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Consiglio di Stato, Sez. V, 11/1/2024 n. 376
Sulla estromissione di comuni facenti parte di un’unione

È nulla l’estromissione di comuni facenti parte l’unione che sia stata adottata con decisione unilaterale dagli organi associativi in assenza di una previsione in tal senso dello statuto dell’ente associativo, in quanto adottata in situazione di carenza di attribuzione. La base volontaristica dell’adesione, almeno fino a quando non entrerà in vigore il previsto modello obbligatorio, demanda solo ai comuni che hanno aderito in origine all’unione l’iniziativa di recedere dallo stesso (1).

Il Consiglio di Stato ha chiarito che l’unione ha la natura di ente di secondo livello e che tale natura fa sì che le modalità organizzative della stessa siano rimesse agli atti adottati dai relativi organi, in particolare lo Statuto e i regolamenti. Inoltre, ha evidenziato che. in via di prassi, i comuni hanno affidato al ben più flessibile modello negoziale delle c.d. convenzioni la fase di attuazione degli obiettivi statutari; tuttavia, le convenzioni non possono spogliare il comune della titolarità della funzione oggetto dell’accordo negoziale, ma tutt’al più si risolvono in mere deleghe allo svolgimento di determinate funzioni da parte dell’unione.

(1) Precedenti conformi: non risultano precedenti negli esatti termini. Sull’unione di comuni, di recente, Cass. civ., sez. lavoro, 31 ottobre 2022, n. 32123; Corte dei conti Emilia-Romagna, sez. contr., delibera 11 maggio 2022, n. 41; T.A.R. per l’Abruzzo, Pescara, sez. I, 20 settembre 2018, n. 265; Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2016, n. 2645.

Precedenti difformi: non risultano precedenti difformi

Fonte: giustizia-amministrativa.it

Materia: enti locali / ordinamento
Pubblicato il 11/01/2024

N. 00376/2024REG.PROV.COLL.

N. 07113/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7113 del 2018, proposto dal Comune di San Giovanni Incarico, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Annalisa Corsi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Italo Castaldi in Roma, via Attilio Regolo, n. 12 D,

contro

l’Unione di Comuni “Antica Terra di lavoro”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Santopietro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

nei confronti

dei Comuni di Falvaterra e di Rocca D’Arce, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, non costituiti in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, 11 luglio 2018, n.396, resa tra le parti, avente ad oggetto l’approvazione di una variazione del bilancio dell’Unione relativo all’anno 2017.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Unione di Comuni “Antica Terra di Lavoro”;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 28 novembre 2023, in collegamento da remoto in videoconferenza, il Cons. Antonella Manzione e udito per l’appellato l’avvocato Ivan Santopietro, in dichiarata delega dell’avvocato Giuseppe Santopietro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il Comune di San Giovanni Incarico, facente parte, insieme ai Comuni di Rocca D’Arce e di Falvaterra, di un’Unione istituita ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (T.u.e.l.), denominata “Antica Terra di Lavoro”, ha adito il T.a.r. per il Lazio per l’annullamento delle deliberazioni, rispettivamente della Giunta e del Consiglio di quest’ultima, n. 40 del 28 novembre 2017 e n. 10 del 29 dicembre 2017, con le quali è stata apportata una variazione al bilancio dell’anno 2017, in assenza dei propri rappresentanti.

1.1. Va premesso che il loro mancato coinvolgimento trovava fondamento nella sostanziale estromissione del Comune medesimo dalla compagine associativa, in precedenza deliberata dal Consiglio dell’Unione (provvedimento n. 7 del 2 agosto 2017, non impugnato tempestivamente) sull’assunto che sarebbe venuto meno il necessario rapporto fiduciario tra gli Enti locali coinvolti, giusta la scelta dell’amministrazione appellante di annullare l’avvenuto ampliamento delle funzioni delegate.

In maggior dettaglio, il Comune di San Giovanni Incarico, infatti, aveva optato per il mantenimento del solo assetto concordato nel dicembre del 2012 (con deliberazioni di ciascuno dei Comuni coinvolti e successivo accordo), riferito alla gestione congiunta del catasto, della pianificazione della protezione civile e dell’organizzazione e gestione dei servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, con riscossione dei relativi tributi - che veniva ad innestarsi, peraltro, su un preesistente sodalizio la cui genesi e il cui contenuto non sono adeguatamente chiariti in atti - non avallando invece la successiva deliberazione n. 15 del 3 maggio 2017, di conferimento all’Unione della pressoché totalità dei propri servizi, e segnatamente «i servizi tecnici, i servizi urbanistici, i servizi dei lavori pubblici e di manutenzione, i servizi sociali ed i servizi finanziari, con le relative funzioni […], oltre ai servizi e funzioni fondamentali». A tale scopo, con deliberazione del 21 luglio 2017, n. 5 - a sua volta non fatta oggetto di impugnativa - annullava d’ufficio la precedente, ravvisandovi specifiche violazioni di legge, oltre che una sostanziale diseconomicità gestionale.

2. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, sez. I, con la sentenza n. 396 dell’11 luglio 2018, nella resistenza dell’intimata Unione dei Comuni “Antica Terra di lavoro”, ha dichiarato il ricorso inammissibile per carenza di legittimazione e di interesse ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a., ritenendo che il Comune di San Giovanni Incarico, una volta escluso dall’Unione, non aveva ragione alcuna di dolersi delle scelte finanziarie della stessa. L’avvenuta ratifica della decisione di dissociarsene, oggetto della deliberazione del Consiglio dell’Unione n. 7 del 2 agosto 2017, approvata peraltro all’unanimità, alla presenza anche del rappresentante dell’Amministrazione uscente, non gli consentirebbe ora di sindacare una pianificazione economica alla quale è divenuto sostanzialmente estraneo.

3. Con rituale e tempestivo atto di appello, il Comune di San Giovanni Incarico ha chiesto la riforma di tale sentenza, lamentandone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di tre motivi di gravame, dei quali i primi due strettamente correlati tra di loro. Il contenuto degli atti impugnati, cioè, sarebbe affetto da invalidità derivata dalla sostanziale nullità o inesistenza della deliberazione presupposta (motivo sub 1), la portata generale delle cui affermazioni ne avrebbe comunque reso inutile l’impugnativa autonoma (motivo sub 2).

3.1. Gli organi dell’Unione, dunque, non avevano alcuna competenza ad escludere unilateralmente un Comune aderente alla stessa, spettando solo a quest’ultimo, sulla base delle specifiche previsioni statutarie in merito, la scelta di recedere dal sodalizio. Anche facendo riferimento alla parte pattizia dei rapporti tra gli Enti, non sarebbero stati rispettati gli artt. 30 del d.lgs. n. 267 del 2000 e 15 della l. n. 241 del 1990, che impongono determinati requisiti formali per sciogliersi dagli impegni in precedenza assunti tra amministrazioni. Da qui l’invalidità delle delibere impugnate, successive a ridetta illegittima estromissione.

3.2. La natura non provvedimentale della deliberazione n. 7 del 2017 dell’Unione, concretizzatasi nella mera presa d’atto della decisione del Comune di San Giovanni Incarico di sciogliersi dalla gestione associata dei servizi aggiunti nel 2017, per giunta erroneamente interpretata, ne rendeva inutile il gravame tempestivo.

3.3. Con un terzo motivo di censura, infine, la difesa civica ha lamentato il mancato scrutinio dell’autonomo vizio delle deliberazioni impugnate, ovvero l’avvenuta violazione dell’art. 6 dello Statuto dell’Unione, in forza del quale il recesso, seppur effettivamente esercitato (il che non è nel caso di specie), avrebbe prodotto effetti solo a decorrere dal 31 dicembre successivo, sicché alla data di approvazione della variazione di bilancio di cui è causa, il Comune di San Giovanni Incarico faceva ancora parte a pieno titolo dell’Ente di secondo livello e aveva diritto di presenziare alle sedute dei suoi organi assembleari.

4. Ha resistito in giudizio l’Unione “Antica Terra di Lavoro”, escludendo innanzi tutto che alla propria deliberazione n. 7 del 2017 possa attagliarsi l’invocato paradigma della nullità o addirittura dell’inesistenza degli atti amministrativi. La mancata impugnativa di tale provvedimento presupposto, dunque, sarebbe stata opportunamente posta a base della decisione del giudice di primo grado di escludere la legittimazione ad agire e l’interesse del Comune ricorrente, che non subirebbe comunque alcun effetto pregiudizievole dalle scelte dell’Unione, siccome ormai indirizzate esclusivamente ai Comuni di Rocca D’Arce e di Falvaterra. Ha quindi valorizzato la portata costitutiva della delibera n. 7 del 2017, non derubricabile a mera presa d’atto delle altrui decisioni, stante il suo contenuto anche di scioglimento dal vincolo derivante dall’appartenenza all’Unione, seppure «[…] a causa degli Atti deliberativi adottati dal Comune di San Giovanni Incarico ed indicati in premessa […]».

4.1. Con memoria versata in atti il 27 ottobre 2023 ha chiarito che nella delibera di variazione del bilancio di previsione 2017 si va a modificare l’importo da riscuotere per la TARI preventivato in circa 630.000 euro, stante che circa 500.000 riguardano il Comune di San Giovanni Incarico, seppure il Sindaco ne abbia ostacolato la riscossione addirittura diramando un avviso ai propri cittadini invitandoli a non pagare il tributo in relazione ai bollettini emessi «fino alla risoluzione di [presunta] anomalia». Ad ulteriore riprova dell’approccio ostruzionistico ed emulativo tenuto nei confronti dell’Unione dal Comune appellante, ha richiamato la nota del 28 luglio 2022 con la quale il medesimo Sindaco, seppure rivolgendosi al Commissario liquidatore, ha notiziato dei fatti la Procura della Corte dei conti. Malgrado, quindi, il documentato scioglimento dell’Unione a seguito di presa d’atto della volontà di recesso dei rimanenti Comuni di Rocca D’Arce e di Falvaterra con la deliberazione n. 15 dell’11 luglio 2019, versata in atti, ha ribadito il proprio interesse alla decisione anche nel merito, per porre fine alle liti asseritamente temerarie intraprese da controparte (da ultimo, con ricorso n.r.g. 436/2022, pendente per la medesima questione innanzi al T.a.r. per il Lazio), dichiarandone la soccombenza virtuale con conseguente condanna alle spese di lite.

5. All’udienza del 28 novembre 2023, fissata per l’esame nel merito della vicenda dopo che le parti hanno di comune accordo rinunciato alla decisione cautelare, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. L’appello è meritevole di accoglimento, nei sensi e limiti di seguito esplicitati.

7. Al fine di comprendere la complessa vicenda di cui è controversia, occorre fornire qualche ulteriore precisazione, in fatto e in diritto, circa la tipologia di “legame” intercorrente fra i Comuni interessati, non senza premettere che la relativa ricostruzione presenta plurime lacune e evidenzia commistioni procedurali. In particolare, sia la costituzione, dichiaratamente preesistente ai fatti di causa, che il potenziamento dell’Unione, sono affidati ad atti il cui susseguirsi e stratificarsi non risulta adeguatamente ricostruito, tanto in senso cronologico, che contenutistico.

7.1. Va detto che l’uso promiscuo dei due distinti modelli associativi fra Comuni (vale a dire l’unione e la convenzione) che ne risulta, risente probabilmente anche dell’inadeguatezza della sottesa cornice normativa. Il paradigma generale, contenuto, rispettivamente, nell’art. 30 (convenzione) e 32 (unione) del T.u.el., infatti, è richiamato dalla legislazione speciale laddove declina i casi di obbligatorietà del relativo utilizzo, ma senza fornire maggiori indicazioni procedimentali. Tale legislazione, peraltro, in quanto ispirata piuttosto ad esigenze di spending review, che di analisi amministrativa, attinge al tema delle funzioni fondamentali senza farsi carico di un’effettiva visione di sistema. Ridetto approccio sostanzialmente contabile-finanziario, indubbiamente limitato e limitante, non a caso è stato da subito oggetto di critiche, in particolare orientate alla ricerca di valutazioni di più ampio respiro, mosse da logiche di valorizzazione della sussidiarietà e di conseguimento di un’omogeneità tendenziale dei livelli delle prestazioni, da far confluire in una vera e propria riforma del settore (l’auspicata “Carta delle autonomie”).

8. La legittima sussistenza del vincolo associativo ovvero, in senso diametralmente opposto, la correttezza del suo venir meno, si riverberano dunque necessariamente sulle decisioni assunte per conto -recte, al posto - degli Enti aderenti, quale che ne sia il relativo oggetto. L’analisi di quest’ultimo a sua volta incide sulla sussistenza dell’interesse ad agire, che potrebbe non esservi laddove si tratti di scelte a contenuto necessitato ovvero estranee alla futura attività del Comune, seppure non coinvolto indebitamente nella loro adozione.

8.1. Da qui l’importanza da un lato di valutare la “consistenza giuridica” dell’Unione al momento dell’adozione degli atti impugnati in ragione della specifica cornice ordinamentale che connota l’istituto; dall’altro, di esaminare gli effetti potenzialmente pregiudizievoli degli stessi, quand’anche astrattamente rivolti ormai solo agli altri due Comuni che di sicuro hanno continuato a farne parte.

9. Quanto detto consente di ulteriormente perimetrare l’oggetto della controversia, siccome incentrata sulle delibere di approvazione della variazione del bilancio dell’Unione del 2017: malgrado la totale mancanza nelle stesse di una parte narrativa idonea ad esplicitarne la motivazione, dall’analisi degli schemi di bilancio allegati parte integrante parrebbe evincersi la sostanziale decurtazione dal gettito programmato riveniente dalla TARI, delle somme riguardanti i residenti del Comune di San Giovanni Incarico, che costituiscono per tabulas la fetta più cospicua dell’introito quantificato complessivamente in fase previsionale. Tale assestamento in diminuzione non può che risolversi in una partita debitoria a carico del Comune stesso nei confronti dell’Unione, che quand’anche si chiami fuori dalla fase della riscossione diretta dai cittadini delle relative somme, resta creditore, appunto, per l’avvenuto esercizio del servizio corrispondente. Non è chi non veda come la questione, destinata ad incidere, finanche sul piano formale, sulle corrispondenti voci del bilancio del Comune di San Giovanni Incarico, non possa non rivestire interesse per lo stesso.

10. Va peraltro ricordato che il bilancio di assestamento è lo strumento giuridico-contabile destinato ad aggiornare quello di previsione annuale alle vicende economiche e finanziarie sopravvenute ed alle nuove situazioni verificatesi dopo la sua approvazione. Le conseguenze “operative” rivenienti dallo stesso, cui entrambe le parti continuano a riferirsi, seppure in maniera implicita, paventando finanche profili reciproci di responsabilità erariale, non attengono al contenuto degli atti impugnati e saranno caso mai oggetto di scrutinio nelle sedi loro proprie, cui peraltro risultano essere state già deferite. Ciò a maggior ragione ove si tenga conto che la vicenda attiene al solo bilancio del 2017, che in quanto riferibile a somme esigibili anche negli anni successivi non vincola in alcun modo le attività future, preso atto altresì della mancata sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata (e quindi della variazione di bilancio) a seguito di rinuncia all’istanza cautelare anche da parte dell’appellante.

11. D’altro canto, le rivendicazioni inerenti eventuali inadempienze dell’Unione con riferimento allo svolgimento del servizio di riscossione per l’anno 2017, sono oggetto di autonomo contenzioso, ovvero il (nuovo) giudizio incardinato presso il medesimo T.a.r. per il Lazio con il ricorso n.r.g. 436/2022.

12. I Comuni di San Giovanni Incarico, Rocca D’Arce e Falvaterra, dunque, per quanto verificabile da una mera consultazione online tutti con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, hanno dato vita ad una “Unione”, denominata “Antica Terra di lavoro”, cui con successive deliberazioni consiliari più o meno coeve (dicembre 2012) hanno affidato o riaffidato la gestione congiunta di tre delle funzioni fondamentali nel frattempo enucleate dalla legislazione speciale per gli Enti territoriali di dimensione minore (segnatamente, il catasto, la protezione civile e l’organizzazione e gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani, con contestuale riscossione dei relativi tributi, di cui, rispettivamente, alle lettere c), e) ed f) del comma 28 dell’art. 14 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 30 luglio 2010, n. 122). I passaggi attraverso i quali ridetta scelta è stata resa operativa, come rilevato poc’anzi, non risultano oggetto di analitica ricostruzione. Certo è che alla data del 31 agosto 2013, l’originario statuto dell’Unione è stato modificato con deliberazione del Consiglio della stessa n. 2, pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lazio n. 75 del 12 settembre 2013, prevedendo all’art. 7, rubricato appunto «Funzioni», un elenco comprensivo anche di quelle sopra richiamate. Con deliberazione n. 7 del 30 settembre 2014, «e successivi provvedimenti confermativi» (così riporta testualmente la nota inviata dal Sindaco del Comune di San Giovanni Incarico al Presidente dell’Unione “Antica Terra di Lavoro”, al Prefetto di Frosinone e alla sezione delle autonomie locali della Corte dei conti in data 27 settembre 2017, prot. 3731) l’Unione avrebbe poi assunto l’«impegno formale» di occuparsi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e di riscossione del relativo tributo (TARI).

13. La controversia consegue al “ripensamento” da parte del Comune di San Giovanni Incarico circa il conferimento all’Unione, avvenuto con delibera del 3 maggio 2017, n. 15, di approvazione di una nuova convenzione, di ulteriori funzioni, ovvero tutte quelle qualificate come “fondamentali” dal richiamato art. 14, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, come modificato dall’art. 19 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, nonché dei «servizi tecnici, urbanistica, lavori pubblici e manutenzione, servizi sociali e servizi finanziari» (art. 1). Dopo che l’Ente, cioè, ha annullato in autotutela con successiva deliberazione n. 5 del 21 luglio 2017 tale opzione gestionale per molteplici ed evidenziati profili di violazione di legge, il Consiglio dell’Unione lo ha escluso dalla propria compagine associativa e, conseguentemente, dalla partecipazione alle sedute degli organi rappresentativi, da ultimo finalizzate all’approvazione della variazione di bilancio oggetto di causa.

14. Vanno ora forniti brevi richiami ai principi di diritto in materia di associazionismo intercomunale.

15. L’atteggiamento del legislatore nei confronti dell’istituto dell’Unione è variato profondamente nel tempo. L’analisi normativa porta ad individuare tre principali stagioni. Nella prima, tale modalità associativa era considerata un passaggio transitorio nell’ambito di un percorso di aggregazione più profondo che avrebbe dovuto obbligatoriamente portare alla fusione degli enti partecipanti entro dieci anni, decorsi i quali senza che si fosse proceduto in tal senso, l’Unione avrebbe cessato di esistere. Nella seconda fase, proprio allo scopo di incentivarne l’utilizzo, le Unioni cessano di rappresentare un passaggio propedeutico alla fusione e divengono uno strumento flessibile di cooperazione, dotato di una propria autonomia. Ciò avviene con la legge 3 agosto 1999, n. 265, che qualifica le Unioni come un “ente locale” autonomo. La disciplina è confluita nell’attuale Testo unico degli enti locali (T.u.e.l.), che se ne occupa all’art. 32, il cui modello generale, come già detto, è espressamente richiamato anche con riferimento all’associazionismo obbligatorio che, almeno sulla carta, connota la fase successiva di approccio alla tematica (art. 14, comma 28-bis del d.l. n. 78 del 2010). A decorrere dal 2010, infatti, si apre una terza fase. Il divampare della crisi finanziaria, prima, e di quella del debito sovrano, poi, rendono prioritario nell’agenda di policy l’obiettivo del consolidamento dei conti pubblici. Il percorso di risanamento, tracciato nei documenti ufficiali, prevede una revisione della spesa pubblica da realizzarsi attraverso una strategia complessiva che contempli la razionalizzazione del perimetro di azione delle giurisdizioni locali, la riorganizzazione su base associativa dell’offerta dei servizi pubblici da parte dei piccoli Comuni, nonché il riordino delle Province e delle partecipazioni societarie degli enti territoriali. In questo contesto, l’Unione diviene uno strumento obbligatorio, alternativo alla convenzione, per l’esercizio di quelle che sono individuate come le funzioni fondamentali da parte dei piccoli Comuni, considerati tali sulla base di soglie demografiche sia per i singoli partecipanti sia per l’Unione nel suo complesso: il limite massimo di abitanti per ciascun Comune è confermato in 5.000 (come già previsto nella legge 8 giugno 1990, n. 142, recante «Ordinamento delle autonomie locali», che consentiva la deroga per un unico ente con popolazione compresa fra i 5.000 e i 10.000 abitanti), salvo si tratti di comuni che appartengono o sono appartenuti a comunità montane.

15.1. Il regime transitorio dettato dal comma 31-ter dell’art. 19 del d.l. n. 95 del 2012 fissava un doppio termine di adeguamento all’obbligo di aderire ad una delle due forme di gestione associata, ovvero un’iniziale “messa in comune” di almeno tre funzioni fondamentali tra quelle riportate in elenco, e il successivo completamento della progettualità nella forma prescelta. Come noto, i termini sono stati prorogati di anno in anno, da ultimo al 31 dicembre 2024 dall’art. 2, comma 2, del decreto legge 30 dicembre 2023, n. 215, che ha spostato in avanti il precedente, fissato al 31 dicembre 2023 dall’art. 18-bis del d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, introdotto dalla legge di conversione, 28 febbraio 2020, n. 8, via via modificato.

15.2. L’evoluzione normativa sopra descritta, ivi compresi i ricordati plurimi rinvii, è emblematica della difficoltà di individuare un punto di equilibrio fra perseguimento di economie di scala, cioè migliore allocazione ed utilizzazione delle risorse finanziarie ed organiche disponibili, ampliamento del novero dei servizi in concreto erogati – o in astratto erogabili – alla cittadinanza dai Comuni associati, e rispetto delle tradizioni e della cultura specifica dei luoghi. È chiaro infatti che il raggiungimento di un livello omogeneo delle prestazioni non può non imporre un minimo di sacrificio alle esigenze identitarie del microcosmo di minuscoli Enti locali, spesso caratterizzati da strutture burocratiche pressoché inesistenti in territori connotati anche da problematiche di accessibilità agli uffici.

16. Per completezza vanno poi ricordate la legge 7 aprile 2014, n. 56, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», che ha mantenuto ferme le due tipologie di unione (quella facoltativa per l’esercizio associato di determinate funzioni e quella obbligatoria per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti per l’esercizio delle funzioni fondamentali), riservando allo Stato e alle regioni, secondo le proprie competenze, la possibilità di attribuire alcune funzioni provinciali anche alle stesse; la legge 6 ottobre 2017, n. 158, recante «Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni», nota come legge sui piccoli comuni, che all’art. 13 ha stabilito che quelli tenuti ad esercitare obbligatoriamente in forma associata le funzioni fondamentali, svolgano con la medesima modalità anche le attività di programmazione in materia di sviluppo socio-economico, e quelle che riguardano l’impiego delle occorrenti risorse finanziarie, pure se derivanti dai fondi strutturali dell’Unione europea; nonché l’art. 12, comma 1, del d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, Codice della protezione civile, che ha ribadito la natura di funzione fondamentale dei comuni lo svolgimento nel proprio territorio delle attività di pianificazione di protezione civile e di direzione dei soccorsi con riferimento alle strutture di appartenenza.

17. La materia è stata infine incisa da un’importante sentenza del giudice delle leggi, che ha ritenuto in contrasto con l’art. 3, nel combinato disposto con gli artt. 5, 97 e 118 della Costituzione, il comma 28 dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui non consente ai Comuni di non accedere alla gestione associata, ove la stessa non sia conveniente, avuto riguardo, ad esempio, alla particolare collocazione geografica e ai caratteri demografici e socio ambientali del Comune obbligato, che non realizzerebbe, con le forme associative imposte, economie di scala e/o miglioramenti, in termini di efficacia ed efficienza, nell’erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento (Corte cost., 24 gennaio 2019, n. 33). La complessità delle situazioni locali merita dunque un’attenzione in concreto per valutare quando «l’ingegneria legislativa non combacia con la geografia funzionale [sicché], il sacrificio imposto all’autonomia comunale non è in grado di raggiungere l’obiettivo cui è diretta la normativa stessa; questa finisce così per imporre un sacrificio non necessario, non superando quindi il test di proporzionalità (ex plurimis sentenze n. 137 del 2018, n. 10 del 2016, n. 272 e n. 156 del 2015)». D’altro canto, proprio l’estenuante numero dei rinvii dei termini originariamente previsti per consociarsi obbligatoriamente è considerato sintomatico delle criticità di una normativa che non tiene evidentemente conto dell’«[…] esistenza di situazioni oggettive che, in non pochi casi, rendono di fatto inapplicabile la norma».

18. Le convenzioni, disciplinate in termini generali dall’art. 30 del T.u.e.l., ove opzionate quale forma di gestione associata dai Comuni obbligati, devono avere una durata «almeno» triennale, termine che comunque indica l’unità di tempo minimo trascorsa la quale si dovrebbe procedere a “misurare” l’effettività dei risparmi conseguiti, secondo modalità demandate ad apposito provvedimento attuativo (v. ancora l’art. art. 14, comma 31-bis, del d.l. n. 78 del 2010).

19. Rispetto alla gestione associativa in Unione, i Comuni in convenzione mantengono la titolarità giuridica delle funzioni, delle risorse e del personale e non “si avvalgono” degli organi amministrativi colà appositamente previsti. Essa pertanto costituisce un modello connotato da maggiore flessibilità, tanto da risultare la forma associativa largamente più diffusa tra i piccoli Comuni. Al contrario, la natura di Ente di secondo livello dell’Unione fa sì che le modalità organizzative della stessa siano rimesse agli atti adottati dai relativi organi, in particolare lo Statuto e i regolamenti, ferma restando, una volta che la stessa si sia costituita, l’applicabilità dei principi previsti per l’ordinamento dei comuni, «con particolare riguardo allo status degli amministratori, all’ordinamento finanziario e contabile, al personale e all’organizzazione» (art. 32, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000). In fase di prima istituzione, lo Statuto deve essere approvato dai consigli dei comuni partecipanti; le successive modifiche invece sono rimesse alla competenza di quello dell’Unione.

19.1. I rapporti tra Enti consociati, quindi, non sono oggetto di convenzione. Nella prassi, tuttavia, accade sovente che si affidi ad una fase negoziale la concreta attuazione degli obiettivi statutari, così da generare possibili equivoci interpretativi in ordine alla fonte degli obblighi gestionali e alle conseguenze delle inadempienze. Ciò accade soprattutto in ragione del fatto che per espresso disposto normativo (art. 30, comma 4, del T.u.e.l.) le convenzioni possono prevedere la costituzione di uffici comuni che operano con personale distaccato degli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli stessi, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all’accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti.

20. Va infatti ricordato che le convenzioni ex art. 30 del d.lgs. n. 267 del 2000 altro non sono che una species del più ampio genus di accordi contemplati dall’art. 15 della l. n. 241 del 1990, come ancora di recente affermato dal Consiglio di Stato. Tale tipologia di rapporto emerge «con nitore tanto dal confronto testuale delle due disposizioni, quanto, più in generale, dal rapporto fra le coordinate logico-sistematiche, contenutistiche e teleologiche dei due testi legislativi che, rispettivamente, le contengono» (Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2023, n. 9842). A ciò consegue la necessità che la loro stipula soddisfi i requisiti di forma previsti da ridetta disposizione a carattere generale quale, a far data dal 30 giugno 2014, la sottoscrizione con firma digitale (art. 15, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, introdotto dal d.l. n. 104 del 2013, successivamente modificato dal d.l. n. 145 del 2013). Essi inoltre sono sottoposti ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili, ove non diversamente previsto.

21. Nell’ambito della disciplina dell’Unione, invece, solo i commi 2 e 5-bis dell’art. 32 del T.u.e.l. fanno riferimento all’utilizzo della convenzione: la prima ipotesi (comma 2), quale esercizio da parte dell’Unione, al pari di qualsiasi altra amministrazione, della sua capacità negoziale, estrinsecantesi nella possibilità di sottoscrivere accordi con altre Unioni o con singoli comuni, aderenti o meno alla stessa; la seconda (comma 5-bis, introdotto dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221), per consentire ai Sindaci dei comuni aderenti di delegare le funzioni di ufficiale dello stato civile e di anagrafe a personale idoneo dell’unione o dei singoli comuni associati. L’ampliamento delle funzioni assegnate all’Unione “Antica Terra di Lavoro” deliberato con atto n. 15 del 3 maggio 2013 pare attingere al modello della convenzione tra l’Unione e un singolo Comune, seppure facente parte della stessa e dunque si pone al di fuori della funzionalità per così dire istituzionale propria dell’Ente in questione. Anche per tale ragione, quindi, esso si palesa estraneo al rapporto originario tra gli Enti riconducibili alla stessa e alla “fiducia” che lo ha generato, intesa in accezione tutt’affatto soggettiva ed emozionale, ma giuridica, come orientamento ad un risultato che si confida di raggiungere solo o comunque meglio mettendo a sistema le proprie risorse, economiche, umane e strumentali.

21.1. D’altro canto, anche il conferimento in concreto della gestione associata delle tre funzioni fondamentali oggetto della scelta del 2012, sull’evidente scia della richiamata legislazione speciale “propulsiva” in tal senso, ha trovato esplicitazione nella sigla di convenzioni, il cui contenuto vincolante tuttavia si innesta nell’assetto organizzativo dell’Unione, in termini di modifica statutaria. Non a caso, la convenzione mutua l’indicazione della durata dell’accordo -recte, parrebbe, delle condizioni di svolgimento dei servizi, evidentemente demandati alla fonte pattizia – dalla lettera dell’art. 14, comma 31-bis del d.l. n. 78 del 2010 («almeno un triennio»), evidentemente non coincidente con i trenta anni di vita presunta dell’Unione indicati nello Statuto (art. 5). L’organizzazione in concreto dei servizi associati, ivi compresa quella degli uffici, è demandata ad ulteriori e tutt’altro che chiare «Convenzioni regolamentari adottate nel rispetto dei principi fissati dalla legge» (art. 3 dell’«Atto di convenzione tra i Comuni di San Giovanni Incarico, Rocca D’Arce e Falvaterra per la gestione associata nell’Unione di Comuni “Antica Terra di Lavoro di funzioni e servizi fondamentali»). In assenza di qualsivoglia esplicitazione aggiuntiva da ambo le parti, si presume che uno di tali accordi sia quello poi sfociato, quanto meno con riferimento al servizio di gestione dei rifiuti, nella deliberazione del Consiglio dell’Unione n. 7 del 30 settembre 2014, contenente in verità il Regolamento del servizio di gestione (consociato) dei rifiuti urbani. Né in tale stratificazione di atti è possibile comprendere appieno l’esatta portata ed operatività dell’Ente originariamente costituito: l’art. 17, comma 2, dello Statuto, fa riferimento al 20 settembre 2006 quale data di sua costituzione; con riferimento alla protezione civile, la documentazione intercorsa fra le parti consente di ipotizzare la preesistenza della gestione congiunta, evidentemente ribadita senza esplicitare i cambiamenti ampliativi e/o migliorativi; lo stesso dicasi per una parte dell’attività di gestione dei rifiuti, in relazione alla quale è il medesimo Comune di San Giovanni Incarico a riferire al Prefetto di Frosinone lo svolgimento congiunto, a far data dal 2011, della raccolta differenziata attuata con la modalità “porta a porta” nel proprio territorio e in quello del Comune di Falvaterra, tramite appositi contenitori per strada in quello di Rocca D’Arce (v. lettera di rendicontazione prot. n. 4662 del 31 ottobre 2014).

21.2. Con riferimento, infine, ad eventuali funzioni «ulteriori» rispetto a quelle in elenco, il comma 3 dell’art. 7 dello Statuto, ne demanda la possibilità di «attribuzione» all’Unione da parte dei singoli Comuni con apposita deliberazione, anche in questo caso lasciando in dubbio se ciò debba avvenire nell’ambito di un rapporto negoziale bilaterale (una convenzione, ai sensi del ricordato art. 30, comma 2, del T.u.el.), ovvero dando luogo ad una sorta di eterointegrazione ordinamentale, coinvolgente l’Unione e, conseguentemente, tutti gli Enti facenti parte della stessa. Nella prima direzione parrebbe muoversi la decisione del Comune di San Giovanni Incarico n. 15 del 3 maggio 2017, successivamente annullata, stante che l’accordo siglato il 24 maggio 2017 ha interessato solo lo stesso e il Presidente dell’Unione, peraltro individuati nella medesima persona fisica che cumulava illo tempore entrambe le cariche, stabilendo un vincolo destinato a sopravanzare nel tempo la durata originaria dell’Unione (ventinove anni, a decorrere dalla sigla).

22. La ricostruzione effettuata evidenzia dunque con chiarezza l’elemento caratterizzante l’istituto dell’Unione, che ne ha costituito anche nel tempo il ravvisato fattore di criticità impediente l’utilizzo: essa si concretizza nella creazione di un Ente distinto dai Comuni che la compongono, a finalità normalmente settoriale, dotato di propri organi e competenze esclusive, nell’ambito dell’oggetto della gestione condivisa. Per contro, l’accordo gestionale cui si addiviene con una mera convenzione può risolversi in una delega, ma non spoglia mai il Comune che la conferisce della titolarità in astratto della relativa funzione.

23. La previsione del difetto assoluto di attribuzione come causa di nullità dell’atto richiama in modo diretto il concetto di carenza di potere e il fatto che il legislatore, con l’art. 21-septies della l. n. 241 del 1990, non abbia utilizzato tale espressione conduce a ritenere che nel mai sopito dibattito al riguardo si sia voluto fare riferimento alla carenza di potere in astratto, e non in concreto. Va dunque considerato nullo il provvedimento adottato da un’amministrazione totalmente priva del potere, appunto, di emanarlo, o perché esso appartiene ad un’amministrazione radicalmente diversa -si parla in questo caso di incompetenza assoluta - oppure perché si tratta di un potere precluso ad ogni amministrazione e riservato ad un altro potere dello Stato, giurisdizionale o legislativo (carenza di potere in astratto). Ritiene il Collegio che la seconda ipotesi sia quella effettivamente verificatasi nel caso di specie. Il potere di estromettere con decisione unilaterale uno dei Comuni che compongono un’Unione non è previsto dall’art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000, né trova - o potrebbe trovare - riscontro nelle previsioni statutarie di quella denominata “Antica Terra di Lavoro”. Queste ultime caso mai da un lato disciplinano quale causa di cessazione dell’Ente la scadenza del termine di durata ovvero una deliberazione assunta a maggioranza qualificata da parte dei propri organi deliberanti. Il recesso del singolo partecipante, invece, può avvenire solo ad iniziativa dello stesso, ferma restando la (effettiva) presa d’atto da parte dell’Unione: recesso che nel caso di specie, per quanto ampiamente chiarito, non è stato in alcun modo esercitato in relazione all’adesione all’Unione, ma limitato all’ulteriore e pattizio conferimento di funzioni alla stessa tramite autonoma convenzione accessiva.

24. É di tutta evidenza, cioè, che l’Unione, una volta nata su base volontaristica ovvero, a maggior ragione, coatta (nel momento in cui entreranno in vigore le relative previsioni legislative) non ha il potere di modificare unilateralmente la propria compagine associativa, quando ciò si ripercuota su scelte spettanti ai suoi singoli componenti, estromettendoli a prescindere dall’avvenuta espressione di volontà in tal senso da parte degli stessi, ovvero perfino contro la relativa volontà.

25. Va detto che la scelta espulsiva, enfatizzata dalla difesa dell’Unione quale effettivo oggetto del proprio deliberato, non è in realtà immediatamente percepibile ad una prima lettura del dispositivo dello stesso. Essa cioè non è fatta oggetto di un’autonoma, e chiara, enunciazione precettiva, ma va desunta da una sorta di obiter dictum letteralmente “perso” all’interno di uno dei lunghi periodi descrittivi contenuti nella decisione, laddove si afferma cioè «di ritenere risolto e sciolto, come in effetti si risolve e si scioglie, a causa degli atti deliberativi adottati dal Comune di San Giovanni Incarico, ed indicati in premessa, il vincolo associativo con il Comune di San Giovanni Incarico, con revoca altresì delle deliberazioni consiliari dell’Unione dei Comuni n.2/02 e n. 11/2014 nelle parti in cui prevedono l’esercizio in forma associata dei servizi e delle funzioni ivi indicati con il Comune di San Giovanni Incarico, e di tutti gli atti connessi e conseguenti , in esecuzione della volontà espressa dall’Organo consiliare di San Giovanni Incarico […]». Così utilizzando addirittura l’istituto della revoca, riferendolo a scelte consensuali altrui, in maniera del tutto incongrua, oltre che palesemente immotivata.

25.1. Ciò giustificherebbe peraltro l’omessa comprensione immediata della portata lesiva dell’atto da parte del rappresentante del Comune appellante (unico presente tra i tre previsti) che pure ha partecipato alla deliberazione consiliare, con conseguente impugnativa dello stesso solo al momento della concretizzazione dei relativi effetti, ovvero con l’approvazione della variazione di bilancio di cui è causa.

26. Il Comune di San Giovanni Incarico ha, dunque, legittimamente e, ritiene il Collegio, doverosamente, annullato in autotutela la delibera del maggio 2017, con altra di poco successiva, n. 5 del 21 luglio 2017, sull’assunto che è stato violato l’art. 35, comma 5, del T.u.el., che vieta al Consiglio comunale “uscente” l’adozione di provvedimenti non qualificabili come «urgenti e improrogabili» dopo l’avvenuta pubblicazione dei comizi elettorali per l’effettuazione delle nuove consultazioni (decreto del Prefetto di Frosinone del 4 aprile 2017, n. 4183, riferito alle elezioni amministrative fissate per l’11 giugno 2017). Ciò non senza rilevare altresì la mancanza «di appositi atti di conferimento mai stipulati dagli Enti e tra gli Enti interessati». Con tale scelta, peraltro, per tali aspetti rispondente a mere esigenze di certezza del diritto, ha posto in luce le conseguenze della precedente -inopportuna anche sotto il profilo dell’unicità del soggetto decisore, seppure in procinto di decadere da una delle due cariche - che quella pregressa avrebbe comportato sul piano sostanziale, ovvero la sostanziale riduzione del Comune appellato ad una scatola vuota, esautorato «dei suoi servizi e funzioni istituzionali più significativi, anche fondamentali ex art. 117 della Costituzione ed art. 14, co. 27, D.L. 78/2010, convertito con legge n. 122/2010 e s.m.i.», in palese contrasto con lo spirito della legislazione in materia.

Valutazioni tutte di diritto, prima che di opportunità, che in alcun modo potevano assurgere a causa nel senso civilistico della risoluzione del rapporto derubricato a mera convenzione tra le parti.

27. La deliberazione n. 7 del 2 agosto 2017 è invece chiaramente neutra, nel senso di inidonea a produrre qualsivoglia lesione nella sfera giuridica dell’appellante, laddove riguardata solo dall’ottica della dichiarata «presa d’atto» della decisione autoemendativa assunta dal Comune di San Giovanni Incarico, una volta chiarita l’esatta ed inequivoca portata dell’actus primus che con il suo contrarius si è inteso rimuovere. Esso infatti, come ormai ampiamente evidenziato, aveva ad oggetto solo il conferimento di ulteriori funzioni in via pattizia all’Unione, non condizionanti i precedenti requisiti costitutivi della stessa e anzi in maniera ad essa sostanzialmente estranea. La circostanza poi che l’accordo conseguitone non fosse neppure idoneo, per carenza dei prescritti requisiti di forma, a produrre alcun effetto giuridico, fa sì che tale pretesa «presa d’atto» si palesi anche del tutto tautologica. A prescindere, infatti, dall’acquisita efficacia o meno della sottesa delibera del maggio del 2017, in quanto non fatta oggetto di pubblicazione online, è innegabile la radicale nullità testuale, dichiarata a soli fini di certezza dei rapporti giuridici, dell’accordo conseguitone. Come pure già chiarito, infatti, allo stesso trova applicazione il comma 2-bis dell’art. 15 della l. n. 241, introdotto per la prima volta dal d.l. n. 179 del 2012, convertito con legge n. 221 del 2012 (e poi modificato in seguito solo quanto alla decorrenza del vincolo di forma ivi delineato), che prescrive che gli accordi fra Pubbliche Amministrazioni debbano essere sottoscritti con firma digitale, «pena la nullità degli stessi». Tale nullità “testuale” rende quelli non corredati dalla specifica tipologia di sottoscrizione inidonei a produrre un qualunque effetto giuridico. Ciò in quanto il comma 2 dell’art. 15 stabilisce che «per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall’articolo 11, commi 2 e 3», che a loro volta rimandano, «ove non diversamente previsto, ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili». Il richiamo in parola, quindi, non può che essere riferito all’istituto civilistico della nullità, che, come noto, si connota, inter alia, per l’assoluta inidoneità dell’atto a produrre effetti giuridici: altrimenti detto, dal punto di vista degli effetti (ossia in un’ottica pragmatica attenta al dato funzionale della capacità concreta dell’atto di modificare la realtà giuridica), l’atto essenzialmente non esiste (sul punto, v. ancora Cons. Stato, n. 9842/2023, cit. supra).

27. Condivisa dunque la propugnata ricostruzione del vizio che affligge la delibera presupposto degli atti impugnati come nullità per difetto di attribuzione per avvenuta invasione di un settore attribuito ai singoli Comuni, titolari della scelta associativa, ne va ora scrutinata la valutabilità alla luce dell’avvenuto decorso del termine decadenziale fissato dal codice ai fini del promuovimento della relativa azione dichiarativa (art. 31, comma 4, c.p.a.), siccome eccepito dall’amministrazione appellata.

28. La norma processuale richiamata ha infatti assoggettato la declaratoria di nullità dell’atto amministrativo alla proposizione della relativa domanda al giudice da parte di chi vi abbia interesse, entro il termine di centottanta giorni, da intendersi come decorrente dalla piena conoscenza dell’atto medesimo, con ciò recependo solo in parte gli aspetti tipici della nullità - come tradizionalmente operante nell’ambito del diritto civile - quale nuova forma di invalidità dello stesso oggi declinata all’art. 21-septies della l. n. 241 del 1990. Vero è che la medesima norma ha anche affermato per altro verso - come per i contratti così anche per l’atto amministrativo - sia la opponibilità in perpetuum della nullità ad opera della parte resistente, sia la rilevabilità di ufficio di tale invalidità, da parte del giudice.

28.1. La compatibilità della rilevabilità d’ufficio della nullità con il termine di decadenza è apparsa da subito ai commentatori alquanto oscura, in un sistema che prima facie non sembra particolarmente simmetrico in termini di garanzie tra le parti. Al fine dunque di non rendere vana la previsione stessa del termine decadenziale per la deduzione del vizio in via autonoma da parte del ricorrente, è stato dunque affermato in giurisprudenza che la perpetua rilevabilità d’ufficio da parte del giudice incontra il limite del caso in cui sia la parte stessa a far valere detta forma di invalidità, in via di azione (Cons. Stato, sez. III, 3 luglio 2019, n. 4566; sez. VI, 5 luglio 2022, n. 5593).

29. Nel caso di specie, tuttavia, si versa nella differente ipotesi in cui la nullità di atti amministrativi (ovviamente in un giudizio diverso da quello ex art. 31, comma 4, c.p.a.) risulta funzionale alla pronuncia sulla domanda introdotta in giudizio (e quindi, nel giudizio impugnatorio, alla declaratoria di illegittimità dell’atto impugnato e al suo conseguente annullamento, ovvero, al contrario, al rigetto della domanda di annullamento).

In aderenza dunque al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, cui si ispira anche la giurisprudenza di legittimità sull’efficacia invalidante del vizio radicale dell’atto presupposto su quello conseguente, non può non rilevarsi come la nullità della deliberazione dell’Unione n. 7 del 2017, seppure per altri versi portata ad esecuzione con provvedimenti non fatti oggetto di gravame, si riverbera necessariamente sulla legittimità degli atti impugnati, ovvero le delibere di approvazione della variazione di bilancio. Ciò in quanto la lettura dei tabulati riportanti le varie voci di spesa e di entrata evidenzia la rivisitazione della allocazione delle somme quale conseguenza della estromissione del Comune di San Giovanni Incarico, che, al contrario, almeno per quelle riferite ai servizi in gestione associata (recte, da parte dell’Unione), non poteva essere effettuata.

30. All’accoglimento dell’appello d’altro canto può pervenirsi anche con riferimento al terzo motivo di censura. In esso l’appellante invoca l’avvenuta violazione dell’art. 6 dello Statuto dell’Unione che fa decorrere l’efficacia anche di un regolare recesso dal 31 dicembre dell’anno in corso. A tutto concedere alla tesi dell’appellata, dunque, quand’anche cioè la scelta risolutiva fosse da ascrivere alla volontà del Comune di San Giovanni Incarico, nel prenderne atto l’Unione non poteva certo anticiparne la decorrenza. A ciò consegue che alla data del 28 novembre 2017 (di deliberazione da parte della Giunta) e del 29 dicembre 2017 (di approvazione da parte del Consiglio, nella cui epigrafe il Presidente dell’Unione viene contraddittoriamente indicato ancora quale rappresentante del Comune di San Giovanni Incarico), l’Amministrazione appellante doveva a pieno titolo essere convocata e assistere alle sedute degli organi rappresentativi.

31. L’applicabilità all’Unione dei principi generali in materia di Comuni, sancita dall’art. 32 del T.u.e.l. e ribadita dallo Statuto di quella denominata “Antica Terra di Lavoro” all’art. 17, comma 1, consente di conformarsi a quanto costantemente affermato in giurisprudenza per le ipotesi di irritualità delle convocazioni, estendendole a maggior ragione al caso di totale omissione delle stesse, come accaduto nel caso di specie. Trattasi di vicende che arrecano un vulnus alle prerogative del consigliere comunale pregiudicandone il corretto svolgimento del mandato.

31.1. La lesione dello ius ad officium, ha dunque radicalmente pregiudicato la possibilità di esercitare con pieno e libero convincimento il munus pubblico del quale il consigliere dell’Unione è stato investito a tutela degli interessi dell’Ente che ne faceva ancora parte, con conseguente inibizione nell’espletamento dei diritti propri dello status e impossibilità di esercitare le facoltà espressamente previste dall’art. 43 del Testo unico degli Enti locali.

32. Per tutto quanto sopra detto, l’appello deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.a.r. per il Lazio, Latina, n. 396 del 2018, deve essere accolto il ricorso di primo grado promosso dal Comune di San Giovanni Incarico, e annullata la variazione di bilancio approvata in via definitiva con delibera n. 10 del 2017 del Consiglio dell’Unione “Antica Terra di Lavoro”, nelle sole parti in cui rivedono le voci in entrata e in uscita non considerando come facente parte della stessa l’Amministrazione ricorrente. Tenuto conto della circostanza, evidenziata dalla difesa dell’Unione, che la stessa è in via di definitivo scioglimento, l’effetto conformativo della presente decisione non può che esplicare i propri effetti nei confronti del Commissario liquidatore, chiamato ad adeguare la propria rendicontazione ai principi in questa sede affermati e a valutarne l’impatto sui bilanci successivi. Laddove il liquidatore abbia esaurito la propria rendicontazione, all’attuazione della decisione provvederà un Commissario ad acta, individuato da subito nel Prefetto di Frosinone o in uno o più funzionari dallo stesso incaricati.

33. La complessità della vicenda e la novità di talune delle questioni trattate, giustifica la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi e limiti di cui in motivazione.

Nomina Commissario ad acta il Prefetto dell’Ufficio territoriale del Governo di Frosinone, con facoltà di delega, per le attività eventuali di cui in motivazione.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2023, tenutasi in modalità da remoto con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:

Raffaello Sestini, Presidente FF

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Ugo De Carlo, Consigliere

Massimo Santini, Consigliere

Diana Caminiti, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonella Manzione Raffaello Sestini
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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