli organismi di diritto pubblico – di cui all’allegato IV del Codice dei contratti pubblici – non ha carattere tassativo ma solo esemplificativo (Consiglio di Stato, Sez. V, 15 luglio 2021, n. 5348).

20.2. Ai fini della qualificazione del Casinò di Venezia come organismo di diritto pubblico occorre chiarire preliminarmente la natura giuridica della Casinò di Venezia Gioco S.p.a.

20.3. Si tratta di una società per azioni, controllata dal Comune di Venezia, tramite la CMV S.p.a., cui è affidata la gestione. La disciplina delle case da gioco è del tutto peculiare posto che, come noto, l’esercizio di giochi d’azzardo è vietato dagli artt. 718 e ss. del codice penale.

20.3.1. La ratio dell'incriminazione non risiede nel disvalore che il gioco d'azzardo esprimerebbe in sé: anche se in esso si manifestano infatti propensioni individuali (impiego del tempo libero, svago, divertimento) che appartengono di norma ai differenti stili di vita dei consociati, tali stili di vita in una società pluralistica, non possono formare oggetto di aprioristici giudizi di disvalore. Le fattispecie penali di cui agli artt. 718 e ss., rispondono all'interesse della collettività a veder tutelati la sicurezza e l'ordine pubblico in presenza di un fenomeno che si presta a fornire l'habitat ad attività criminali (Corte Costituzionale 24 giugno 2004, n. 185). La Corte ha sposato una nozione di ordine pubblico come bene giuridico di categoria, nel quale si sostanziano esigenze di incriminazione legate tanto alla prevenzione dei possibili disordini sociali connessi al pubblico svolgimento del gioco, quanto al controllo dei flussi finanziari generati dalle attività di gioco e scommessa, nonché alla tutela delle ripercussioni economiche individuali e sociali della propensione patologica al gioco.

20.3.2. La punibilità del gioco d'azzardo è esclusa in presenza di specifiche disposizioni quali quelle relative al gioco su navi da crociera (per esempio, l’art. 25 della L. 11 dicembre 1984, n. 848 “Provvidenze per l'industria armatoriale” recita: “Le disposizioni di cui agli articoli da 718 a 722 del codice penale e all'articolo 110 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, non si applicano ai fatti commessi a bordo delle navi adibite a crociera durante il periodo di navigazione oltre lo Stretto di Gibilterra ed il Canale di Suez”) e quelle relative alle case da gioco autorizzate.

20.3.3. Con riferimento a queste ultime è da osservare che l'area di rilevanza penale delle fattispecie sul gioco d'azzardo è limitata dalla esistenza di un complesso di disposizioni che autorizza il gioco d'azzardo in determinati luoghi e a determinate condizioni (appunto, i Casinò). Si tratta di appositi provvedimenti emanati per sopperire a specifiche esigenze turistiche ed economiche locali, tramite i quali è stata attribuita al Ministro dell'Interno la facoltà di autorizzare, anche in deroga alle leggi vigenti, alcuni Comuni ad adottare tutti i provvedimenti necessari per addivenire all'assestamento del proprio bilancio e alla esecuzione delle opere pubbliche indilazionabili; facoltà in esercizio della quale è stata autorizzata l'apertura di case da gioco.

20.4. In ordine alla natura dell'attività svolta dai Comuni in forza della deroga ministeriale, la Cassazione penale a Sezioni unite è già stata chiamata ad esprimersi affermando che nella gestione di una casa da gioco da parte di un Comune non è ravvisabile né l'esercizio di una pubblica funzione né la prestazione di un pubblico servizio; infatti non può ritenersi che l'esercizio del giuoco d'azzardo, per il solo fatto di svolgersi in una casa da gioco gestita dal Comune, risponda alla esigenza di realizzare un interesse della collettività o che, in riferimento ad esso, si renda applicabile il criterio della pubblicità potenziale di un interesse avente rilevanza sociale eminente; la gestione da parte del comune di una casa da gioco dà luogo ad un'ipotesi di impresa esercitata da un ente pubblico non economico, inquadrabile nella previsione dell'art. 2093, 2° comma, c.c. (Cass. pen. Sezioni Unite, 23 novembre 1985, n. 45).

20.5. Il TAR ha, in sostanza, affermato che la società Casinò di Venezia “non costituisce un organismo di diritto pubblico, svolgendo un’attività eminentemente imprenditoriale”.

20.6. L’affermazione è condivisibile e le argomentazioni dell’appellante non scalfiscono il nucleo del ragionamento del primo Giudice che ha:

a) ricordato che la Commissione dell’Unione Europea ha affermato che l’attività esercitata dal Casinò di Venezia è “una attività commerciale, sottoposta al libero gioco della concorrenza e quindi rientrante nel campo dell’art. 87 del Trattato …omissis … non può essere definita come attività di servizio di interesse economico e generale non avendo le autorità pubbliche imposto obblighi di servizi pubblici di interesse generale per l’attività in questione” (Commissione delle Comunità Europee, decisione 25 novembre 1999, n. 334);

b) che il rilievo, secondo cui l’attività di Casinò di Venezia sarebbe stata in perdita negli ultimi anni, non esclude il carattere imprenditoriale della stessa, trattandosi in ogni caso di un’attività economica idonea, da un punto di vista oggettivo, a generare utili;

c) che la decisione del Comune di ripianare le perdite subite da Casinò di Venezia negli ultimi anni deriva da valutazioni discrezionali contingenti – al pari di quelle compiute da un socio privato - e non costituisce elemento idoneo a determinare una diversa allocazione del rischio di gestione del servizio.

20.7. I punti b) e c) sopra riportati meritano un approfondimento posto che l’appellante, pur con ampi svolgimenti, argomenta una tesi non condivisibile confondendo l’esistenza di perdite (peraltro affermate e non documentate) con l’allocazione del rischio d’impresa. Ragionamento che, portato alle estreme conseguenze, indurrebbe a ritenere che un’impresa in temporanea “sofferenza” non potrebbe stare sul mercato.

20.8. Ma c’è un altro punto che l’appellante dimentica: la natura delle entrate derivanti ai Comuni di Venezia (e Sanremo) dalla gestione delle case da gioco, che è stata disciplinata dall’art. 19 del d.l. 1° luglio 1986, n. 318 “Provvedimenti urgenti per la finanza locale” che così recita: “1. Le entrate derivanti ai Comuni di Sanremo e Venezia dalle gestioni di cui al R.D.L. 22 dicembre 1927, n. 2448, convertito dalla L. 27 dicembre 1928, n. 3125, nonché al R.D.L. 16 luglio 1936, n. 1404, convertito dalla L. 14 gennaio 1937, n. 62, sono considerate ad ogni effetto, fin dalla loro istituzione, entrate di natura pubblicistica, da classificarsi nel bilancio al titolo I, entrate tributarie. Non si fa luogo al rimborso delle imposte dirette già pagate”.

20.8.1. In materia, pur con pronuncia risalente ma assai significativa, è intervenuta la Suprema Corte, che ha affermato che il citato art. 19 spiega i propri effetti solamente nell'ambito delle imposte dirette e che la qualificazione pubblicistico -tributaria delle entrate in esame opera non al momento dell'esercizio dell'attività da gioco, ma solamente una volta che i proventi netti escono dalla gestione e sono utilizzati dal Comune per le finalità istituzionali. La Corte di Cassazione, in definitiva, chiamata a decidere su un caso di gestione diretta della casa da gioco da parte del Comune di Venezia, con la nota sentenza 25 febbraio 1998, n. 2055 ha circoscritto l'ambito di applicazione della disposizione sopra menzionata.

20.8.2. In sostanza, è stato affermato che l'importo versato all'ente locale ha natura pubblicistica e non è assoggettabile a tassazione diretta; la quota che spetta al gestore ha, invece, natura privatistica e costituisce reddito tassabile. La gestione della casa da gioco, essendo considerata attività imprenditoriale di carattere privatistico, genera entrate di natura privatistica, entrate che, depurate dei costi della gestione e delle somme da devolvere al Comune, costituiscono reddito tassabile. Il Comune non ha la titolarità giuridica delle somme sin dal momento in cui vengono effettuate le giocate e neppure dal momento successivo in cui vengono chiusi i tavoli e conteggiati gli incassi netti della giornata.

21. Vi sono ulteriori argomenti da sviluppare.

22. Intanto, questa Sezione, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, si era già pronunciata, pur nell’ambito di una controversia del tutto differente rispetto a quella qui all’esame (contenzioso per la ripartizione del patrimonio tra il Comune di Cavallino Treporti e il Comune di Venezia, per la ripartizione del patrimonio tra l’ente scorporato e quello di nuova costituzione), in ordine alla natura del Casinò di Venezia affermando che (…) “la gestione della nota casa da gioco non costituisce attività di servizio pubblico, essendo del tutto palese la finalizzazione di questa nozione ai bisogni fondamentali della collettività, ma si sostanzia in realtà nell’esercizio di un’attività di impresa commerciale”(…) (Consiglio di Stato, Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 286).

22.1. Poi, va osservato che è del tutto evidente che la società Casinò Venezia Gioco S.p.A. operi sul mercato come un soggetto di diritto privato svolgendo un’attività di impresa, che si rivolge a clientela sia nazionale che internazionale, esercitabile da qualsiasi società di diritto privato entro i limiti della normativa speciale applicabile alle case da gioco.

22.2. Il riferimento alla vicenda dell’Ente autonomo Fiere di Foggia è del tutto inconferente poiché, in quel caso, lo scopo statutario trascendeva l’interesse di profitto dell’imprenditore privato, per rivolgersi all’interesse generalizzato presso il tessuto economico locale. Inoltre, in quel caso, risultavano decisive le disposizioni statutarie dell'Ente autonomo Fiere di Foggia che, pur a fronte del richiamo a schemi di azione propri dell'impresa privata prefiguravano un duplice canale di finanziamento, uno dei quali prevedeva lo stabile ricorso a risorse pubbliche (Consiglio di Stato, Sez. V, 9 aprile 2020, n. 2335) elemento che qui difetta completamente (documento 9 produzioni dell’appellante) dato che il Casinò di Venezia non ha per statuto il diritto di essere sovvenuto dall’ente pubblico nel corso della sua attività.

E’ quindi da escludere che Casinò Venezia Gioco S.p.A. sia un organismo di diritto pubblico.

23. Occorre quindi esaminare la questione del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Secondo l’appellante sarebbe evidente che “una normativa formalmente tesa a consentire ad un paese dell’unione lo svolgimento in monopolio del gioco d’azzardo - senza imporre il rispetto della disciplina della concorrenza e del codice dei contratti pubblici - deve ritenersi irreparabilmente confliggente con la normativa comunitaria in materia di concorrenza (artt. 101-109 del TFUE) e con la disciplina dei monopoli nel mercato comune, di cui agli artt. 34 e seguenti del TFUE (in particolare con violazione dell’art. 37)”.

23.1. Come noto, la Corte di Giustizia si è più volte pronunciata sull’obbligo di rinvio pregiudiziale. Tra le altre, la decisione della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 6 ottobre 2021, in causa C-561/2019, Consorzio Italian Management, ha affermato importanti principi in materia di obbligo di rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 del Trattato giungendo, tra l’altro, alle seguenti conclusioni: “L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi”.

Può dirsi che la sentenza abbia un valore sostanzialmente confermativo dell’indirizzo riconducibile ai cosiddetti “criteri Cilfit”, riguardanti la definizione dei casi in cui il giudice è dispensato dall’obbligo di rinvio, anche se nella pronuncia possono leggersi alcuni significativi elementi di novità.

23.2. In particolare, la Corte ha precisato che, per escludere l’obbligo del rinvio, può considerarsi non solo il precedente riguardante un caso identico, ma anche una o più pronunce relative a situazioni analoghe a quella oggetto del giudizio nazionale.

23.3. Ulteriore elemento significativo può rinvenirsi nella specificazione del criterio dell’“atto chiaro”, idoneo ad escludere la sussistenza dell’obbligo di rinvio.

23.4. La sentenza precisa al punto 39, che il giudice di ultimo grado “può altresì astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità qualora l’interpretazione corretta del diritto dell’Unione s’imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (sentenze del 6 ottobre 1982, Cilfit, 283/81, punti 16 e 21, nonché del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito, C-160/14, punto 38)”.

23.4. La questione da precisare, di cui questo Collegio è pienamente consapevole, è che l’univocità dell’interpretazione non può basarsi sulla sola considerazione della giurisprudenza dello Stato cui appartiene il giudice di ultima istanza. Difatti, il principio espresso dalla CGUE, 9 settembre 2015, C-160/14, João Filipe Ferreira da Silva, è il seguente: “l’articolo 267, terzo comma, TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice avverso le cui decisioni non sono esperibili ricorsi giurisdizionali di diritto interno è tenuto a sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale […] in circostanze quali quelle del procedimento principale, contraddistinte al contempo da decisioni divergenti di giudici di grado inferiore quanto all’interpretazione […] e da ricorrenti difficoltà d’interpretazione della medesima nei vari Stati membri”.

23.5. L’onere posto a carico del giudice nazionale è ampiamente mitigato dalla Corte, secondo cui il confronto con le esperienze degli altri ordinamenti non impone di effettuare lunghe indagini, ma deve basarsi sui dati effettivamente disponibili, con particolare riferimento a quelli offerti dalle parti in giudizio.

23.6. Difatti, la Corte precisa al punto 44 della sentenza 6 ottobre 2021, in causa C-561/2019 che “Se un giudice nazionale di ultima istanza non può certamente essere tenuto a effettuare, a tal riguardo, un esame di ciascuna delle versioni linguistiche della disposizione dell’Unione di cui trattasi, ciò non toglie che esso deve tener conto delle divergenze tra le versioni linguistiche di tale disposizione di cui è a conoscenza, segnatamente quando tali divergenze sono esposte dalle parti e sono comprovate.”

23.7. Nel caso qui esaminato si può concludere il ragionamento precisando quanto segue.

23.7.1. La richiesta di rinvio pregiudiziale avanzata dall’appellante, più che riferirsi all’interpretazione della normativa eurounitaria finisce per dirigersi sull’interpretazione di norme nazionali rendendo la questione irrilevante (anche perché l’oggetto immediato dell’interpretazione richiesta dall’appellante è, in verità, la normativa sull’istituzione delle case da gioco). La Corte di giustizia dell'Unione europea, nella sentenza 15 ottobre 2017, C-567/15 (LietSpecMet UAB), ha precisato che, attraverso la nozione di organismo di diritto pubblico, si intende evitare il rischio che nell'affidamento di contratti "un ente finanziato o controllato dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche" (§ 31). In precedenza, la stessa Corte di giustizia aveva già chiarito che l'applicazione delle regole sull'evidenza pubblica alla base della nozione di organismo di diritto pubblico si giustifica in base all'esigenza di "escludere il rischio che gli offerenti o candidati nazionali siano preferiti nell'attribuzione di appalti da parte delle amministrazioni aggiudicatrici" (sentenza 15 gennaio 1998, C-44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria AG; § 33).

23.7.2. Si tratta di rischi che nell'operatività di un imprenditore privato non si riscontrano, per via della sua esposizione al mercato, che naturalmente orienta le scelte contrattuali al perseguimento della soluzione economicamente più efficiente, e che invece possono manifestarsi quando ad intervenire nel mercato siano i pubblici poteri, assistiti finanziariamente da risorse a carico del bilancio statale, tendenzialmente inesauribili. Ma qui, come già chiarito, e come affermato dal primo Giudice in modo del tutto condivisibile, si è in presenza di attività commerciale.

24. Per tutte le ragioni esposte, il Collegio ritiene di avere pienamente rispettato i principi in materia di obbligo di rinvio pregiudiziale affermati dalla Corte di Giustizia, tra le altre dalla sentenza 6 ottobre 2021, c-561/2019, laddove al punto 51 si legge che la motivazione “deve far emergere o che la questione di diritto dell’Unione sollevata non è rilevante ai fini della soluzione della controversia, o che l’interpretazione della disposizione considerata del diritto dell’Unione è fondata sulla giurisprudenza della Corte, o, in mancanza di tale giurisprudenza, che l’interpretazione del diritto dell’Unione si è imposta al giudice nazionale di ultima istanza con un’evidenza tale da non lasciar adito a ragionevoli dubbi.” Lo stesso è a dirsi per i principi affermati dalla Corte di giustizia UE con sentenza della Sez. VI, 27 aprile 2023, n. 482.

25. Va, in definitiva, dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito, in quanto la giurisdizione sulla presente controversia spetta al giudice ordinario. Per l'effetto, l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto n. 1528/2022, va respinto.

26. Essendo oggetto di specifica istanza, depositata in data 11 aprile 2023, vanno svolte alcune osservazioni in merito al rito che, secondo l’appellante, dovrebbe essere corretto da giudizio in materia di appalto a giudizio ordinario. Tale istanza di correzione è inammissibile per due motivi:

a) la natura della controversia sottoposta al Collegio concerneva proprio l’applicabilità o meno delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici; tale applicazione sarebbe conseguita all’inquadramento del Casinò di Venezia nell’ambito della categoria degli organismi di diritto pubblico (si trattava quindi dell’oggetto della controversia incardinata con il rito abbreviato);

b) in ogni caso, l'istanza dell’appellante, si risolve in una richiesta di dispensa dal pagamento del contributo unificato, soggetta alla giurisdizione tributaria in ordine alla cognizione del corrispondente rapporto tributario, con conseguente difetto di giurisdizione di questo Giudice (Consiglio di Stato sez. V, 4 maggio 2020, n.2785).

Quanto alle spese, il Collegio ritiene vi siano gli estremi per la compensazione tra le parti in causa vista la novità e la complessità della questione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto n. 1528/2022.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente

Stefano Fantini, Consigliere

Giovanni Grasso, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Gianluca Rovelli, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Gianluca Rovelli Diego Sabatino
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici