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Consiglio di Stato, Sez. II, 30/1/2024 n. 926
Sulla compatibilità col diritto dell’Ue degli incentivi alla produzione di energie rinnovabili

Va rimessa alla Corte di giustizia dell’Unione europea la seguente questione pregiudiziale:
"dica la Corte di giustizia se i principi recati dall’art. 3 della direttiva 2001/28/CE e dall’art. 4 della direttiva 2018/2001/UE ostano o non ostano a una normativa interna, quale l’art. 7, comma 7, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 4 luglio 2019, che, nell’ambito di un regime nazionale di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, preveda, con riferimento a fattispecie in cui i produttori vendono l’energia sul libero mercato, un meccanismo incentivante (c.d. “a due vie”) in forza del quale, rispetto ai soli impianti di nuova costruzione di potenza pari o superiore a 250 kW, l’incentivo è calcolato come differenza tra la tariffa spettante all’impresa (determinata tenendo conto, da un lato, delle tariffe di riferimento previste per ciascuna tipologia d’impianto e d’intervento, dalla normativa applicabile e, dall’altro, delle riduzioni offerte al ribasso dall’operatore nell’ambito delle procedure di asta o registro, nonché delle ulteriori decurtazioni previste in via generale dalla normativa interna) e il prezzo zonale orario, con conseguente obbligo di riversare le somme eccedenti il valore della tariffa spettante quando il prezzo zonale orario sia a essa superiore (c.d. “incentivo negativo”)".

Materia: energia / disciplina
Pubblicato il 30/01/2024

N. 00926/2024 REG.PROV.COLL.

N. 03710/2023 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 3710 del 2023, proposto da


Higreen Power S.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Saverio Sticchi Damiani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza San Lorenzo in Lucina, n. 26;


contro

Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Gianluigi Pellegrino e Antonio Pugliese, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, corso del Rinascimento, n. 11;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Consiglio dei Ministri, Ministero dell’economia e delle finanze, Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (già Ministero della transizione ecologica), Ministero delle imprese e del “made in Italy” (già Ministero dello sviluppo economico), Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente-ARERA, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza, n. 3010/2023, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2023 il Cons. Alessandro Enrico Basilico e uditi per le parti gli avvocati Saverio Sticchi Damiani e Gianluigi Pellegrino;


Premesso e considerato che:

1. La società appellante è titolare di un impianto fotovoltaico con potenza di 999,78 kW, di nuova costruzione ed entrato in esercizio il 25 marzo 2022.

2. Con provvedimento del 7 giugno 2022, la società è stata ammessa alle tariffe incentivanti di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico del 4 luglio 2019, stipulando per l’effetto, in data 16 giugno 2022, il contratto per il riconoscimento di questi incentivi con il Gestore dei servizi energetici-GSE S.p.A..

3. Con il ricorso di primo grado, depositato dinanzi al TAR del Lazio, la società appellante ha censurato il provvedimento di ammissione e il contratto nella parte in cui si prevede che «nel caso in cui il valore dell’incentivo, ottenuto come differenza tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario, risulti negativo, il GSE provvederà a chiedere al soggetto responsabile la restituzione di tale differenza», sostenendo che tale meccanismo non garantisca l’equa remunerazione dei costi, violi i principi europei di concorrenza sostanziandosi nell’imposizione di un ricavo, contrasti con l’obiettivo di garantire condizioni stabili, eque, favorevoli e trasparenti per le imprese che investono in energia rinnovabile, leda il diritto di proprietà e il legittimo affidamento nella conservazione di un “bene” ai sensi dell’art. 1 del Prot. 1 alla CEDU.

4. Il TAR ha respinto il ricorso, ritenendo non irragionevole la previsione, in quanto essa pone l’imprenditore al riparo dall’aleatorietà del prezzo di mercato, garantendogli un importo fisso tramite cui recuperare quanto investito nell’impianto, e a fronte di tale vantaggio riconosce un “ristorno” al GSE quando il prezzo dell’energia aumenta.

5. La società ha proposto appello, sostenendo che TAR non abbia considerato che, in caso di aumenti del prezzo dell’energia, il meccanismo comporta l’azzeramento dell’incentivo, precludendo così la remunerazione dei costi d’investimento e di esercizio, in contrasto con la logica della normativa, tanto interna quanto eurounitaria, che è quella di porre l’imprenditore che abbia investito al riparo dall’aleatorietà del prezzo di mercato dell’energia assicurandogli un’entrata fissa, nonché con il principio di concorrenza, dato che svantaggia le imprese che hanno avuto accesso agli incentivi, e con la tutela dei “beni” di cui all’art. 1 del Prot. 1 alla CEDU.

6. All’udienza pubblica del 5 dicembre 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

7. In via preliminare, il GSE ha eccepito l’irricevibilità del ricorso per carenza d’interesse, in quanto l’impresa, sottoscrivendo la convenzione, ne avrebbe accettato tutte le condizioni.

Valutata ai limitati fini della rilevanza della questione pregiudiziale di compatibilità della normativa interna con il diritto dell’Unione sollevata dall’appellante e impregiudicato ogni approfondimento nel prosieguo del giudizio, l’eccezione è infondata, in quanto l’intenzione di prestare acquiescenza ad un atto amministrativo deve risultare in modo univoco ed essersi liberamente formata, eventualità che non ricorre quando l’obbligo in contestazione sia previsto, senza un’effettiva negoziazione, nella convenzione unilateralmente predisposta dalla parte pubblica, la cui sottoscrizione da parte del privato, senza potervi apporre modifiche o riserve, è condizione necessaria perché questi ottenga il bene cui aspira e che può conseguire solo mediante l’esercizio della potestà pubblicistica.

8. Nel merito, il Collegio dubita che sussista un conflitto tra la normativa interna, dalla cui applicazione dipende la decisione sull’appello, e quella eurounitaria, pertanto si rende necessario effettuare il rinvio pregiudiziale d’interpretazione di cui all’art. 267 del TFUE, anche considerato che avverso le decisioni del Consiglio di Stato non può proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno e che, nella specie, la corretta interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione rilevanti ai fini del giudizio non s’impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi, né queste sono già state oggetto d’interpretazione da parte Corte di giustizia, dunque non ricorrono le condizioni in cui il giudice di ultima istanza può ritenersi esonerato dall’obbligo di rimessione (sulle quali si v., tra le tante, Corte giust., Grande Sez., sent. 6 ottobre 2021, C-561/19 [ECLI:EU:C:2021:799], Consorzio Italian Management, pt. 27 e ss., e, più di recente, Corte giust., sent. 22 dicembre 2022, C-83/21 [ECLI:EU:C:2022:1018], Airbnb Ireland, pt. 79 e ss. e ord. 27 aprile 2023, C-482/22 [ECLI:EU:C:2023:404], Associazione Raggio Verde, pt. 28 e ss.).

È opportuno precisare che, nel formulare il quesito d’interpretazione, il Collegio si atterrà a quanto previsto dall’art. 94 del regolamento di procedura della Corte di giustizia e alle “Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” pubblicate sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea dell’8 novembre 2019 (G.U. 2019/C 380/01), dunque utilizzando un criterio espositivo improntato ad una rigorosa sintesi, senza che questo comporti alcun conflitto con l’art. 24 Cost., giacché il diritto di difesa, nell’ambito del sistema di tutela giurisdizionale euro-unitario, in cui si iscrive il rinvio pregiudiziale, è modulato e conformato dalla peculiare natura e dalle caratteristiche dell’ordinamento dell’Unione (pluralità di lingue e connessa necessità di un’onerosa attività di traduzione; esistenza di diverse tradizioni giuridiche; natura incidentale della cognizione di cui all’art. 267 TFUE) ed è comunque garantito dalla possibilità, per le parti del procedimento principale, di partecipare al procedimento dinanzi ai giudici di Lussemburgo.

9. La disposizione del diritto nazionale rilevante nel caso di specie, della cui contrarietà al diritto dell’Unione si dubita, è l’art. 7, comma 7, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 4 luglio 2019 (Incentivazione dell’energia elettrica prodotta dagli impianti eolici on shore, solari fotovoltaici, idroelettrici e a gas residuati dei processi di depurazione), il quale stabilisce che per gli impianti di potenza pari o superiore a 250 kW «il GSE calcola la componente incentivo come differenza tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario di mercato dell’energia elettrica e, ove tale differenza sia positiva, eroga gli importi dovuti in riferimento alla produzione netta immessa in rete secondo le modalità individuate all’art. 25 del decreto 23 giugno 2016. Nel caso in cui la predetta differenza risulti negativa, il GSE conguaglia o provvede a richiedere al soggetto responsabile la restituzione o corresponsione dei relativi importi. In tutti i casi, l’energia prodotta da questi impianti resta nella disponibilità del produttore».

10. Su tale disposizione si fonda il provvedimento di ammissione, impugnato con il ricorso di primo grado, il quale stabilisce che «l’incentivazione da riconoscere all’energia prodotta dall’impianto in oggetto è calcolata sulla base del seguente algoritmo: Incentivazione = Energia incentivabile * (Tariffa Spettante – Prezzo zonale orario)» (dove «Energia incentivabile = L * min [Energia elettrica effettivamente immessa in rete; Energia prodotta lorda * (1-%FPC)]» e la tariffa spettante è pari a 90,000 euro/MWh), nonché precisa che «sulla base di quanto previsto dall’art. 7, comma 7, del DM2019, nel caso in cui il valore dell’incentivo, ottenuto come differenza tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario, risulti negativo, il GSE provvederà a richiedere al Soggetto Responsabile la restituzione di tale differenza mediante compensazione su altre partite di competenza del medesimo Soggetto Responsabile o corresponsione diretta secondo le modalità specificate nell’articolato contrattuale».

11. Della normativa ministeriale fa applicazione anche l’art. 4 del contratto stipulato dall’appellante con il GSE, contestato dalla società, il quale prevede che «la tariffa incentivante, costante in moneta corrente, da utilizzare ai fini dell’incentivazione dell’impianto» è pari a 0,090000 euro/kWh e che il Gestore, da un lato, «riconosce la differenza, qualora positiva, tra la suddetta tariffa incentivante e il prezzo zonale orario», dall’altro «conguaglia o provvede a richiedere all’Operatore la differenza, qualora negativa, tra la suddetta tariffa incentivante e il prezzo zonale orario».

12. Per comprendere il contesto in cui la previsione s’inserisce, occorre ricordare che l’accesso agli incentivi avviene attraverso due diverse modalità, a seconda della potenza e della tipologia dell’impianto: mediante iscrizione ai registri ovvero mediante partecipazione ad aste.

Per ciascun operatore viene quindi determinata la tariffa spettante, calcolata tenendo conto, da un lato, delle tariffe di riferimento previste per ciascuna tipologia d’impianto e d’intervento dalla normativa applicabile e, dall’altro, delle riduzioni offerte al ribasso dall’operatore nell’ambito delle procedure di asta o registro, nonché delle ulteriori decurtazioni previste dal decreto.

Il decreto ministeriale del 4 luglio 2019 prevede inoltre due differenti meccanismi incentivanti, in funzione della potenza dell’impianto: il primo è rappresentato dal ritiro dell’energia elettrica prodotta da parte del GSE, il quale eroga all’operatore della tariffa a questi spettante; il secondo è costituito dall’attribuzione all’impresa di un incentivo, calcolato come differenza tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario, che, se positiva (ossia quando la prima è superiore al secondo), integra il ricavo connesso alla vendita sul mercato dell’energia prodotta, mentre, quando è negativa (ossia quando la tariffa è inferiore al prezzo di mercato), comporta che l’impresa non solo non percepisca alcuna sovvenzione, ma debba versare la differenza al GSE (c.d. sistema “a due vie”).

13. Mentre gli impianti di potenza non superiore a 250 kW possono optare tra uno dei due meccanismi, quelli di potenza pari o superiore, come quello dell’appellante, possono accedere al solo incentivo.

14. Nel caso di specie, la società appellante – che, data la potenza del suo impianto, non avrebbe potuto optare per un meccanismo incentivante diverso da quello “a due vie” – ha riferito e documentato che, avendo stipulato il contratto durante la crisi energetica del 2022, quando il prezzo orario dell’energia era superiore alla tariffa spettante, non ha ottenuto alcun incentivo, anzi ha ricevuto richieste di pagamento della differenza da parte del GSE.

15. Il Collegio dubita della compatibilità tra il meccanismo incentivante “a due vie”, come delineato dall’art. 7, co. 7, del decreto ministeriale del 4 luglio 2019, da un lato, e l’art. 3 della direttiva n. 2009/28/CE e l’art. 4 della direttiva n. 2018/2001/UE, dall’altro.

In particolare, l’art. 3 della direttiva n. 2009/28/CE – abrogata con effetto dal 1 luglio 2021, ma ancora in vigore all’epoca di adozione del decreto ministeriale del 4 luglio 2019 – stabilisce che ogni Stato membro «promuove e incoraggia l’efficienza ed il risparmio energetici» e adotta «misure efficacemente predisposte» in modo da raggiungere entro il 2020 la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale fissata quale obiettivo nazionale, e che, a tal fine, può adottare «regimi di sostegno» (definiti dall’art. 2, co. 2, lett. k), della medesima direttiva come ogni «strumento, regime o meccanismo […] inteso a promuovere l’uso delle energie da fonti rinnovabili riducendone i costi, aumentando i prezzi a cui possono essere vendute o aumentando, per mezzo di obblighi in materia di energie rinnovabili o altri mezzi, il volume acquistato di dette energie», quali, per esempio, «le sovvenzioni agli investimenti, le esenzioni o gli sgravi fiscali, le restituzioni d’imposta, i regimi di sostegno all’obbligo in materia di energie rinnovabili, compresi quelli che usano certificati verdi, e i regimi di sostegno diretto dei prezzi, ivi comprese le tariffe di riacquisto e le sovvenzioni»).

L’art. 4 della direttiva n. 2018/2001/UE – che prevedeva quale termine per il recepimento la data del 30 giugno 2021, dunque un momento successivo a quello di emanazione del decreto ministeriale del 4 luglio 2019, ma dalla quale è derivato sin dalla sua adozione l’obbligo per gli Stati di astenersi dall’adottare disposizioni che potessero compromettere gravemente l’obiettivo posto da questa (c.d. obbligo di “standstill”, su cui si v., tra le tante, Corte giust., sent. 18 dicembre 1997, C-129/96 [ECLI:EU:C:1997:628], Inter-Environnement Wallonie, pt. 43 e ss.); tale termine era già spirato al momento dell’adozione del provvedimento di ammissione agli incentivi impugnato con il ricorso di primo grado e la direttiva era stata invero recepita dalla Repubblica Italiana mediante il d.lgs. 8 novembre 2021, n. 199, pubblicato in G.U. n. 285 del 30 novembre 2021 e in vigore dal 15 dicembre 2021 (la quale, tuttavia, con l’art. 10, co. 2, ha previsto l’emanazione di un decreto ministeriale per l’aggiornamento della disciplina sui meccanismi d’incentivazione, entro 180 giorni dall’entrata in vigore, dunque un momento successivo a quello in cui è stato emanato il provvedimento impugnato in primo grado) – conferma la possibilità per gli Stati membri di «istituire dei regimi di sostegno» che prevedano «l’erogazione di incentivi», precisando che questi meccanismi devono basarsi «su criteri di mercato», rispondere «ai segnali di mercato, evitando inutili distorsioni dei mercati dell’energia elettrica e tenendo conto degli eventuali costi di integrazione del sistema e della stabilità della rete», essere concepiti «in modo da massimizzare l’integrazione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili nel mercato dell’energia elettrica e garantire che i produttori di energia rinnovabile reagiscano ai segnali di prezzi del mercato e massimizzino i loro ricavi sul mercato» e concessi «con modalità aperte, trasparenti, competitive, non discriminatorie ed efficaci sotto il profilo dei costi».

16. Il dubbio sulla compatibilità tra il diritto nazionale e le direttive discende da tre considerazioni.

In primo luogo, che, alla luce del diritto dell’Unione, il meccanismo incentivante dovrebbe agevolare la promozione della prodizione di energia da fonti rinnovabili, favorendo l’investimento nella realizzazione di nuovi impianti o nel potenziamento di quelli esistenti, mediante un contributo pubblico a sostegno dei relativi costi (i quali vengono così posti parzialmente a carico della collettività in ragione delle esternalità positive che si ricollegano alla transizione ecologica), mentre l’incentivo negativo configurato dall’art. 7, co. 7, del decreto ministeriale del 4 luglio 2019 comporta che, nel caso in cui il prezzo zonale orario dell’energia aumenti, le imprese, pur avendo effettuato degli investimenti, non ottengono alcuna sovvenzione che ne riduca il costo, anzi debbano riversare al GSE parte degli introiti derivati dalla vendita sul mercato dell’energia prodotta, con la conseguenza che queste potrebbero essere indotte ad abbandonare l’incentivo, così compromettendo il raggiungimento dei risultati perseguiti dalle direttive.

In secondo luogo, che l’incentivo negativo non può considerarsi una contropartita della garanzia di una tariffa costante, considerato che l’impresa vende l’energia sul mercato, soggiace alle sue dinamiche ed è esposta ai relativi rischi, dunque l’obbligo di versare la differenza tra il prezzo zonale orario e la tariffa spettante al singolo operatore potrebbe pregiudicarne la capacità di reazione alle dinamiche del mercato: per questo, si dubita vi sia un contrasto con il criterio, posto dalle direttive, di configurare i regimi di sostegno in modo da rispondere ai segnali di mercato, evitando inutili distorsioni.

In terzo luogo, che la tariffa “a due vie”, la quale può tradursi nell’applicazione dell’incentivo negativo, è imposta quale unico meccanismo incentivante per tutti gli impianti di potenza pari o superiore a 250 kW, mentre i titolari di impianti di potenza inferiore possono optare per il diverso regime che prevede il ritiro dell’energia da parte del GSE con corresponsione della tariffa spettante a loro favore: da questo deriva il dubbio sulla compatibilità con la prescrizione, posta dalle direttive, di configurare regimi di sostegno non discriminatori.

17. Per completezza, nonché per consentire alla Corte di giustizia di valutare l’opportunità di una riunione delle cause, si segnala che una questione analoga è stata sollevata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 7673 dell’8 agosto 2023 (causa C-514/23, Tiberis Holding), con la quale si è posto il seguente quesito: «dica la Corte di giustizia se i principi recati dagli articoli 3 della direttiva 2009/28/CE 1 e 4 della direttiva 2018/2001/UE 2 ostano o non ostano a una normativa interna che nell’ambito di un regime nazionale di incentivi prevede, con riferimento a fattispecie in cui i produttori vendono l’energia sul libero mercato, una tariffa incentivante che garantisce un prezzo minimo, che è al contempo anche un prezzo massimo, in virtù di un meccanismo di conguaglio-restituzione delle somme eccedenti il valore dell’incentivo qualora il prezzo di mercato sia superiore a quest’ultimo (cosiddetto incentivo negativo), applicandosi inoltre il meccanismo di conguaglio soltanto laddove il produttore che vende l’energia sul libero mercato acceda all’incentivo mediante iscrizione al pertinente registro e non anche laddove vi acceda mediante partecipazione a una procedura di asta».

18. Il Collegio ritiene comunque opportuno effettuare un nuovo e specifico rinvio nell’ambito di questo processo perché, a prescindere dai dubbi sull’ammissibilità dell’alternativa della “sospensione impropria” del giudizio (rispetto alla quale la Sesta Sezione, con ordinanza n. 9876 del 17 novembre 2023, ha sollevato delle obiezioni, rimettendo la questione all’Adunanza Plenaria), vi sono delle differenze tra i due casi.

In primo luogo, è diversa la normativa nazionale della cui compatibilità con il diritto dell’Unione si dubita, dato che nel caso di cui all’ordinanza n. 7673 del 2023 si trattava del decreto ministeriale del 23 giugno 2016, mentre in questo deve essere applicato il decreto ministeriale del 4 luglio 2019.

In secondo luogo, quando è stata emanata la normativa interna che viene in rilievo in questo giudizio era già stata adottata la direttiva n. 2018/2001/UE e, quando è stato emanato il provvedimento impugnato con il ricorso di primo grado, il termine per il suo recepimento era spirato.

Inoltre, mentre nel regime delineato dal decreto del 2016 l’applicazione della tariffa “a due vie” era correlata alla modalità di accesso all’incentivo (mediante iscrizione al registro ovvero mediante asta), in quello configurato dal decreto del 2019 essa discende dalla potenza dell’impianto, dunque cambia l’elemento su cui si fonda la diversità di trattamento tra imprese.

Infine, l’appellante è diverso, circostanza che impone di effettuare il rinvio anche per consentire alla parte privata di partecipare al giudizio dinanzi alla Corte di giustizia, in modo da assicurarle il diritto di difesa (garantito sia dall’art. 24 Cost., sia dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), a maggior ragione se si considera che, invece, il GSE è parte di entrambi i processi ed è quindi legittimato di per sé a intervenire nel procedimento già pendente dinanzi ai giudici di Lussemburgo.

19. Tutto ciò premesso e considerato, ai sensi dell’art. 267 del TFUE si formula il seguente quesito: «dica la Corte di giustizia se i principi recati dall’art. 3 della direttiva 2001/28/CE e dall’art. 4 della direttiva 2018/2001/UE ostano o non ostano a una normativa interna, quale l’art. 7, comma 7, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 4 luglio 2019, che, nell’ambito di un regime nazionale di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, preveda, con riferimento a fattispecie in cui i produttori vendono l’energia sul libero mercato, un meccanismo incentivante (c.d. “a due vie”) in forza del quale, rispetto ai soli impianti di nuova costruzione di potenza pari o superiore a 250 kW, l’incentivo è calcolato come differenza tra la tariffa spettante all’impresa (determinata tenendo conto, da un lato, delle tariffe di riferimento previste per ciascuna tipologia d’impianto e d’intervento, dalla normativa applicabile e, dall’altro, delle riduzioni offerte al ribasso dall’operatore nell’ambito delle procedure di asta o registro, nonché delle ulteriori decurtazioni previste in via generale dalla normativa interna) e il prezzo zonale orario, con conseguente obbligo di riversare le somme eccedenti il valore della tariffa spettante quando il prezzo zonale orario sia a essa superiore (c.d. “incentivo negativo”)».

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, così dispone:

- rimette alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale d’interpretazione indicata in motivazione al punto 19;

- ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme all’originale della presente ordinanza nonché copia integrale del fascicolo di causa;

- dispone la sospensione del presente giudizio nelle more della pronuncia della Corte di giustizia;

- riserva alla sentenza definitiva ogni ulteriore pronuncia, anche in ordine alle spese di lite.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Frigida, Presidente FF

Francesco Guarracino, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere

Alessandro Enrico Basilico, Consigliere, Estensore

Ugo De Carlo, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alessandro Enrico Basilico Francesco Frigida
 
 
 

IL SEGRETARIO


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