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Pubblicato il 04/06/2024
N. 04998/2024REG.PROV.COLL.
N. 04412/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 4412 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da DIRER Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Carmine Medici, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Piazzale Clodio n.18;
contro
Regione Campania, in persona del legale Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Almerina Bove, Maria D'Elia e Tiziana Monti, con domicilio eletto presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Campania in Roma, via Poli, 29;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Prima) 22 ottobre 2014, n. 5407, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2023 il consigliere Angela Rotondano, udito per la parte appellante l’avvocato Medici e preso atto, altresì, del deposito della richiesta di passaggio in decisione senza la preventiva discussione, ai sensi del Protocollo d’intesa del 10 gennaio 2023, da parte dell'avvocato Monti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Campania DIRER Campania (di seguito “DIRER”), associazione sindacale che rappresenta gli interessi dei quadri direttivi e dei dirigenti regionali, impugnava il regolamento avente ad oggetto “Ordinamento amministrativo della Giunta regionale” approvato dalla Giunta regionale con delibera del 29 ottobre 2011 n. 612 ed emanato dal Presidente della Giunta regionale con atto del 15 dicembre 2011, n. 12 (entrambi pubblicati sul Bollettino ufficiale della Regione Campania del 16 dicembre 2011, n. 77) e gli atti presupposti (precisamente, la delibera della Giunta Regionale n. 432 del 9 agosto 2011, il parere dell'Ufficio Legislativo del 29 ottobre 2011, prot. n. 14760/UDCP7GAB7UL, la nota del 15 dicembre 2011 prot. n. 17242/UDCP7GAB7UL, nonché le osservazioni formulate dalla Commissione consiliare permanente competente per materia).
1.1. Con motivi aggiunti la ricorrente estendeva la sua impugnazione alle delibere della Giunta regionale del 10 settembre 2012, nn. 475, 478 e 479, con le quali erano, rispettivamente, apportate modifiche e integrazioni al regolamento impugnato con il ricorso principale, definite le strutture ordinamentali della Giunta regionale in attuazione delle disposizioni regolamentari, e, infine, approvato il disciplinare per il conferimento degli incarichi dirigenziali, poi sostituito da un nuovo disciplinare approvato con delibera giuntale del 13 novembre 2012, n. 661, anch’essa impugnata con motivi aggiunti.
1.2. Il ricorso era articolato in sei motivi; in due di essi erano sollevate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, l. reg. 6 agosto 2010, n. 8, (Norme per garantire l'efficienza e l'efficacia dell'organizzazione della Giunta regionale e delle nomine di competenza del Consiglio regionale), di autorizzazione della Giunta regionale a disciplinare con regolamento il proprio ordinamento amministrativo.
1.3. Due i profili di illegittimità costituzionale rilevati dalla ricorrente.
1.3.1. Per un primo profilo, la norma era detta in contrasto con gli articoli 121, comma 4 e 123, comma 1, Cost. per violazione dell’interposto art. 56, comma 2, dello Statuto regionale (approvato con l.reg. 28 maggio 2009, n. 6), avendo previsto un procedimento per l’approvazione del regolamento divergente da quello disciplinato in sede statutaria: l’art. 56, comma 2, dello Statuto regionale imponeva l’approvazione dei regolamenti da parte dal Consiglio regionale e l’emanazione del Presidente della Giunta, previa deliberazione di quest’ultima, mentre la legge regionale contestata aveva previsto che fosse acquisito il parere obbligatorio ma non vincolante della commissione consiliare permanente, senza approvazione da parte del Consiglio.
1.3.2. Da altro punto di vista, la ricorrente sosteneva l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, l. reg. n. 8 del 2010 per contrasto con l’art. 123 Cost. in ragione della violazione dell’interposto art. 56, comma 4, dello Statuto regionale: a fronte dell’obbligo imposto dalla disposizione statutaria – in caso di adozione di legge regionale di autorizzazione della Giunta ad emanare regolamenti in materie già disciplinate con legge, rientranti nella competenza esclusiva della Regione – di determinare le “norme generali regolatrici della materia”, con conseguente abrogazione delle norme legislative vigenti a far data dall’entrata in vigore delle norme regolamentari, il legislatore regionale s’era limitato a richiamare i principi generali dell’azione amministrativa, senza dare indicazioni in merito al modello organizzativo prescelto cui la Giunta avrebbe dovuto dare attuazione con le disposizioni regolamentari.
2. Con la sentenza indicata in epigrafe, il T.a.r. adito respingeva il ricorso e i motivi aggiunti, ritenendoli infondati, così come entrambi i profili di illegittimità costituzionale prospettati dalla ricorrente.
3. Avverso la sentenza DIRER ha proposto appello, contestando nei primi due motivi la reiezione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nel ricorso ed esponendo negli altri quattro motivi la critica alle ragioni poste a fondamento della reiezione delle altre doglianze articolate con il ricorso introduttivo del giudizio.
4. Con ordinanza del 19 settembre 2022, n. 8071 la sezione V del Consiglio di Stato, risolto preliminarmente in senso positivo il profilo della legittimazione a ricorrere dell'associazione appellante (che ha agito a tutela dell’interesse collettivo dei dirigenti regionali, inciso dal regolamento impugnato innanzi al giudice amministrativo e di cui l’associazione è titolare), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, dubitando della legittimità dell’art. 2, l. reg. Campania 6 agosto 2010, n. 8 per contrasto con l’art. 123 Cost., per violazione dell’interposto art. 56, comma 4, dello Statuto regionale, nonché per contrasto con gli articoli 121 e 97 Cost., ed ha disposto la sospensione del giudizio.
4.1. In particolare, la Sezione ha ritenuto rilevante per la decisione del giudizio la questione di legittimità costituzionale prospettata dall’appellante, in quanto il suo accoglimento avrebbe avuto “l’effetto di eliminare il presupposto normativo sulla base del quale è stato adottato il regolamento impugnato (così come avvenuto a seguito di Corte cost. 23 novembre 2021, n. 218)”.
4.2. In merito alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità della norma regionale, l’ordinanza di rimessione ha invece sostanzialmente osservato che: “In definitiva, mancano nella legge di autorizzazione “norme generali regolatrici della materia” che esprimano la scelta di principio del legislatore per un certo modello di organizzazione amministrativa cui, poi, la normativa secondaria dia seguito nella successiva regolamentare.
Molteplici sono i modelli organizzativi possibili; varie le modalità con le quali può essere strutturato l’assetto degli uffici dirigenziali; la scelta per uno o per l’altro comporta un preciso ordinamento delle strutture amministrative.
Nulla prevedere nella legge di autorizzazione alla delegificazione circa il modello di organizzazione amministrativa da attuare significa adottare una delega in bianco rimettendo alla Giunta il potere di organizzare i propri uffici senza vicolo predeterminato da principi legislativi.
In questo modo, però, oltre, all’art. 123 Cost. nei termini precedentemente esposti, è violato anche l’art. 121 Cost. in quanto è alterato il rapporto tra potere esecutivo e potere legislativo a livello regionale (che l’istituto della delegificazione riguardi la relazione tra Consiglio regionale e Giunta regionale è precisato nella sentenza della Corte costituzionale 6 dicembre 2004, n. 378).
È altresì violato l’art. 97 Cost. il quale, secondo la lettura concordemente accolta dalla giurisprudenza anche costituzionale, stabilisce la riserva di legge relativa in materia di organizzazione amministrativa, imponendo che le disposizioni regolamentari siano attuazione a norme di principio stabilite con legge” (cfr. par. 5.9 dell’ordinanza).
5. Con sentenza del 10 luglio 2023, n. 138, la Corte costituzionale ha: i) dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Campania 6 agosto 2010, n. 8 (Norme per garantire l’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione della Giunta regionale e delle nomine di competenza del Consiglio regionale); ii) dichiarato in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Campania n. 8 del 2010, il quale prevede che la legge regionale Campania n. 11 del 1001 sia abrogata dalla data di entrata in vigore del regolamento.
6. Venuta meno la causa di sospensione del giudizio a seguito della sentenza della Corte costituzionale, la FEDIRETS (Federazione Dirigenti e Direttivi – Enti territoriali e Sanità), subentrata, a seguito di successive fusioni, alla DIRER Campania, ha formulato istanza di fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 80 cod. proc. amm. ribadendo di avere interesse alla definizione del giudizio con una sentenza di merito.
6.1. Parte appellante ha altresì depositato motivi aggiunti prospettando, sotto vari profili, l’illegittimità costituzionale della normativa sopravvenuta, in particolare dell’art. 7, comma 2, legge regionale n. 15 del 2023 in relazione agli artt. 3, 24, 97, 101, 111, 113, 117, per violazione dell’art. 6, § 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), nonché all’art. 136 Cost. (anche sotto il profilo della violazione del giudicato formatosi sulla sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2023).
In particolare, l’associazione appellante ha evidenziato che anche quest’ultimo intervento legislativo presenterebbe profili di illegittimità costituzionale in quanto con la «legificazione» delle disposizioni del regolamento n. 12 del 2011 e la «conferma[…]» dell’organizzazione degli uffici così come delineata dalla deliberazione di Giunta regionale n. 478 del 2012, e succ. int. e mod., la Regione Campania avrebbe inteso risolvere in suo favore ex auctoritate legis una controversia pendente dinanzi al giudice amministrativo, limitando il diritto di difesa dell’appellante e, così, violando il principio della parità delle parti dinanzi al giudice, con ulteriore incidenza sull’esercizio della funzione giurisdizionale affidata a quest’ultimo. Ha altresì dedotto che l’art. 7, co. 2, della l. reg. n. 15 del 2023 sarebbe costituzionalmente illegittimo anche in relazione al parametro di cui all’art. 136 Cost., per violazione del giudicato formatosi sulla sentenza della Corte costituzionale del 10 luglio 2023, n. 138, poiché, nel fare «oggetto di espressa legificazione» l’interno articolato (dall’art. 1 all’art. 42) del regolamento n. 12 del 2011, avrebbe vanificato del tutto gli effetti della suddetta pronuncia di incostituzionalità.
6.2. Le parti hanno quindi illustrato, con memorie e repliche, le rispettive tesi difensive.
6.3. All’udienza del 5 dicembre 2023, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
1. Ai fini della comprensione delle questioni controverse, importa premettere che, a seguito della citata ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale n. 8071 del 19 settembre 2022, la Regione Campania ha autorizzato una seconda delegificazione.
In particolare, l’art. 1, comma 1, legge regionale 21 ottobre 2022, n. 14, entrata in vigore il giorno successivo, ha previsto che:
«la Giunta regionale, previa l’acquisizione del parere della Commissione consiliare permanente competente per materia, è autorizzata a disciplinare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 56, comma 4 dello Statuto della Regione Campania, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio regionale, il proprio ordinamento amministrativo, in attuazione delle seguenti norme generali:
a) articolazione dell’apparato organizzativo in direzioni generali, in numero non superiore a 19, a propria volta organizzate in strutture complesse, denominate settori, preordinate al coordinamento di più unità operative dirigenziali semplici;
b) possibilità di istituire uffici speciali, in numero non superiore a 7, per l’esercizio di competenze trasversali, tra l’altro, in materia di autorizzazioni e valutazioni ambientali, realizzazione di grandi opere infrastrutturali, funzioni di stazione appaltante, difesa e patrocinio della Regione, posti alle dipendenze del Presidente della Giunta regionale e articolati in settori e unità operative dirigenziali semplici, ovvero articolati in unità operative dirigenziali semplici;
c) organizzazione ed articolazione degli uffici di diretta collaborazione in attuazione degli articoli 4, 14 e 27 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio regionale rispetto a quelli sussistenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, demandata al Presidente della Giunta regionale».
1.1. Di questo ius superveniens la Corte Costituzionale, come più approfonditamente si dirà, ha chiarito l’ininfluenza, anche perché l’art. 1, comma 2, della l. reg. 14 del 2022 ha anche stabilito che «nelle more dell’entrata in vigore del nuovo ordinamento degli uffici, di cui al comma 1, resta in vigore l’organizzazione prevista dal Reg. reg. 15 dicembre 2011, n. 12 (Regolamento Ordinamento Amministrativo della Giunta Regionale della Campania)» e, allo stato, detto nuovo regolamento non risulta adottato, continuando quindi “a trovare applicazione l’atto impugnato nel processo principale, con perdurante rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate” (v. par. 2 del “considerato in diritto” della sentenza n. 138 del 2023).
1.2. Chiarito, dunque, che nelle more dell’entrata in vigore del nuovo ordinamento degli uffici, rimane in vigore, per espressa previsione dell’art. 2, comma 2, della l. reg. 14, il regolamento impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio, deve poi rilevarsi come, scaduto il termine stabilito dalla legge, non sia stato nel frattempo adottato alcun regolamento per l’ordinamento amministrativo della Giunta regionale.
1.3. In compenso, la Regione ha adottato l’art. 7, comma 2, della legge regionale 18 luglio 2023, n. 15, su cui, come esposto in fatto, si appuntano i dubbi di illegittimità costituzionale prospettati con i motivi aggiunti dall’associazione appellante, la quale sostiene trattarsi di una legge provvedimento che ha “legificato” l’intero articolato del regolamento così da sottrarlo alla cognizione del giudice amministrativo e, per di più, violando il giudicato formatosi sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2023.
Detta norma prevede che: «al fine di assicurare la continuità amministrativa e l’efficace espletamento delle funzioni e competenze regionali, all’esito della sentenza della Corte Costituzionale 10 luglio 2023, n. 138 e nel rispetto degli equilibri del bilancio regionale, fino all’attuazione dell’articolo 1, comma 1 della legge regionale 21 ottobre 2022, n. 14 (Disposizioni in materia di rafforzamento ed efficientamento della capacità amministrativa della Regione Campania), continuano a trovare applicazione le disposizioni sull’ordinamento, l’organizzazione e le funzioni degli uffici della Giunta regionale di cui agli articoli da 1 a 42 del regolamento regionale 15 dicembre 2011, n. 12 (Regolamento – Ordinamento Amministrativo della Giunta Regionale della Campania), che costituiscono oggetto di espressa legificazione per effetto della presente legge. Per lo stesso lasso temporale è altresì confermata l’organizzazione degli uffici della Giunta regionale disposta con deliberazione di Giunta regionale n. 478/2012 e successive modifiche ed è assicurata l’attività delle strutture ed uffici istituiti fino alla data di entrata in vigore della presente legge».
2. Tanto premesso, in via preliminare va esaminata l’eccezione sollevata dalla Regione Campania di cessazione della materia del contendere o, comunque, di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse alle domande proposte.
In particolare, la Regione deduce che il regolamento del 15 dicembre 2011, n. 12, sull’«Ordinamento Amministrativo della Giunta Regionale», risulterebbe caducato o comunque superato dalla sopravvenuta reviviscenza della l.r. n. 11 del 1991, e cioè della legge regionale che era stata abrogata a far data dall’entrata in vigore del regolamento stesso, poi travolto dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, commi 1 e 2, della l. reg. n. 8 del 2010, che ne costituiva la base giuridica.
La sopravvenuta carenza di interesse risulterebbe confermata dall’art. 7 della l. reg. n. 15 del 2023, il quale, nello stabilire che le disposizioni di cui al regolamento n. 12 del 2011 «costituiscono oggetto di espressa legificazione per effetto della presente legge», presupporrebbe, da un lato, l’avvenuta caducazione del regolamento di delegificazione e, dall’altro, la tacita abrogazione della l.r. n. 11 del 1991, siccome superata dall’art. 7 della l. reg. n. 15 cit., la quale avrebbe disciplinato ulteriormente e direttamente, sia pure per relationem al contenuto delle disposizioni regolamentari caducate (ma all’uopo puntualmente richiamate), l’ordinamento degli Uffici della Giunta regionale: e ciò «fino all’approvazione del nuovo regolamento delegato, in attuazione dell’art. 1… della L.R. n. 14 del 21 ottobre 2022».
2.1. L’eccezione è infondata.
2.2. La sentenza della Corte costituzionale del 10 luglio 2023, n. 138, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, della l. reg. n. 8 del 2010, non produce un effetto caducante ma solo un effetto viziante sul regolamento di delegificazione n. 12 del 2011, il quale dovrà essere, dunque, annullato dal giudice amministrativo per essere stata dichiarata costituzionalmente illegittima la disposizione attributiva del potere, quella cioè che aveva autorizzato la delegificazione dell’ordinamento amministrativo della Giunta regionale.
2.3. Difatti, per consolidato indirizzo della giurisprudenza cui il Collegio intende dare continuità, «sul piano sostanziale, l’atto amministrativo adottato sulla base di una legge dichiarata incostituzionale è annullabile. La legge in contrasto con la Costituzione è, infatti, una legge invalida ancorché efficace sino alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale che la dichiara illegittima. Tale sentenza, producendo effetti retroattivi incidenti sui rapporti pendenti, comporta che il provvedimento amministrativo viene privato, anch’esso con effetti retroattivi, della sua base legale. La conseguenza sarà sempre l'annullabilità e non la nullità dell’atto anche nel caso in cui la norma dichiarata costituzionalmente illegittima sia l’unica attributiva del potere» (Cons. Stato, sez. VI, 11 settembre 2014, n. 4624).
Pertanto, il regolamento n. 12 del 2011 non risulta affatto caducato, come sostenuto dalla Regione, ma solo invalidato, siccome illegittimo per effetto della sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma attributiva del potere, e, come tale, pur sempre efficace fino al suo annullamento in sede giurisdizionale (o in autotutela).
2.4. Una siffatta conclusione non muta in conseguenza della «sopravvenuta reviviscenza della L.R. n. 11 del 1991» che si è venuta a determinare a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale in via consequenziale dell’art. 2, comma 2, della l. reg. n. 8 del 2010.
Come evidenziato, con la sopravvenuta disciplina di cui all’art. 1 della l. reg. n. 14 del 2022, è stata autorizzata una seconda delegificazione dell’ordinamento amministrativo della Giunta regionale, stabilendo, in via transitoria, che «nelle more dell’entrata in vigore del nuovo ordinamento degli uffici, di cui al comma 1, resta in vigore l’organizzazione prevista dal Reg. reg. 15 dicembre 2011, n. 12 (Regolamento Ordinamento Amministrativo della Giunta Regionale della Campania)» (v. co. 2).
2.5. Decorso il termine previsto (12 mesi dall’entrata in vigore della legge di autorizzazione), detto secondo regolamento non risulta però adottato, continuando perciò a trovare applicazione l’atto impugnato innanzi al giudice amministrativo (il menzionato regolamento sull’ordinamento amministrativo della Giunta regionale n. 12 del 2011), con conseguente permanenza dell’interesse dell’associazione appellante al suo annullamento.
Inoltre, giova a tale riguardo evidenziare che la Corte costituzionale ha dato atto che non ha alcuna influenza sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla menzionata ordinanza n. 8071/2022 del Consiglio di Stato la sopravvenuta legge reg. Campania n. 14 del 2022, l’art. 1 della quale ha autorizzato una seconda delegificazione avente ad oggetto l’ordinamento amministrativo della Giunta regionale, dettando nuove norme generali regolatrici della materia, e aggiungendo che, nelle more dell’entrata in vigore del regolamento autorizzato, «resta in vigore l’organizzazione prevista dal Regolamento regionale 15 dicembre 2011, n. 12».
2.6. Sempre in via preliminare, la difesa regionale eccepisce l’inammissibilità dei motivi aggiunti, poiché gli stessi introdurrebbero in appello una domanda nuova, rivolta alla caducazione di un nuovo e autonomo provvedimento, peraltro ora di rango legislativo (legge regionale n. 15/2023), rispetto agli atti originariamente impugnati e per motivi completamente diversi rispetto a quelli originariamente formulati avverso questi ultimi; inoltre, il regolamento di delegificazione già risulterebbe caducato per effetto della sentenza della Corte Costituzionale.
2.7. Anche tale eccezione è infondata come emerge incontrovertibilmente dalla lettura dei motivi aggiunti.
2.8. Con detti motivi l’appellante non ha infatti introdotto alcuna domanda nuova in appello, ma ha solo prospettato questioni di legittimità costituzionale del c.d. jus superveniens di cui alle l. reg. n. 14 del 2022 e n. 15 del 2023, sostenendo in particolare che quest’ultima (adottata col fine di “arginare gli effetti della sentenza della Corte costituzionale del 10 luglio 29023, n. 138, sul presente giudizio di appello”), rivestendo i contenuti del regolamento n. 12 del 2011 della veste formale della legge, avrebbe di fatto cristallizzato il prodotto finale del processo di delegificazione avviato sulla base dell’art. 2, co. 1, della l. reg. n. 8 del 2010, che la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo con riferimento all’art. 123 Cost., per violazione dell’art. 56, co. 4, dello Statuto della Regione Campania, sottraendo così alla ricorrente, in maniera surrettizia, la garanzia della tutela giurisdizione e a questo Consiglio di Stato la potestas judicandi sull’impugnato regolamento.
2.8.1 Ulteriori questioni di costituzionalità sono state poi sollevate con il terzo e il quarto dei motivi aggiunti sulla seconda delegificazione, fino alla cui realizzazione troverebbe applicazione il regolamento n. 12 del 2011 (v. art. 1, co. 1, della l. n. 14 del 2002, e art. 7, co. 2, della l. reg. n. 15 del 2023), per asserito contrasto con l’art. 56 comma 4 dello Statuto della Regione Campania: si sostiene, nello specifico, che l’art. 1 della l. reg. n. 14 del 2022, pur definendo questa volta le «norme generali», non abbia individuato anche «le norme legislative vigenti» che verrebbero abrogate «con effetto dalla data dell’entrata in vigore delle norme regolamentari», come stabilisce la norma statutaria; inoltre, anche il procedimento per l’adozione del nuovo regolamento risulterebbe divergente da quello prefigurato dall’art. 56, comma 2, dello Statuto, così come già dedotto con riferimento all’art. 2, co. 1, della l. reg. n. 8 del 2010 in sede di ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
È poi appena il caso di aggiungere che, sollevando questioni di legittimità costituzionale di tale ius superveniens con i motivi aggiunti, la ricorrente non ha impugnato alcun provvedimento nuovo, tale non essendo alcuna delle due contestate leggi regionali, le quali non sono impugnabili, in via diretta ed immediata, dinanzi al giudice amministrativo.
2.9. Anche l’eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti deve essere, pertanto, respinta.
3. Prima di procedere alla disamina dei motivi di appello, occorre ribadire che la Corte costituzionale, con la più volte richiamata sentenza del 10 luglio 2023, n. 138, si è espressa sulla incidenza sull’attuale giudizio della sopravvenuta legge della Regione Campania 21 ottobre 2022, n. 14 (Disposizioni in materia di rafforzamento ed efficientamento della capacità amministrativa della Regione Campania), che demanda nuovamente alla Giunta il potere di approvare un regolamento recante il proprio ordinamento amministrativo, specificando le “norme generali”, e prevedendo all’art. 1, comma 2, che, nelle more dell’entrata in vigore del nuovo regolamento, continui ad avere applicazione il regolamento n. 12 del 2011, impugnato nel processo principale.
3.1. Al riguardo la Corte costituzionale, disattendendo quanto adombrato dalla difesa della Regione Campania, ha chiarito che tale ultima porzione dello ius superveniens si limita «a disciplinare la successione nel tempo dei due regolamenti, senza affatto assicurare forza di legge regionale al contenuto del primo di essi», rilevando poi che «allo stato non risulta adottato detto secondo regolamento, e continua quindi a trovare applicazione l’atto impugnato nel processo principale, con perdurante rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate» (v. § 2).
3.2. Va poi anche precisato che la Corte Costituzionale, con la menzionata pronuncia, se, rilevata l’illegittimità dell’art. 2, c. 1, della legge Campania n. 8 del 2010, si è avvalsa dell’istituto dell’illegittimità conseguenziale previsto dall’art. 27, legge n. 87 del 1953 per dichiarare incostituzionale anche l’art. 2, c. 2, della medesima legge (che prevedeva la cessazione dell’efficacia della legge regionale n. 11 del 1991 all’entrata in vigore del regolamento: v. punto 13 del considerato in diritto), per contro ha escluso la possibilità di ricorrere allo stesso istituto in relazione all’art. 1, legge reg. Campania n. 14 del 2022, che dispone una nuova delegificazione in materia di ordinamento amministrativo regionale, associata a norme generali regolatrici della materia differenti da quelle contenute nella disposizione impugnata. Ad avviso della Corte, mancherebbe a questo punto la connessione indispensabile con i dichiarati profili di illegittimità costituzionale per applicare l’art. 27, l. n. 87 del 1953.
3.3. Inoltre, come si è detto, il secondo comma del citato art. 1, laddove prevede che «nelle more dell’entrata in vigore del nuovo ordinamento degli uffici, di cui al comma 1, resta in vigore l’organizzazione prevista dal Reg. reg. 15 dicembre 2011, n. 12 (Regolamento Ordinamento Amministrativo della Giunta Regionale della Campania)»), fa espressamente salvo il regolamento n. 12 del 2011, ovvero l’atto originariamente impugnato innanzi al giudice amministrativo, che dovrebbe logicamente essere caducato a seguito della pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, l. reg. Campania n. 8 del 2010.
3.4. Ritiene il Collegio che, anche a fronte di tale sopravvenuta previsione, questo giudice possa e debba annullare il regolamento illegittimo, senza dover a tal fine sollevare le questioni di costituzionalità dello ius superveniens così come prospettate con i motivi aggiunti.
3.5. Difatti, come già chiarito dalla Corte Costituzionale, l’art. 1 legge reg. Campania n. 14 del 2022, che si è limitato «a disciplinare la successione nel tempo dei due regolamenti, senza affatto assicurare forza di legge regionale al contenuto del primo di essi», non ha alcuna influenza sulle questioni di costituzionalità che sono state sollevate nell’odierno giudizio. Non risultando poi adottato neanche tale secondo regolamento, continua a trovare applicazione il regolamento impugnato col ricorso introduttivo.
3.6. Analogo ragionamento può mutuarsi con riferimento all’art. 7, comma 2, della l. reg. n. 15 del 2023, il quale stabilisce che il regolamento n. 12 del 2011 continua a trovare applicazione «fino all’attuazione dell’articolo 1, comma 1 della legge regionale 21 ottobre 2022, n. 14» e che «per lo stesso lasso temporale è altresì confermata l’organizzazione degli uffici della Giunta regionale disposta con deliberazione di Giunta regionale n. 478/2012 e successive modifiche ed è assicurata l’attività delle strutture ed uffici istituiti fino alla data di entrata in vigore della presente legge».
3.7. L’intervento normativo non vale dunque a modificare il punto centrale dell’odierna controversia: gli atti amministrativi impugnati sono invalidi in via derivata perché adottati dalla struttura istituita sulla base di una opzione delegificante, per via legislativa, rivelatasi illegittima a seguito della menzionata declaratoria di incostituzionalità.
4. Ciò ribadito, l’appello proposto da DIRER Campania (oggi FEDIRETS, che le è subentrata) deve essere accolto.
5. In particolare è fondato in via assorbente il motivo con cui l’appellante ha dedotto l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della l.r. n. 8 del 2010 in relazione agli artt. 97, 12 e 123, per violazione dell’art. 56, comma 4, dello Statuto della Regione Campania, avendo omesso di stabilire le “norme regolatrici della materia” oggetto del regolamento autorizzato, la cui determinazione era ancor più necessaria in considerazione del fatto che oggetto del regolamento era l’ordinamento amministrativo della Giunta regionale, soggetto a riserva (relativa) di legge in materia di organizzazione dei pubblici uffici ex art. 97, comma 1, Cost.
5.1. L’art. 2 l. reg. Campania 6 agosto 2010, n. 8 ha attuato la delegificazione della materia dell’ordinamento amministrativo della Giunta regionale autorizzando la Giunta a disciplinare la materia con proprio regolamento, sentita la commissione consiliare permanente competente per materia, e ha disposto l’abrogazione della previgenti disposizioni (contenute nella legge regionale 4 luglio 1991, n. 11 Ordinamento amministrativo della Giunta regionale, con le eccezioni costituite dagli articoli 13, 14, 18, 19, 20, 22, 23 e 25).
Il legislatore regionale ha imposto alla Giunta di esercitare la potestà regolamentare “in attuazione dei principi dell’attività amministrativa e di organizzazione posti dal titolo IX dello Statuto regionale e in osservanza dei seguenti criteri generali: a) imparzialità, buon andamento dell’amministrazione regionale e trasparenza dell’azione amministrativa; b) razionalizzazione organizzativa, contenimento e controllo della spesa, anche mediante accorpamento e soppressione delle strutture esistenti; c) perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità nell’esercizio dei compiti e delle funzioni assegnate alle strutture organizzative individuate; d) realizzazione della più ampia flessibilità nell’organizzazione degli uffici regionali; e) rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione degli indirizzi politico – amministrativi impartiti dagli organi di governo mediante l’istituzione di apposite strutture organizzative”.
Il comma 2 del censurato art. 2 aggiunge che «[d]alla data di entrata in vigore delle norme regolamentari di cui al comma 1 è abrogata la legge regionale 4 luglio 1991, n. 11 (Ordinamento amministrativo della Giunta regionale), ad eccezione degli articoli 13, 14, 18, 19, 20, 22, 23 e 25».
5.2. In attuazione di tale previsione normativa la Giunta della Regione Campania ha approvato con delibera 29 ottobre 2011, n. 612 il regolamento recante l’ordinamento amministrativo della Giunta regionale, gravato col ricorso introduttivo.
5.3. Nel prospettare tale questione di legittimità costituzionale, l’appellante ha espresso il proprio dissenso rispetto al ragionamento svolto dal giudice di primo grado nei seguenti termini.
La legge di autorizzazione all’emanazione di un regolamento delegato in materia di ordinamento amministrativo della Giunta regionale, per dar compimento alla prescrizione statutaria di determinazione delle “norme generali della materia”, avrebbe dovuto esprimere la preferenza del legislatore per uno dei due modelli organizzativi astrattamente possibili, quello di tipo verticale, tipico degli apparati ministeriali, e quello di tipo orizzontale, costituito dalle aree generali di coordinamento, suddivise al loro interno in settori e servizi, proprio della generalità degli enti territoriali; contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, i principi richiamati nella norma di autorizzazione non esprimevano affatto una scelta per l’uno o per l’altro, trattandosi di principi generali dell’azione amministrativa validi in ogni caso, né elementi decisivi potevano trarsi dal rinvio ai “principi dell’attività amministrativa e di organizzazione di cui al titolo IX dello Statuto regionale” (quali: 1) la sottoposizione dell’attività amministrativa al controllo di gestione ed agli strumenti di valutazione del rendimento (art. 64); 2) la separazione tra politica ed amministrazione, con attribuzione agli organi di direzione politica delle funzioni di indirizzo politico – amministrativo ed ai dirigenti dell’attività gestionale e di quella provvedimentale non rientrante nelle suddette funzioni (art. 65); 3) l’accesso agli uffici regionali per pubblico concorso, salvi i casi previsti dalla legge (art. 67); 4) l’appartenenza dei dirigenti della Giunta regionale ad un ruolo unico (art. 67); 5) l’attribuzione ai dirigenti, in relazione agli incarichi affidati, di differenti competenze e responsabilità (art. 67)), poiché si tratta di principi cui deve conformarsi in generale l’organizzazione dei pubblici uffici a prescindere da quale sia il modello organizzativo prescelto, onde il richiamo ad essi non è certamente espressivo di una scelta capace di indirizzare la potestà regolamentare. Il modello organizzativo, pertanto, si può dire sia rimasto del tutto indefinito e sostanzialmente rimesso ad una libera scelta della Giunta regionale.
5.4. Il Consiglio di Stato ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all’art. 123 Cost. in riferimento all’art. 56, comma 4, Statuto regionale della Campania (approvato con l.reg. 28 maggio 2009, n. 6) e in relazione agli articoli 121 e 97 Cost. la questione di legittimità costituzionale, nei termini di cui in motivazione, dell’art. 2, comma 1, l. reg. Campania 6 agosto 2020, n. 8.
5.4.1. Il Consiglio di Stato ha, infatti, osservato che, nel disciplinare in ambito regionale la delegificazione in materia di ordinamento amministrativo della Giunta regionale, il legislatore regionale avesse rispettato l’obbligo della determinazione delle “norme generali regolatrici della materia” solo formalmente, limitandosi ad indicare dei meri obiettivi o finalità, nulla dicendo circa il modo in cui conseguirli. Ciò avrebbe comportato la violazione del dettato statutario e anche dei principi costituzionali, al pari della totale assenza di ogni riferimento alle norme regolatrici della materia nella legge di autorizzazione.
In altri termini, il giudice rimettente ha dubitato della sufficiente analiticità dei criteri che devono orientare l’esercizio della potestà regolamentare, sul presupposto che una simile carenza si traduce in vizio di legittimità costituzionale della norma primaria.
5.4.2. A tale proposito, il Consiglio di Stato ha focalizzato la propria attenzione non solo sui criteri elencati dalla lettera a) alla lettera e) della disposizione regionale censurata, ma anche sui principi dell’attività amministrativa e di organizzazione posti dal Titolo IX dello Statuto regionale, essendo questi oggetto di un esplicito rinvio da parte della disposizione censurata, così divenendo norme generali regolatrici della materia in essa contenute.
Infine, ha concluso che nessuna delle disposizioni della legge reg. Campania n. 11 del 1991, preservate dall’abrogazione, esprime norme generali regolatrici della materia, vale a dire si riferisce alla «organizzazione delle strutture amministrative della Giunta».
5.4.3. In definitiva, ad avviso del giudice rimettente la disposizione censurata era priva di norme idonee ad esprimere «la scelta di principio del legislatore per un certo modello di organizzazione amministrativa», pur a fronte di «molteplici» alternative, finendo per conferire alla Giunta una “delega in bianco” «senza vincolo predeterminato da principi legislativi».
Tale assetto normativo, oltre che l’art. 123 Cost., avrebbe violato anche gli artt. 121, «in quanto è alterato il rapporto tra potere esecutivo e potere legislativo a livello regionale», e 97 Cost., in punto di «riserva di legge relativa in materia di organizzazione amministrativa».
5.5. Con la sentenza n. 138 del 10 luglio 2023, la Corte costituzionale: a) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Campania 6 agosto 2010, n. 8 (Norme per garantire l’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione della Giunta regionale e delle nomine di competenza del Consiglio regionale); 2) ha dichiarato, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Campania n. 8 del 2010.
5.6. In particolare, la Corte costituzionale ha dichiarato fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Campania n. 8 del 2010, in riferimento all’art. 123 Cost., per violazione dell’art. 56, comma 4, dello statuto reg. Campania (adottato con l.reg. 28 maggio 2009, n. 6). Sono state quindi assorbite le questioni di legittimità costituzionale del censurato art. 2, comma 1, sollevate in riferimento agli artt. 97 e 121 Cost.
5.6.1. A fronte della natura dello statuto regionale – che è fonte sovraordinata alla legislazione della Regione, con conseguente illegittimità costituzionale della norma primaria che si ponga in contrasto con la previsione statutaria – e considerato che l’art. 56, comma 4, dello statuto della Regione Campania dispone che «[n]elle materie di competenza esclusiva della Regione la legge regionale può autorizzare la Giunta ad emanare regolamenti in materie già disciplinate con legge. In tal caso la legge regionale di autorizzazione determina le norme generali regolatrici della materia e dispone l’abrogazione delle norme legislative vigenti, con effetto dalla data dell’entrata in vigore delle norme regolamentari», la Corte costituzionale ha ritenuto illegittima la norma censurata che, adeguandosi a una generale tendenza a rendere più flessibile la disciplina dell’organizzazione degli uffici pubblici, aveva avviato e regolato il processo di delegificazione dell’ordinamento amministrativo della Giunta, il quale era stato fino ad allora retto da una disciplina primaria, contenuta nella legge reg. Campania n. 11 del 1991, di carattere dettagliato e tale, quindi, da governare minuziosamente ogni profilo della materia.
5.6.2. La Corte ha osservato, infatti, che in ambito regionale, lo statuto della Regione Campania si è fatto carico dell’esigenza di assegnare alla legge di autorizzazione alla delegificazione la fissazione dei criteri e dei limiti entro i quali il regolamento può legittimamente operare, affinché quest’ultimo definisca «semplicemente il termine iniziale» della abrogazione, i cui effetti sono invece da imputare esclusivamente alla fonte primaria. Esigendo che la legge regionale di autorizzazione indichi con specificità le norme legislative vigenti destinate all’abrogazione, e rechi essa stessa le norme generali regolatrici della materia, lo statuto regionale assicura che “la delegificazione non si traduca in un mero espediente formale”.
5.6.3. Tutto ciò premesso, la Corte costituzionale ha ritenuto l’evidente inidoneità, sotto tale profilo, dei richiamati fini di «imparzialità, buon andamento dell’amministrazione regionale e trasparenza dell’azione amministrativa» (art. 2, comma 1, lettera a), e di «perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia, ed economicità nell’esercizio dei compiti e delle funzioni assegnate alle strutture organizzative individuate» (art. 2, comma 1, lettera c).
Al riguardo ha, infatti, osservato che i pubblici uffici non possano che essere strutturati, per vincolo costituzionale, in tali termini, per cui “prendere in considerazione tali finalità avrebbe l’effetto di svuotare la norma generale regolatrice di ogni attitudine sua propria a conferire un taglio peculiare alla materia, sulla base del quale testare la corrispondenza del regolamento alla volontà legislativa”.
5.6.4. La Corte ha poi ritenuto:
a) che anche le disposizioni contenute nel Titolo IX dello statuto regionale, e richiamate dalla norma censurata, sono in definitiva inidonee per il loro contenuto a fungere da norme regolatrici;
b) che, analogamente, le altre disposizioni non abrogate della legge reg. Campania n. 11 del 1991 “si riferiscono a profili marginali, senza che vi sia modo di indurre da essi criteri di vincolo quanto all’esercizio del potere regolamentare”, traendone come conseguenza che “anche la parte normativa sottratta alla delegificazione non offre adeguati criteri, quanto alla predeterminazione, con grado sufficiente, del contenuto del regolamento”;
c) che anche le ulteriori tre norme generali regolatrici della materia enunciate dalle lettere b), d) ed e) della norma censurata mettono in risalto la loro estrema frammentarietà quanto alla riconfigurazione dell’ordinamento amministrativo della Giunta, “non riuscendo a coprire adeguatamente la vasta materia consegnata alla delegificazione”.
5.6.5. La Corte costituzionale ha poi rilevato come l’abrogazione incide su una legge assai analitica nel disciplinare tale materia, attraverso la determinazione della natura di tutte le strutture organizzative, del numero e delle specifiche competenze attribuite a ciascuna «area generale di coordinamento» e a ciascun «settore», e, infine del numero massimo di «servizi e sezioni», evidenziando che “a tali aree normative il regolamento che ha completato il processo di delegificazione si è integralmente sovrapposto, senza alcuna base normativa primaria atta a indirizzarne le scelte, posto che la norma censurata non prevede alcunché sull’articolazione degli uffici, né sul numero di essi, né, di conseguenza, sulle competenze loro demandate”.
5.6.7. La Corte costituzionale ha, pertanto, statuito che, sebbene non vi siano ragioni costituzionali che ostino alla delegificazione degli apparati amministrativi, nel rispetto dei limiti tracciati dalla Costituzione, e, per la Regione Campania, dallo statuto, la legge regionale censurata “reca norme generali regolatrici della materia solo per profili parziali e privi di organicità, permettendo al regolamento di invadere spazi in precedenza coperti da norme legislative, ma senza dettare alcuna disposizione generale ad essi specificamente riferibile”, valicando il limite, pur largo in tema di organizzazione degli uffici pubblici, che l’art. 56, comma 4, dello statuto reg. Campania gli imponeva di rispettare, così dando luogo ad una violazione dell’art. 123 Cost., con conseguente illegittimità costituzionale della norma.
5.6.7. In via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 2 del medesimo art. 2 censurato, il quale prevede che la legge reg. Campania n. 11 del 1991 (che, in precedenza, disciplinava l’ordinamento amministrativo della Giunta regionale) sia abrogata dalla data di entrata in vigore del regolamento, poi sopraggiunto, in quanto “ove la legge di autorizzazione alla delegificazione sia costituzionalmente illegittima, l’effetto abrogativo ad essa imputabile non può prodursi in ragione dell’adozione del regolamento”.
5.7. Il regolamento impugnato col ricorso introduttivo del giudizio deve essere, dunque, annullato per effetto del venir meno del presupposto normativo (l’art. 2, comma 1, della legge reg. Campania n. 8 del 2010 dichiarato costituzionalmente illegittimo) sulla base del quale detto regolamento è stato adottato.
5.8. Nel delineato contesto, la «legificazione» delle disposizioni del regolamento n. 12 del 2011, dapprima mediante l’art. 1, co. 2, della l. reg. n. 14 del 2022 e poi mediante l’art. 7, co. 2, della l. reg. n. 15 del 2023, non muta i termini della questione.
5.8.1. Il fatto che la legge regionale abbia recepito per relationem l’intero articolato normativo del regolamento impugnato non vale a sanare l’illegittimità dell’atto che risulta adottato in assenza di base normativa, vista la declaratoria di illegittimità costituzionale della legge di autorizzazione.
Infatti, per effetto della declaratoria di incostituzionalità della norma attributiva del potere, il regolamento adottato in attuazione di tale norma viene privato, anch’esso con effetti retroattivi, della sua base legale, con conseguente annullabilità.
5.9. A ciò consegue la declaratoria di inammissibilità dei motivi aggiunti.
5.9.1. Lo ius superveniens e le relative questioni di legittimità costituzionale sollevate con detti motivi non sono rilevanti per la decisione del presente giudizio, che non verte sul nuovo regolamento di delegificazione ex l. 14/2022 (peraltro, come detto, non ancora adottato dalla Regione).
5.9.2. Invero, il rinvio all’articolato normativo del regolamento impugnato (di cui all’art. 7, co. 2, della l. reg. n. 15 del 2023) è «fino all’attuazione dell’articolo 1, comma 1 della legge regionale 21 ottobre 2022, n. 14» che, come detto, aveva, a sua volta, autorizzato una seconda delegificazione «con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 56, comma 4 dello Statuto della Regione Campania» entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
5.9.3. Pertanto, conformemente alla prevalente giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 aprile 2021, n. 3336), in base alla quale il termine per l’adozione del regolamento delegato (quale, nella specie, stabilito dall’art. 1, co. 1, della l. reg. n. 14 del 2022 e pacificamente scaduto il 22 ottobre 2023, senza essere stato, nel frattempo, prorogato da successive leggi regionali) non ha natura perentoria, il nuovo regolamento amministrativo della Giunta regionale dovrà essere adottato, procedendo ad una nuova delegificazione nel rispetto delle «norme generali regolatrici della materia» stabilite dallo stesso art. 1, co. 1, della l. reg. n. 14 ult. cit. che disciplina l’articolazione dell’apparato organizzativo e delle relative strutture.
6. In conclusione, per le ragioni esposte l’appello deve essere accolto nei sopra indicati sensi e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso introduttivo di primo grado, a ciò conseguendo l’annullamento del regolamento avente ad oggetto “Ordinamento amministrativo della Giunta regionale” approvato dalla Giunta regionale con delibera del 29 ottobre 2011 n. 612 ed emanato dal Presidente della Giunta regionale con atto del 15 dicembre 2011, n. 12.
7. I motivi aggiunti all’appello devono essere, pertanto, dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.
8. Si ravvisano giusti motivi in ragione della complessità e novità delle questioni trattate per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso introduttivo di primo grado ed annulla il regolamento avente ad oggetto “Ordinamento amministrativo della Giunta regionale” approvato dalla Giunta regionale con delibera del 29 ottobre 2011 n. 612 ed emanato dal Presidente della Giunta regionale con atto del 15 dicembre 2011, n. 12.
Dichiara improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse i motivi aggiunti all’appello.
Dispone compensarsi integralmente tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Presidente
Angela Rotondano, Consigliere, Estensore
Alberto Urso, Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
Angela Rotondano |
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Paolo Giovanni Nicolo' Lotti |
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IL SEGRETARIO
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