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Consiglio di Stato, Sez. V, 17/10/2023 n. 9034
Sulla partecipazione del socio privato alla società a capitale misto pubblico-privato e sulla soglia del 30%

Un'amministrazione aggiudicatrice può escludere un operatore economico da una procedura "a doppio oggetto", volta da un lato a costituire una società a capitale misto e, dall'altro, ad aggiudicare a tale società un appalto pubblico di servizi, qualora tale esclusione sia giustificata dal fatto che, a causa della partecipazione indiretta di tale amministrazione aggiudicatrice al capitale di tale operatore economico, la partecipazione massima della prima al capitale di detta società, così come stabilita dai documenti di gara, sarebbe di fatto superata ove scegliesse il suddetto operatore economico come proprio socio. Tale conclusione viene comunque subordinata alla condizione che "un simile superamento comporti un aumento del rischio economico a carico della stessa amministrazione aggiudicatrice". Il socio privato deve infatti essere operativo e non un mero socio di capitale, stante la specificità del ruolo che deve assumere nell'attuazione dell'oggetto sociale: del resto, il coinvolgimento del socio privato per il perseguimento di fini di interessi generali si giustifica proprio per la carenza in seno alla amministrazione pubblica delle competenze necessarie di cui ha la disponibilità il socio privato.
La partecipazione del socio privato operativo deve essere adeguata, idonea cioè a rendere possibile l'attuazione dell'oggetto sociale; tale adeguatezza è stata fissata dal legislatore nazionale, proprio ai fini del rispetto dei principi eurounitari, nella soglia minima di partecipazione del 30%.
Sul fronte dell'impegno economico ciò si traduce nella ricerca di capitale privato "terzo", ossia nella netta e definitiva separazione tra l'onere finanziario assunto ab initio dall'amministrazione ed il rischio imprenditoriale del privato, che verrebbe potenzialmente (e progressivamente) annullato in presenza di una ulteriore partecipazione indiretta della parte pubblica del capitale della società mista, per effetto della contestuale partecipazione della prima al capitale sociale del partner operativo.


Materia: appalti / appalti pubblici di servizi
Pubblicato il 17/10/2023

N. 09034/2023REG.PROV.COLL.

N. 05663/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5663 del 2019, proposto da
Roma Multiservizi s.p.a. in proprio ed in qualità di capogruppo mandataria di costituendo Rti con Rekeep s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 758840129B, rappresentata e difesa dagli avvocati Patrizio Leozappa, Damiano Lipani, Francesca Sbrana e Tommaso Edoardo Frosini, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Vittoria Colonna, 40;

contro

Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi D'Ottavi, con domicilio eletto presso l’Avvocatura capitolina in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

nei confronti

Autorità Nazionale Anticorruzione - ANAC e Corte dei Conti - Procura Regionale per il Lazio, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio;

e con l'intervento di

ad opponendum:
C.N.S. - Consorzio Nazionale Servizi soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gennaro Rocco Notarnicola, Aristide Police e Fabio Cintioli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Vittoria Colonna, 32;

per la riforma

della sentenza in forma semplificata del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 7893/2019, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2023 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Polinari in dichiarata delega di Lipani, Sbrana, D’Ottavi ed Astorre in dichiarata delega di Cintioli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con delibera dell’Assemblea capitolina n. 53 del 28 settembre 2017, Roma Capitale provvedeva alla “Revisione straordinaria delle partecipazioni di primo e secondo livello ex art. 24 del Decreto Legislativo del 19 agosto 2016 n. 175 e s.m.i.”, tra l’altro stabilendo che la società Roma Multiservizi s.p.a. – partecipata al 51% da AMA s.p.a. ed al 49 % da Rekeep s.p.a. e La Veneta s.p.a. – non doveva considerarsi “strettamente necessaria per il perseguimento delle finalità istituzionali di AMA S.p.A. e Roma Capitale”, prevedendone di conseguenza la “razionalizzazione mediante cessione a titolo oneroso entro il 30.9.2018”.

Con la successiva delibera dell’Assemblea capitolina n. 99 del 29 agosto 2018, Roma Capitale provvedeva quindi ad indire una procedura a doppio oggetto per la costituzione di una nuova società mista cui affidare, per la durata di sei anni, il servizio scolastico integrato.

Alla gara prendeva parte solamente il RTI formato da Roma Multiservizi con Rekeep s.p.a.

Con determina dirigenziale n. 435 del 1° marzo 2019, Roma Capitale disponeva però l’esclusione del detto Rti dalla gara a doppio oggetto per la scelta del socio privato e per l'affidamento del servizio scolastico integrato di competenza.

Avverso tale provvedimento Roma Multiservizi s.p.a. proponeva ricorso innanzi al Tribunale amministrativo del Lazio, affidato ai seguenti motivi di impugnazione:

1) Violazione, falsa applicazione, dell’art. 17 del d.lgs. n. 175/2016 - Violazione, falsa applicazione degli articoli 5, comma 9, 3 e 180 del d.lgs. n. 50/2016 - Travisamento dei presupposti di diritto e grave carenza di istruttoria.

2) Violazione, falsa applicazione di tutti gli atti della lex specialis e della deliberazione n. 99/2018 dell’assemblea capitolina - Violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall’art. 83 del codice dei contratti e del principio del clare loqui; violazione, falsa applicazione dell’art. 41 Cost.

3) Eccesso di potere per sviamento – Illogicità, contraddittorietà manifesta, travisamento dei presupposti e carenza di istruttoria.

4) Violazione, falsa applicazione, dell’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016 - Difetto assoluto di motivazione.

Si costituiva Roma Capitale, concludendo per l’infondatezza del gravame e chiedendone il rigetto.

Con sentenza 18 giugno 2019, n. 7893, il giudice adito respingeva il ricorso.

Avverso tale decisione Roma Multiservizi s.p.a. interponeva appello, deducendo le seguenti censure:

1) Erroneità della sentenza per erronea applicazione del principio di tassatività delle cause di esclusione previsto dall’art. 83, comma 8, del Codice – Erronea applicazione degli articoli 5, comma 9, 3 e 180 del d.lgs. n. 50/2016, nonché dell’art. 17 del d.lgs. n. 175/2016 – Mancata considerazione dell’obbligo di clare loqui – Contraddittorietà manifesta della motivazione – Violazione dei principi di trasparenza, par condicio e massima concorrenza.

2) In particolare: erroneità della sentenza per erronea applicazione degli artt. 1338, 1343, 1362, 1366, 1369, 1370 Cod. civ.

3) Erroneità della sentenza per omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia e, in ogni caso, per mancata considerazione, o comunque erronea valutazione, del profilo di eccesso di potere per sviamento e per manifesta illogicità dedotto nel ricorso di primo grado.

4) Erroneità della sentenza per travisamento delle risultanze istruttorie e per omesso approfondimento in ordine ad un profilo considerato centrale nella stessa motivazione.

5) Richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 TFUE.

6) Questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, d.lgs. n. 175/2016, ove unicamente interpretabile nel senso di supportare il provvedimento di esclusione oggetto di impugnativa – Violazione degli artt. 3, 41, 11 e 117, comma 1, Cost.

Costituitasi in giudizio, Roma Capitale concludeva per l’infondatezza dell’appello, chiedendo che fosse respinto.

Interveniva ad opponendum il Consorzio Nazionale Servizi, altresì chiedendo la reiezione del gravame in quanto destituito di fondamento.

Con ordinanza collegiale 11 maggio 2020, n. 2929, la Sezione sospendeva il giudizio e disponeva trasmettersi gli atti del giudizio alla Corte di giustizia dell’Unione europea, rimettendole ex art. 267 Tfue le seguenti questioni pregiudiziali:

1) se sia conforme al diritto eurounitario ed alla corretta interpretazione dei considerando 14 e 32, nonché degli articoli 12 e 18 della Direttiva n. 24/2014/UE e 30 della Direttiva n. 23/2014/UE, anche con riferimento all’art. 107 TFUE, che, ai fini della individuazione del limite minimo del 30% della partecipazione del socio privato ad una costituenda società mista pubblico - privata,

limite ritenuto adeguato dal legislatore nazionale in attuazione dei principi eurounitari fissati in materia dalla giurisprudenza comunitaria, debba tenersi conto esclusivamente della composizione

formale/cartolare del predetto socio ovvero se l’amministrazione che indice la gara possa – o anzi debba – tener conto della sua partecipazione indiretta nel socio privato concorrente;

2) in caso di soluzione positiva del precedente quesito se sia coerente e conforme con i principi eurounitari, ed in particolare con il principio di concorrenza, proporzionalità e adeguatezza, che

l’amministrazione che indice la gara possa escludere dalla gara il socio privato concorrente, la cui effettiva partecipazione alla costituenda società mista pubblico privata, per effetto della accertata

partecipazione pubblica diretta o indiretta, sia di fatto inferiore al 30%”.

Con sentenza del 1° agosto 2022 (causa C-332/20), la Corte di giustizia rispondeva alle questioni pregiudiziali postele dichiarando che:

1) L’articolo 58 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2017/2365 della Commissione, del 18 dicembre 2017, deve essere interpretato nel senso che un’amministrazione aggiudicatrice può escludere un operatore economico dalla procedura volta, da un lato, a costituire una società a capitale misto e, dall’altro, ad aggiudicare a tale società un appalto pubblico di servizi, qualora tale esclusione sia giustificata dal fatto che, a causa della partecipazione indiretta di tale amministrazione aggiudicatrice al capitale di tale operatore economico, la partecipazione massima della suddetta amministrazione aggiudicatrice al capitale di detta società, così come stabilita dai documenti di gara, sarebbe di fatto superata se questa stessa amministrazione aggiudicatrice scegliesse il suddetto operatore economico come proprio socio, a condizione che un simile superamento comporti un aumento del rischio economico a carico della stessa amministrazione aggiudicatrice.

2) L’articolo 38 della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2017/2366 della Commissione, del 18 dicembre 2017, deve essere interpretato nel senso che un’amministrazione aggiudicatrice può escludere un operatore economico dalla procedura volta, da un lato, a costituire una società a capitale misto e, dall’altro, ad aggiudicare a tale società una concessione di servizi, qualora tale esclusione sia giustificata dal fatto che, a causa della partecipazione indiretta di tale amministrazione aggiudicatrice al capitale di tale operatore economico, la partecipazione massima della suddetta amministrazione aggiudicatrice al capitale di

detta società, così come stabilita dai documenti di gara, sarebbe di fatto superata se questa stessa amministrazione aggiudicatrice scegliesse il suddetto operatore economico come proprio socio, a condizione che un simile superamento comporti un aumento del rischio economico a carico

della stessa amministrazione aggiudicatrice”.

Successivamente alla riassunzione del giudizio, le parti ulteriormente precisavano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive ed all’udienza del 13 luglio 2023 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ad un complessivo esame delle risultanze di causa, il Collegio ritiene che l’appello non sia fondato.

E’ decisiva, al riguardo, la sopravvenuta decisione della Corte di giustizia UE cui si è fatto richiamo nell’esposizione “in fatto” che precede, laddove fissa il principio secondo cui un’amministrazione aggiudicatrice può escludere un operatore economico da una procedura “a doppio oggetto”, volta da un lato a costituire una società a capitale misto e, dall’altro, ad aggiudicare a tale società un appalto pubblico di servizi, qualora tale esclusione sia giustificata dal fatto che, a causa della partecipazione indiretta di tale amministrazione aggiudicatrice al capitale di tale operatore economico, la partecipazione massima della prima al capitale di detta società, così come stabilita dai documenti di gara, sarebbe di fatto superata ove scegliesse il suddetto operatore economico come proprio socio.

Tale conclusione viene comunque subordinata alla condizione che “un simile superamento

comporti un aumento del rischio economico a carico della stessa amministrazione aggiudicatrice”.

Nel caso in esame l’appellata Roma Capitale aveva a più riprese evidenziato, nei propri scritti difensivi, come gli atti di gara presupponessero la necessaria natura “terza” del socio privato rispetto a Roma Capitale ed alle sue partecipate: in primis, la delibera dell’Assemblea capitolina n. 99 del 31 luglio 2018 – che autorizzava l’indizione della gara in questione – indicava quale presupposto per la costituzione della nuova società mista che “la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento”, coerentemente con la previsione dell’art. 17, d.lgs. n. 175 del 2016.

La medesima delibera, quindi, chiariva che “per garantire anche un necessario controllo da parte dell’Amministrazione sulle scelte fondamentali della società la quota di partecipazione del socio pubblico Roma Capitale [è stabilita] al 51%, mentre quella dell’individuando socio privato è stabilita al 49%”.

Ancora più chiaramente, lo Statuto della nuova società precisava che il “51% [deve] essere di proprietà pubblica” (art. 7; si vedano anche gli artt. 1 e 6), dal che deve ritenersi che il restante 49% del capitale dovesse necessariamente essere in mano di terzi, pubblici o privati, ossia non riconducibili – ancorché in via indiretta – a Roma Capitale.

Ciò premesso, deve considerarsi che l’art. 17 del d.lgs. n. 175 del 2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), nel prevedere che “Nelle società a partecipazione mista pubblico-privata la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento e la selezione del medesimo si svolge con procedure di evidenza pubblica a norma dell'articolo 5, comma 9, del decreto legislativo n. 50 del 2016 e ha a oggetto, al contempo, la sottoscrizione o l'acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l'affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell'attività della società mista”, mira non solo ad assicurare all’amministrazione un effettivo (e dunque utile) apporto tecnico-professionale dell’operatore economico privato, ma pure a predeterminare in modo netto l’impegno finanziario pubblico.

Come già ricordato nell’ordinanza di rimessione alla Corte di giustizia UE, il socio privato deve infatti essere operativo e non un mero socio di capitale, stante la specificità del ruolo che deve assumere nell’attuazione dell’oggetto sociale: del resto, il coinvolgimento del socio privato per il perseguimento di fini di interessi generali si giustifica proprio per la carenza in seno alla amministrazione pubblica delle competenze necessarie di cui ha la disponibilità il socio privato.

La partecipazione del socio privato operativo deve essere adeguata, idonea cioè a rendere possibile l’attuazione dell’oggetto sociale; tale adeguatezza è stata fissata dal legislatore nazionale, proprio ai fini del rispetto dei principi eurounitari, nella soglia minima di partecipazione del 30%.

Sul fronte dell’impegno economico ciò si traduce nella ricerca di capitale privato “terzo”, ossia nella netta e definitiva separazione tra l’onere finanziario assunto ab initio dall’amministrazione ed il rischio imprenditoriale del privato, che verrebbe potenzialmente (e progressivamente) annullato in presenza di una ulteriore partecipazione indiretta della parte pubblica del capitale della società mista, per effetto della contestuale partecipazione della prima al capitale sociale del partner operativo.

In breve, la quota di Roma Multiservizi s.p.a. posseduta dal Comune di Roma finirebbe per attribuire (seppur indirettamente) al medesimo ente pubblico un’assunzione dei rischi che lo stesso – proprio per il tramite del ricorso al mercato – intendeva invece affidare ad un privato “terzo” (ossia con capitale non riconducibile a Roma Capitale, sia nella qualità di stazione appaltante che in quella di socio indiretto di maggioranza della medesima Roma Multiservizi s.p.a.).

Obietta l’appellante, in buona sostanza, che dal provvedimento di esclusione non emergeva alcuna istruttoria, né valutazione, in ordine all’aumento del rischio economico a carico di Roma Capitale – condizione considerata necessaria dalla Corte di giustizia UE in precedenza richiamata – in ragione della partecipazione alla gara di Roma Multiservizi s.p.a., essendo l’esclusione motivata con il solo riferimento al dato “formale” dell’asserito aumento della partecipazione di Roma Capitale alla newco rispetto a quanto previsto dalla lex specialis: in realtà, come sopra evidenziato, è proprio il superamento della quota massima prefissata dalla legge di gara – in quanto sin dall’inizio finalizzata a (pre-)definire (e quindi limitare) una volta per tutte l’esposizione finanziaria dell’amministrazione a bilancio consolidato – a dare atto (sia pure, se del caso, in via presuntiva) dell’aumento del rischio.

Va infatti ribadito – fermi ovviamente i limiti di legge – che l’amministrazione può decidere, nel concreto esercizio della propria precipua funzione di tutela dell’interesse pubblico, qual è il livello massimo del rischio finanziario o economico che intende assumere (e quindi, per l’effetto, quello che intende addossare esclusivamente al concessionario), fissando all’uopo delle soglie di partecipazione al capitale della costituenda società mista, valutazione che, in quanto espressione di eminente discrezionalità tecnica, può essere sindacata dal giudice amministrativo limitatamente al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, arbitrarietà, ovvero se fondata su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti (ex pluribus, Cons. Stato, VI, 5 dicembre 2022, n. 10624).

A fronte pertanto della predeterminazione, in astratto, di quella che è anche la soglia massima del rischio accettato, è onere della parte che avversa tale delimitazione dimostrare l’evidenza dei vizi di cui si è detto, onere che nel caso di specie non risulta essere stato assolto, limitandosi nel complesso l’appellante ad obiettare che il presunto aumento del rischio (ex se proporzionale alla quota di partecipazione sociale posseduta) non sarebbe stato provato in concreto.

In questi termini è dunque corretta l’affermazione del primo giudice secondo cui “nulla vieta all’amministrazione, nella spendita della sua discrezionalità e nel rispetto dei limiti segnati dalla normativa generale, di congegnare il modulo secondo le sue concrete esigenze, come dettate dal superiore interesse pubblico legato allo svolgimento del servizio e al contenimento del rischio di capitale”: in tale ottica era stata coerentemente individuata, del resto, “la stessa causa concreta del proposto contratto associativo, funzionalmente caratterizzata dall’oggetto dell’affidamento (concessione di servizio con rischio a carico del concessionario), [che] induce a ritenere che la prescritta delimitazione di quote fosse assolutamente inderogabile e non alterabile per effetto di partecipazioni comunali indirette; dunque nota anche ai potenziali partecipanti alla gara”.

Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va dunque respinto, risultando assorbite dagli stessi le ulteriori questioni dedotte dall’appellante.

Le spese di lite del grado di giudizio possono essere interamente compensate tra le parti, in ragione della complessità e della relativa novità della questione esaminata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Valerio Perotti, Consigliere, Estensore

Angela Rotondano, Consigliere

Stefano Fantini, Consigliere

Elena Quadri, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Valerio Perotti Rosanna De Nictolis
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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