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Avvocato Generale Maciej Szpunar, 11/1/2024 n. C-662/22 a C-667/22
Uno Stato membro non può imporre obblighi generali ed astratti a un prestatore di servizi online (come Airbnb, Google, Amazon e Vacation Rentals) operante nel suo territorio ma stabilito in un altro Stato membro

Nella causa C?663/22:
Il regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online e, in particolare, i suoi articoli 15 e 16
devono essere interpretati nel senso che: essi non giustificano l'adozione di una normativa nazionale che impone ai prestatori di servizi di intermediazione online e di motori di ricerca online un obbligo di presentare periodicamente una dichiarazione contenente informazioni sulla loro situazione economica e che prevede l'applicazione di sanzioni in caso di inadempimento di detto obbligo.
Nei limiti in cui una siffatta normativa non rientra nell'ambito di applicazione di detto regolamento, quest'ultimo non osta ad essa.

2) Nelle cause riunite C?662/22 e C?667/22, nelle cause riunite C?664/22 e C?666/22, nonché nella causa C?665/22:
L'articolo 3, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno ("Direttiva sul commercio elettronico") deve essere interpretato nel senso che:
esso osta a provvedimenti nazionali di carattere generale e astratto con cui uno Stato membro impone al fornitore di un servizio della società dell'informazione stabilito in un altro Stato membro a) un obbligo di iscrizione in un registro, b) un obbligo di trasmettere rilevanti informazioni sulla sua organizzazione, c) un obbligo di trasmettere rilevanti informazioni sulla sua situazione economica e d) un obbligo di versare un contributo economico, oltre all'applicazione di sanzioni in caso di inadempimento di detti obblighi.
Il fatto che tali provvedimenti nazionali siano stati adottati al dichiarato fine di garantire l'attuazione del regolamento 2019/1150 non pregiudica la loro inapplicabilità a un siffatto prestatore.


Materia: servizi pubblici / disciplina

 

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

 

MACIEJ SZPUNAR

 

presentate l’11 gennaio 2024 (1)

 

Cause da C-662/22 a C-667/22

 

Airbnb Ireland UC (C-662/22)

 

Expedia Inc. (C-663/22)

 

Google Ireland Limited (C-664/22)

 

Amazon Services Europe Sàrl (C-665/22 e C-667/22)

 

Eg Vacation Rentals Ireland Limited (C-666/22)

 

contro

 

Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni

 

(domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Italia)

 

«Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) 2019/1150 – Direttiva 2000/31/CE – Articolo 3 – Regolamentazioni tecniche relative ai servizi della società dell’informazione – Normativa nazionale che impone ai fornitori di servizi di intermediazione online e di motori di ricerca online l’obbligo di iscriversi in un registro degli operatori di comunicazione e di pagare un contributo economico»

 

I.      Introduzione

 

1.        Le questioni pregiudiziali sollevate nelle cause su cui vertono le presenti conclusioni riguardano l’interpretazione del regolamento (UE) 2019/1150 (2) e delle direttive 2000/31/CE (3), 2006/123/CE (4) e (UE) 2015/1535 (5). Tali questioni traggono origine dalla contestazione, da parte di alcuni prestatori di servizi di intermediazione online e di motori di ricerca online (in prosieguo: i «prestatori di servizi online»), della normativa adottata dalla Repubblica italiana che impone loro, in particolare, l’obbligo di iscriversi in un registro e di trasmettere informazioni relative alla loro struttura e alla loro situazione economica.

 

2.        Le suddette questioni danno alla Corte l’occasione, da un lato, di pronunciarsi, per la prima volta, sull’interpretazione del regolamento 2019/1150 e sul margine di discrezionalità di cui gli Stati membri dispongono nella sua attuazione.

 

3.        Esse consentono alla Corte, dall’altro lato, di precisare se il diritto dell’Unione osti a una normativa nazionale con cui uno Stato membro applica gli obblighi di cui trattasi a prestatori stabiliti in Stati membri diversi da quelli di stabilimento. Osservo, a costo di anticipare le mie ulteriori considerazioni, che l’articolo 3 della direttiva 2000/31 introduce un meccanismo che osta all’applicazione di detti obblighi a simili prestatori.

 

4.        Si può certamente sostenere che il meccanismo previsto all’articolo 3 della direttiva 2000/31 conferisce una protezione particolarmente ampia ai prestatori di servizi della società dell’informazione stabiliti nell’Unione contro i provvedimenti adottati dagli Stati membri diversi da quelli in cui essi sono stabiliti. Tuttavia, ritengo che l’intenzione del legislatore dell’Unione nell’adottare detta direttiva, che è frutto della sua epoca, fosse quella di introdurre un regime di base che tutelasse in maniera specifica la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione nell’ambito dell’Unione.

 

5.        In questa prospettiva, la direttiva 2000/31 mira ad adattare le soluzioni previste dal Trattato alle sfide portate dallo sviluppo di Internet. Al contempo, detta direttiva è servita da punto di partenza per l’evoluzione del diritto dell’Unione nel settore dei servizi online (6). Se necessario, il legislatore può, o deve, intervenire e introdurre soluzioni armonizzate idonee alla realtà socioeconomica (7). Interventi di questo tipo sono stati compiuti nel corso degli anni (8) e il Digital Services Act (9) ne è un perfetto esempio recente.

 

6.        Peraltro, la natura economica delle informazioni che i prestatori di servizi online sono tenuti a fornire in forza degli obblighi di cui trattasi può far pensare che esse siano utili per verificare se tali prestatori rispettino gli obblighi di carattere fiscale ad essi incombenti. Tuttavia, il meccanismo previsto all’articolo 3 della direttiva 2000/31 non è applicabile nel settore della fiscalità (10). Dal punto di vista del diritto dell’Unione, la legittimità di provvedimenti esclusi dal campo di applicazione di detta direttiva dovrebbe essere esaminata alla luce dell’articolo 56 TFUE (11). Né il giudice del rinvio, né il governo italiano sostengono però che gli obblighi in questione siano collegati alla necessità di garantire l’esecuzione di obblighi fiscali.

 

II.    Contesto normativo

 

A.      Diritto dell’Unione

 

1.      Regolamento 2019/1150

 

7.        L’articolo 15 del regolamento 2019/1150, rubricato «Applicazione», così dispone:

 

«1.      Ogni Stato membro garantisce l’adeguata ed efficace applicazione del presente regolamento.

 

2.      Gli Stati membri adottano le norme che stabiliscono le misure applicabili alle violazioni del presente regolamento e ne garantiscono l’attuazione. Le misure previste sono efficaci, proporzionate e dissuasive».

 

8.        L’articolo 16 di detto regolamento, intitolato «Monitoraggio», prevede quanto segue:

 

«La Commissione [europea], in stretta cooperazione con gli Stati membri, monitora attentamente l’impatto del presente regolamento sulle relazioni tra i servizi di intermediazione online e i loro utenti commerciali e tra i motori di ricerca online e titolari di siti web aziendali. A tale fine la Commissione raccoglie informazioni pertinenti per monitorare l’evoluzione di tali relazioni, anche mediante la realizzazione di studi adeguati. Gli Stati membri assistono la Commissione fornendo, su richiesta, tutte le informazioni pertinenti raccolte, anche riguardo a casi specifici. Ai fini del presente articolo e dell’articolo 18, la Commissione può chiedere informazioni ai fornitori di servizi di intermediazione online».

 

2.      Direttiva 2015/1535

 

9.        L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2015/1535 così dispone:

 

«Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

 

(...)

 

b)      “servizio”: qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi.

 

(...)

 

e)      “regola relativa ai servizi”: un requisito di natura generale relativo all’accesso alle attività di servizio di cui alla lettera b) e al loro esercizio, in particolare le disposizioni relative al prestatore di servizi, ai servizi e al destinatario di servizi, ad esclusione delle regole che non riguardino specificamente i servizi ivi definiti.

 

(...)

 

f)      “regola tecnica”: una specificazione tecnica o altro requisito o una regola relativa ai servizi, comprese le disposizioni amministrative che ad esse si applicano, la cui osservanza è obbligatoria, de jure o de facto, per la commercializzazione, la prestazione di servizi, lo stabilimento di un fornitore di servizi o l’utilizzo degli stessi in uno Stato membro o in una parte importante di esso, nonché, fatte salve quelle di cui all’articolo 7, le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri che vietano la fabbricazione, l’importazione, la commercializzazione o l’utilizzo di un prodotto oppure la prestazione o l’utilizzo di un servizio o lo stabilimento come fornitore di servizi.

 

(...)».

 

10.      L’articolo 5, paragrafo 1, primo comma, della direttiva di cui trattasi prevede quanto segue:

 

«Fatto salvo l’articolo 7, gli Stati membri comunicano immediatamente alla Commissione ogni progetto di regola tecnica, salvo che si tratti del semplice recepimento integrale di una norma internazionale o europea, nel qual caso è sufficiente una semplice informazione sulla norma stessa. Essi le comunicano brevemente anche i motivi che rendono necessario adottare tale regola tecnica a meno che non risultino già dal progetto».

 

11.      Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della medesima direttiva:

 

«Gli articoli 5 e 6 non si applicano a tali disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative o agli accordi facoltativi con i quali gli Stati membri:

 

a)      si conformano agli atti vincolanti dell’Unione che danno luogo all’adozione di specificazioni tecniche o di regole relative ai servizi;

 

(...)».

 

3.      Direttiva 2000/31

 

12.      La direttiva 2000/31 definisce, al suo articolo 2, lettera a), la nozione di «servizi della società dell’informazione» rinviando all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2015/1535 (12).

 

13.      L’articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31 definisce l’«ambito regolamentato» come «le prescrizioni degli ordinamenti degli Stati membri e applicabili ai prestatori di servizi della società dell’informazione o ai servizi della società dell’informazione, indipendentemente dal fatto che siano di carattere generale o loro specificamente destinati».

 

14.      L’articolo 3 di detta direttiva, rubricato «Mercato interno», è formulato come segue:

 

«1.      Ogni Stato membro provvede affinché i servizi della società dell’informazione, forniti da un prestatore stabilito nel suo territorio, rispettino le disposizioni nazionali vigenti in detto Stato membro nell’ambito regolamentato.

 

2.      Gli Stati membri non possono, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la libera circolazione dei servizi [della] società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro.

 

3.      I paragrafi 1 e 2 non si applicano ai settori di cui all’allegato.

 

4.      Gli Stati membri possono adottare provvedimenti in deroga al paragrafo 2, per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione, in presenza delle seguenti condizioni:

 

a)      i provvedimenti sono:

 

i)      necessari per una delle seguenti ragioni:

 

        ordine pubblico, in particolare per l’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento in materie penali, quali la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché violazioni della dignità umana della persona;

 

(...)

 

ii)      relativi a un determinato servizio della società dell’informazione lesivo degli obiettivi di cui al punto i) o che costituisca un rischio serio e grave di pregiudizio a tali obiettivi;

 

iii)      proporzionati a tali obiettivi;

 

b)      prima di adottare i provvedimenti in questione e fatti salvi i procedimenti giudiziari, anche istruttori, e gli atti compiuti nell’ambito di un’indagine penale, lo Stato membro ha:

 

        chiesto allo Stato membro di cui al paragrafo 1 di prendere provvedimenti e questo non li ha presi o essi non erano adeguati;

 

        notificato alla Commissione e allo Stato membro di cui al paragrafo 1 la sua intenzione di prendere tali provvedimenti.

 

5.      In caso di urgenza, gli Stati membri possono derogare alle condizioni di cui al paragrafo 4, lettera b). I provvedimenti vanno allora notificati al più presto alla Commissione e allo Stato membro di cui al paragrafo 1, insieme ai motivi dell’urgenza.

 

6.      Salva la possibilità degli Stati membri di procedere con i provvedimenti in questione, la Commissione verifica con la massima rapidità la compatibilità dei provvedimenti notificati con il diritto comunitario; nel caso in cui giunga alla conclusione che i provvedimenti sono incompatibili con il diritto comunitario, la Commissione chiede allo Stato membro in questione di astenersi dall’adottarli o di revocarli con urgenza».

 

4.      Direttiva 2006/123

 

15.      L’articolo 16 della direttiva 2006/123, intitolato «Libera prestazione di servizi», prevede quanto segue:

 

«1.      Gli Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti.

 

(…)

 

Gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti principi:

 

a)      non discriminazione: i requisiti non possono essere direttamente o indirettamente discriminatori sulla base della nazionalità o, nel caso di persone giuridiche, della sede,

 

b)      necessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente,

 

c)      proporzionalità: i requisiti sono tali da garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo.

 

2.      Gli Stati membri non possono restringere la libera circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, in particolare, imponendo i requisiti seguenti:

 

(...)

 

b)      l’obbligo per il prestatore di ottenere un’autorizzazione dalle autorità competenti, compresa l’iscrizione in un registro (…);

 

(...)».

 

B.      Diritto italiano

 

16.      Nell’ordinamento giuridico italiano le misure volte a dare attuazione al regolamento 2019/1150 – vale a dire, in particolare, le delibere n. 14/2021 (13) e 200/2021 (14) e, verosimilmente la delibera n. 161/2021 (15) – sono state adottate sulla base dell’articolo 1, commi da 515 a 517, della legge [del 30 dicembre 2020], n. 178 – Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023 (16) (in prosieguo: la «legge n. 178/2020»), che ha modificato la legge del 31 luglio 1997, n. 249 – Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo (17) (in prosieguo: la «legge n. 249/1997») che aveva istituito l’AGCOM.

 

1.      Legge n. 249/1997 e modifiche ad essa apportate dalla legge n. 178/2020 e delibera n. 666/2008 e modifiche ad essa apportate dalla delibera n. 200/2021 (18)

 

17.      L’articolo 1, comma 6, della legge n. 249/1997 è stato modificato dall’articolo 1, comma 515, della legge n. 178/2020, che prevede quanto segue:

 

«Al fine di promuovere l’equità e la trasparenza in favore degli utenti commerciali di servizi di intermediazione on line, anche mediante l’adozione di linee guida, la promozione di codici di condotta e la raccolta di informazioni pertinenti, all’articolo 1 della legge [n. 249/1997] sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a)      al comma 6:

 

(...)

 

2)      alla lettera c), (...) è aggiunto il seguente [testo]:

 

“14-bis) [il consiglio dell’AGCOM] garantisce l’adeguata ed efficace applicazione del regolamento [2019/1150], anche mediante l’adozione di linee guida, la promozione di codici di condotta e la raccolta di informazioni pertinenti”;

 

(...)».

 

18.      Le disposizioni della legge n. 178/2020 hanno imposto determinati obblighi ai prestatori di servizi online che offrono servizi in Italia anche se non sono stabiliti nel territorio di detto Stato membro, vale a dire, segnatamente, in primo luogo, l’obbligo di iscriversi al registro degli operatori di comunicazione (in prosieguo: il «ROC») e, in secondo luogo, l’obbligo di pagare un contributo annuale all’AGCOM.

 

19.      In primo luogo, quindi, per quanto attiene all’obbligo di iscrizione al ROC, il 26 novembre 2008 l’AGCOM ha adottato la delibera n. 666/08/CONS, Regolamento per l’organizzazione e la tenuta del [ROC] (19) (in prosieguo: la «delibera n. 666/2008»). L’articolo 2 dell’allegato A della delibera n. 666/2008 elenca le categorie di soggetti tenuti all’iscrizione al ROC.

 

20.      Il 17 giugno 2021 l’AGCOM ha adottato la delibera n. 200/2021. Con detta delibera, l’AGCOM ha modificato l’allegato A della delibera n. 666/2008, includendo nell’elenco dei soggetti tenuti all’iscrizione al ROC i prestatori di servizi online, come definiti dal regolamento 2019/1150, che, anche se non stabiliti o residenti nel territorio nazionale, forniscono o offrono di fornire tali servizi a utenti commerciali stabiliti o residenti in Italia. L’AGCOM ha altresì modificato l’allegato B della delibera n. 666/2008, estendendo ai prestatori di servizi online l’obbligo di produrre, all’atto della presentazione della loro domanda di iscrizione al ROC, dichiarazioni relative al loro assetto societario e all’attività svolta, nonché l’obbligo di produrre dichiarazioni annuali successive.

 

21.      La delibera n. 666/2008 prevede che l’iscrizione al ROC sia soggetta ad adempimenti procedurali e informativi. I prestatori di servizi online devono dunque, segnatamente, raccogliere e quindi comunicare all’AGCOM una serie di informazioni sulla struttura societaria, notificare all’AGCOM, entro termini stringenti (30 giorni), ogni modifica nel controllo e nella proprietà oppure qualsiasi trasferimento pari o superiore al 10% (o al 2% in caso di società quotate) delle loro azioni (20), fornire all’AGCOM comunicazioni su base annuale e tenerla sempre informata circa qualsiasi eventuale variazione delle informazioni comunicate (21). Inoltre, il giudice del rinvio indica che, a suo avviso, le società iscritte al ROC non possono «[conseguire] né direttamente, né attraverso soggetti controllati o collegati (...) ricavi superiori al 20 per cento dei ricavi complessivi del sistema integrato delle comunicazioni» (22).

 

22.      Ai prestatori di servizi online che non adempiono tali obblighi possono essere comminate sanzioni che il giudice del rinvio qualifica come «importanti». Benché detto giudice non fornisca informazioni dettagliate a tal riguardo, occorre osservare che, in un siffatto caso, le sanzioni applicate sono quelle previste all’articolo 1, commi da 29 a 32, della legge n. 249/1997 (23). Tali sanzioni includono sanzioni amministrative pecuniarie e, in taluni casi, la sospensione delle attività del prestatore in Italia o, addirittura, sanzioni penali. L’AGCOM può altresì disporre l’iscrizione d’ufficio di un prestatore al ROC.

 

23.      In secondo luogo, per quanto attiene all’obbligo di versare un contributo annuale all’AGCOM, l’articolo 1, comma 517, della legge n. 178/2020 prevede, «[a]l fine di assicurare la copertura dei costi amministrativi complessivamente sostenuti per l’esercizio delle funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie attribuite dalla legge all’[AGCOM] nelle materie di cui al comma 515», l’aggiunta, all’articolo 1 della legge del 23 dicembre 2005, n. 266 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006) (24) (in prosieguo: la «legge n. 266/2005»), del seguente comma: «66 bis. In sede di prima applicazione, per l’anno 2021, l’entità della contribuzione a carico dei fornitori di servizi di intermediazione on line e di motori di ricerca on line di cui all’articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5), della legge [del] 31 luglio 1997, n. 249, è fissata in misura pari all’1,5 per mille dei ricavi realizzati nel territorio nazionale, anche se contabilizzati nei bilanci di società aventi sede all’estero, relativi al valore della produzione, risultante dal bilancio di esercizio dell’anno precedente, ovvero, per i soggetti non obbligati alla redazione di tale bilancio, delle omologhe voci di altre scritture contabili che attestino il valore complessivo della produzione. Per gli anni successivi, eventuali variazioni della misura e delle modalità della contribuzione possono essere adottate dall’[AGCOM] ai sensi del comma 65, nel limite massimo del 2 per mille dei ricavi valutati ai sensi del periodo precedente».

 

2.      Provvedimento del presidente dell’AGCOM n. 14/2021

 

24.      Il provvedimento n. 14/2021 (25) ha precisato la misura e le modalità di versamento, da parte dei prestatori di servizi online, del contributo previsto dall’articolo 1, comma 66 bis, della legge n. 266/2005.

 

3.      Delibera n. 397/2013 e modifiche ad essa apportate dalla delibera n. 161/2021

 

25.      Il 25 giugno 2013 l’AGCOM ha adottato la delibera n. 397/13/CONS, Informativa economica di sistema (in prosieguo: la «delibera n. 397/2013»). L’articolo 2, comma 1, di detta delibera elenca le categorie di soggetti tenuti a trasmettere all’AGCOM un documento denominato «Informativa economica di sistema» (in prosieguo: l’«IES»).

 

26.      Con la delibera n. 161/2021 (26), l’AGCOM ha esteso ai fornitori di servizi online l’obbligo di comunicarle l’IES quando operano nel territorio italiano invocando la necessità di «raccogliere annualmente informazioni pertinenti e svolgere le attività tese ad assicurare l’adeguata ed efficace applicazione del [regolamento 2019/1150]» e l’«esercizio delle funzioni attribuite dalla [legge n. 178/2020] all’[AGCOM]».

 

27.      In base a detta delibera, l’IES è una «dichiarazione annuale cui sono obbligati gli operatori delle comunicazioni e riguarda i dati anagrafici ed economici sull’attività svolta dai soggetti interessati, al fine di raccogliere gli elementi necessari per adempiere a precisi obblighi di legge, tra i quali la valorizzazione del Sistema integrato delle comunicazioni (SIC) e la verifica dei limiti anticoncentrativi nell’ambito dello stesso; le analisi di mercato e delle eventuali posizioni dominanti o comunque lesive del pluralismo; la Relazione Annuale e le indagini conoscitive, nonché per consentire l’aggiornamento della base statistica degli operatori di comunicazione».

 

28.      In pratica, detta delibera impone ai fornitori di servizi online l’obbligo di trasmettere informazioni rilevanti e specifiche inerenti alla loro situazione economica. A titolo esemplificativo, i soggetti che svolgono servizi di intermediazione online su un sito di e-commerce devono indicare i ricavi totali provenienti da tale sito, i canoni di abbonamento e le quote fisse (di registrazione, affiliazione, sottoscrizione, ecc.) per l’utilizzo della piattaforma di e-commerce da parte di utenti stabiliti in Italia al fine di offrire beni e servizi ai consumatori, nonché le commissioni fisse e variabili trattenute sulle vendite (ovvero quote nette ricavate dalle vendite) realizzate attraverso detta piattaforma.

 

29.      La mancata trasmissione dell’IES o la comunicazione di dati non veritieri comporta l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 1, commi 29 e 30, della legge n. 249/1997.

 

III. Fatti all’origine dei procedimenti principali e questioni pregiudiziali

 

A.      Cause riunite C-662/22 e C-667/22

 

30.      La Airbnb Ireland UC (in prosieguo: la «Airbnb»), la cui sede sociale si trova in Irlanda, gestisce l’omonimo portale telematico di intermediazione immobiliare che consente di mettere in contatto, da un lato, locatori che dispongono di alloggi e, dall’altro, persone che cercano una sistemazione, riscuotendo dal cliente il pagamento per la fornitura dell’alloggio prima dell’inizio della locazione e trasferendo detto pagamento al locatore dopo l’inizio della stessa, in assenza di contestazioni da parte del conduttore.

 

31.      La Amazon Services Europe Sàrl (in prosieguo: «Amazon»), avente la propria sede sociale in Lussemburgo, gestisce una piattaforma on line finalizzata a mettere in contatto venditori terzi e consumatori per consentire lo svolgimento di transazioni tra gli stessi finalizzate alla vendita di beni.

 

32.      Le modifiche del contesto normativo nazionale risultanti dalla legge n. 178/2020 e dalle delibere n. 200/2021 e n. 14/2021 hanno comportato l’assoggettamento della Airbnb e di Amazon, nella loro veste di fornitori di servizi di intermediazione online, all’obbligo di iscriversi al ROC e, di conseguenza, di comunicare una serie di informazioni all’AGCOM, oltre a versare a quest’ultima un contributo economico.

 

33.      Sia la Airbnb che Amazon hanno presentato un ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia) volto, segnatamente, ad ottenere l’annullamento delle delibere n. 200/2021 e n. 14/2021. Dette società sostengono che la legge n. 178/2020 e le suddette delibere contrastano con il regolamento 2019/1150 e con le direttive 2000/31, 2006/123 e 2015/1535.

 

34.      A tale riguardo, in primo luogo, il giudice del rinvio ricorda che, da un lato, l’articolo 15 del regolamento 2019/1150 conferisce agli Stati membri il compito di garantirne l’applicazione «adeguata» ed «efficace». Inoltre, gli Stati membri adottano le norme che stabiliscono le misure applicabili alle violazioni di detto regolamento e ne garantiscono l’attuazione. Dette misure devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Dall’altro, l’articolo 16 del regolamento di cui trattasi aggiunge che la Commissione monitora attentamente l’impatto di quest’ultimo e raccoglie informazioni pertinenti per monitorare l’evoluzione delle relazioni tra i servizi di intermediazione online e i loro utenti commerciali e tra i motori di ricerca online e i titolari di siti web aziendali, anche mediante la realizzazione di studi adeguati.

 

35.      Benché, secondo il legislatore nazionale, l’obbligo di iscrizione al ROC costituisca un’attuazione del regolamento 2019/1150, il giudice del rinvio osserva che detto obbligo mira a informare l’AGCOM, principalmente, sugli assetti proprietari ed amministrativi dei soggetti obbligati, senza fornire alcuna indicazione né in ordine al rispetto degli obblighi previsti dal regolamento 2019/1150, né in ordine alla trasparenza ed equità dei rapporti con gli utenti commerciali. In tal modo, il legislatore nazionale introduce un controllo del tutto diverso e contrastante rispetto a quello previsto per l’attuazione del regolamento di cui trattasi, oltre che inadeguato al fine perseguito, atteso che tale controllo si riferisce non al concreto rispetto da parte dei prestatori di servizi on line degli obblighi previsti da detto regolamento al fine di assicurare la trasparenza e l’equità dei rapporti contrattuali con gli utenti commerciali, bensì a profili soggettivi di detti prestatori.

 

36.      In secondo luogo, da un lato, il giudice del rinvio ritiene che le disposizioni relative all’iscrizione al ROC introducano specificamente un requisito generale per la prestazione di servizi della società dell’informazione e che, pertanto, esse avrebbero dovuto essere comunicate alla Commissione conformemente agli obblighi previsti dalla direttiva 2015/1535. Dall’altro lato, tenuto conto del fatto che, a suo avviso, le misure nazionali in questione appaiono idonee a limitare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione erogati da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, detto giudice non esclude che esse avrebbero dovuto essere notificate alla Commissione, conformemente all’obbligo previsto all’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), secondo trattino, della direttiva 2000/31.

 

37.      In terzo luogo, il giudice del rinvio si riferisce al principio della libera prestazione dei servizi di cui all’articolo 56 TFUE, come definito dalle direttive 2000/31 e 2006/123, e ritiene che l’obbligo di iscrizione al ROC possa integrare una restrizione ingiustificata alla libera circolazione dei servizi della società dell’informazione.

 

38.      Più nello specifico, detto giudice osserva che, tenuto conto delle soluzioni previste dalla direttiva 2000/31 per i servizi della società dell’informazione, l’obbligo di iscrizione al ROC previsto dalla legge n. 178/2020 e dalla delibera n. 200/2021 nonché l’imposizione di un contributo economico appaiono tali da rappresentare una restrizione alla libera circolazione dei servizi della società dell’informazione in quanto imposti da uno Stato membro diverso da quello di stabilimento del prestatore.

 

39.      Inoltre, detto giudice indica, sempre nel contesto del principio della libera prestazione dei servizi, che la direttiva 2006/123 prevede, essenzialmente, che gli Stati membri non possono restringere la libera circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro. Richiamandosi alla sentenza Schnitzer (27), esso osserva che l’imposizione a un siffatto prestatore di obblighi di iscrizione al ROC e di versamento di un contributo economico può violare detto principio poiché tali obblighi comportano oneri economici ed amministrativi che possono alterare il mercato comune e ritardare, complicare o rendere più onerosa la prestazione dei servizi nello Stato membro ospitante.

 

40.      In tale contesto, con ordinanze del 10 ottobre 2022, pervenute alla cancelleria della Corte, rispettivamente, il 19 e il 21 ottobre 2022, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

 

«1)      Se il [regolamento 2019/1150] osta ad una disposizione nazionale che, al fine di promuovere l’equità e la trasparenza in favore degli utenti commerciali di servizi di intermediazione on line, anche mediante l’adozione di linee guida, la promozione di codici di condotta e la raccolta di informazioni pertinenti, impone ai [prestatori di servizi online] l’iscrizione in un registro, comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico, oltre alla sottoposizione a sanzioni in caso di suo inadempimento;

 

2)      se la [direttiva 2015/1535] impone agli Stati membri di comunicare alla Commissione i provvedimenti con cui viene previsto a carico dei [prestatori di servizi on line] l’obbligo di iscrizione in un registro, comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico, oltre alla sottoposizione a sanzioni in caso di suo inadempimento; in caso positivo, se [detta] direttiva consenta ad un privato di opporsi all’applicazione nei suoi confronti delle misure non notificate alla Commissione;

 

3)      se l’articolo 3 della direttiva [2000/31] osta all’adozione da parte di autorità nazionali di disposizioni che, al fine di promuovere l’equità e la trasparenza in favore degli utenti commerciali di servizi di intermediazione on line, anche mediante l’adozione di linee guida, la promozione di codici di condotta e la raccolta di informazioni pertinenti, prevedono per gli operatori, stabiliti in altro paese europeo, oneri aggiuntivi di tipo amministrativ[o] e pecuniario, quale l’iscrizione in un registro, comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico, oltre alla sottoposizione a sanzioni in caso di suo inadempimento;

 

4)      se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’articolo 56 TFUE e l’articolo 16 della direttiva [2006/123] ostano all’adozione da parte di autorità nazionali di disposizioni che, al fine di promuovere l’equità e la trasparenza in favore degli utenti commerciali di servizi di intermediazione on line, anche mediante l’adozione di linee guida, la promozione di codici di condotta e la raccolta di informazioni pertinenti, prevedono per gli operatori, stabiliti in altro paese europeo, oneri aggiuntivi di tipo amministrativ[o] e pecuniario, quale l’iscrizione in un registro, comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico, oltre alla sottoposizione a sanzioni in caso di suo inadempimento;

 

5)      se l’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), [della] direttiva [2000/31] impone agli Stati membri di comunicare alla Commissione i provvedimenti con cui viene previsto a carico dei [prestatori di servizi online] l’obbligo di iscrizione in un registro, comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico, oltre alla sottoposizione a sanzioni in caso di suo inadempimento; in caso positivo, se [detta] direttiva consenta ad un privato di opporsi all’applicazione nei suoi confronti delle misure non notificate alla Commissione».

 

B.      Cause riunite C-664/22 e C-666/22

 

41.      La Google Ireland Limited (in prosieguo: «Google»), avente la propria sede legale in Irlanda, offre servizi di pubblicità online e gestisce l’omonimo motore di ricerca in tutto lo Spazio economico europeo (SEE).

 

42.      Con provvedimento del 25 giugno 2019, l’AGCOM ha provveduto all’iscrizione d’ufficio di Google al ROC, con la motivazione che detta società era un operatore che esercitava l’attività di intermediazione pubblicitaria sul web e, pur avendo sede legale all’estero, conseguiva ricavi in Italia.

 

43.      A seguito di detta iscrizione, con provvedimento del 9 novembre 2020, l’AGCOM ha imposto a Google il pagamento di un contributo ai suoi oneri di funzionamento per l’anno 2020.

 

44.      Google ha impugnato i suddetti provvedimenti dell’AGCOM dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio.

 

45.      A seguito delle modifiche del contesto normativo nazionale risultanti dalla legge n. 178/2020 e dalla delibera n. 200/2021, adottate dal legislatore italiano e dall’AGCOM, in particolare nell’ottica di assicurare il rispetto del regolamento 2019/1150, Google ha modificato le proprie conclusioni al fine di chiedere anche l’annullamento di detta delibera nella parte in cui essa ha esteso l’obbligo di iscrizione al ROC ai fornitori di servizi online.

 

46.      La Eg Vacation Rentals Ireland Limited (in prosieguo: la «EGVR»), la cui sede legale è sita in Irlanda, gestisce e opera una piattaforma online e svariati strumenti e funzioni disponibili attraverso tale piattaforma che consentono, da un lato, ai proprietari e ai gestori di immobili di pubblicare annunci relativi a beni e, dall’altro, ai viaggiatori di selezionare tali beni e di interagire con i proprietari e i gestori ai fini della loro locazione.

 

47.      Le modifiche del contesto normativo nazionale citate al paragrafo 45 delle presenti conclusioni hanno avuto l’effetto di assoggettare la EGVR all’obbligo di iscriversi al ROC e di comunicare, di conseguenza, una serie di informazioni all’AGCOM, oltre che di versare a quest’ultima un contributo economico. La EGVR ha presentato un ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio volto ad ottenere l’annullamento della delibera n. 200/2021.

 

48.      Dinanzi al giudice del rinvio, Google e la EGVR deducono che la legge n. 178/2020 e la delibera n. 200/2021, in quanto impongono loro gli obblighi di cui trattasi, violano il principio della libera prestazione dei servizi, il regolamento 2019/1150 e talune direttive.

 

49.      A tale riguardo, il giudice del rinvio rileva, in primo luogo, invocando le direttive 2000/31 e 2006/123, per le medesime ragioni illustrate nei paragrafi da 37 a 39 delle presenti conclusioni, che la libera circolazione dei servizi che dette direttive mirano a garantire può essere rimessa in discussione dagli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali.

 

50.      In secondo luogo, ritenendo che le disposizioni relative all’iscrizione al ROC introducano un requisito generale per la prestazione di servizi della società dell’informazione e appaiano in grado di limitare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione erogati da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, per le medesime ragioni indicate al paragrafo 36 delle presenti conclusioni, il giudice del rinvio si chiede se le misure di cui trattasi nei procedimenti principali siano soggette agli obblighi di notifica previsti dalle direttive 2000/31 e 2015/1535.

 

51.      In terzo luogo, proponendo il medesimo argomento contenuto nel paragrafo 35 delle presenti conclusioni, il giudice del rinvio osserva che il regolamento 2019/1150 introduce una serie di norme al fine di garantire un contesto commerciale online equo, prevedibile, sostenibile e sicuro nell’ambito del mercato interno. Esso ricorda che tale regolamento prevede, al suo articolo 15, che ciascuno Stato membro garantisce l’adeguata ed efficace applicazione di detto regolamento e adotta le misure applicabili alle violazioni del medesimo, misure che devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Esso osserva che, a parere del legislatore nazionale, gli obblighi imposti alle ricorrenti nel procedimento principale sono giustificati dal compito affidato all’AGCOM, che è quello di determinare e di raccogliere presso gli operatori del settore di mercato sottoposto alla sua vigilanza i dati contabili ed extracontabili considerati pertinenti ai fini dell’esercizio delle sue funzioni istituzionali. Per il giudice del rinvio si pone la questione se tale finalità giustifichi l’iscrizione al ROC e gli obblighi e i divieti che ne derivano e se gli obblighi e i divieti imposti alle ricorrenti nei procedimenti principali rispettino il principio di proporzionalità.

 

52.      In tale contesto, con ordinanze del 10 ottobre 2022, pervenute alla cancelleria della Corte il 21 ottobre 2022, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

 

«1)      Se il diritto dell’Unione europea osti all’applicazione di disposizioni nazionali, come quelle di cui all’articolo 1, commi [da] 515 [a] 517 della legge [del] 30 dicembre 2020, n. 178 che prevedono per gli operatori, stabiliti in altro paese europeo ma operanti in Italia, oneri aggiuntivi di tipo amministrativo e pecuniario quale l’iscrizione in uno specifico Registro e l’imposizione di un contributo economico; in particolare se tale disposizione nazionale violi l’articolo 3 della direttiva [2000/31] in base alla quale un prestatore di servizi della società dell’informazione è soggetto alla legislazione (…) dello Stato membro in cui è stabilito il prestatore;

 

2)      se il diritto dell’Unione europea osti all’applicazione di disposizioni nazionali, come quella di cui all’articolo 1, commi [da] 515 [a] 517 della legge [del] 30 dicembre 2020, n. 178 che prevede per gli operatori, stabiliti in altro paese europeo, oneri aggiuntivi di tipo amministrativo e pecuniario; in particolare se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’articolo 56 [TFUE], nonché gli analoghi principi desumibili dalle direttive [2006/123] e [2000/31], ostino ad una misura nazionale che preveda, a carico degli intermediari operanti in Italia ma non ivi stabiliti, l’iscrizione ad un registro che comporti oneri aggiuntivi rispetto a quelli previsti nel paese di origine per l’esercizio della medesima attività;

 

3)      se il diritto dell’Unione europea e in particolare la direttiva [2015/1535] imponeva allo Stato italiano di comunicare alla Commissione l’introduzione dell’obbligo di iscrizione al ROC, previsto a carico dei [prestatori di servizi online] e – in particolare – se l’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), secondo trattino, della direttiva 2000/31 dev’essere interpretato nel senso che un privato, stabilito in uno Stato membro diverso dall’Italia, può opporsi al fatto che siano applicate nei suoi confronti le misure adottate dal legislatore italiano (all’articolo 1, commi [da] 515 [a] 517 della legge [del] 30 dicembre 2020, n. 178) suscettibili di limitare la libera circolazione di un servizio della società dell’informazione, quando queste misure non sono state notificate conformemente a detta disposizione;

 

4)      se il regolamento [2019/1150] e, in particolare, l’articolo 15, nonché il principio di proporzionalità ostino a una normativa di uno Stato membro o ad una misura adottata da un’Autorità indipendente nazionale che obblighi i fornitori di servizi di intermediazione online operanti in uno Stato membro a iscriversi nel [ROC], cui seguono una serie di obblighi di carattere formale e procedimentale, obblighi contributivi e divieti di conseguimento di utili oltre un determinato ammontare».

 

C.      Causa C-663/22

 

53.      La Expedia Inc. è una società con sede a Seattle (Stati Uniti d’America) che gestisce piattaforme informatiche attraverso le quali vengono forniti servizi di prenotazioni alberghiere e viaggi online.

 

54.      Con delibera n. 161/2021, l’AGCOM ha esteso, quando siano operanti sul territorio italiano, ai prestatori di servizi di intermediazione online – categoria nella quale, secondo la domanda di pronuncia pregiudiziale, pacificamente rientra la Expedia – l’obbligo di comunicarle l’IES.

 

55.      Detta delibera è stata espressamente adottata nell’esercizio della funzione, riconosciuta all’AGCOM dall’articolo 1, comma 6, lettera c), numero 14 bis, della legge n. 249/1997, di garantire l’adeguata ed efficace applicazione del regolamento 2019/1150, anche mediante la raccolta annuale di informazioni pertinenti.

 

56.      La Expedia ha presentato un ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio volto ad ottenere l’annullamento della delibera n. 161/2021. Detta società sostiene che il regolamento 2019/1150 non prevede la sua attuazione mediante la delibera n. 161/2021. Poiché detto regolamento introdurrebbe una misura di armonizzazione ispirata dal principio di proporzionalità, esso non consentirebbe un inasprimento dei requisiti procedurali imposti agli operatori a prescindere dal fatto che essi siano stabiliti o meno all’interno dell’Unione.

 

57.      Il giudice del rinvio solleva dubbi quanto alla compatibilità dell’obbligo di trasmissione dell’IES previsto dalla normativa nazionale con il regolamento 2019/1150.

 

58.      Riferendosi agli articoli 15 e 16 del regolamento 2019/1150, detto giudice osserva che l’IES, che è stata estesa ai prestatori di servizi online proprio con l’obiettivo di raccogliere annualmente informazioni pertinenti e svolgere le attività tese ad assicurare l’adeguata ed efficace applicazione del suddetto regolamento, implica la trasmissione di informazioni vertenti principalmente sui ricavi dei prestatori interessati. Orbene, queste informazioni non contengono alcuna indicazione quanto al rispetto degli obblighi previsti dal regolamento di cui trattasi, né quanto alla trasparenza e all’equità dei rapporti tra i prestatori e gli utenti commerciali. L’ordinamento giuridico interno sembra quindi introdurre un controllo del tutto diverso e contrastante rispetto a quello previsto per l’attuazione del medesimo regolamento, oltre che inadeguato rispetto al fine perseguito, in quanto detto controllo riguarda la situazione economica dei fornitori e non invece il concreto rispetto da parte dei suddetti fornitori degli obblighi previsti dal regolamento 2019/1150 al fine di assicurare la trasparenza e l’equità dei rapporti contrattuali con gli utenti commerciali.

 

59.      In tale contesto, con ordinanza del 10 ottobre 2022, pervenuta alla cancelleria della Corte il 19 ottobre 2022, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

 

«1)      Se il [regolamento 2019/1150] e, in particolare, l’articolo 15, nonché il principio di proporzionalità ostino a una normativa di uno Stato membro o ad una misura adottata da un’Autorità indipendente nazionale – come quelle indicate in parte motiva – che obblighi i [prestatori] di servizi di intermediazione online esteri a fornire un’informativa che contenga informazioni estranee alle finalità [di detto] regolamento.

 

2)      Se in ogni caso, le informazioni richieste tramite la trasmissione dell’IES possono ritenersi pertinenti e strumentali ai fini della adeguata ed efficace attuazione del [regolamento 2019/1150]».

 

D.      Causa C-665/22

 

60.      Amazon gestisce una piattaforma online finalizzata a mettere in contatto venditori terzi e consumatori per consentire lo svolgimento di transazioni tra gli stessi finalizzate alla vendita di beni.

 

61.      Le modifiche del contesto normativo nazionale risultanti dalla legge n. 178/2020 e dalla delibera n. 161/2021, adottate rispettivamente dal legislatore italiano e dall’AGCOM, in particolare nell’ottica di assicurare il rispetto del regolamento 2019/1150, hanno avuto l’effetto di assoggettare Amazon, nella sua veste di fornitore di servizi di intermediazione online, all’obbligo di trasmettere l’IES all’AGCOM.

 

62.      Amazon ha presentato un ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio volto ad ottenere, segnatamente, l’annullamento della delibera n. 161/2021. Dinanzi al giudice del rinvio, Amazon ha sostenuto che la delibera n. 161/2021, in quanto le impone l’obbligo di trasmettere l’IES all’AGCOM, viola il principio della libera prestazione dei servizi, il regolamento 2019/1150 e talune direttive.

 

63.      Le ricorrenti nelle cause C-663/22 e C-665/22 chiedono l’annullamento della delibera n. 161/2021. Occorre osservare che, a differenza della ricorrente nella prima causa, quella nella seconda causa è stabilita in uno Stato membro e sostiene che la delibera di cui trattasi viola, non solo il regolamento 2019/1150, ma anche il principio della libera prestazione dei servizi, nonché talune direttive.

 

64.      A tale riguardo, in primo luogo, per quanto attiene al regolamento 2019/1150 e alla sua interpretazione, il giudice del rinvio manifesta dubbi simili a quelli sollevati nella causa C-663/22 (28).

 

65.      In secondo luogo, per quanto concerne il principio della libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, detto giudice ritiene che l’obbligo di comunicare l’IES all’AGCOM previsto dalla delibera n. 161/2021 possa costituire, alla luce della direttiva 2000/31, una restrizione lesiva di detto principio. Esso aggiunge che non sembra che ricorrano le condizioni, enunciate all’articolo 3, paragrafo 4, di detta direttiva, che consentono allo Stato membro di introdurre limitazioni, avuto anche riguardo al principio di proporzionalità. Perciò, a suo avviso, pur ritenendo che la comunicazione dell’IES all’AGCOM sia stata prevista per dare attuazione al regolamento 2019/1150, e quindi a tutela indiretta dei consumatori, la richiesta di informazioni concernenti i ricavi è del tutto sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, poiché tali informazioni non riguardano l’attuazione di detto regolamento né il rispetto degli obblighi ivi previsti.

 

66.      Inoltre, per quanto attiene a detto principio, il giudice del rinvio rileva che, indipendentemente dall’applicabilità della direttiva 2000/31, la direttiva 2006/123, più generale, dispone, al suo articolo 16, paragrafo 1, che gli Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti e non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i principi enunciati in detta disposizione.

 

67.      In terzo luogo, il giudice del rinvio ritiene, da un lato, che, tenuto conto degli obblighi degli Stati membri previsti dalla direttiva 2015/1535, le disposizioni relative alla trasmissione dell’IES introducano un requisito generale per la prestazione di servizi della società dell’informazione e avrebbero dovuto, pertanto, essere comunicate alla Commissione. Esso afferma che la delibera n. 161/2021 è precipuamente diretta a disciplinare i servizi della società dell’informazione e, in particolare, i servizi di intermediazione online e i motori di ricerca online. Dall’altro lato, detto giudice osserva che l’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), secondo trattino, della direttiva 2000/31 prevede che l’intenzione di adottare provvedimenti che integrano restrizioni alla libera circolazione dei servizi della società dell’informazione deve essere notificata alla Commissione e allo Stato membro ove l’impresa è stabilita.

 

68.      In tale contesto, con ordinanza del 10 ottobre 2022, pervenuta alla cancelleria della Corte il 21 ottobre 2022, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

 

«1)      Se il regolamento (…) 2019/1150 osta ad una disposizione nazionale che, allo specifico fine di assicurare l’adeguata ed efficace attuazione del regolamento medesimo, anche mediante la raccolta di informazioni pertinenti, impone ai [prestatori di servizi online] di trasmettere periodicamente rilevanti informazioni sui propri ricavi;

 

2)      se, in base al regolamento (...) 2019/1150, le informazioni previste dall’[IES], relative principalmente ai ricavi conseguiti, possono ritenersi pertinenti e strumentali rispetto al fine perseguito dal regolamento medesimo;

 

3)      se la direttiva (...) 2015/1535 impone agli Stati membri di comunicare alla Commissione i provvedimenti con cui viene previsto a carico dei [prestatori di servizi online] l’obbligo di trasmissione di un’informativa contenente rilevanti informazioni sui propri ricavi, la cui violazione determina l’applicazione di sanzioni pecuniarie; in caso positivo, se la direttiva consenta ad un privato di opporsi all’applicazione nei suoi confronti delle misure non notificate alla Commissione;

 

4)      se l’articolo 3 della [direttiva 2000/31] osta all’adozione da parte di autorità nazionali di disposizioni che, al dichiarato fine di assicurare l’attuazione del regolamento [2019/1150], prevedono per gli operatori, stabiliti in altro paese europeo ma operanti in Italia, oneri aggiuntivi di tipo amministrativo e pecuniario, quale la trasmissione di un’informativa contenente rilevanti informazioni sui propri ricavi, la cui violazione determina l’applicazione di sanzioni pecuniarie;

 

5)      se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’articolo 56 TFUE e l’articolo 16 della direttiva [2006/123] e [la direttiva 2000/31] ostano all’adozione da parte di autorità nazionali di disposizioni che, al dichiarato fine di assicurare l’attuazione del regolamento [2019/1150], prevedono per gli operatori, stabiliti in altro paese europeo, oneri aggiuntivi di tipo amministrativo e pecuniario, quale la trasmissione di un’informativa contenente rilevanti informazioni sui propri ricavi, la cui violazione determina l’applicazione di sanzioni pecuniarie;

 

6)      se l’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), [della] direttiva [2000/31] impone agli Stati membri di comunicare alla Commissione i provvedimenti con cui viene previsto a carico dei [prestatori di servizi online] l’obbligo di trasmissione di un’informativa contenente rilevanti informazioni sui propri ricavi, la cui violazione determina l’applicazione di sanzioni pecuniarie; in caso positivo, se la direttiva consenta ad un privato di opporsi all’applicazione nei suoi confronti delle misure non notificate alla Commissione».

 

IV.    Procedimenti dinanzi alla Corte

 

69.      Le ricorrenti nei procedimenti principali e i governi italiano, ceco e irlandese, nonché la Commissione, hanno presentato osservazioni scritte in tutte le cause. Nell’ambito di dette cause non è stata svolta alcuna udienza.

 

70.      Con decisioni del presidente della Corte del 7 dicembre 2022, le cause C-662/22 e C-667/22, da un lato, e le cause C-664/22 e C-666/22, dall’altro, sono state riunite ai fini della fase scritta e della fase orale del procedimento, oltre che ai fini della sentenza. Le cause C-663/22 e C-665/22 non sono state oggetto di una decisione analoga.

 

71.      Conformemente alla richiesta della Corte e tenuto conto dei punti comuni esistenti tra queste cause, è apparso opportuno presentare al riguardo conclusioni comuni.

 

V.      Analisi

 

72.      Le presenti cause traggono origine dalle domande di annullamento, presentate dalle ricorrenti nei procedimenti principali, di misure nazionali che introducono a loro carico taluni obblighi. In sostanza, gli obblighi di cui trattasi nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22 e nelle cause riunite C-664/22 e C-666/22 riguardano l’iscrizione al ROC, che comporta la trasmissione di rilevanti informazioni sulla struttura dei prestatori interessati (29) e il pagamento di un contributo annuale all’AGCOM, mentre quelli di cui trattasi nelle cause C-663/22 e C-665/22 riguardano la comunicazione dell’IES. Tali obblighi sono imposti dalla normativa nazionale che, quantomeno in parte, è pertinente per tutte queste cause (30).

 

73.      Inoltre, la maggior parte delle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte nell’ambito delle presenti cause si riassume, in sostanza, in tre questioni tra loro collegate.

 

74.      La prima è intesa a sapere se il regolamento 2019/1150 osti a misure nazionali con cui il legislatore di uno Stato membro impone, al dichiarato fine di assicurare l’attuazione del regolamento di cui trattasi, taluni obblighi a carico dei prestatori di servizi online (titolo B).

 

75.      La seconda è volta a stabilire se, alla luce del principio della libera circolazione dei servizi enunciato all’articolo 56 TFUE, e delle direttive 2000/31 e 2006/123, gli obblighi di cui trattasi in tutte queste cause possano essere imposti a un prestatore di servizi online stabilito in uno Stato membro diverso da quello che ha imposto tali obblighi (titolo C).

 

76.      La terza questione è intesa a chiarire se misure nazionali recanti gli obblighi di cui trattasi avrebbero dovuto essere notificate alla Commissione, in conformità agli obblighi sanciti dalle direttive 2000/31 e 2015/1535 (titolo D).

 

77.      Preciso che la domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa C-663/22 riguarda soltanto la prima di queste tre questioni. Infatti, la ricorrente nel procedimento principale in detta causa non è stabilita in uno Stato membro e sono propenso a pensare che per questa ragione le questioni sollevate dal giudice del rinvio riguardino unicamente il regolamento 2019/1150. Infatti, i meccanismi di cui all’articolo 56 TFUE e alle direttive 2000/31 e 2006/123 in materia di libera circolazione dei servizi non trovano applicazione ai prestatori stabiliti in uno Stato terzo rispetto all’Unione (31). Il giudice del rinvio non solleva nemmeno questioni concernenti la direttiva 2015/1535.

 

78.      Prima di analizzare queste tre questioni, occorre soffermarsi sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali nelle cause C-663/22 e C-665/22 (titolo A).

 

A.      Sulla ricevibilità

 

1.      Nella causa C-663/22

 

79.      Il governo italiano mette in dubbio la ricevibilità delle questioni pregiudiziali nella causa C-663/22. Infatti, secondo detto governo, le due questioni sollevate sono contraddittorie poiché il giudice del rinvio, da un lato, afferma, senza spiegarne le ragioni, che l’obbligo di trasmettere l’IES all’AGCOM non è collegato con l’attuazione del regolamento 2019/1150 e, dall’altro, chiede alla Corte di esaminare la pertinenza e l’utilità delle informazioni da fornire mediante l’IES alla luce dell’obiettivo del regolamento di cui trattasi, il che implicherebbe il compimento di valutazioni in punto di fatto che non rientrano nella sfera di competenza della Corte, bensì in quella del giudice del rinvio.

 

80.      A questo proposito, in primo luogo, comprendo la posizione del governo italiano nel senso che la contraddizione da esso eccepita scaturisce dal fatto che il giudice del rinvio, da un lato, indica che le informazioni contenute in una IES sono «estranee alle finalità del regolamento 2019/1150» (prima questione pregiudiziale) e, dall’altro, chiede se dette informazioni possano essere pertinenti e strumentali ai fini della «adeguata ed efficace» attuazione di detto regolamento (seconda questione pregiudiziale), aspetto questo che la Corte dovrebbe determinare sulla base delle proprie valutazioni in punto di fatto.

 

81.      Certamente, si potrebbe leggere la seconda questione pregiudiziale nel senso che, con essa, il giudice del rinvio domanda se, indipendentemente dalla risposta da dare alla prima questione, la delibera n. 161/2021 rientri nelle competenze dell’AGCOM. Infatti, nella motivazione della domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio osserva che la legge n. 178/2020 attribuisce all’AGCOM esclusivamente la funzione di garantire l’adeguata ed efficace applicazione del regolamento 2019/1150. Tuttavia, la medesima terminologia è impiegata nell’articolo 15, paragrafo 1, di tale regolamento, invocato nella prima questione, secondo cui ogni Stato membro garantisce l’adeguata ed efficace applicazione di detto regolamento. Anche ammettendo che la contraddizione di cui trattasi esista, si può obiettare che essa trova la sua origine nei dubbi che il giudice del rinvio nutre in merito all’interpretazione corretta del medesimo regolamento.

 

82.      In tali circostanze, propongo di analizzare congiuntamente le due questioni pregiudiziali dal solo punto di vista pertinente nel diritto dell’Unione, vale a dire quello del regolamento 2019/1150, esaminando se detto regolamento osti a misure come quelle risultanti dalla legge n. 178/2020. In questo caso, la contraddizione rilevata dal governo italiano non si presenta e, comunque, non può comportare l’irricevibilità delle questioni pregiudiziali.

 

83.      In secondo luogo, per quanto attiene alla considerazione svolta dal governo italiano secondo cui la formulazione delle questioni pregiudiziali invita la Corte a compiere valutazioni in punto di fatto, occorre osservare che, benché la Corte non possa interpretare le norme di diritto interno di uno Stato membro, essa può fornire al giudice del rinvio i chiarimenti richiesti in merito alle disposizioni del diritto dell’Unione che possono ostare a dette norme.

 

2.      Nella causa C-665/22

 

84.      Il governo italiano sostiene che la seconda questione pregiudiziale nella causa C-665/22 è irricevibile sulla base del rilievo che, con essa, il giudice del rinvio inviterebbe la Corte a pronunciarsi sull’utilità degli obblighi di cui trattasi ai fini della corretta applicazione del regolamento 2019/1150. Orbene, secondo detto governo, tale operazione ermeneutica, implicando accertamenti in punto di fatto, rientrerebbe nella competenza del giudice nazionale, che omette del tutto di spiegare perché la richiesta di informazioni non debba essere considerata pertinente né utile.

 

85.      A tale riguardo, occorre certamente osservare che la Corte non può interpretare le norme di diritto interno di uno Stato membro. Tuttavia, come ho ricordato al paragrafo 83 delle presenti conclusioni, essa può fornire al giudice del rinvio i chiarimenti necessari con riferimento alle disposizioni del diritto dell’Unione che possono ostare a dette norme.

 

86.      Ne consegue che le questioni pregiudiziali nella causa C-663/22 e la seconda questione pregiudiziale nella causa C-665/22 sono ricevibili.

 

B.      Sul regolamento 2019/1150

 

87.      Talune delle questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio nelle presenti cause vertono sul regolamento 2019/1150 (32).

 

88.      Benché esse non siano formulate in maniera identica e benché non vertano sui medesimi provvedimenti nazionali, le questioni di cui trattasi vertono sulla questione se, in sostanza, il regolamento 2019/1150 osti a provvedimenti nazionali adottati al dichiarato fine di assicurare l’attuazione di detto regolamento.

 

89.      Più nello specifico, gli obblighi in questione nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22 e nelle cause riunite C-664/22 e C-666/22, vale a dire quelli relativi all’iscrizione al ROC e al pagamento di un contributo annuale all’AGCOM, sono stati estesi ai prestatori di servizi online a motivo dell’attuazione del regolamento 2019/1150 «al fine di promuovere l’equità e la trasparenza in favore degli utenti commerciali di servizi di intermediazione online» (33). Parimenti, l’obbligo di cui trattasi nelle cause C-663/22 e C-665/22, vale a dire quello di trasmettere l’IES all’AGCOM (alle autorità italiane), è stato imposto ai fornitori di servizi online al dichiarato fine di assicurare l’attuazione del regolamento 2019/1150 (34).

 

90.      Certamente, tenuto conto delle altre questioni sottoposte alla Corte nelle presenti cause, è opportuno chiedersi anzitutto se le disposizioni volte a dare attuazione al regolamento 2019/1150 prevalgano sui meccanismi accolti dalle direttive 2000/31 e 2006/123 per quanto attiene alla libera circolazione dei servizi e su quelli accolti in detta prima direttiva e nella direttiva 2015/1535 con riferimento agli obblighi di notifica previsti da queste ultime. Infatti, queste tre direttive possono impedire a uno Stato membro di imporre le proprie regole ai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro. Pertanto, se, da un lato, i provvedimenti nazionali oggetto dei procedimenti principali ricadono nell’ambito di applicazione di una delle suddette direttive e quest’ultima impedisce a uno Stato membro di imporre detti provvedimenti a un prestatore stabilito in uno Stato membro e se, dall’altro, le medesime direttive non prevedono alcuna deroga per il regolamento 2019/1150 e i provvedimenti nazionali che danno ad esso attuazione, poco importa che gli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali derivino o meno da provvedimenti di applicazione di detto regolamento.

 

91.      Tuttavia, le direttive 2000/31 e 2006/123 non sembrano trovare applicazione nella causa C-663/22 (35), cosicché il giudice del rinvio, per pronunciarsi nel procedimento principale in detta causa, deve applicare unicamente il regolamento 2019/1150. Infatti, detto regolamento si applica anche ai prestatori di servizi di intermediazione online stabiliti in uno Stato terzo, a condizione che i loro utenti commerciali siano stabiliti nell’Unione e offrano i loro beni o servizi a consumatori situati nell’Unione (36).

 

92.      In tale contesto, in primo luogo, per quanto attiene alle cause diverse dalla causa C-663/22, si pone anzitutto la questione se gli strumenti del diritto dell’Unione relativi alla libera circolazione dei servizi, come, segnatamente, la direttiva 2000/31, o quelli relativi all’obbligo di notifica, come, segnatamente, la direttiva 2015/1535, impediscano a uno Stato membro di imporre obblighi come quelli di cui trattasi nel procedimento principale a un prestatore stabilito in un altro Stato membro. In secondo luogo, in caso affermativo, occorrerebbe affrontare la questione se dette direttive riservino un trattamento diverso alle misure di applicazione del regolamento 2019/1150. Qualora si rispondesse in senso negativo a quest’ultima questione, non occorrerebbe chiedersi se gli obblighi di cui trattasi in tutte le cause traggano origine da misure di applicazione di detto regolamento. Analizzerò tali questioni nelle parti delle presenti conclusioni dedicate, rispettivamente, alla libera circolazione dei servizi (titolo C) e agli obblighi di notifica (titolo D).

 

93.      Per quanto attiene alla causa C-663/22, si tratta di stabilire se il regolamento 2019/1150 e, segnatamente, i suoi articoli 15 e 16 debbano essere interpretati nel senso che essi giustificano l’adozione di una normativa nazionale che impone ai prestatori di servizi online l’obbligo di presentare periodicamente una dichiarazione contenente informazioni sulla loro situazione economica e che prevede sanzioni in caso di inadempimento. La presente prima parte di queste conclusioni (titolo B) è dedicata a detta questione.

 

1.      Attuazione di un regolamento

 

94.      Occorre ricordare che un regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, cosicché le sue disposizioni non necessitano, in linea di principio, di alcuna misura di applicazione degli Stati membri. Tuttavia, talune delle sue disposizioni possono richiedere, per la loro attuazione, l’adozione di tali misure (37). Uno Stato membro può, quindi, adottare misure nazionali di attuazione di un regolamento anche se quest’ultimo non lo autorizza espressamente a farlo (38).

 

95.      Deve farsi riferimento alle disposizioni pertinenti del regolamento in questione, interpretate alla luce degli obiettivi del medesimo, al fine di stabilire se queste ultime vietino, impongano o consentano agli Stati membri di emanare talune misure di attuazione e, in particolare, in quest’ultima ipotesi, se la misura di cui trattasi rientri nel margine di discrezionalità riconosciuto a ciascuno Stato membro (39).

 

96.      Con le misure di applicazione gli Stati membri non possono ostacolare l’applicabilità diretta di un regolamento, dissimulare la sua natura di atto di diritto dell’Unione o oltrepassare i limiti delle sue disposizioni (40). Quando l’attuazione di un regolamento spetta alle autorità nazionali, il ricorso alle norme nazionali è possibile solo nella misura necessaria all’applicazione corretta di detto regolamento e nella misura in cui l’applicazione delle norme nazionali non ne menomi la portata e l’efficacia (41).

 

97.      In sede di tale attuazione, gli Stati membri sono tenuti ad osservare il rispetto dei principi generali del diritto dell’Unione (42), come, segnatamente, il principio di proporzionalità. Infatti, tale principio, che deve essere rispettato in particolare dalle autorità legislative e di regolamentazione degli Stati membri in sede di applicazione del diritto dell’Unione, esige che i mezzi approntati da una disposizione siano idonei a realizzare l’obiettivo perseguito dalla normativa dell’Unione di cui trattasi e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerlo.

 

98.      Alla luce di queste osservazioni occorre, in un primo momento, esaminare l’obiettivo del regolamento 2019/1150 e individuarne le disposizioni pertinenti ai fini della sua attuazione da parte degli Stati membri e, su tale base, in un secondo momento, fornire al giudice del rinvio indicazioni più precise che gli consentano di verificare se le misure con cui il legislatore nazionale ha imposto gli obblighi di cui trattasi costituiscano effettivamente misure di applicazione di detto regolamento e siano idonee e necessarie alla realizzazione dell’obiettivo considerato.

 

2.      Regolamento 2019/1150 e suo obiettivo

 

99.      L’obiettivo del regolamento 2019/1150 è quello di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno garantendo un contesto commerciale online equo, prevedibile, sostenibile e sicuro nell’ambito del mercato interno (43). A tal fine, detto regolamento fissa le regole che disciplinano i rapporti tra, da un lato, i prestatori di servizi online e, dall’altro, gli utenti commerciali di detti servizi e gli utenti titolari di siti web aziendali che siano in relazione con motori di ricerca online, affinché i suddetti servizi siano prestati in maniera trasparente ed equa e affinché tali utenti professionali possano aver fiducia nei medesimi servizi (44).

 

100. Più nello specifico, il regolamento 2019/1150 prevede obblighi mirati per quanto concerne il contenuto dei termini e delle condizioni e la loro modifica (articolo 3), la limitazione, la sospensione e la cessazione di un servizio (articolo 4), la trasparenza dei posizionamenti (articolo 5), i prodotti e servizi accessori (articolo 6), il trattamento differenziato (articolo 7), le clausole contrattuali specifiche abusive (articolo 8), l’accesso ai dati (articolo 9) e i reclami e la mediazione (articoli da 11 a 14).

 

101. La maggior parte di questi obblighi riguarda i prestatori di servizi di intermediazione. I fornitori di motori di ricerca online sono considerati soltanto nelle disposizioni del regolamento 2019/1150 relative al posizionamento (articolo 5), al trattamento differenziato (articolo 7) e ai procedimenti giudiziari aventi ad oggetto azioni in materia di inadempienza delle prescrizioni previste da detto regolamento (articolo 14).

 

102. A questo proposito, in base alle informazioni contenute nelle domande di pronuncia pregiudiziale, soltanto la ricorrente nel procedimento principale nella causa C-664/22, vale a dire Google, sembra rientrare nella categoria dei fornitori di motori di ricerca online. Tuttavia, il giudice del rinvio non sembra attribuire particolare importanza alla distinzione compiuta dal regolamento 2019/1150 tra i prestatori di servizi di intermediazione online e i fornitori di motori di ricerca online. Ciò può essere spiegato alla luce del fatto che la normativa nazionale di cui trattasi sembra imporre obblighi identici, o quantomeno analoghi, a queste due categorie di prestatori. E, aspetto questo ancor più importante, nel contesto delle presenti cause le questioni giuridiche sollevate dalle interazioni tra detta normativa nazionale e il diritto dell’Unione sono in ogni caso identiche.

 

103. Per quanto attiene alle disposizioni del regolamento 2019/1150 pertinenti ai fini della sua attuazione da parte degli Stati membri, il giudice del rinvio richiama, giustamente, l’attenzione della Corte sugli articoli 15 e 16 del medesimo.

 

104. Infatti, in un primo momento, l’articolo 16 del regolamento 2019/1150, intitolato «Monitoraggio» ([«Contrôle» in lingua francese], «Überwachung» in lingua tedesca, «Monitoring» in lingua inglese e «Monitorowanie» in lingua polacca), in combinato disposto con l’articolo 18 del medesimo, ripartisce le funzioni tra la Commissione e gli Stati membri per quanto attiene al monitoraggio degli effetti di detto regolamento e alla sua revisione.

 

105. Alla Commissione sono affidati compiti di monitoraggio e revisione. Infatti, detta istituzione, in stretta cooperazione con gli Stati membri, monitora attentamente l’impatto del regolamento 2019/1150 sulle relazioni tra i servizi di intermediazione online e i loro utenti commerciali e tra i motori di ricerca online e i titolari di siti web aziendali (45). Inoltre, la Commissione dovrebbe altresì valutare periodicamente detto regolamento e monitorarne attentamente gli effetti sull’economia delle piattaforme online (46).

 

106. Più nello specifico, la Commissione raccoglie informazioni pertinenti per monitorare l’evoluzione di tali relazioni (47). Detta istituzione può chiedere tali informazioni e quelle necessarie a compiere una revisione del regolamento 2019/1150 ai fornitori di servizi online (48).

 

107. Per quanto attiene agli Stati membri, il loro ruolo consiste nell’«assiste[re] la Commissione [nei suoi compiti di monitoraggio] fornendo, su richiesta, tutte le informazioni pertinenti raccolte, anche riguardo a casi specifici» (49). Il ruolo degli Stati membri così definito riprende il considerando 47, seconda frase, del regolamento 2019/1150, il quale enuncia che «[g]li Stati membri dovrebbero, su richiesta, fornire alla Commissione tutte le informazioni pertinenti di cui dispongono in questo contesto». Una formulazione simile è utilizzata all’articolo 18, paragrafo 3, di detto regolamento, che prevede che gli Stati membri forniscono tutte le informazioni pertinenti «in loro possesso» che la Commissione può chiedere ai fini del suo compito di revisione.

 

108. In un secondo tempo, l’articolo 15 del regolamento 2019/1150, intitolato «Applicazione» ([«Contrôle de l’application»  in lingua francese], «Durchsetzung» in lingua tedesca, «Enforcement» in lingua inglese e «Egzekwowanie» in lingua polacca), letto alla luce del considerando 46 del medesimo (50), prevede, al suo paragrafo 1, che gli Stati membri sono tenuti a garantire l’adeguata ed efficace applicazione di detto regolamento e, al suo paragrafo 2, che gli Stati membri adottano le norme che stabiliscono le misure (efficaci, proporzionate e dissuasive) applicabili alle violazioni di detto regolamento e ne garantiscono l’attuazione. Pertanto, il compito consistente nel monitorare e revisionare il regolamento 2019/1150 è affidato principalmente alla Commissione e quello consistente nel garantire l’adeguata ed efficace applicazione di detto regolamento è affidato agli Stati membri.

 

109. In tal modo, gli Stati membri, da un lato, hanno «la possibilità di incaricare le autorità esistenti, compresi gli organi giurisdizionali, dell’esecuzione del [regolamento 2019/1150]» e, dall’altro, non sono obbligati a prevedere «l’esecuzione d’ufficio o a infliggere ammende» (51).

 

110. Indipendentemente dai diritti degli utenti commerciali e degli utenti titolari di siti web aziendali di adire i giudici nazionali competenti, in conformità del diritto dello Stato membro, allo scopo di porre fine a eventuali inadempienze delle prescrizioni pertinenti del regolamento 2019/1150 (52), per garantire l’efficace applicazione di detto regolamento, si dovrebbe accordare alle organizzazioni e alle associazioni che rappresentano gli utenti commerciali o gli utenti titolari di siti web aziendali come pure, se del caso, a determinati organismi pubblici istituiti negli Stati membri (53), la possibilità di adire i giudici nazionali, in conformità con il diritto nazionale, per far cessare o vietare le violazioni delle norme di detto regolamento (54). Ogni Stato membro deve raccogliere le informazioni relative a detti organismi e comunicarle alla Commissione (55).

 

111. Al fine di rafforzare l’efficacia dei meccanismi attuati, gli Stati membri possono affidare agli organismi pubblici competenti o alle autorità competenti la creazione di registri degli atti illeciti che sono stati oggetto di azioni ingiuntive dinanzi ai tribunali nazionali (56).

 

112. Ne consegue che il regolamento 2019/1150 non impone in maniera categorica il meccanismo con cui la sua attuazione deve essere garantita dagli Stati membri, che possono optare per il meccanismo di applicazione del diritto nella sfera privata (private enforcement) (57) e integrarlo con quello fondato sull’azione delle autorità pubbliche (public enforcement).

 

3.      Raccolta di informazioni e attuazione del regolamento 2019/1150

 

113. Al dichiarato fine di garantire l’attuazione di un atto del diritto dell’Unione, come il regolamento 2019/1150, uno Stato membro può raccogliere soltanto informazioni collegate con gli obblighi ad esso imposti da detto regolamento e con gli obiettivi da esso perseguiti. Infatti, come emerge dai paragrafi 96 e 97 delle presenti conclusioni, le misure di applicazione di un regolamento, la cui attuazione spetta alle autorità nazionali di uno Stato membro, devono essere idonee (adeguate) e necessarie (non superiori a quanto necessario) per realizzare l’obiettivo perseguito dalla normativa dell’Unione.

 

114. Il regolamento 2019/1150 indica, ai suoi articoli 16 e 18, che gli Stati membri possono «essere in possesso» di talune informazioni pertinenti ai fini di monitorare l’impatto di detto regolamento e la sua revisione. Tuttavia, uno Stato membro non può raccogliere informazioni scelte in maniera arbitraria sostenendo che esse potrebbero essere richieste in seguito dalla Commissione nell’esercizio del suo compito di monitoraggio e di revisione. Infatti, raccogliere informazioni sulla base di un siffatto pretesto consentirebbe a uno Stato membro di eludere le condizioni menzionate nel paragrafo precedente. Inoltre, il suddetto regolamento non prevede in capo agli Stati membri un obbligo attivo di raccolta delle informazioni di cui la Commissione potrebbe aver bisogno per svolgere i compiti ad essa affidati. Tali informazioni sono presentate soltanto «su richiesta» di detta istituzione. La Commissione può, d’altro canto, chiedere informazioni ai prestatori di servizi di intermediazione online.

 

115. Per contro, uno Stato membro può disporre di talune informazioni raccolte nell’ambito dell’adempimento del suo obbligo di attuazione del regolamento 2019/1150.

 

116. Infatti, se, per adempiere l’obbligo ad esso incombente in forza dell’articolo 15 del regolamento 2019/1150, uno Stato membro ha optato anche per un meccanismo di attuazione di detto regolamento di «public enforcement», esso dovrebbe essere in grado di fornire all’autorità chiamata a svolgere tale compito le informazioni che le consentono di prevenire o sanzionare le violazioni degli obblighi che il regolamento di cui trattasi prevede in capo ai prestatori di servizi online o, almeno, di individuare tali violazioni e, se del caso, registrarle.

 

117. Seguendo questo ragionamento, poiché ogni Stato membro è tenuto a prevedere un meccanismo di attuazione adeguato ed efficace del regolamento 2019/1150 (di «private enforcement» o anche di «public enforcement»), e, se del caso, a modificare o riordinare il meccanismo esistente tenuto conto dell’evoluzione della situazione sul mercato, ogni Stato membro dovrebbe avere la possibilità di raccogliere le informazioni necessarie a tal fine presso gli operatori economici attivi nel suo territorio.

 

118. A titolo esemplificativo, nelle due fattispecie trattate nei paragrafi 116 e 117 delle presenti conclusioni, tali informazioni possono riguardare le condizioni a cui gli operatori economici prestano i loro servizi (rilevanti per individuare e, se del caso, perseguire le violazioni del regolamento 2019/1150 e valutare la portata del rischio associato a dette violazioni), nonché la dimensione del mercato e il numero di operatori economici ivi operanti (in particolare, per stabilire le risorse necessarie all’attuazione del meccanismo di applicazione di detto regolamento). Inoltre, la raccolta sistematica di tali informazioni consentirebbe di seguire determinate tendenze e, da un lato, di decidere come modificare i meccanismi esistenti nel diritto nazionale per assicurare l’efficacia del regolamento 2019/1150 e, dall’altro, di supportare la Commissione nei suoi compiti di monitoraggio e revisione.

 

4.      Valutazione

 

119. Nel caso di specie, le informazioni che i prestatori di servizi online devono fornire nell’IES riguardano essenzialmente la loro situazione economica.

 

120. A tal riguardo, nella causa C-663/22, il governo italiano sostiene, in un primo momento, che le informazioni contenute nell’IES sono «senz’altro funzionali ai compiti di vigilanza attiva [e] preventiva rispetto ad eventuali distorsioni della concorrenza che non [possono essere svolti] senza la conoscenza completa e puntuale di tutti i soggetti che svolgono l’attività». Detto governo osserva, in un secondo momento, che tali informazioni servono a comprendere nel complesso il valore del mercato italiano, a determinare il peso di ciascun operatore su detto mercato e a comprendere la sua dinamica economica, oltre che a verificare la correttezza e la completezza dei dati forniti (58).

 

121. A questo proposito, in primo luogo, come menzionato al paragrafo 118 delle presenti conclusioni, uno Stato membro può essere interessato a stabilire le dimensioni del mercato dei servizi online. Tuttavia, il valore del mercato e l’importanza degli operatori su tale mercato non costituiscono dati agevolmente utilizzabili per ottenere informazioni pertinenti per raggiungere l’obiettivo del regolamento 2019/1150, vale a dire garantire un contesto commerciale online equo, prevedibile, sostenibile e sicuro nell’ambito del mercato interno. In ogni caso, l’individuazione di eventuali «distorsioni della concorrenza», cui si riferisce il governo italiano, non sembra rientrare nell’obiettivo di detto regolamento. Infatti, esso non pregiudica il diritto dell’Unione applicabile nel settore della concorrenza (59).

 

122. In secondo luogo, le informazioni richieste ai prestatori di servizi online sulla base del regolamento 2019/1150 sono pertinenti piuttosto per gli utenti, in particolare, per quanto attiene alle condizioni del servizio prestato. Per contro, tali prestatori non hanno alcun obbligo di informare gli utenti in merito alla loro situazione economica, cosicché, dal punto di vista di detto regolamento, la questione della correttezza di tali informazioni non si pone.

 

123. In terzo luogo, devo ammettere che fatico a riconoscere il collegamento tra, da un lato, la situazione economica di un prestatore di servizi online e, dall’altro, le modalità di prestazione dei suoi servizi agli utenti commerciali. Se un siffatto legame esiste, esso può essere soltanto indiretto. Infatti, da un lato, il governo italiano stesso reputa che la finalità del regolamento 2019/1150 sia quella di conoscere e di valutare l’equità delle condizioni contrattuali fissate dalle piattaforme agli utenti commerciali in seno all’Unione. Dall’altro lato, non risulta chiaramente come informazioni pertinenti per l’attuazione adeguata ed efficace di detto regolamento possano essere dedotte da informazioni vertenti sulla situazione economica di un fornitore di servizi online.

 

124. Pertanto, senza che si renda necessario pronunciarsi sul principio di proporzionalità, ritengo che il regolamento 2019/1150 non possa essere interpretato nel senso che esso giustifica l’adozione dei provvedimenti nazionali di cui trattasi nella causa C-663/22. Tali provvedimenti nazionali non costituiscono misure di applicazione del regolamento in questione. Infatti, come emerge dalle questioni pregiudiziali in detta causa, l’obiettivo dei suddetti provvedimenti è estraneo a quello di tale regolamento, cosicché non si può ritenere che essi rientrino nei limiti entro i quali uno Stato membro può adottare misure di applicazione dello stesso.

 

125. Propongo, quindi, di rispondere alle questioni pregiudiziali nella causa C-663/22, come riformulate nel paragrafo 93 delle presenti conclusioni, che il regolamento 2019/1150 e, segnatamente, i suoi articoli 15 e 16 devono essere interpretati nel senso che non giustificano l’adozione di una normativa nazionale che impone ai prestatori di servizi online un obbligo di presentare periodicamente una dichiarazione contenente informazioni sulla loro situazione economica e che prevede sanzioni in caso di inadempimento. Nei limiti in cui una siffatta normativa non rientra nell’ambito di applicazione di detto regolamento, quest’ultimo non osta ad essa.

 

5.      Osservazioni aggiuntive

 

126. La risposta da me appena formulata non indica che il regolamento 2019/1150 osta ai provvedimenti nazionali considerati. Tuttavia, spetterà al giudice del rinvio trarre le conseguenze del fatto che, da un lato, la legge n. 178/2020 ha affidato all’AGCOM il compito di «garanti[re] l’adeguata ed efficace applicazione [di detto] regolamento, anche mediante (...) la raccolta di informazioni pertinenti» e che, dall’altro, come risulta dal preambolo della delibera n. 161/2021, su detta base l’AGCOM ha esteso ai prestatori di servizi online l’obbligo di trasmetterle l’IES.

 

127. Per contro, se, tenuto conto dei chiarimenti che la Corte fornirà nell’emananda sentenza, il giudice del rinvio dovesse giungere alla conclusione che esiste un collegamento tra l’obiettivo del regolamento 2019/1150 e i provvedimenti nazionali di cui trattasi, spetterà a detto giudice verificare se essi siano appropriati e necessari.

 

128. Personalmente, non ritengo che ricorra tale ipotesi. Tenuto conto delle considerazioni formulate nei paragrafi da 121 a 123 delle presenti conclusioni, si può dubitare dell’adeguatezza delle informazioni che i prestatori di servizi online devono fornire in merito alla loro situazione finanziaria ai fini del conseguimento dell’obiettivo di detto regolamento. In ogni caso, esistono altre informazioni la cui raccolta è meno gravosa per gli operatori di mercato e che consentirebbero di raggiungere tale obiettivo.

 

C.      Sulla libera prestazione dei servizi alla luce dell’articolo 56 TFUE e delle direttive 2000/31 e 2006/123

 

129. Talune delle questioni pregiudiziali vertono sulla questione se gli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali contrastino con il principio della libera prestazione dei servizi. Tali questioni pregiudiziali riguardano l’articolo 56 TFUE (60) e le direttive 2000/31 e 2006/123 (61).

 

130. Gli obblighi oggetto dei procedimenti principali consistono, da un lato, nell’iscrizione al ROC, che comporta la trasmissione di rilevanti informazioni sull’organizzazione del prestatore e il pagamento di un contributo economico, oltre all’applicazione di sanzioni in caso di inadempimento e, dall’altro, nell’invio dell’IES, obblighi la cui violazione determina l’applicazione di sanzioni pecuniarie.

 

131. Tuttavia, dal punto di vista dei meccanismi previsti dal diritto dell’Unione al fine di garantire la libera circolazione dei servizi, occorre analizzare tali obblighi in maniera indipendente (62). Nel caso di specie, l’analisi deve vertere sugli obblighi di iscrizione al ROC, di trasmissione delle informazioni sulla struttura del prestatore di servizi online, di trasmissione di informazioni sulla sua situazione economica sotto forma di IES e di pagamento di un contributo economico.

 

132. In via preliminare si pone la questione se le misure nazionali di cui trattasi debbano essere valutate alla luce della direttiva 2000/31, della direttiva 2006/123 o di entrambe. Per rispondere a tale questione occorre verificare, anzitutto, se i provvedimenti nazionali di cui trattasi rientrino nei rispettivi ambiti di applicazione delle suddette direttive.

 

1.      Sulla direttiva 2000/31

 

a)      Osservazioni preliminari sulle questioni pregiudiziali vertenti sulla libera prestazione dei servizi

 

133. La nozione di «servizi della società dell’informazione» rappresenta una nozione centrale della direttiva 2000/31, benché quest’ultima non ne dia alcuna definizione. La direttiva di cui trattasi rinvia, infatti, alla definizione contenuta nella direttiva 2015/1535.

 

134. A tal riguardo, in base alle informazioni fornite dal giudice del rinvio, la qualificazione dei servizi forniti dalle ricorrenti nel procedimento principale come «servizi della società dell’informazione» è evidente (63) o, quantomeno, sembra incontestata nelle cause vertenti sulla direttiva 2000/31 (64). Posto che il giudice del rinvio non fornisce informazioni dettagliate che consentano di verificare tale qualificazione e posto che essa sembra giustificata alla luce delle descrizioni generali dei servizi presentate da detto giudice (65), muovo dalla premessa che i servizi delle ricorrenti nei procedimenti principali ricadono nella nozione di «servizi della società dell’informazione».

 

135. Un’altra nozione centrale della direttiva 2000/31 è quella di «ambito regolamentato», che riguarda le prescrizioni relative all’accesso all’attività di servizi della società dell’informazione e all’esercizio di detta attività, che sono di carattere generale nonché quelle specificamente destinate ai prestatori di servizi della società dell’informazione o a tali servizi (66).

 

136. Un prestatore di tali servizi è soggetto alle prescrizioni rientranti nell’ambito regolamentato fissate dal suo Stato membro di stabilimento (lo Stato membro d’origine) (67). Un altro Stato membro in cui il prestatore opera (lo Stato membro di destinazione) non può, in linea di principio, limitare la libera circolazione di detti servizi «per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato» (68). Il meccanismo stabilito all’articolo 3 della direttiva 2000/31 introduce, quindi, il principio dello Stato membro di origine e il reciproco riconoscimento tra Stati membri delle condizioni di accesso all’attività dei servizi della società dell’informazione (e del suo esercizio) (69).

 

137. A titolo di eccezione, uno Stato membro di destinazione può derogare all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31 mediante provvedimenti adottati «per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione», e che soddisfino le condizioni previste all’articolo 3, paragrafo 4, lettere a) e b), di tale direttiva.

 

138. In tale contesto, occorre rilevare che, con le sue questioni vertenti sulla libera prestazione dei servizi nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22, nelle cause riunite C-664/22 e C-666/22, nonché nella causa C-665/22, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 3, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2000/31 debba essere interpretato nel senso che esso osta a provvedimenti nazionali di carattere generale e astratto con cui uno Stato membro impone al prestatore di un servizio della società dell’informazione stabilito in un altro Stato membro a) un obbligo di iscrizione in un registro, b) un obbligo di trasmettere rilevanti informazioni sulla sua organizzazione, c) un obbligo di trasmettere rilevanti informazioni sulla sua situazione economica e d) un obbligo di versare un contributo economico, oltre all’applicazione di sanzioni in caso di inadempimento di detti obblighi. In caso affermativo e tenuto conto della precisazione formulata al paragrafo 92 delle presenti conclusioni in merito al regolamento 2019/1150, il giudice del rinvio chiede se il fatto che questi provvedimenti nazionali siano stati adottati al dichiarato fine di garantire l’attuazione del regolamento 2019/1150 possa incidere sull’esito dell’applicazione del meccanismo previsto all’articolo 3 di detta direttiva.

 

139. Per rispondere a tali questioni occorre, in un primo momento, stabilire anzitutto se gli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali impongano prescrizioni rientranti nell’ambito regolamentato, ai sensi della direttiva 2000/31, successivamente, se l’imposizione di detti obblighi deroghi alla libera circolazione dei servizi della società dell’informazione e, infine, se i provvedimenti adottati per imporre i suddetti obblighi soddisfino le condizioni enunciate all’articolo 3, paragrafo 4, lettere a) e b), di detta direttiva. In un secondo momento, occorre riflettere sull’impatto del regolamento 2019/1150 sull’esito dell’analisi relativa alla direttiva 2000/31.

 

b)      Prescrizioni rientranti nell’ambito regolamentato

 

1)      Illustrazione del problema

 

140. Il giudice del rinvio ritiene che gli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali costituiscano prescrizioni rientranti nell’ambito regolamentato, ai sensi della direttiva 2000/31.

 

141. Per contro, il governo italiano sostiene che gli obblighi di iscrizione al ROC e di trasmissione dell’IES equivalgono a un semplice obbligo di informazione. Tali obblighi non impedirebbero a un prestatore di servizi online di esercitare regolarmente la sua attività. Detto governo sottolinea che le ricorrenti nel procedimento principale nelle cause C-662/22 e C-665/22 continuano ad esercitare le loro attività pur non essendo iscritte al ROC.

 

142. A tal riguardo, è pacifico che l’inadempimento degli obblighi di cui trattasi comporta rilevanti sanzioni. Inoltre, sembra che l’AGCOM possa ordinare la sospensione delle attività di un prestatore di servizi online e che, per quanto attiene all’iscrizione al ROC, possa disporla d’ufficio (70). Spetta al giudice del rinvio verificare l’esattezza di queste affermazioni. Per contro, compete alla Corte fornire a detto giudice i chiarimenti che gli consentono di stabilire se tali obblighi rientrino nell’ambito regolamentato.

 

2)      Osservazioni generali sulla portata dell’ambito regolamentato

 

143. La nozione di «ambito regolamentato», definita all’articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31, comprende le prescrizioni alle quali un fornitore di servizi online deve ottemperare per quanto concerne «l’accesso all’attività di servizi della società dell’informazione» o «l’esercizio [di una siffatta] attività» (in prosieguo, rispettivamente: le «prescrizioni in materia di accesso» e le «prescrizioni in materia di esercizio»).

 

144. Dal punto di vista del meccanismo stabilito all’articolo 3 della direttiva 2000/31, la distinzione tra le prescrizioni in materia di accesso e le prescrizioni in materia di esercizio non ha implicazioni pratiche. Tuttavia, reputo opportuno esaminare questa dicotomia per fornire al giudice del rinvio chiarimenti sulla portata dell’ambito regolamentato.

 

145. A tal riguardo, in primo luogo, non si deve dimenticare che le prescrizioni in materia di accesso e di esercizio sono imposte, praticamente senza eccezioni, dallo Stato membro di origine.

 

146. Infatti, secondo la logica del meccanismo previsto all’articolo 3 della direttiva 2000/31, soddisfare le prescrizioni rientranti nell’ambito regolamentato stabilite dallo Stato membro di origine consente al prestatore di operare sia sul mercato di detto Stato membro sia sul mercato di ogni altro Stato membro. Lo Stato membro di origine provvede affinché i servizi della società dell’informazione, forniti da un prestatore stabilito nel suo territorio, rispettino le disposizioni nazionali vigenti in detto Stato membro nell’ambito regolamentato (71). Questo controllo, effettuato all’origine, deve assicurare una protezione efficace degli obiettivi di interesse pubblico, non solo per gli utenti dello Stato membro di origine, ma anche per tutti gli utenti dell’Unione (72).

 

147. Pertanto, su ogni Stato membro grava una responsabilità specifica con riferimento alla determinazione delle prescrizioni incluse nell’ambito regolamentato. Queste prescrizioni devono essere predisposte in maniera tale da tener conto degli interessi coinvolti non soltanto nello Stato membro di origine, ma anche in ogni altro Stato membro. In caso contrario, lo Stato membro di origine potrebbe dare luogo in uno Stato membro di destinazione alla reazione prevista all’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31. La portata dell’ambito regolamentato deve, pertanto, essere sufficiente a garantire all’origine la legittimità e il controllo efficace delle attività della società dell’informazione non solo nell’interesse dello Stato membro di origine, ma anche nell’interesse di tutti gli Stati membri (73).

 

148. In secondo luogo, l’articolo 2, lettera h), i), della direttiva 2000/31 chiarisce che le prescrizioni in materia di accesso comprendono, segnatamente, «[quelle] riguardanti le qualifiche e i regimi di autorizzazione o notifica», mentre le prescrizioni in materia di esercizio comprendono, in particolare, «[quelle] riguardanti il comportamento del prestatore, la qualità o i contenuti del servizio, comprese le prescrizioni applicabili alla pubblicità e ai contratti, oppure la responsabilità del prestatore». Per contro, l’ambito regolamentato così definito «comprende unicamente requisiti riguardanti le attività in linea» (74), ad esclusione di quelli applicabili alle merci in quanto tali, al loro trasporto e ai servizi non prestati per via elettronica (75).

 

149. Ne consegue che solo la «componente online» è rilevante dal punto di vista dell’ambito regolamentato. Non si deve, quindi, dimenticare la natura non territoriale dell’attività alla quale si applicano le prescrizioni rientranti in detto ambito.

 

150. I servizi online non si prestano affatto alla nozione di territorialità: un prestatore stabilito in uno Stato membro può operare in modo stabile e continuo nel territorio di un altro Stato membro senza stabilirsi o neppure recarsi in tale paese.

 

151. Come ho avuto occasione di osservare in un altro contesto (76), come in numerosi altri settori, Internet ha fortemente rivoluzionato categorie applicabili nel mondo «reale». Infatti, se è vero che il Trattato associa, da un lato, l’esercizio stabile dell’attività in uno Stato membro a una stabile organizzazione in questo stesso Stato membro e, dall’altro, l’esercizio temporaneo di un’attività all’assenza di una siffatta organizzazione, Internet consente tuttavia lo stabile esercizio di un’attività in uno Stato membro senza ivi disporre di una stabile organizzazione.

 

152. Seguire la logica della libertà di stabilimento in un siffatto caso condurrebbe al risultato assurdo che un prestatore non stabilito nello Stato membro di destinazione dei suoi servizi sarebbe comunque considerato come ivi stabilito e dovrebbe rispettare la normativa di detto Stato membro, non soltanto con riferimento alla sua attività propriamente detta, ma anche con riferimento alla costituzione e al funzionamento della sua impresa. Tale risultato appare ancor più assurdo se si considera che le attività esercitate su Internet sono spesso destinate a vari, se non addirittura a tutti gli Stati membri.

 

153. Riunendo le disposizioni pertinenti sotto il titolo «Mercato interno» (77), la direttiva 2000/31 non prende apertamente posizione sulla distinzione tra libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi. Tuttavia, tenuto conto del principio del controllo all’origine, oltre che per le ragioni illustrate ai paragrafi da 149 a 152 delle presenti conclusioni, non si può ritenere che il meccanismo istituito all’articolo 3 della direttiva 2000/31 si fondi sulla logica per cui un prestatore di un servizio della società dell’informazione deve soddisfare le condizioni per operare sul mercato previste da ciascuno Stato membro in cui è attivo. Al contrario, poiché detto meccanismo cerca di prevenire una situazione siffatta, l’ambito regolamentato deve includere anche le condizioni che determinano la regolarità dell’attività svolta su un mercato.

 

154. In terzo luogo, la portata dell’ambito regolamentato deve comprendere le condizioni che determinano la regolarità dell’attività di un servizio della società dell’informazione. Infatti, la natura «non territoriale» di una siffatta attività consente spesso, in un modo o nell’altro, di raggiungere de facto la clientela di uno Stato membro senza scontrarsi con le restrizioni risultanti dalla nozione di «territorio». Il fatto che un prestatore possa, senza soddisfare una di queste prescrizioni, esercitare la sua attività nel territorio di uno Stato membro non esclude detta prescrizione dall’ambito regolamentato.

 

155. Ciò premesso, benché l’ambito regolamentato includa sia le prescrizioni in materia di accesso sia quelle in materia di esercizio e benché la direttiva 2000/31 non preveda alcuna conseguenza giuridica per tale dicotomia, è tuttavia possibile operare una distinzione. Infatti, da un lato, le prescrizioni in materia di esercizio, «quali ad esempio le prescrizioni riguardanti il comportamento del prestatore, la qualità o i contenuti del servizio (...) oppure la responsabilità del prestatore» (78), hanno per oggetto l’indicazione di come condurre, in modo regolare, l’attività di un servizio della società dell’informazione nei confronti del pubblico, dei consumatori e di altri operatori economici. Esse costituiscono quindi modalità di esercizio di una siffatta attività nel suo aspetto orizzontale. Dall’altro lato, le prescrizioni in materia di accesso si riferiscono alle condizioni che il prestatore deve soddisfare, principalmente nei confronti di uno Stato membro e delle sue autorità, per poter avviare e condurre, in modo regolare, l’attività di un servizio della società dell’informazione nello Stato membro di origine e, per estensione, sul mercato di tutti gli altri Stati membri.

 

156. Alla luce di tali osservazioni occorre stabilire se gli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali rientrino nell’ambito regolamentato.

 

3)      Valutazione

 

157. In primo luogo, per quanto attiene all’obbligo di iscrizione al ROC, la cui violazione comporta l’applicazione di rilevanti sanzioni e a cui lo Stato membro di destinazione può procedere d’ufficio, esso costituisce una prescrizione rientrante nell’ambito regolamentato.

 

158. Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano, il fatto che, pur non soddisfacendo l’obbligo di iscrizione al ROC, un prestatore possa de facto avviare e proseguire l’attività di un servizio della società dell’informazione non implica che tale prescrizione non riguardi l’accesso a detta attività ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31. Inoltre, trattandosi di un’iscrizione a un registro, non è sufficiente, in linea di principio, procedervi all’avvio dell’attività: essa deve essere mantenuta nel corso di tale attività per garantirne la regolarità.

 

159. In secondo luogo, per quanto attiene all’obbligo di trasmettere informazioni sulla struttura e sulla situazione economica dell’impresa, il governo italiano afferma che tali informazioni sono utili, o addirittura necessarie, per consentire all’AGCOM di esercitare le sue funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie. A questo proposito, in linea con il principio di controllo all’origine dell’attività di un servizio della società dell’informazione, un siffatto compito è svolto, nell’interesse di tutti gli Stati membri, dallo Stato membro di origine. L’obbligo di comunicare informazioni che consentano di esercitare un siffatto controllo deve pertanto rientrare nell’ambito regolamentato.

 

160. In terzo luogo, per quanto attiene al contributo economico, a parere del governo italiano, esso è inteso a coprire i costi amministrativi complessivamente sostenuti in Italia per l’esercizio delle funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie attribuite all’AGCOM. Il suo ammontare è determinato in funzione dei ricavi realizzati in detto Stato membro.

 

161. L’obbligo di pagamento di un siffatto contributo costituisce anch’esso una prescrizione rientrante nell’ambito regolamentato. Infatti, esso condiziona la regolarità dell’accesso stabile di un prestatore al mercato di uno Stato membro. Inoltre, conformemente al principio di controllo all’origine dell’attività di un servizio della società dell’informazione, detto contributo dovrebbe essere richiesto dall’organismo che, secondo tale principio, deve esercitare il controllo sul prestatore nell’interesse del suo Stato membro di stabilimento e di ogni altro Stato membro.

 

162. Tenuto conto dell’interpretazione della direttiva 2000/31 da me proposta, gli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali costituiscono prescrizioni rientranti nell’ambito regolamentato ai sensi di detta direttiva.

 

c)      Restrizione alla libera circolazione dei servizi

 

163. Si pone ancora la questione se l’imposizione degli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali a un prestatore di un servizio della società dell’informazione stabilito in un altro Stato membro rappresenti una restrizione alla libera circolazione di tali servizi e se, pertanto, deroghi all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31. Per rispondere a tale questione occorre stabilire in quale caso un provvedimento adottato da uno Stato membro di destinazione restringa la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione. Nel caso di specie, si pone altresì la questione se la giurisprudenza relativa all’articolo 56 TFUE si applichi nell’ambito del meccanismo introdotto da detta direttiva.

 

1)      Non applicabilità della corrente giurisprudenziale relativa all’articolo 56 TFUE

 

164. Nelle loro osservazioni, le parti si richiamano a una corrente giurisprudenziale riguardante l’articolo 56 TFUE secondo cui una normativa nazionale opponibile a tutti gli operatori che esercitano attività sul territorio nazionale, che non ha lo scopo di disciplinare le condizioni relative all’esercizio della prestazione dei servizi delle imprese interessate e i cui eventuali effetti restrittivi della libera circolazione dei servizi sarebbero troppo aleatori e indiretti perché l’obbligo da essa sancito possa essere considerato idoneo a ostacolare tale libertà, non costituisce una restrizione ai sensi di detto articolo (79).

 

165. Tuttavia, ritengo che detta giurisprudenza non si applichi nell’ambito del meccanismo istituito dall’articolo 3 della direttiva 2000/31.

 

166. Infatti, da un lato, le prescrizioni in materia di esercizio rientranti nell’ambito regolamentato non possono ricadere nella suddetta giurisprudenza in quanto esse hanno, per eccellenza, «lo scopo di disciplinare le condizioni relative all’esercizio della prestazione dei servizi delle imprese interessate».

 

167. Dall’altro lato, aspetto questo ancor più importante, per quanto attiene a tutte le prescrizioni rientranti nell’ambito regolamentato, ivi comprese le prescrizioni in materia di accesso, non si deve dimenticare che, mediante una direttiva, il legislatore dell’Unione può precisare le modalità di esercizio di una libertà fondamentale del mercato interno e stabilire condizioni ancor più favorevoli al buon funzionamento di detto mercato rispetto a quelle previste dal diritto primario.

 

168. Una simile ipotesi ricorre nel caso del meccanismo introdotto dall’articolo 3 della direttiva 2000/31, che si fonda sull’idea del controllo all’origine e introduce il principio dello Stato membro di origine e del reciproco riconoscimento tra Stati membri delle condizioni di accesso e di esercizio (80). L’imposizione di prescrizioni che eccedono quelle in vigore nello Stato membro di origine contrasta con detto principio. Questa interpretazione trova la sua espressione nella giurisprudenza della Corte vertente su tale meccanismo.

 

2)      Restrizione alla libera circolazione dei servizi della società dell’informazione alla luce della giurisprudenza

 

169. Nella sentenza eDate Advertising e a. (81), la Corte ha chiarito che la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione tra Stati membri è assicurata sulla base del meccanismo istituito all’articolo 3 della direttiva 2000/31 mediante l’assoggettamento di detti servizi al regime giuridico dello Stato membro di stabilimento dei loro prestatori. Questi prestatori non possono, pertanto, essere soggetti a prescrizioni più rigorose di quelle previste dal diritto sostanziale in vigore nei loro rispettivi Stati membri di origine (82).

 

170. Nella causa che ha dato luogo alla sentenza Airbnb Ireland (83), il giudice del rinvio è partito dalla premessa che i provvedimenti nazionali in questione che prevedevano l’obbligo di essere titolare di una licenza per l’esercizio della professione avevano carattere restrittivo della libera prestazione dei servizi della società dell’informazione. Tale premessa è stata espressamente confermata dalla Corte (84). La Corte ha quindi affermato che, quando un obbligo di essere titolare di una licenza per l’esercizio della professione si applica segnatamente ai prestatori stabiliti in Stati membri diversi dallo Stato membro di destinazione, questo obbligo rende in tal modo più difficile la prestazione dei servizi in quest’ultimo Stato membro (85). Ritengo che, con tale affermazione, la Corte abbia voluto indicare, nel solco della sentenza eDate Advertising e a. (86), che la suddetta prescrizione rende la prestazione dei servizi nello Stato membro di destinazione più difficile di quanto essa non sia nello Stato membro di origine in conformità alle disposizioni nazionali rientranti nell’ambito regolamentato applicabili in tale Stato membro.

 

171. Nella sentenza A (Pubblicità e vendita di medicinali online) (87), la Corte ha rilevato, con riferimento a quattro prescrizioni introdotte dallo Stato membro di destinazione, in sostanza, che un divieto idoneo a limitare la possibilità per un prestatore di servizi della società dell’informazione di farsi conoscere presso potenziali clienti nello Stato membro di destinazione o di attirare tale clientela e promuovere il servizio di vendita dei suoi prodotti online deve essere considerato come integrante una restrizione della libera prestazione dei servizi della società dell’informazione.

 

172. Benché la formulazione impiegata dalla Corte differisca da quelle impiegate nelle sentenze eDate Advertising e a. (88) e Airbnb Ireland (89), la Corte si è fondata, nella sentenza A (Pubblicità e vendita di medicinali online) (90), sulla medesima logica alla base di dette sentenze. Infatti, era pacifico che il prestatore interessato svolgeva la sua attività in conformità alle prescrizioni rientranti nell’ambito regolamentato applicabili nello Stato membro di origine (91). Pertanto, una prescrizione che imponeva condizioni più restrittive con riferimento al comportamento del prestatore violava necessariamente l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31. Inoltre, per stabilire se i provvedimenti nazionali in questione comportassero una restrizione alla libera prestazione dei servizi della società dell’informazione ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 2 e 4, di detta direttiva, la Corte non si è riferita alla sua giurisprudenza relativa all’articolo 56 TFUE (92).

 

173. Da queste tre sentenze deduco che assoggettare, nel territorio di uno Stato membro, l’attività di un servizio della società dell’informazione a prescrizioni rientranti nell’ambito regolamentato che oltrepassano quelle vigenti nello Stato membro di origine restringe la libera circolazione di detto servizio e, pertanto, può scaturire soltanto da un provvedimento adottato sulla base dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31.

 

174. Inoltre, la considerazione secondo cui la corrente giurisprudenziale relativa all’articolo 56 TFUE, menzionata al paragrafo 164 delle presenti conclusioni, non può trovare applicazione nell’ambito del meccanismo introdotto dall’articolo 3 della direttiva 2000/31 sembra essere corroborata dalla giurisprudenza riguardante detta disposizione del diritto primario, nell’ambito della quale la Corte ha tenuto conto del fatto che una determinata prescrizione era già oggetto di una verifica nello Stato membro di origine.

 

3)      Giurisprudenza relativa alla libera prestazione dei servizi

 

175. La Commissione ha quindi sostenuto, anzitutto, in un procedimento di accertamento di un inadempimento (93), che un obbligo di iscrizione in un registro e le gravi sanzioni previste in caso di inadempimento di tale obbligo comportavano come conseguenza che l’iscrizione in detto registro rappresentava una condizione essenziale per lo svolgimento delle attività nel territorio dello Stato membro che aveva previsto tale obbligo. Dopo aver richiamato l’attenzione sul fatto che l’obbligo di cui trattasi si sarebbe applicato anche a un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro che soddisfacesse già, in conformità alla normativa di quest’ultimo Stato, formalità equivalenti a quelle richieste in forza di detto obbligo, la Corte ha concluso che il suddetto obbligo non rispettava l’articolo 56 TFUE (94).

 

176. Inoltre, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale vertente sull’articolo 56 TFUE e su una direttiva che prevede essenzialmente un sistema di mutuo riconoscimento dell’esperienza professionale acquisita nel paese di origine, la Corte ha già dichiarato che la procedura di autorizzazione prevista nello Stato membro ospitante non dovrebbe né ritardare, né rendere più complesso l’esercizio del diritto di un soggetto stabilito in un altro Stato membro di prestare i propri servizi sul territorio del primo Stato quando l’esame dei requisiti per l’accesso alle attività di cui trattasi sia stato effettuato e sia stata accertata la sussistenza dei requisiti medesimi. Una volta che tali condizioni sono state soddisfatte, un eventuale requisito di iscrizione nell’albo delle imprese artigiane dello Stato membro ospitante può essere solo automatico e non può né costituire una previa condizione alla prestazione dei servizi, né implicare oneri amministrativi per il prestatore riguardato, né produrre un obbligo di contribuzione alla camera delle imprese artigiane (95).

 

177. Infine, la Corte ha stabilito che una normativa di uno Stato membro che impone all’ente operante sul suo territorio un obbligo di fornire direttamente a un’autorità dello Stato membro ospitante dichiarazioni in merito a operazioni «sospette» e informazioni «richieste» costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi, in quanto essa comporta difficoltà e costi aggiuntivi per le attività svolte in regime di libera prestazione dei servizi, ed è tale da aggiungersi ai controlli già effettuati nello Stato membro in cui ha sede l’ente in questione, così dissuadendo quest’ultimo dal dedicarsi alle suddette attività (96).

 

178. Per concludere, tenuto conto delle considerazioni illustrate al paragrafo 173 delle presenti conclusioni, l’imposizione degli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali a un prestatore di un servizio della società dell’informazione stabilito in un altro Stato membro costituisce una restrizione alla libera circolazione di tali servizi e può, quindi, essere prevista soltanto sulla base dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31.

 

d)      Condizioni sostanziali previste dall’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31

 

179. I provvedimenti che derogano al principio della libera circolazione dei servizi della società dell’informazione devono soddisfare sia le condizioni sostanziali, sia le condizioni di forma previste dalla direttiva 2000/31. Si tratta di condizioni cumulative (97).

 

180. Posto che le condizioni di forma riguardano l’obbligo di notifica, le analizzerò, unitamente all’obbligo di notifica previsto dalla direttiva 2015/1535, nell’ultima parte delle mie conclusioni e mi concentrerò qui sulle sole condizioni sostanziali. Tuttavia, prima di analizzarle, desidero formulare un’osservazione sulla natura dei provvedimenti di deroga.

 

1)      Natura dei provvedimenti di deroga

 

181. In un contesto diverso, ho già privilegiato l’interpretazione secondo cui disposizioni generali e astratte non possono essere qualificate come «provvedimenti», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31. Rinvio, pertanto, all’analisi contenuta nelle relative conclusioni (98), in cui ho rilevato, in sostanza, che i provvedimenti oggetto di detta disposizione dovevano essere sufficientemente diretti. Gli argomenti principali di questa analisi sono stati recepiti dalla Corte nella sentenza Google Ireland e a. (99), secondo cui la disposizione di cui trattasi deve essere interpretata nel senso che provvedimenti generali e astratti, riguardanti una categoria di determinati servizi della società dell’informazione descritta in termini generali, e applicabili indistintamente a qualsiasi prestatore di tale categoria di servizi, non rientrano nella nozione di «provvedimenti adottati per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione», ai sensi di tale disposizione.

 

182. Nel caso di specie, i provvedimenti con cui il legislatore nazionale impone gli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali riguardano tutti i prestatori di servizi online, senza neppure individuare un settore specifico o lo Stato membro di provenienza di detti servizi. Di conseguenza, tali provvedimenti non ricadono nell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 e il legislatore nazionale non può, con i suddetti provvedimenti, derogare al principio sancito all’articolo 3, paragrafo 2, di detta direttiva.

 

183. Tanto premesso, non è necessario esaminare se i provvedimenti nazionali di cui trattasi soddisfino le condizioni sostanziali previste dall’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31. Tuttavia, continuerò la mia analisi per completezza e per rispondere pienamente alle perplessità manifestate dal giudice del rinvio, nonché agli argomenti delle parti.

 

184. Ricordo che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31, il provvedimento restrittivo in questione dev’essere necessario al fine di garantire l’ordine pubblico, la tutela della sanità pubblica, la pubblica sicurezza o la tutela dei consumatori, dev’essere relativo a un determinato servizio della società dell’informazione che sia effettivamente lesivo di detti obiettivi o costituisca un rischio serio e grave di pregiudizio per questi ultimi e dev’essere proporzionato a tali obiettivi. Esaminerò tali condizioni in quest’ordine.

 

2)      Obiettivo dei provvedimenti nazionali di cui trattasi

 

185. A parere del giudice del rinvio, i provvedimenti nazionali di cui trattasi sono stati adottati al dichiarato fine di garantire l’attuazione del regolamento 2019/1150. Il governo italiano condivide questa posizione e aggiunge che gli obblighi risultanti da detti provvedimenti mirano a individuare e gestire le distorsioni della concorrenza (100).

 

186. Ricordo che il regolamento 2019/1150 ha l’obiettivo di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno garantendo un contesto commerciale online equo, prevedibile, sostenibile e sicuro nell’ambito di detto mercato. Anche ammettendo che i provvedimenti nazionali di cui trattasi siano diretti a garantire tale obiettivo, non riesco a individuare i motivi che consentirebbero di ritenere che essi perseguano uno degli obiettivi di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), i), della direttiva 2000/31.

 

187. Si possono, infatti, agevolmente escludere gli obiettivi relativi all’ordine pubblico, alla tutela della sanità pubblica e alla pubblica sicurezza. Per contro, ci si potrebbe chiedere se tali provvedimenti nazionali non perseguano l’obiettivo legato alla tutela dei consumatori.

 

188. Tuttavia, la tutela dei consumatori non comprende la protezione delle imprese e il regolamento 2019/1150 fissa unicamente le regole relative ai rapporti tra i prestatori di servizi online e gli utenti professionali.

 

189. Certamente, per determinare il suo ambito di applicazione, il regolamento 2019/1150 tiene conto della posizione dei consumatori ai quali sono rivolte le attività degli utenti professionali (101). Inoltre, detto regolamento riconosce, al suo considerando 3, l’esistenza di un legame tra «la trasparenza e la fiducia nell’economia delle piattaforme online nei rapporti tra imprese» e il miglioramento della fiducia dei consumatori nell’economia delle piattaforme online.

 

190. Tuttavia, come enuncia detto considerando, questo collegamento è solo indiretto. E, ancor più importante, il regolamento 2019/1150 conferma che «[l]’impatto diretto dello sviluppo dell’economia delle piattaforme online sui consumatori [è] tuttavia affrontat[o] da altre norme del diritto dell’Unione, in particolare per quanto riguarda l’acquis relativo ai consumatori» (102).

 

191. In tali circostanze, gli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali non sembrano perseguire alcuno degli obiettivi di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), i), della direttiva 2000/31.

 

3)      Provvedimento relativo a un determinato servizio effettivamente lesivo di uno degli obiettivi di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), i), della direttiva 2000/31 o che costituisce un rischio di pregiudizio a tali obiettivi

 

192. Né il giudice del rinvio, né il governo italiano forniscono informazioni in merito alla condizione sostanziale prevista all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), ii), della direttiva 2000/31.

 

193. La Corte non dispone pertanto di informazioni che le consentano di chiarire utilmente il contenuto normativo di detta disposizione. In ogni caso, in mancanza di elementi indicanti che un servizio di cui trattasi lede effettivamente uno degli obiettivi di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), i), della direttiva 2000/31 o rischia di lederli, uno Stato membro di destinazione non può derogare al principio della libera circolazione dei servizi della società dell’informazione.

 

4)      Proporzionalità

 

194. Come emerge dalla mia analisi, i provvedimenti nazionali di cui trattasi non soddisfano i requisiti di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), i) e ii), della direttiva 2000/31. Non è pertanto necessario affrontare la questione della loro proporzionalità. Tuttavia, per completezza, analizzerò brevemente la condizione della proporzionalità prevista all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), iii), di detta direttiva.

 

195. In forza di quest’ultima disposizione, una misura di deroga deve essere proporzionata a uno degli obiettivi menzionati nell’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), i), della direttiva 2000/31. Inoltre, una siffatta misura deve essere altresì, come richiesto da detta disposizione, «necessaria» per conseguire l’obiettivo in questione.

 

196. In tale ottica la Corte ha chiarito che, per quanto concerne queste due condizioni, occorre tener conto della giurisprudenza relativa agli articoli 34 e 56 TFUE al fine di valutare la conformità al diritto dell’Unione della normativa nazionale di cui trattasi, in quanto tali condizioni si sovrappongono in larga parte a quelle al cui rispetto è subordinato qualsiasi ostacolo alle libertà fondamentali garantite da tali articoli del TFUE (103).

 

197. Il principio di proporzionalità richiede che i provvedimenti adottati dagli Stati membri non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più provvedimenti appropriati, si deve ricorrere al provvedimento meno restrittivo e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti.

 

198. A questo proposito, dal regolamento 2019/1150 emerge che il legame tra l’obiettivo perseguito da detto regolamento e la protezione dei consumatori è solo indiretto e che «[l]’impatto diretto dello sviluppo dell’economia delle piattaforme online sui consumatori [è] (...) affrontat[o] da altre norme del diritto dell’Unione» (104). Pertanto, il legislatore dell’Unione stesso ritiene che le disposizioni del suddetto regolamento non siano adeguate alla realizzazione dell’obiettivo della protezione dei consumatori. Lo stesso deve valere per le misure di applicazione del medesimo regolamento.

 

e)      Conclusione preliminare

 

199. Per concludere la mia analisi relativa alla direttiva 2000/31, i provvedimenti nazionali di cui trattasi nei procedimenti principali non costituiscono provvedimenti in deroga ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2000/31 (105) e, in ogni caso, non soddisfano le condizioni sostanziali previste da detta disposizione. Questi provvedimenti nazionali non possono pertanto essere applicati ai prestatori di servizi della società dell’informazione stabiliti in Stati membri diversi da quelli che li hanno adottati.

 

200. Tuttavia, occorre ancora verificare se questo risultato non sia rimesso in discussione dalla direttiva 2006/123 o, ammettendo che gli obblighi di cui trattasi traggano origine da provvedimenti di applicazione del regolamento 2019/1150, da quest’ultimo.

 

2.      Sulla direttiva 2006/123

 

201. Il giudice del rinvio richiama la direttiva 2006/123 in talune delle sue questioni pregiudiziali (106).

 

202. Come emerge dalle domande di pronuncia pregiudiziale, tutte queste questioni riguardano l’articolo 16 della direttiva in parola. In base a detta disposizione, gli Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti. La suddetta direttiva stabilisce anche le condizioni alle quali uno Stato membro può derogare alla libera prestazione dei servizi. Tali condizioni differiscono da quelle previste all’articolo 3, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2000/31.

 

203. Dalla mia analisi risulta che quest’ultima disposizione osta a che gli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali siano imposti a un prestatore stabilito in un altro Stato membro. Si pone, quindi, la questione se la direttiva 2006/123 possa incidere sull’esito dell’applicazione del meccanismo previsto all’articolo 3 della direttiva 2000/31.

 

204. A questo proposito, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 prevede che, in caso di conflitto, le disposizioni degli atti che disciplinano aspetti specifici dell’accesso a un’attività di servizi o del suo esercizio in settori specifici prevalgono su quelle della direttiva. Il meccanismo istituito dall’articolo 3 della direttiva 2000/31 riguarda unicamente i servizi della società dell’informazione e la loro libera circolazione all’interno dell’Unione. Quest’ultima disposizione concerne quindi sia l’accesso a un’attività di servizi in un settore specifico sia l’esercizio di una siffatta attività. Essa rappresenta pertanto una lex specialis rispetto all’articolo 16 della direttiva 2006/123 e prevale su di esso (107).

 

205. Ad abundantiam e al pari delle parti, ci si potrebbe certamente chiedere se, nel caso di specie, sussista un «conflitto», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2006/123. Tuttavia, in ogni caso, detta direttiva non può rimettere in discussione il risultato dell’applicazione del meccanismo previsto all’articolo 3 della direttiva 2000/31, né arrivare a imporre gli obblighi risultanti dai provvedimenti nazionali di cui trattasi a un prestatore stabilito in un altro Stato membro.

 

206. Infatti, in presenza di un «conflitto», l’articolo 16 della direttiva 2006/123 dovrebbe cedere il passo all’articolo 3 della direttiva 2000/31. In mancanza di un «conflitto», ammettendo che queste due disposizioni possano essere applicate congiuntamente, la prima non può tralasciare il fatto che i provvedimenti nazionali di cui trattasi non soddisfano le condizioni sostanziali enunciate nella seconda.

 

207. Non è pertanto necessario rispondere alle questioni pregiudiziali vertenti sulla direttiva 2006/123.

 

3.      Sull’articolo 56 TFUE

 

208. Come ho osservato al paragrafo 129 delle presenti conclusioni, le questioni pregiudiziali vertenti sulla libera prestazione dei servizi riguardano sia le direttive 2000/31 e 2006/123, sia l’articolo 56 TFUE.

 

209. L’interpretazione di tali direttive sarà tuttavia sufficiente per definire le controversie oggetto dei procedimenti principali alla luce del diritto dell’Unione. Infatti, qualsiasi misura nazionale adottata in un settore che è stato oggetto di un’armonizzazione esaustiva nel diritto dell’Unione deve essere valutata alla luce non delle disposizioni del diritto primario, ma di quelle di tale misura di armonizzazione (108). Posto che le direttive di cui trattasi precisano i principi che disciplinano il funzionamento del mercato interno stabiliti dal diritto primario, non vi è motivo di esaminare quest’ultimo. Al fine della decisione nei procedimenti principali, non è, quindi, necessario rispondere alle questioni relative all’articolo 56 TFUE.

 

4.      Sull’incidenza del regolamento 2019/1150

 

210. Resta ancora la questione se, nell’ambito del meccanismo previsto dall’articolo 3 della direttiva 2000/31, occorra riservare un trattamento diverso alle misure di applicazione del regolamento 2019/1150. L’analisi di tale questione è interessante sotto un duplice profilo.

 

211. Infatti, da un lato, come ho già indicato nella prima parte delle presenti conclusioni, i provvedimenti nazionali di cui trattasi nella causa C-663/22 e, per estensione, nella causa C-665/22 non costituiscono misure di applicazione del regolamento 2019/1150 (109). Tuttavia, nell’eventualità che la Corte non condivida le mie considerazioni nella causa C-665/22, concernente un prestatore stabilito in uno Stato membro, il giudice del rinvio dovrebbe stabilire se l’inapplicabilità di detti provvedimenti a un siffatto prestatore non sia rimessa in discussione dal fatto che questi ultimi costituiscono misure di applicazione del regolamento di cui trattasi.

 

212. Dall’altro lato, la risposta alla suddetta questione può risultare utile per il giudice del rinvio in altre cause oggetto delle presenti conclusioni, nei limiti in cui riguardano l’obbligo di iscrizione al ROC e di pagamento di un contributo economico.

 

213. A questo proposito, da un lato, l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2000/31 stabilisce che essa completa il diritto dell’Unione relativo ai servizi della società dell’informazione facendo salvo il livello di tutela, in particolare, della sanità pubblica e dei consumatori, garantito dagli strumenti dell’Unione e dalla legislazione nazionale di attuazione «nella misura in cui esso non limita la libertà di fornire servizi della società dell’informazione». Dall’altro lato, dall’articolo 1, paragrafo 5, del regolamento 2019/1150 emerge che quest’ultimo non pregiudica il diritto dell’Unione applicabile, in particolare, nel settore del commercio elettronico.

 

214. È evidente che la direttiva 2000/31 è applicabile in detto settore. Una misura di applicazione del regolamento 2019/1150 non prevale, quindi, sul meccanismo stabilito all’articolo 3 della direttiva in parola. Di conseguenza, il fatto che i provvedimenti nazionali siano stati adottati al dichiarato fine di garantire l’attuazione di detto regolamento non può incidere sulla loro inapplicabilità derivante da detto meccanismo.

 

5.      Conclusione

 

215. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni pregiudiziali nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22, nelle cause riunite C-664/22 e C-666/22, nonché nella causa C-665/22, come riformulate al paragrafo 138 delle presenti conclusioni, che l’articolo 3, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2000/31 deve essere interpretato nel senso che esso osta a provvedimenti nazionali di carattere generale e astratto con cui uno Stato membro impone al prestatore di un servizio della società dell’informazione stabilito in un altro Stato membro a) un obbligo di iscrizione in un registro, b) un obbligo di trasmettere rilevanti informazioni sulla sua organizzazione, c) un obbligo di trasmettere rilevanti informazioni sulla sua situazione economica e d) un obbligo di versare un contributo economico, oltre all’applicazione di sanzioni in caso di inadempimento di detti obblighi. Il fatto che queste misure nazionali siano state adottate al dichiarato fine di garantire l’attuazione del regolamento 2019/1150 non può incidere sulla loro inapplicabilità a un siffatto prestatore.

 

D.      Sugli obblighi di notifica preventiva dei provvedimenti nazionali previsti dalle direttive 2000/31 e 2015/1535

 

1.      Osservazioni preliminari sulla rilevanza delle questioni pregiudiziali

 

216. Talune delle questioni pregiudiziali nelle presenti cause relative ai prestatori stabiliti nei loro rispettivi Stati membri di origine riguardano gli obblighi di notifica preliminare previsti dalle direttive 2000/31 e 2015/1535 (110).

 

217. Da un punto di vista pragmatico, un’analisi di tali questioni sarebbe superflua se la Corte condividesse la mia posizione sull’interpretazione della direttiva 2000/31.

 

218. Infatti, i provvedimenti nazionali di cui trattasi sembrano imporre requisiti rientranti nell’ambito regolamentato ai sensi della direttiva 2000/31 e limitano la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione. Dal punto di vista di detta direttiva, essi non possono pertanto trovare applicazione ai prestatori stabiliti in Stati membri diversi da quelli che hanno adottato tali provvedimenti.

 

219. Inoltre, i provvedimenti nazionali di cui trattasi nei procedimenti principali non possono rientrare nell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31, trattandosi di provvedimenti che hanno un carattere generale e astratto (111). In ogni caso, questa considerazione non incide sulla constatazione formulata nel paragrafo 217 delle presenti conclusioni. Uno Stato membro non può eludere il meccanismo previsto all’articolo 3 di detta direttiva e imporre requisiti rientranti nell’ambito regolamentato attraverso una misura generale e astratta.

 

220. Tuttavia, per completezza, e nell’eventualità che la Corte non condivida la mia analisi relativa alla direttiva 2000/31, affronterò di seguito gli obblighi di notifica previsti da detta direttiva e dalla direttiva 2015/1535.

 

2.      Illustrazione del problema

 

221. La violazione da parte di uno Stato membro degli obblighi di notifica previsti dalle direttive 2000/31 e 2015/1535 comporta l’inopponibilità dei provvedimenti di cui trattasi ai privati (112).

 

222. Certamente, l’inadempimento dell’obbligo di notifica previsto dalla direttiva 2000/31 comporta l’inopponibilità del provvedimento nazionale ai prestatori stabiliti in Stati membri diversi da quello di origine, mentre la violazione dell’obbligo di notifica di cui alla direttiva 2015/1535 comporta l’inopponibilità di detto provvedimento ai prestatori stabiliti in qualsiasi Stato membro. Tuttavia, tutte le cause in cui il giudice del rinvio solleva una questione relativa all’obbligo di notifica (fatta eccezione per la causa C-663/22) si riferiscono a prestatori stabiliti in Stati membri diversi dall’Italia.

 

223. Nulla indica che gli obblighi di cui trattasi nei procedimenti principali siano stati oggetto della notifica prevista dalla direttiva 2000/31 o di quella prevista dalla direttiva 2015/1535.

 

224. Tuttavia, il governo italiano sostiene, in sostanza, in primo luogo, che i provvedimenti nazionali in questione non costituiscono regole tecniche che devono essere notificate in forza della direttiva 2015/1535. Aggiungo che, nel contesto delle presenti cause, tale argomento solleva una nuova questione relativa alla delimitazione delle rispettive portate degli obblighi di notifica previsti dalle direttive 2000/31 e 2015/1535.

 

225. In secondo luogo, il governo italiano sostiene che i provvedimenti nazionali di cui trattasi non sono soggetti all’obbligo di notifica, sulla base del rilievo che costituiscono misure di applicazione del regolamento 2019/1150.

 

226. Occorre quindi analizzare questi due argomenti che riguardano, rispettivamente, la portata dell’obbligo di notifica previsto sia dalla direttiva 2000/31 che dalla direttiva 2015/1535 e l’eventuale incidenza del regolamento 2019/1150 sull’esistenza di un siffatto obbligo.

 

3.      Obbligo di notifica alla luce della direttiva 2000/31

 

227. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), secondo trattino, della direttiva 2000/31, lo Stato membro interessato, prima di adottare i provvedimenti in questione e fatti salvi i procedimenti giudiziari, anche istruttori, e gli atti compiuti nell’ambito di un’indagine penale, deve aver notificato, alla Commissione e allo Stato membro sul cui territorio il fornitore del servizio in oggetto è stabilito, la sua intenzione di prendere i provvedimenti restrittivi di cui trattasi.

 

228. La portata dell’obbligo di notifica previsto dall’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31 è determinata, da un lato, dall’ambito di applicazione di detta direttiva e dalla sua nozione centrale, vale a dire quella di «ambito regolamentato», e, dall’altro, dalla natura dei provvedimenti attraverso i quali uno Stato membro può derogare al principio della libera prestazione dei servizi della società dell’informazione.

 

229. Infatti, l’ambito regolamentato, ai sensi della direttiva 2000/31, copre le prescrizioni di carattere generale, nonché quelle specificamente destinate ai prestatori di servizi della società dell’informazione o a tali servizi [articolo 2, lettera h)]. Uno Stato membro di destinazione non può, fatte salve le deroghe previste all’articolo 3, paragrafo 4, della citata direttiva, limitare la libera circolazione di detti servizi per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato (articolo 3, paragrafo 2). L’obbligo di notifica di cui all’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva in parola copre pertanto soltanto i provvedimenti che rientrano nell’ambito regolamentato che limitano la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione.

 

230. Inoltre, la portata dell’obbligo di notifica è determinata dalla natura dei provvedimenti con cui uno Stato membro può derogare al principio della libera circolazione dei servizi della società dell’informazione provenienti da uno Stato membro. Dalle presenti conclusioni emerge che provvedimenti generali e astratti, riguardanti una categoria di determinati servizi della società dell’informazione descritta in termini generali e applicabili indistintamente a qualsiasi prestatore di tale categoria di servizi, non possono essere qualificati come «provvedimenti», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31 (113). Pertanto, come risulta dalla sentenza Google Ireland e a. (114), provvedimenti nazionali siffatti non possono essere soggetti all’obbligo di notifica previsto all’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), secondo trattino, di detta direttiva. I provvedimenti nazionali di cui trattasi rivestono un siffatto carattere generale e astratto e sembrano applicarsi indistintamente a qualsiasi prestatore di determinate categorie di servizi.

 

231. Di conseguenza, da un lato, la Repubblica italiana non era tenuta a notificare detti provvedimenti nazionali di carattere generale e astratto in forza dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2000/31. Dall’altro lato, aspetto ancor più importante, tali provvedimenti non possono assolutamente essere applicati ai prestatori di servizi della società dell’informazione stabiliti in Stati membri diversi da quello che li ha adottati (115). Anche ammettendo che i suddetti provvedimenti nazionali costituiscano misure di applicazione del regolamento 2019/1150, questa circostanza non può incidere sulla loro inapplicabilità (116).

 

232. La mia analisi potrebbe fermarsi qui. Tuttavia, tenuto conto del fatto che, con le sue questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio si riferisce anche alla direttiva 2015/1535, esaminerò ancora la questione se i provvedimenti nazionali di cui trattasi avrebbero dovuto essere notificati ai sensi di detta direttiva. Preciso che la risposta a tale questione non incide sulla conclusione relativa all’inopponibilità di tali provvedimenti nazionali ai prestatori di servizi della società dell’informazione stabiliti in Stati membri diversi da quello che li ha adottati.

 

4.      Obbligo di notifica alla luce della direttiva 2015/1535

 

233. L’obbligo di notifica è sancito dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2015/1535 che prevede, in sostanza, che uno Stato membro deve comunicare immediatamente alla Commissione ogni progetto di regola tecnica.

 

234. La nozione di «regola tecnica» è quindi centrale per la direttiva 2015/1535 e determina la portata dell’obbligo di notifica da essa imposto. La definizione di tale nozione è contenuta nell’articolo 1, paragrafo 1, lettera f), della direttiva in parola. Secondo tale definizione, affinché una normativa nazionale che incide su un servizio della società dell’informazione possa essere qualificata come «regola tecnica», essa deve non solo rientrare nella qualificazione di «regola relativa ai servizi», quale definita all’articolo 1, paragrafo 1, lettera e), della stessa direttiva, ma anche essere obbligatoria de jure o de facto, in particolare, per la prestazione del servizio di cui trattasi o per il suo utilizzo in uno Stato membro o in una parte importante di quest’ultimo (117).

 

235. Una regola relativa ai servizi costituisce, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2015/1535, un requisito di natura generale relativo all’accesso alle attività di servizio della società dell’informazione e al loro esercizio, «in particolare le disposizioni relative al prestatore di servizi, ai servizi e al destinatario di servizi, ad esclusione delle regole che non riguardino specificamente [tal]i servizi» (118).

 

236. A tal riguardo, i provvedimenti nazionali di cui trattasi nei procedimenti principali si riferiscono esplicitamente ai servizi di intermediazione online e di motori di ricerca online. Servizi siffatti costituiscono, per antonomasia, servizi della società dell’informazione (119).

 

237. Certamente, i provvedimenti nazionali di cui trattasi si limitano a estendere obblighi preesistenti a tali due categorie di prestatori. Tuttavia, non vi è motivo di chiedersi se, prima delle modifiche introdotte con detti provvedimenti, tali obblighi gravassero sui prestatori di servizi della società dell’informazione. Infatti, la definizione della nozione di «regola relativa ai servizi» non richiede che un provvedimento nazionale riguardi esclusivamente i servizi della società dell’informazione. È sufficiente che il provvedimento in questione si riferisca a un siffatto servizio in maniera esplicita e mirata, quand’anche in alcune disposizioni puntuali (120). Come indicato nel paragrafo 236 delle presenti conclusioni, ciò si verifica nel caso di specie.

 

238. I provvedimenti nazionali di cui trattasi costituiscono, quindi, «regole relative ai servizi», ai sensi della direttiva 2015/1535. È inoltre pacifico che essi hanno carattere cogente e che devono pertanto essere considerati come «regole tecniche». Essi avrebbero pertanto dovuto essere oggetto di una notifica ai sensi della direttiva in parola. In mancanza di essa, un privato può invocare l’inopponibilità nei suoi confronti di dette regole.

 

239. Resta, infine, da stabilire ancora se i provvedimenti nazionali di cui trattasi possano, tuttavia, essere opposti a un privato nell’eventualità che costituiscano misure di applicazione del regolamento 2019/1150.

 

240. Certamente, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2015/1535 prevede che l’obbligo di notifica non si applica alle «disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative o agli accordi facoltativi con i quali gli Stati membri (...) si conformano agli atti vincolanti dell’Unione che danno luogo all’adozione di (...) regole relative ai servizi».

 

241. L’eccezione prevista all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2015/1535 comprende le disposizioni nazionali che possono essere considerate come adottate ai fini dell’adeguamento a un atto vincolante del diritto dell’Unione (121). Tuttavia, quando un atto del diritto dell’Unione lascia agli Stati membri un margine di manovra importante, le misure nazionali di applicazione non possono essere qualificate come disposizioni nazionali che si conformano ad un atto cogente(122).

 

242. L’unica disposizione del regolamento 2019/1150 contenente indicazioni più precise quanto al margine di manovra riconosciuto agli Stati membri è l’articolo 15. In base ad esso, ogni Stato membro deve garantire l’adeguata ed efficace applicazione di detto regolamento e adottare le norme che stabiliscono le misure (efficaci, proporzionate e dissuasive) applicabili alle violazioni del medesimo e garantirne l’attuazione. Per contro, nessuna disposizione di detto regolamento fornisce indicazioni sul margine di manovra di cui dispongono gli Stati membri nella raccolta delle informazioni pertinenti per l’attuazione del medesimo regolamento.

 

243. Occorre, pertanto, constatare che i provvedimenti nazionali di cui trattasi non rientrano nell’eccezione prevista dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2015/1535. Essi avrebbero, quindi, dovuto essere oggetto di una notifica ai sensi della direttiva in parola. In mancanza di essa, un privato può invocare l’inopponibilità nei suoi confronti di dette regole.

 

VI.    Conclusione

 

244. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia) nel modo seguente:

 

1)      Nella causa C-663/22:

 

Il regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online e, in particolare, i suoi articoli 15 e 16

 

devono essere interpretati nel senso che:

 

essi non giustificano l’adozione di una normativa nazionale che impone ai prestatori di servizi di intermediazione online e di motori di ricerca online un obbligo di presentare periodicamente una dichiarazione contenente informazioni sulla loro situazione economica e che prevede l’applicazione di sanzioni in caso di inadempimento di detto obbligo.

 

Nei limiti in cui una siffatta normativa non rientra nell’ambito di applicazione di detto regolamento, quest’ultimo non osta ad essa.

 

2)      Nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22, nelle cause riunite C-664/22 e C-666/22, nonché nella causa C-665/22:

 

L’articolo 3, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico»)

 

deve essere interpretato nel senso che:

 

esso osta a provvedimenti nazionali di carattere generale e astratto con cui uno Stato membro impone al fornitore di un servizio della società dell’informazione stabilito in un altro Stato membro a) un obbligo di iscrizione in un registro, b) un obbligo di trasmettere rilevanti informazioni sulla sua organizzazione, c) un obbligo di trasmettere rilevanti informazioni sulla sua situazione economica e d) un obbligo di versare un contributo economico, oltre all’applicazione di sanzioni in caso di inadempimento di detti obblighi.

 

Il fatto che tali provvedimenti nazionali siano stati adottati al dichiarato fine di garantire l’attuazione del regolamento 2019/1150 non pregiudica la loro inapplicabilità a un siffatto prestatore.

 

1      Lingua originale: il francese.

 

2      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online (GU 2019, L 186, pag. 57).

 

3      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU 2000, L 178, pag. 1).

 

4      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36).

 

5      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU 2015, L 241, pag. 1).

 

6      V. considerando 21 della direttiva 2000/31, il quale enuncia che essa «lascia impregiudicata un’eventuale armonizzazione futura all’interno della Comunità dei servizi della società dell’informazione e la futura legislazione adottata a livello nazionale in conformità della normativa comunitaria».

 

7      Evidentemente, la Corte non perde più di vista la realtà socioeconomica, segnatamente, nell’interpretazione del Trattato [v. le mie conclusioni nelle cause riunite X e Visser (C-360/15 e C-31/16, EU:C:2017:397, paragrafi da 1 a 5)]. Tuttavia, in un settore armonizzato, è più difficile tener conto di tale realtà caso per caso e l’intervento del legislatore europeo è ancor più necessario.

 

8      V., a titolo esemplificativo, direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio (GU 2011, L 335, pag. 1, e rettifica in GU 2012, L 18, pag. 7) e regolamento (UE) 2021/784 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2021, relativo al contrasto della diffusione di contenuti terroristici online (GU 2021, L 172, pag. 79).

 

9      Regolamento (UE) 2022/2065 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022, relativo a un mercato unico dei servizi digitali e che modifica la direttiva 2000/31/CE (regolamento sui servizi digitali) (GU 2022, L 277, pag. 1).

 

10      V. articolo 1, paragrafo 5, lettera a), della direttiva 2000/31.

 

11      V. sentenza del 22 dicembre 2022, Airbnb Ireland e Airbnb Payments UK (C-83/21, EU:C:2022:1018, punto 38).

 

12      Nella sua versione anteriore all’entrata in vigore della direttiva 2015/1535, l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2000/31 definiva i «servizi della società dell’informazione» come i «servizi ai sensi dell’articolo 1[, primo comma], punto 2, della direttiva [98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche (GU 1998, L 204, pag. 37), come modificata dalla direttiva 98/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 luglio 1998 (GU 1998, L 217, pag. 18) (in prosieguo: la “direttiva 98/34”)]». A seguito dell’entrata in vigore della direttiva 2015/1535, tale rimando deve essere inteso come riferito all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), di quest’ultima.

 

13      Provvedimento presidenziale n. 14/21/PRES, recante «Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’[Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM)] per l’anno 2021 dai soggetti che operano nel settore dei servizi di intermediazione online e dei motori di ricerca online», del 5 novembre 2021 (GURI n. 304 del 23 dicembre 2021) (in prosieguo: la «delibera n. 14/2021»), ratificata dall’AGCOM con la delibera n. 368/21/CONS.

 

14      Delibera n. 200/21/CONS – Modifiche alla delibera n. 666/08/CONS recante «regolamento per la tenuta del [ROC]» a seguito dell’entrata in vigore della legge del 30 dicembre 2020, n. 178, recante Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023 (in prosieguo: la «delibera n. 200/2021»).

 

15      Delibera n. 161/21/CONS – Modifiche alla delibera n. 397/13 del 25 giugno 2013 «Informativa Economica di Sistema» (in prosieguo: la «delibera n. 161/2021»).

 

16      Supplemento ordinario alla GURI n. 322, del 30 dicembre 2020.

 

17      Supplemento ordinario alla GURI n. 169, del 25 agosto 1997.

 

18      Questa parte del contesto normativo è pertinente per le cause riunite C-662/22 e C-667/22, per le cause riunite C-664/22 e C-666/22 e, nei limiti in cui riguarda la legge n. 178/2020, per le cause C-663/22 e C-665/22.

 

19      GURI n. 25, del 31 gennaio 2009.

 

20      V. articoli 8 e 9 dell’allegato A della delibera n. 666/2008.

 

21      V. allegato B e articoli 10 e 11 dell’allegato A della delibera n. 666/2008.

 

22      Sulla pertinenza di questo divieto ai fini delle presenti conclusioni, v. nota 29.

 

23      V. allegato A della delibera n. 666/2008 e, più precisamente, l’articolo 8, comma 5, e l’articolo 9, comma 7.

 

24      Supplemento ordinario alla GURI n. 211, del 29 dicembre 2005.

 

25      Questa parte del contesto normativo è pertinente per le cause riunite C-662/22 e C-667/22.

 

26      Questa parte del contesto normativo è pertinente per le cause C-663/22 e C-665/22.

 

27      Sentenza dell’11 dicembre 2003 (C-215/01, EU:C:2003:662).

 

28      V. paragrafo 58 delle presenti conclusioni.

 

29      Il giudice del rinvio constata, come emerge dalle sue quarte questioni nelle cause riunite C-664/22 e C-666/22, che alle società iscritte al ROC è vietato realizzare utili oltre un certo importo (v. paragrafo 21 delle presenti conclusioni). Il governo italiano contesta tale constatazione. La Commissione osserva che il divieto di cui trattasi è stato invocato dalla EGVR nel procedimento principale. In linea con il governo italiano, detta istituzione osserva che il contesto normativo nazionale non prevede più un siffatto divieto. In ogni caso, poiché, da un lato, il giudice del rinvio non indica per quale motivo esso reputi detto divieto incompatibile con il diritto dell’Unione e non richiama l’attenzione della Corte su tale aspetto nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22 e poiché, dall’altro, non è necessario tener conto di detto divieto per fornire al giudice del rinvio una risposta utile alle questioni pregiudiziali, mi concentrerò sul fatto che l’iscrizione al ROC implica la trasmissione di rilevanti informazioni sulla struttura dei prestatori di cui trattasi.

 

30      A questo proposito, preciso che il rimando compiuto dal giudice del rinvio, nelle questioni pregiudiziali nelle cause riunite C-664/22 e C-666/22, all’articolo 1, comma 516, della legge n. 178/2020 è, a mio parere, del tutto irrilevante. La disposizione di cui trattasi, la cui formulazione non è riprodotta nelle domande di pronuncia pregiudiziale, non sembra avere alcun collegamento con le domande poste dal giudice del rinvio. Essa prevede, infatti, che «[r]esta fermo quanto previsto dall’articolo 27, comma 1-bis, del codice del consumo (...)». Orbene, detto articolo del succitato codice riguarda la competenza ad intervenire contro le pratiche commerciali scorrette.

 

31      V., in tal senso, per quanto attiene alla direttiva 2000/31 e all’articolo 56 TFUE, sentenza del 27 aprile 2023, Viagogo (C-70/22, EU:C:2023:350, punti da 25 a 31 e 33). Con riferimento alla direttiva 2006/123, v. articolo 2, paragrafo 1, della medesima, letto alla luce del suo considerando 36, terza frase, secondo cui «[l]a nozione di prestatore, d’altra parte, non dovrebbe coprire il caso delle succursali di società di paesi terzi in uno Stato membro poiché, in conformità dell’articolo [56 TFUE], la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi si applicano soltanto alle società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno dell[’Unione]».

 

32      Vale a dire le prime questioni pregiudiziali nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22, le quarte questioni pregiudiziali nelle cause riunite C-664/22 e C-666/22, le due questioni pregiudiziali nella causa C-663/22 nonché la prima e la seconda questione pregiudiziale nella causa C-665/22.

 

33      V. formulazione delle prime, terze e quarte questioni pregiudiziali nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22.

 

34      V. formulazione della prima, quarta e quinta questione pregiudiziale nella causa C-665/22. In quest’ottica, la delibera n. 161/2021, di cui trattasi nelle cause C-663/22 e C-665/22, con cui l’obbligo di trasmettere l’IES è stato esteso ai prestatori di servizi online, è stata adottata «al fine di raccogliere annualmente informazioni pertinenti e svolgere le attività tese ad assicurare l’adeguata ed efficace applicazione del [regolamento 2019/1150]» e l’«esercizio delle funzioni attribuite dalla [legge n. 178/2020] all’[AGCOM]». V. paragrafo 55 delle presenti conclusioni.

 

35      V. paragrafo 77 delle presenti conclusioni.

 

36      V. articolo 1, paragrafo 2, e considerando 9 del regolamento 2019/1150.

 

37      V. sentenza del 15 giugno 2021, Facebook Ireland e a. (C-645/19, EU:C:2021:483, punti 109 e 110).

 

38      V. sentenza del 12 aprile 2018, Commissione/Danimarca (C-541/16, EU:C:2018:251, punti da 31 a 33).

 

39      V. sentenza del 22 gennaio 2020, Ursa Major Services (C-814/18, EU:C:2020:27, punto 35).

 

40      V., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2021, Finanzamt Österreich (Assegni familiari per cooperante) (C-372/20, EU:C:2021:962, punto 48).

 

41      V. sentenza del 14 ottobre 1999, Adidas (C-223/98, EU:C:1999:500, punto 25 e giurisprudenza citata).

 

42      V. sentenza del 12 aprile 2018, Commissione/Danimarca (C-541/16, EU:C:2018:251, punti 49 e 50). V. altresì, in tal senso, ordinanza del 16 gennaio 2014, Dél-Zempléni Nektár Leader Nonprofit (C-24/13, EU:C:2014:40, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

 

43      V. considerando 6 del regolamento 2019/1150.

 

44      V. articolo 1, paragrafo 1, e considerando 7 e 51 del regolamento 2019/1150.

 

45      V. articolo 16, prima frase, del regolamento 2019/1150.

 

46      V. articolo 18, paragrafo 1, del regolamento 2019/1150.

 

47      V. articolo 16, seconda frase, del regolamento 2019/1150.

 

48      V. articolo 16, quarta frase, del regolamento 2019/1150.

 

49      V. articolo 16, terza frase, del regolamento 2019/1150.

 

50      Il considerando 46 del regolamento 2019/1150 enuncia che «[g]li Stati membri dovrebbero essere tenuti a garantire l’adeguata ed efficace applicazione del presente regolamento. Esistono già sistemi diversi di esecuzione negli Stati membri e questi ultimi non dovrebbero essere obbligati a istituire nuovi organismi nazionali di esecuzione. Gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di incaricare le autorità esistenti, compresi gli organi giurisdizionali, dell’esecuzione del presente regolamento. Il presente regolamento non dovrebbe obbligare gli Stati membri a prevedere l’esecuzione d’ufficio o a infliggere ammende».

 

51      V. considerando 46, terza e quarta frase, del regolamento 2019/1150.

 

52      V. articolo 14, paragrafo 9, del regolamento 2019/1150.

 

53      V. articolo 14, paragrafo 5, del regolamento 2019/1150.

 

54      V. articolo 14, paragrafo 1, del regolamento 2019/1150, letto alla luce del considerando 45 del medesimo.

 

55      V. considerando 45, prima e seconda frase, del regolamento 2019/1150.

 

56      Infatti, l’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento 2019/1150 prevede che «[l]a Commissione incoraggia gli Stati membri a scambiarsi le migliori pratiche e le informazioni sulla base dei registri degli atti illeciti che sono stati oggetto di azioni ingiuntive dinanzi ai tribunali nazionali, qualora gli organismi o le autorità pubbliche competenti abbiano istituito tali registri».

 

57      V., in tal senso, Franck, J.-U., «Individual Private Rights of Action under the Platform-to-Business Regulation», European Business Law Review, 2023, vol. 34, n. 4, pag. 528.

 

58      Per completezza, un argomento analogo è riproposto con riferimento all’obbligo dei prestatori di servizi online di iscriversi in un registro che comporta la trasmissione di rilevanti informazioni sulla loro organizzazione, affrontato nelle altre cause oggetto delle presenti conclusioni.

 

59      V. articolo 1, paragrafo 5, del regolamento 2019/1150.

 

60      L’articolo 56 TFUE è oggetto delle quarte questioni pregiudiziali nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22, delle seconde questioni pregiudiziali nelle cause riunite C-664/22 e C-666/22 e della quinta questione pregiudiziale nella causa C-665/22.

 

61      È certamente vero che le quarte questioni pregiudiziali nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22 si riferiscono unicamente all’articolo 56 TFUE e all’articolo 16 della direttiva 2006/123, senza menzionare la direttiva 2000/31. Tuttavia, talune questioni pregiudiziali in dette cause si riferiscono a quest’ultima direttiva.

 

62      Questo approccio è in linea con quello accolto dalla Corte nel contesto dell’articolo 56 TFUE [v. sentenza del 22 dicembre 2022, Airbnb Ireland e Airbnb Payments UK (C-83/21, EU:C:2022:1018, punto 41)] e dell’articolo 3 della direttiva 2000/31 [v. sentenza del 1º ottobre 2020, A (Pubblicità e vendita di medicinali online) (C-649/18, EU:C:2020:764, punto 46)].

 

63      Secondo le informazioni fornite dal giudice del rinvio, ciò si verifica nelle cause C-665/22 e C-666/22.

 

64      Secondo le informazioni fornite dal giudice del rinvio, ciò si verifica nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22, nonché nella causa C-664/22.

 

65      V., per quanto attiene ai prestatori di servizi di intermediazione online, a titolo esemplificativo, sentenza del 27 aprile 2022, Airbnb Ireland (C-674/20, EU:C:2022:303, punto 31), e, per quanto attiene ai servizi forniti dai gestori commerciali di motori di ricerca su Internet, sentenza del 12 settembre 2019, VG Media (C-299/17, EU:C:2019:716, punto 30).

 

66      V. articolo 2, lettera h), della direttiva 2000/31.

 

67      V. articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2000/31.

 

68      V. articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31.

 

69      V. le mie conclusioni nella causa LEA (C-10/22, EU:C:2023:437, paragrafo 49).

 

70      È ciò che ha fatto l’AGCOM nella causa C-664/22. V. paragrafo 42 delle presenti conclusioni.

 

71      V. articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2000/31.

 

72      V. considerando 22 della direttiva 2000/31.

 

73      V. altresì, in tal senso, Crabit, E., «La directive sur le commerce électronique: le projet “Méditerranée”», Revue du droit de l’Union européenne, 2000, n. 4, pag. 767.

 

74      V. considerando 21, seconda frase, della direttiva 2000/31.

 

75      V. articolo 2, lettera h), ii), della direttiva 2000/31.

 

76      V. le mie conclusioni nella causa LEA (C-10/22, EU:C:2023:437, paragrafi 61, 63 e 64).

 

77      Titolo dell’articolo 3 della direttiva 2000/31. Questa ambiguità si manifesta nel fondamento giuridico della direttiva di cui trattasi che riguarda sia la libertà di stabilimento che la libera prestazione di servizi, nonché nei suoi considerando 1, 5 e 6.

 

78      V. articolo 2, lettera h), i), secondo trattino, della direttiva 2000/31.

 

79      V., di recente, sentenza del 27 ottobre 2022, Instituto do Cinema e do Audiovisual (C-411/21, EU:C:2022:836, punto 29), vertente su una tassa destinata a finanziare la promozione e la divulgazione di opere cinematografiche e audiovisive. V., altresì, con riferimento agli obblighi relativi al settore della fiscalità escluso dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/31, sentenze del 27 aprile 2022, Airbnb Ireland (C-674/20, EU:C:2022:303, punto 42), e del 22 dicembre 2022, Airbnb Ireland e Airbnb Payments UK (C-83/21, EU:C:2022:1018, punto 45).

 

80      V. paragrafo 136 delle presenti conclusioni.

 

81      Sentenza del 25 ottobre 2011 (C-509/09 e C-161/10, EU:C:2011:685, punto 66). V. anche sentenza del 15 marzo 2012, G (C-292/10, EU:C:2012:142, punto 70).

 

82      V., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2011, eDate Advertising e a. (C-509/09 e C-161/10, EU:C:2011:685, punti 66 e 67).

 

83      Sentenza del 19 dicembre 2019 (C-390/18, EU:C:2019:1112, punto 71).

 

84      Sentenza del 19 dicembre 2019, Airbnb Ireland (C-390/18, EU:C:2019:1112, punto 81).

 

85      Sentenza del 19 dicembre 2019, Airbnb Ireland (C-390/18, EU:C:2019:1112, punto 82).

 

86      V., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2011 (C-509/09 e C-161/10, EU:C:2011:685, punto 66).

 

87      Sentenza del 1º ottobre 2020 (C-649/18, EU:C:2020:764, punti 61 e 62).

 

88      Sentenza del 25 ottobre 2011 (C-509/09 e C-161/10, EU:C:2011:685).

 

89      Sentenza del 19 dicembre 2019 (C-390/18, EU:C:2019:1112, punto 71).

 

90      Sentenza del 1º ottobre 2020 (C-649/18, EU:C:2020:764).

 

91      V. punto 7 della domanda di pronuncia pregiudiziale in detta causa, secondo cui «non si contesta che la società [interessata] sia legalmente autorizzata a vendere medicinali al pubblico nei Paesi Bassi, ove essa è regolarmente stabilita».

 

92      V., altresì, in tal senso, le mie conclusioni nella causa Google Ireland e a. (C-376/22, EU:C:2023:467, paragrafo 55).

 

93      V. sentenza del 9 marzo 2000, Commissione/Italia (C-358/98, EU:C:2000:114, punto 11).

 

94      V. sentenza del 9 marzo 2000, Commissione/Italia (C-358/98, EU:C:2000:114, punti 13 e 14).

 

95      V. sentenza dell’11 dicembre 2003, Schnitzer (C-215/01, EU:C:2003:662, punti 36 e 37).

 

96      V. sentenza del 25 aprile 2013, Jyske Bank Gibraltar (C-212/11, EU:C:2013:270, punto 59).

 

97      V., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2019, Airbnb Ireland (C-390/18, EU:C:2019:1112, punti 83 e 99).

 

98      V. le mie conclusioni nelle cause Airbnb Ireland (C-390/18, EU:C:2019:336, paragrafi 134 e 135), LEA (C-10/22, EU:C:2023:437, paragrafo 51), e Google Ireland e a. (C-376/22, EU:C:2023:467, paragrafo 54).

 

99      Sentenza del 9 novembre 2023 (C-376/22, EU:C:2023:835, punto 60).

 

100      V. paragrafo 120 delle presenti conclusioni.

 

101      V. articolo 1, paragrafo 2, e considerando 9 del regolamento 2019/1150.

 

102      V. considerando 3 del regolamento 2019/1150.

 

103      V. sentenza del 1º ottobre 2020, A (Pubblicità e vendita di medicinali online) (C-649/18, EU:C:2020:764, punto 64).

 

104      V. paragrafo 190 delle presenti conclusioni.

 

105      V. paragrafi 181 e 182 delle presenti conclusioni.

 

106      La direttiva 2006/123 è oggetto delle quarte questioni pregiudiziali nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22, delle seconde questioni pregiudiziali nelle cause riunite C-664/22 e C-666/22, e della quinta questione pregiudiziale nella causa C-665/22.

 

107      V., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2019, Airbnb Ireland (C-390/18, EU:C:2019:1112, punti da 40 a 42). V. altresì le mie conclusioni nella causa Star Taxi App (C-62/19, EU:C:2020:692, paragrafo 90).

 

108      V., per quanto attiene alla direttiva 2000/31, sentenza del 1º ottobre 2020, A (Pubblicità e vendita di medicinali online) (C-649/18, EU:C:2020:764, punto 34), e, quanto alla direttiva 2006/123, sentenza del 16 giugno 2015, Rina Services e a. (C-593/13, EU:C:2015:399, punti 23 e segg.).

 

109      V. paragrafo 125 delle presenti conclusioni.

 

110      Infatti, tali obblighi sono oggetto della seconda e della quinta questione pregiudiziale nelle cause riunite C-662/22 e C-667/22, delle terze questioni pregiudiziali nelle cause riunite C-664/22 e C-666/22, e della terza e della sesta questione pregiudiziale nella causa C-665/22.

 

111      V. paragrafi 181 e 182 delle presenti conclusioni.

 

112      V., per quanto concerne le direttive 2000/31 e 2015/1535, rispettivamente, sentenze del 19 dicembre 2019, Airbnb Ireland (C-390/18, EU:C:2019:1112, punto 100), e del 3 dicembre 2020, Star Taxi App (C-62/19, EU:C:2020:980, punto 57).

 

113      V. paragrafi 181 e 182 delle presenti conclusioni.

 

114      Sentenza del 9 novembre 2023 (C-376/22, EU:C:2023:835, punto 37).

 

115      V. paragrafo 219 delle presenti conclusioni.

 

116      V. paragrafo 214 delle presenti conclusioni.

 

117      V. sentenza del 3 dicembre 2020, Star Taxi App (C-62/19, EU:C:2020:980, punto 61).

 

118      L’articolo 1, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2015/1535 fornisce, nel suo secondo comma, due chiarimenti aggiuntivi a questo proposito. Da un lato, quindi, una regola si considera riguardante specificamente i servizi della società dell’informazione quando, alla luce della sua motivazione e del testo del relativo dispositivo, essa si pone come finalità e obiettivo specifici, nel suo insieme o in alcune disposizioni puntuali, di disciplinare in modo esplicito e mirato tali servizi. Dall’altro lato, una regola non si considera riguardante specificamente i servizi della società dell’informazione se essa riguarda tali servizi solo in modo implicito o incidentale.

 

119      V. paragrafo 134 delle presenti conclusioni.

 

120      A questo proposito, nella sentenza del 20 dicembre 2017, Falbert e a. (C-255/16, EU:C:2017:983, punti 35 e 36), pronunciata nella vigenza della direttiva che ha preceduto la direttiva 2015/1535, vale a dire la direttiva 98/34, la Corte ha dichiarato che una regola nazionale che ha per finalità e obiettivo di estendere una regola esistente ai servizi della società dell’informazione deve essere qualificata come «regola relativa ai servizi» ai sensi di detta direttiva.

 

121      V., in tal senso, per quanto concerne l’articolo 10, paragrafo 1, primo trattino, della direttiva 98/34, che prevedeva una deroga simile, sentenza dell’8 settembre 2005, Commissione/Portogallo (C-500/03, EU:C:2005:515, punto 33).

 

122      V., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2000, Unilever (C-443/98, EU:C:2000:496, punto 29).

 

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