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TAR Campania, Napoli, Sez. I, 11/4/2024 n. 2407
Sull'inammissibilità di un'autonoma impugnazione della determinazione finale da parte dell'autorità amministrativa che ha scelto di non partecipare alla conferenza di servizi

Le amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi, non rientranti tra le amministrazioni dissenzienti portatrici di interessi sensibili, che vogliano contestarne gli esiti hanno a disposizione esclusivamente un potere sollecitatorio nei confronti dell'amministrazione procedente che può, nell'ambito della sua discrezionalità, decidere di ritirare il provvedimento in attuazione del potere di autotutela previsto dall'art. 21 nonies l. n. 241 del 1990. Riconoscere, a fianco di tale potere sollecitatorio, anche il potere di impugnare la determinazione finale, significherebbe frustrare la ratio semplificatoria della conferenza di servizi e lo stesso meccanismo organizzativo ad essa sotteso.
In particolare, se fosse riconosciuto ad un'amministrazione partecipante alla conferenza di servizi di contestare l'esito finale della stessa, attraverso la proposizione di un autonomo ricorso, sarebbe sostanzialmente superfluo, se non del tutto inutile, l'art. 14 quater, comma 2, prima visto, che, nel limitare le contestazioni delle autorità amministrative coinvolte nella conferenza di servizi al solo potere sollecitatorio, predilige un modello semplificato e agile che possa consentire l'emanazione del provvedimento finale nel minor tempo possibile, senza permettere contestazioni al di fuori di quanto consentito dalla legge che ritarderebbero la procedura. Inoltre, riconoscere l'impugnazione avverso il provvedimento finale in favore di chi, pur potendo partecipare alla conferenza di servizi, non vi abbia partecipato, vorrebbe dire legittimare condotte contrastanti con il principio di buona fede e leale collaborazione, previsto dall'art. 1, comma 2 bis, l. n. 241 del 1990, nonché con il meccanismo semplificatorio rappresentato dal silenzio assenso previsto dall'art. 14 bis, comma 4. Se l'ordinamento prevede la formazione del silenzio assenso in caso di "mancata comunicazione delle determinazioni entro il termine di cui al comma 2, lettera c)" vorrebbe dire violare il principio di non contraddizione, che è a sua volta anche applicazione del principio di buona fede, consentire l'impugnazione, da parte del soggetto inerte, del provvedimento finale, che rischierebbe di rimettere in discussione tutta la vicenda, frustrando il meccanismo organizzativo della conferenza di servizi che è ispirato ad un rapido confronto tra amministrazioni capace di far emergere le posizioni giuridiche prevalenti.
Principio di buona fede e non contraddizione si oppongono, dunque, all'ammissibilità di un'autonoma impugnazione della determinazione finale da parte dell'autorità amministrativa che ha scelto di non partecipare alla conferenza di servizi, accettando consapevolmente la formazione del silenzio assenso.


Materia: pubblica amministrazione / attività
Pubblicato il 11/04/2024

N. 02407/2024 REG.PROV.COLL.

N. 02854/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2854 del 2023, proposto da
Comune di Arzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Sabatino Rainone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz, n. 11;
Pipallo S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Leone, Manfredi Nappi, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Leone in Napoli, viale Gramsci, 23;
Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Ausiello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Campania Genio Civile di Napoli, Regione Campania, Commissario Straordinario del Governo della Zes Campania, non costituiti in giudizio.

nei confronti

Comune di Frattamaggiore, Comune di Casoria, Comando Provinciale Vv.Ff., Città Metropolitana di Napoli, Ente Idrico Campano, Asl Napoli 2 Nord, non costituiti in giudizio;
Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz, n. 11.

per l''annullamento:

a) della nota del Commissario Straordinario del “Governo della ZES Campania” prot. n° 0507/COM del 20.04.2023 – Autorizzazione Unica n° 13 del 20.04.2023 - ad oggetto “Autorizzazione Unica, ai sensi dell''art. 5 bis D.L. 20.06.2017, n. 91 come modificato dal D.L. n. 77 del 31.05.2021, relativa alla ‘realizzazione di un insediamento produttivo destinato alla logistica'' avanzata dalla soc. ‘Pipallo s.r.l.'' presso l''area ubicata in Zona ASI – Agglomerato Casoria – Arzano – Frattamaggiore (NA), all''interno del perimetro ZES Campania in tenimento dei Comuni di Frattamaggiore e Arzano (NA)”;

b) ove e per quanto lesiva, della nota di riscontro prot. n° 749/2023 con cui è stato denegato l''invito all''autotutela promosso dal Comune di Arzano e protocollata dall''Amministrazione resistente al n° 13720 del 15.05.2023;

c) ove e per quanto lesivi dei seguenti atti presupposti: - della Deliberazione di Consiglio Generale del Consorzio ASI di Napoli, n° 21 del 31.07.2019, con la quale è stata apportata una variante planimetrica per l''agglomerato industriale di Casoria – Arzano – Frattamaggiore; - del Decreto Dirigenziale ASI n° 84 del 05.08.2022, non conosciuto; - del verbale conclusivo della Conferenza di Servizi del 19.04.2023;

d) di ogni altro atto preordinato, collegato, connesso e/o consequenziale comunque lesivo delle posizioni giuridiche soggettive del ricorrente, ancorché non conosciuto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Pipallo S.r.l., del Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di Napoli e dell’Ufficio Territoriale del Governo Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 marzo 2024 il dott. Maurizio Santise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Con ricorso notificato alle amministrazioni resistenti e alla società controinteressata, il Comune ricorrente ha impugnato la nota del Commissario Straordinario del “Governo della ZES Campania” prot. n° 0507/COM del 20.04.2023, con cui è stata rilasciata, in seguito all’espletamento della conferenza di servizi, l’autorizzazione unica n° 13 del 20.04.2023, emessa ai sensi dell'art. 5 bis d.l. 20.06.2017, n. 91, come modificato dal d.l. n. 77 del 31.05.2021, relativa alla ‘realizzazione di un insediamento produttivo destinato alla logistica'', in favore della Pipallo s.r.l., presso l'area ubicata in Zona ASI – Agglomerato Casoria – Arzano – Frattamaggiore (NA), all''interno del perimetro ZES Campania in tenimento dei Comuni di Frattamaggiore e Arzano (NA).

Il Comune ricorrente ha impugnato il predetto provvedimento, contestandone la legittimità e chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

A. Illegittimità dell’Autorizzazione Unica n° 13 del 20.04.2023 per:

I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 19 d.p.r. n° 380/2001 - eccesso di potere - difetto di motivazione - contraddittorietà tra più atti - ingiustizia manifesta – sviamento di potere – difetto di istruttoria – falsità del presupposto – violazione del procedimento – travisamento ed erronea valutazione dei fatti – violazione del principio di proporzionalità – disparità di trattamento;

II. Violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell’art. 5 d.m. 1444/1968 – violazione e f.a. art. 5 bis d.l. n° 91/ 2017 – violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n° 241/1990 - eccesso di potere - difetto di motivazione – illogicita’ – contraddittorieta’ - illegittimita’ dei contenuti - ingiustizia manifesta – sviamento di potere - difetto di istruttoria – falsità del presupposto – violazione del procedimento – travisamento ed erronea valutazione dei fatti – violazione del principio di proporzionalità – disparità di trattamento;

III. Violazione e falsa applicazione art. 10 regolamento p.r.t. asi (nn.tt.a.) - violazione e f.a. art. 10 della l.r. n° 16/1998 - eccesso di potere - sviamento di potere - difetto di istruttoria – falsità del presupposto – violazione del procedimento – travisamento ed erronea valutazione dei fatti – violazione del principio di proporzionalità – disparità di trattamento.

Il Comune ricorrente ha, altresì, impugnato, con le censure riportate alla lettera b) del ricorso, la Deliberazione del Consiglio Generale del Consorzio ASI di Napoli, n° 21 del 31.07.2019, con la quale è stata apportata una variante planimetrica per l’agglomerato industriale di Casoria – Arzano – Frattamaggiore, per i seguenti motivi:

IV. Violazione e falsa applicazione art. 10 regolamento p.r.t. asi (nn.tt.a.) - violazione e f.a. art. 10 della l.r. n° 16/1998 - eccesso di potere - sviamento di potere - difetto di istruttoria – falsità del presupposto – violazione del procedimento – travisamento ed erronea valutazione dei fatti – violazione del principio di proporzionalità – disparità di trattamento.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Pipallo S.r.l., il Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di Napoli e l’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli si sono costituiti regolarmente in giudizio, contestando l’avverso ricorso e chiedendone il rigetto.

Alla pubblica udienza del 14 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Nel corso del giudizio è emerso che il 7.12.2023 è stata rilasciata in favore della Pipallo s.r.l. altra autorizzazione unica in variante, che avrebbe superato quella impugnata in questa sede. La controinteressata ha, quindi, chiesto dichiararsi l’improcedibilità dei relativi motivi di ricorso; il Comune ricorrente ha, però, evidenziato di aver impugnato la nuova autorizzazione in variante con ricorso straordinario al Capo dello Stato e, quindi, ha chiesto rinviarsi il presente giudizio fino alla conclusione di quello innanzi al Consiglio di Stato.

Entrambi i rilievi non possono essere condivisi.

Quanto al primo, in pendenza dell’impugnazione della nuova autorizzazione in variante, non può essere dichiarata l’improcedibilità dell’odierno ricorso nella parte in cui il ricorrente impugna l’originaria autorizzazione unica, che potrebbe riemergere in caso di annullamento, in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato, della nuova autorizzazione in variante. Tale eventualità, in astratto verificabile, preclude qualunque pronuncia di improcedibilità, come richiesta dalla controinteressata.

Né, tuttavia, può essere disposto un rinvio sine die del presente giudizio, in attesa che si concluda quello innanzi al Consiglio di Stato, in quanto, come si vedrà, l’odierno ricorso avverso l’originaria autorizzazione (n° 13 del 20.04.2023) è inammissibile.

4. Tanto premesso, va esaminato il ricorso nella parte in cui viene impugnata la nota del Commissario Straordinario del “Governo della ZES Campania” prot. n° 0507/COM del 20.04.2023 con cui è stata rilasciata, in seguito all’espletamento della conferenza di servizi decisoria asincrona, l’autorizzazione unica n° 13 del 20.04.2023.

Come visto, il provvedimento impugnato è stato emesso all’esito di una conferenza di servizi decisoria in forma semplificata e in modalità asincrona, disciplinata dall’art. 14 bis l. 241 del 1990.

Il comune ricorrente ha impugnato la determinazione conclusiva della conferenza di servizi con autonomo gravame.

La società controinteressata ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, perché proposto al di fuori del perimetro legislativo delineato dalla l. n. 241 del 1990.

4.1. Per valutare tale eccezione è, però, necessario scandagliare l’istituto della conferenza di servizi e il relativo quadro normativo.

La conferenza di servizi è un modulo organizzativo pensato per semplificare, coordinando le varie pubbliche amministrazioni interessate, la complessa attività amministrativa che sfocia nell’adozione di una determinazione rispettosa delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza (art. 14, comma 7, l. n. 241 del 1990). La conferenza di servizi garantisce un dialogo tra pp.aa. e rientra, insieme al silenzio assenso e alla s.c.i.a., ai sensi dell’art. 29, comma 2, l. n. 241 del 1990, tra gli istituti che sono volti a garantire il livello essenziale delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.

Dalla conferenza di servizi emerge una complessità patologica, derivante dall’alto tasso di dispersione delle funzioni amministrative insiste nel territorio nazionale, e una complessità fisiologica, derivante dalla necessità di riconoscere una pluralità di interessi meritevoli di tutela non necessariamente graduati dalla legge in ordine gerarchico o di prevalenza, ma spesso collocati in posizione di equiordinazione.

Ciascuna amministrazione, ai sensi dell’art. 14 bis, comma 3, deve, entro un termine perentorio, previsto dal comma 2, lett. c), rendere la propria determinazione, relative alla decisione oggetto della conferenza. Il comma 4 specifica che la mancata comunicazione della determinazione entro il termine di cui al comma 2, lettera c), ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei requisiti previsti dal comma 3, equivalgono ad assenso senza condizioni.

L’art. 2, comma 8 bis, come introdotto dal d.l. n. 76 del 2020, convertito dalla l. n. 120 del 2020, dispone che le determinazioni adottate dopo la scadenza del predetto termine sono inefficaci, con ciò riconoscendo al termine a provvedere natura perentoria.

L’art. 14 quater specifica che “La determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall'amministrazione procedente all'esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati”.

Il comma 2 della norma appena richiamata detta le condizioni affinché un’autorità amministrativa possa contestare l’esito della conferenza di servizi. In particolare, è specificato che le amministrazioni, i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della conferenza, possono sollecitare con congrua motivazione l'amministrazione procedente ad assumere, previa indizione di una nuova conferenza, determinazioni in via di autotutela ai sensi dell'articolo 21-nonies. Possono altresì sollecitarla, purché abbiano partecipato, anche per il tramite del rappresentante di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 14-ter, alla conferenza di servizi o si siano espresse nei termini, ad assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi dell'articolo 21-quinquies.

Solo per le amministrazioni dissenzienti preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini, che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza, è previsto un potere di contestazione della determinazione finale, attraverso l’opposizione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 14 quinques).

4.2. Da tale ordito normativo emerge che le amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi, non rientranti tra le amministrazioni dissenzienti portatrici di interessi sensibili, che vogliano contestarne gli esiti hanno a disposizione esclusivamente un potere sollecitatorio nei confronti dell’amministrazione procedente che può, nell’ambito della sua discrezionalità, decidere di ritirare il provvedimento in attuazione del potere di autotutela previsto dall’art. 21 nonies l. n. 241 del 1990.

Riconoscere, a fianco di tale potere sollecitatorio, anche il potere di impugnare la determinazione finale, significherebbe frustrare la ratio semplificatoria della conferenza di servizi e lo stesso meccanismo organizzativo ad essa sotteso.

In particolare, se fosse riconosciuto ad un’amministrazione partecipante alla conferenza di servizi di contestare l’esito finale della stessa, attraverso la proposizione di un autonomo ricorso, sarebbe sostanzialmente superfluo, se non del tutto inutile, l’art. 14 quater, comma 2, prima visto, che, nel limitare le contestazioni delle autorità amministrative coinvolte nella conferenza di servizi al solo potere sollecitatorio, predilige un modello semplificato e agile che possa consentire l’emanazione del provvedimento finale nel minor tempo possibile, senza permettere contestazioni al di fuori di quanto consentito dalla legge che ritarderebbero la procedura.

Inoltre, riconoscere l’impugnazione avverso il provvedimento finale in favore di chi, pur potendo partecipare alla conferenza di servizi, non vi abbia partecipato, vorrebbe dire legittimare condotte contrastanti con il principio di buona fede e leale collaborazione, previsto dall’art. 1, comma 2 bis, l. n. 241 del 1990, nonché con il meccanismo semplificatorio rappresentato dal silenzio assenso previsto dall’art. 14 bis, comma 4. Se l’ordinamento prevede la formazione del silenzio assenso in caso di “mancata comunicazione delle determinazioni entro il termine di cui al comma 2, lettera c)” vorrebbe dire violare il principio di non contraddizione, che è a sua volta anche applicazione del principio di buona fede, consentire l’impugnazione, da parte del soggetto inerte, del provvedimento finale, che rischierebbe di rimettere in discussione tutta la vicenda, frustrando il meccanismo organizzativo della conferenza di servizi che è ispirato ad un rapido confronto tra amministrazioni capace di far emergere le posizioni giuridiche prevalenti.

Principio di buona fede e non contraddizione si oppongono, dunque, all’ammissibilità di un’autonoma impugnazione della determinazione finale da parte dell’autorità amministrativa che ha scelto di non partecipare alla conferenza di servizi, accettando consapevolmente la formazione del silenzio assenso.

Quest’ultimo istituto, peraltro, stigmatizza l’inerzia dell’amministrazione coinvolta, tanto da rappresentare la più grave delle “sanzioni” o il più efficace dei rimedi, delineato dalla definitiva perdita del potere di dissentire e di impedire la conclusione del procedimento (cfr., Cons. Stato, comm. spec., 13 luglio 2016, n. 1640).

4.3. Né tale limitazione può essere vista in contrasto con la Costituzione.

La preclusione a proporre un autonomo ricorso è, ad esempio, alla base della questione relativa alla tutela del terzo controinteressato nella S.c.i.a., che può solo sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione (art. 19, comma 6 ter l. n. 241 del 1990); sistema che, sia pure con qualche perplessità, la stessa Corte costituzionale ha giudicato non in contrasto con la Costituzione (cfr., sentenza n. 45 del 2019).

Peraltro paragonando le due posizioni (autorità amministrativa coinvolta nella conferenza di servizi e terzo controinteressato nella scia), l’autorità amministrativa coinvolta nella conferenza di servizi ha certamente poteri di influire sulla determinazione finale molto più ampi di quelli del controinteressato che normalmente non è coinvolto previamente nell’ambito dell’intervento oggetto di s.c.i.a.

Da quanto, dunque, esposto si deve desumere che l’attuale quadro normativo non consente ragionevolmente all’autorità amministrativa, che ha consapevolmente scelto di non partecipare alla conferenza di servizi, restando inerte, di impugnare in sede giurisdizionale il provvedimento conclusivo della conferenza di servizi.

4.4. Nel caso di specie, il Comune non ha partecipato alla conferenza di servizi, pur essendo stato regolarmente convocato, e, quindi, in applicazione dell’art. 14 quater, comma 4, l. n. 241 del 1990 si è formato il silenzio assenso. Né rileva la circostanza, dedotta dal comune ricorrente, che non sarebbe giunta la comunicazione della convocazione della conferenza di servizi per un problema informativo, non avendo il comune supportato tale eccezione con adeguata prova documentale.

Ne consegue che la ricorrente non avrebbe potuto impugnare la determinazione conclusiva, ma solo attivare il meccanismo procedimentale previsto dall’art. 14 quater comma 2, l. n. 241 del 1990.

Il ricorso proposto dal comune avverso la determinazione conclusiva della conferenza di servizi è, quindi, inammissibile.

5. Il Comune ricorrente, come detto, ha presentato istanza di autotutela, respinta dal Commissario con provvedimento prot. n° 749/2023.

Il diniego di ritirare il provvedimento originariamente emanato può, invece, essere contestato in sede giurisdizionale non emergendo elementi preclusivi dal decritto quadro normativo. Il comune ricorrente non ha, tuttavia, mosso alcun tipo di contestazione nei confronti di quest’ultimo provvedimento, avendo incentrato le difese, per la maggior parte, sull’autorizzazione unica, lettera A dei motivi di ricorso, e, per una parte minoritaria, sulla variante n° 21 del 31.07.2019 (lettera b dei motivi di ricorso).

In ogni caso, va solo chiarito che la contestazione del diniego di ritirare in autotutela un provvedimento amministrativo si infrange contro la natura ampiamente discrezionale del potere di autotutela, previsto dall’art. 21 nonies l. 241 del 1990, che si fonda non solo ed esclusivamente sull’illegittimità del provvedimento originario (c.d. presupposto rigido), ma anche, se non soprattutto, sull’esistenza di un concreto interesse pubblico al ritiro del provvedimento, sindacabile, peraltro, solo in caso di manifesta illogicità o irragionevolezza (cfr., Consiglio di Stato sez. V, 09/01/2024, n. 301).

Nel caso di specie, il comune ricorrente, come detto, non ha mosso alcuna specifica censura avverso il diniego di autotutela, ma si è limitato solo a contestate l’autorizzazione unica e la delibera del consorzio Asi n. 21/2019.

6. Focalizzando, dunque, l’attenzione sulla variante n° 21 del 31.07.2019 (contestata nella lettera b dei motivi di ricorso), è evidente che le censure articolate dal comune ricorrente siano ugualmente inammissibili.

Il comune ricorrente, infatti, sostiene che la predetta variante non sia efficace perché non è stata recepita dallo stesso comune nei propri strumenti urbanistici.

Al di là della fondatezza o meno di tale censura, resta la questione che la declaratoria di inammissibilità del ricorso, nella parte in cui il comune ha impugnato l’autorizzazione unica, si ripercuote anche sull’impugnazione della variante, atto presupposto, che, peraltro, lo stesso comune ritiene non efficace.

Il rapporto che sussiste tra variante e atto autorizzativo integra, comunque, una forma di invalidità ad effetto viziante e non certo ad effetto caducate, sussistendo il rapporto di conseguenzialità tra l'atto presupposto e l’atto successivo, ma lo stesso non è caratterizzato da un'intensità tale da giustificare la caducazione dell’atto a valle in luogo dell'annullamento: ne consegue che se si consolida l’atto a valle (l’autorizzazione unica) non si può impugnare l’atto a monte (la variante), soprattutto se si sostiene, come ha fatto il Comune, che l’interesse all’impugnazione sorge dall’atto a valle.

Ne consegue che il ricorso va dichiarato inammissibile anche in relazione all’impugnazione della variante n° 21 del 31.07.2019.

Le ragioni che hanno condotto alla presente decisione giustificano la compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Compensa le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Salamone, Presidente

Giuseppe Esposito, Consigliere

Maurizio Santise, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Maurizio Santise Vincenzo Salamone
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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